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Page 1 of 7 PROCESSO TRIBUTARIO E AIUTI DI STATO Corriere Tributario, 45 / 2007, p. 3665 Processo tributario PROCESSO TRIBUTARIO E AIUTI DI STATO Tesauro Francesco A norma dell'art. 88, par. 2, del Trattato CE, la Commissione europea può ordinare allo Stato, non solo di sopprimere o modificare un aiuto, in quanto incompatibile con il diritto comunitario, ma, se già concesso, di recuperarlo. Di fronte a decisioni che dispongono il recupero di aiuti di Stato, si pongono problemi diversi di tutela: dell'impresa che ha ricevuto gli aiuti e degli operatori economici, che sono stati danneggiati dall'aiuto elargito ad imprese concorrenti. Le imprese che hanno già ricevuto gli aiuti potranno quindi impugnare, dinanzi alle Commissioni tributarie, gli atti impositivi di recupero emessi dall'agenzia delle entrate. Riferimenti Decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 Art. 1 Sommario: Le decisioni di recupero degli aiuti di Stato - Recuperi di natura fiscale - Competenze del giudice nazionale in materia di aiuti di Stato - Rinvio pregiudiziale di interpretazione - Rinvio pregiudiziale di validità - Tutela cautelare [*] Le decisioni di recupero degli aiuti di Stato Vanno qui ricordati due principi: il «primato» del diritto comunitario (sul diritto interno) ed il principio degli «effetti diretti». In base al primato, ogni norma di diritto comunitario, gerarchicamente sovraordinata a quelle interne degli Stati membri, deve prevalere su qualsiasi norma di diritto interno, di ogni ordine e grado, anteriore o successiva alla prima, collidente con quest'ultima. In base al principio degli effetti diretti, le norme giuridiche comunitarie, purché connotate da determinate caratteristiche di contenuto, debbono essere giuridicamente trattate dagli Stati come immediatamente costitutive di situazioni giuridiche soggettive tutelabili dinanzi al giudice nazionale, al pari di quelle costituite da norme di diritto nazionale. L'applicazione congiunta di questi principi comporta che le norme comunitarie devono essere trattate come se fossero norme interne, che prevalgono sulle norme interne incompatibili, determinandone la non applicabilità. Ciò significa, in materia fiscale, che se una norma che concede agevolazioni fiscali non è compatibile con il diritto comunitario, il giudice deve disapplicarla. Le decisioni della Commissione hanno «effetto diretto» nei confronti dei «destinatari designati» (Trattato CE, art. 249) [1] e vincolano i giudici nazionali. Nella nostra giurisprudenza, la Cassazione, Sez. V, con la sentenza del 10 dicembre 2002, n. 17564 [2], accogliendo orientamenti consolidati della Corte di giustizia, ha riconosciuto che anche le decisioni della Commissione in tema di aiuti di Stato possono avere effetto diretto nel nostro ordinamento. Ha affermato la Cassazione che le decisioni della Commissione delle Comunità europee producono effetti diretti nell'ordinamento italiano quando prevedano un obbligo giuridico: a) «sufficientemente chiaro e preciso» nei confronti degli Stati membri; b) «incondizionato»; c) attuabile o eseguibile senza la necessità dell'esercizio di un «potere discrezionale» da parte degli Stati membri o delle istituzioni comunitarie. Decisioni «self-executing» e decisioni che richiedono un procedimento attuativo

Page 2 of 7 Vi sono decisioni (della Commissione europea) self-executing e decisioni che richiedono un procedimento attuativo. Un caso esemplare di decisione comunitaria che non richiede provvedimenti nazionali attuativi è la decisione della Commissione CE 28 maggio 1991, n. 91/500/CEE, con la quale la Commissione ha stabilito che gli aiuti previsti dagli artt. 2 e 4 della legge 29 gennaio 1986, n. 26, a beneficio delle imprese della Regione Friuli-Venezia Giulia, sono incompatibili con il mercato comune (ai sensi dell'art. 92, par. 1, del Trattato CEE); e che, tuttavia, a titolo transitorio, gli aiuti stessi potevano essere accordati fino al 30 giugno 1992. Trascorso quel termine, la norma interna che disponeva l'esenzione doveva considerarsi non più applicabile, senza bisogno di leggi o altri provvedimenti nazionali attuativi della decisione comunitaria; le domande di esenzione dovevano essere respinte dall'amministrazione finanziaria, applicando la decisione della Commissione e disapplicando la legge nazionale agevolativa [3]. Richiedono invece appositi provvedimenti nazionali attuativi le decisioni della Commissione, che dispongono il recupero degli aiuti. L'art. 14, comma 3, del Regolamento (CE) del Consiglio del 22 marzo 1999, n. 659/1999 (recante modalità di applicazione dell'art. 93 del Trattato CE, ora art. 88) dispone che «il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato». Sono quindi le leggi nazionali che devono dare esecuzione alle decisioni della Commissione europea che dispongono il recupero [4]. In Italia, per il recupero degli aiuti sono stati emessi di volta in volta appositi atti normativi. Il recupero degli aiuti concessi agli autotrasportatori è stato affidato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (D.L. 20 marzo 2002, n. 36, convertito, con modificazioni dalla legge 17 maggio 2002, n. 96). La riscossione coattiva degli aiuti concessi alle banche è stata affidata al Ministro dell'economia e delle Finanze (art. 1, comma 2, del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27). Nulla è stato previsto per il recupero degli aiuti alle società ammesse alla quotazione di borsa (agevolazioni previste dall'art. 1, primo comma, lett. d), e dall'art. 11 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326). Per il recupero degli aiuti concessi alle società per azioni a prevalente capitale pubblico, che gestiscono servizi pubblici locali, il legislatore - con la legge comunitaria 2004 - aveva previsto che provvedesse il Ministero degli interni (art. 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62). La competenza è stata poi attribuita all'agenzia delle entrate (art. 1, comma 132, della legge 23 dicembre 2005, n. 266), che deve recuperare l'irpeg non pagata per effetto di esenzione, liquidando e riscuotendo le somme dovute in base alle dichiarazioni presentate. Ai sensi dell'art. 1 del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito dalla legge 6 aprile 2007, n. 46, l'agenzia delle entrate agisce emettendo delle ingiunzioni, che - in base ad una norma ad hoc - possono essere impugnate davanti alle commissioni tributarie; la riscossione coattiva avviene, in base a quando dichiarato dalle società, secondo le regole del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Recuperi di natura fiscale È questione discussa se il recupero dell'aiuto abbia natura fiscale o altra natura. Poiché il recupero avviene «secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato», sono le leggi nazionali che determinano la natura degli atti di recupero. Se il recupero non è affidato alle autorità fiscali, ma ad altre amministrazioni, si dovrà escludere la natura tributaria degli atti di recupero. Quando l'aiuto di Stato è rappresentato da una esenzione o agevolazione, o dalla concessione di un credito d'imposta, il recupero dell'aiuto ha come presupposto la disapplicazione della norma agevolatrice (in esecuzione della decisione della Commissione europea), ed è applicata la norma impositrice che sarebbe stata applicata a suo tempo, se non vi fosse stata la norma di favore. Il recupero assume così natura tributaria, in linea con la norma che attribuisce all'agenzia delle entrate il compito di provvedere al recupero e con la norma che attribuisce la giurisdizione alle commissioni tributarie. Si profila così, davanti al giudice tributario, un processo con caratteristiche particolari, che ha per oggetto atti interni che attuano una decisione della Commissione europea. Un processo, dunque, regolato da norme processuali interne e da norme processuali comunitarie. Competenze del giudice nazionale in materia di aiuti di Stato

Page 3 of 7 A norma dell'art. 88, par. 2, del Trattato, la Commissione europea può ordinare allo Stato non solo di sopprimere o modificare un aiuto, ma, se già concesso, di recuperarlo. Di fronte a decisioni che dispongono il recupero di aiuti di Stato, si pongono problemi diversi di tutela. Vi sono problemi di tutela dell'impresa che ha ricevuto gli aiuti, di fronte alle richieste di recupero. Vi sono, poi, problemi di tutela degli operatori economici, che sono stati danneggiati dall'aiuto elargito ad imprese concorrenti. Qui interessano i problemi di tutela del primo tipo, cioè i ricorsi contro atti impositivi di recupero degli aiuti. Più precisamente, qui interessano i ricorsi con cui sono impugnati, dinanzi alle Commissioni tributarie, atti di recupero dell'agenzia delle entrate. Processo dinanzi ai giudici nazionali Il processo dinanzi ai giudici tributari (e, in generale, dinanzi ai giudici nazionali) si svolge secondo le regole proprie del processo nazionale, cioè secondo le regole del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. I giudici nazionali (tra cui i giudici tributari) sono soggetti al dovere di cooperazione previsto dall'art. 10 (ex art. 5), comma 1, primo periodo, del Trattato CE, il quale impone agli Stati membri di adottare «tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità». I giudici nazionali devono dunque applicare le norme comunitarie; sono quindi anche giudici del diritto comunitario. Il processo dinanzi al giudice nazionale si svolge secondo le regole nazionali, che vanno però integrate con norme di diritto processuale comunitario. Norme processuali comunitarie da applicare nei processi dinanzi ai giudici nazionali Occorre dunque individuare le norme processuali comunitarie che devono essere applicate nei processi che si svolgono dinanzi ai giudici nazionali. In primo luogo, occorre distinguere, in materia di aiuti di Stato, il ruolo rispettivo della Commissione e dei giudici nazionali [5]. La Commissione ha un ruolo permanente di esame e di controllo degli aiuti di Stato; i suoi atti sono impugnabili dinanzi ai giudici comunitari. Mentre alla Commissione spetta il compito di esaminare la compatibilità del progettato aiuto con il mercato comune, i giudici nazionali devono salvaguardare i diritti dei cittadini comunitari quando lo Stato pone in atto aiuti non previamente autorizzati dalla Commissione o dichiarati incompatibili. L'intervento dei giudici nazionali è una conseguenza dell'effetto diretto delle decisioni della Commissione. È invalido l'atto amministrativo nazionale che esegue misure di aiuto di cui la Commissione non ha previamente dichiarato la compatibilità con il mercato comune. Va in proposito messo in evidenza che le norme costituzionali nazionali in tema di formazione degli atti legislativi devono essere integrate dalle norme del Trattato CE in tema di notifica alla Commissione dei disegni e progetti di legge che prevedono misure che hanno natura di aiuto di Stato [6]. Gli aiuti di Stato sono «illegali» quando non sono state seguite le procedure previste dal diritto comunitario. Poiché le norme comunitarie in materia di aiuti condizionano l'iter formativo degli atti interni, i giudici nazionali possono, anzi devono, verificare se sono state seguite le procedure previste dal diritto comunitario. I giudici nazionali devono esaminare se una legge o altro provvedimento statale, che contiene una misura di favore, sia stato adottato senza seguire il procedimento di controllo preventivo di cui all'art. 88, n. 3, CE. Come affermato dalla Corte di cassazione [7], il giudice nazionale deve verificare la compatibilità del diritto interno con le norme comunitarie anche d'ufficio.

Page 4 of 7 Il controllo della compatibilità delle norme nazionali con il diritto comunitario non è condizionato dalla richiesta delle parti. Il diritto comunitario, ha precisato la Cassazione, dev'essere applicato d'ufficio, come lo jus superveniens e le sentenze della Corte costituzionale. I giudici nazionali possono pertanto stabilire se la misura costituisca un aiuto, interpretando ed applicando la nozione di aiuto di cui all'art. 87, n. 1, del Trattato CE [8]. Per contro, i giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune. La valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure specifiche di aiuto o di un «regime» di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice comunitario [9]. È difficilmente ipotizzabile che al giudice tributario possa accadere di dover annullare un atto amministrativo che concede un aiuto non notificato o incompatibile. Il ruolo «comunitario» del giudice tributario ha modo di esplicarsi nei processi di impugnazione di atti dell'agenzia, che, in esecuzione di una decisione della Commissione europea, recuperano aiuti di Stato. Rinvio pregiudiziale di interpretazione Nel processo (dinanzi ad un giudice nazionale) in cui è stato impugnato un provvedimento che recupera un aiuto di Stato possono sorgere problemi di validità e problemi di interpretazione della decisione della Commissione europea che ha imposto il recupero dell'aiuto. Se sorgono problemi di interpretazione di norme comunitarie, il giudice nazionale può sospendere il processo e sottoporre la questione alla Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE. Il rinvio pregiudiziale di interpretazione può riguardare non solo l'interpretazione del Trattato - in specie, dell'art. 87 - ma anche l'interpretazione di altri atti comunitari, come le decisioni della Commissione. Il rinvio pregiudiziale potrebbe riguardare l'interpretazione di una decisione al fine di stabilire se il legislatore nazionale, nell'introdurre un aiuto, ha rispettato i limiti posti dalla Commissione in una decisione che lo autorizza [10]. Ma può riguardare, anche, una questione di interpretazione di una decisione di recupero, al fine di stabilire se gli atti interni (legislativi o amministrativi), che la attuano, siano conformi a quanto disposto dalla Commissione. Rinvio pregiudiziale di validità Nei processi sugli aiuti di Stato, se sono sollevate questioni di validità di un atto comunitario (in specie, questioni di validità della decisione comunitaria che dispone il recupero), i giudici nazionali non sono competenti ad esaminarle: la competenza è riservata ai giudici comunitari [11]. Le questioni di validità possono però formare oggetto, come le questioni di interpretazione, di rinvio pregiudiziale alla Corte, ai sensi dell'art. 230 del Trattato. La questione di validità dell'atto comunitario può essere sollevata, dinanzi al giudice nazionale, solo da chi ha impugnato l'atto comunitario dinanzi ai giudici comunitari e da chi non è legittimato ad impugnarlo. Chi non è legittimato, ai sensi dell'art. 230 del Trattato, all'azione di impugnazione dell'atto comunitario può sollevare, dinanzi al giudice nazionale, questioni pregiudiziali che attengono alla validità dell'atto comunitario, e chiedere il rinvio pregiudiziale, ai sensi dell'art. 234 del Trattato (come è avvenuto nel caso «Atzeni»). Inoltre, chi ha impugnato la decisione della Commissione in sede comunitaria può chiedere al giudice nazionale di sospendere il giudizio in attesa della decisione definitiva dei giudici comunitari. Bisogna dunque distinguere il caso di chi è legittimato all'impugnazione diretta (con azione di annullamento) della decisione della Commissione europea dal caso di chi non è legittimato all'impugnazione diretta.

Page 5 of 7 Preclusioni alla questione di validità Vi sono casi in cui la questione di validità è preclusa. La questione di validità di una decisione della Commissione è infatti inammissibile se sollevata da chi avrebbe potuto impugnarla, ma ha omesso di farlo; la decisione della Commissione europea, essendo divenuta definitiva nei suoi confronti, pone uno sbarramento alla facoltà di sollevare questioni di validità. Ha statuito la Corte di giustizia che l'illegittimità degli aiuti pubblici, se accertata dalla Commissione con decisione ex art. 93, par. 2 (ora, art. 88, par. 2) del Trattato, divenuta inoppugnabile in quanto non investita da tempestivo ricorso per annullamento ai sensi dell'art. 230 (ex art. 173), non può essere sindacata dal giudice nazionale, che ne è vincolato. I soggetti legittimati ad impugnare la decisione devono dunque far valere le questioni di legittimità della decisione della Commissione europea con ricorso al Tribunale comunitario. Una decisione adottata dalle istituzioni comunitarie che non sia stata impugnata dal destinatario, entro il termine stabilito dall'art. 230 del Trattato CE, diviene definitiva nei suoi confronti e non può essere più contestata [12], neppure in via incidentale, in sede di impugnazione di un atto applicativo; se così non fosse, sarebbe elusa la definitività della decisione comunitaria [13]. Il principio è stato ribadito richiamando il principio di certezza del diritto ed assimilando la definitività delle decisioni della Commissione al giudicato [14]. Impugnazione delle decisioni della Commissione È dunque opportuno ricordare qui che le decisioni della Commissione possono essere impugnate con azione di annullamento dinanzi al Tribunale di primo grado, ai sensi degli artt. 225 e 230 del Trattato CE. Il ricorso dev'essere proposto nel termine di sessanta giorni da quando l'atto è stato pubblicato, o da quando è stato notificato o, in mancanza, da quando l'interessato ne ha avuto conoscenza. Le norme in tema di legittimazione e termini del ricorso sono fissate dal citato art. 230. Può ricorrere lo Stato membro, a cui sia imposto di recuperare l'aiuto, e può ricorrere, anche, «qualsiasi persona fisica o giuridica», se l'atto impugnato la riguarda «direttamente e individualmente». Deve trattarsi di soggetto identificato o identificabile quale destinatario sostanziale dell'atto [15]. In particolare, la giurisprudenza comunitaria ritiene che sussista l'interesse individuale nel caso di ricorsi di annullamento contro decisioni relative a regimi di aiuto quando i ricorrenti hanno già beneficiato dell'aiuto e siano chiamati a restituirlo [16]. Tutela cautelare Quando si pongono problemi di validità e di interpretazione di atti comunitari, il giudice può sospendere l'atto impugnato. Il potere cautelare del giudice nazionale si fonda sul diritto comunitario, e, quindi, dev'essere esercitato anche se la sospensione è impedita da una norma nazionale. Un principio consolidato del diritto comunitario impone infatti al giudice nazionale di sospendere gli atti che non siano conformi al diritto comunitario. Le ipotesi possono essere due. Tutela di una situazione giuridica soggettiva La prima può verificarsi in processi nei quali chi agisce chiede la tutela di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta da norme comunitarie, ma lesa o disconosciuta da leggi o atti amministrativi nazionali. La Corte di giustizia, con la sentenza «Factorame» del 19 giugno 1990, causa C-213/89, ha stabilito che, in presenza di un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell'art. 177 (ora 234) del Trattato, «sussiste l'obbligo dei giudici dei paesi membri, sino alla pronuncia della Corte, di non applicare eventuali norme interne che siano di ostacolo alla adozione, in via cautelare, di provvedimenti tali da assicurare l'operatività di norme europee fonte di posizioni giuridiche individuali».

Page 6 of 7 Secondo la Corte di giustizia, infatti, «il diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che la giurisdizione nazionale che, investita di una lite concernente la normativa comunitaria, ritiene che l'unico ostacolo che si oppone a che questa disponga delle misure provvisorie, è una regola di diritto nazionale, deve scartare l'applicazione di questa norma». Nella motivazione, la sentenza sviluppa ulteriormente questi principi, puntualizzando che «la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe del pari ridotta se una norma del diritto nazionale potesse impedire al giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull'esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario. Ne consegue che, in una situazione del genere, il giudice è tenuto a disapplicare la norma di diritto nazionale, che solo osti alla concessione di provvedimenti provvisori». Secondo la Corte, inoltre, l'effetto utile dell'art. 177 (oggi art. 234) del Trattato CE sarebbe ridotto se il giudice nazionale, che sospende il procedimento in attesa della pronuncia della Corte sulla sua questione pregiudiziale, non potesse concedere provvedimenti provvisori fino al momento in cui si pronuncia in esito alla soluzione fornita dalla Corte. Validità dell'atto comunitario La seconda ipotesi si verifica quando un atto interno è impugnato per ragioni che attengono alla validità dell'atto comunitario, di cui l'atto interno costituisce attuazione. Chi agisce in giudizio, dunque, impugna un atto interno per vizi derivati dall'atto comunitario [17]. La Corte di gustizia, dopo aver ricordato che il Trattato CE consente, nei processi di annullamento di atti comunitari, di richiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato attribuendo alla Corte la competenza per concederla, riconosce al giudice nazionale un potere parallelo di sospensione dell'atto interno. Ciò in quanto «la coerenza del sistema di tutela cautelare impone che il giudice nazionale possa, allo stesso modo, ordinare la sospensione dell'esecuzione di un provvedimento nazionale basato su un regolamento comunitario, la cui legittimità sia in contestazione». L'orientamento della giurisprudenza comunitaria è chiaro. Vi è tutela cautelare sia nel caso in cui la validità di un atto del diritto comunitario sia messa in discussione avanti ai giudici comunitari, sia nel caso in cui analoga contestazione sia sollevata innanzi ad un giudice nazionale (in presenza di una censura di illegittimità comunitaria che investa un atto del diritto nazionale applicativo di un atto comunitario illegittimo). Note: [*] Relazione al Convegno «La giurisdizione tributaria nell'ordinamento giurisdizionale», Università di Teramo 22-23 novembre 2007 [1] Cons. Stato, Sez. VI, 16 settembre 2003, n. 5250, in Foro Amm. CDS, 2003, pag. 2624. [2] In Banca Dati BIG, IPSOA. [3] Cass., Sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17564, in Banca Dati BIG, IPSOA. [4] Corte di giustizia, 21 marzo 1990, causa C-142/87, «Belgio/Commissione». [5] Sentenza 21 novembre 1991, causa C-354/90, «Fédération nationale du commerce extérieur des produits alimentaires, Syndicat national des négociants et transformateurs de saumon c. Stato francese», in Foro it., 1992, IV, col. 471. [6] Prevede infatti l'art. 88, par. 3, del Trattato CE, che «alla Commissione sono comunicati, in tempo utile, perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato comune a norma dell'art. 87, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale». [7] Cfr. Cass., Sez. trib., 9 giugno 2000, n. 7909 (in Banca Dati BIG, IPSOA), in tema di compatibilità dell'applicazione dell'invim sul conferimento di immobili in relazione all'art. 12, par. 2, della direttiva n. 69/335/CEE del 17 luglio 1969, n. 335, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali.

Page 7 of 7 [8] Corte di giustizia, 22 marzo 1977, causa 78/76, «Steinike & Weinlig», punto 14 e sentenza 21 novembre 1991, causa C-354/90, «Fédération nationale du commerce extérieur». [9] Sentenza «Steinike & Weinlig», cit., punto 9; sentenza «Fédération nationale du commerce extérieur des produits alimentaires et Syndicat national des négociants et transformateurs de saumon», cit., punto 14; sentenza 11 luglio 1996, causa C-39/94, «SFEI ed altri», punto 42. [10] Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 1992, n. 167, in Giur. It., 1992, III, 1, pag. 789. [11] Corte di giustizia, 22 ottobre 1987, causa 314/85, «Foto-Frost», punto 20; 21 febbraio 1991, cause riunite C-143/88 e C-92/89, «Zuckerfabrik», punto 17; 10 gennaio 2006, causa C-344/04, «IATA e ELFAA», punto 27. [12] Corte di giustizia, 9 marzo 1994, causa C-188/92, «TWD Textilwerke», punto 13; 22 ottobre 2002, causa C-241/01, «National Farmers'Union», punto 34. [13] Corte di giustizia, sentenza «TWD Textilwerke, cit., punti 17 e 20; sentenza «National Farmers'Union», cit., punto 35. Nel caso «Lucchini», il giudice nazionale ha ritenuto di non sottoporre alla Corte una questione concernente la validità di una decisione, e la Corte ha ritenuto corretto il comportamento del giudice nazionale, perché «la> Lucchini avrebbe potuto impugnare (la decisione) nel termine di un mese dalla pubblicazione in forza dell'art. 33 del Trattato CECA, cosa che si è astenuta dal fare. Per gli stessi motivi non può essere accolto il suggerimento della Lucchini che chiede alla Corte, in subordine, di esaminare eventualmente d'ufficio la validità della medesima decisione» (sentenza della Grande Sezione, 18 luglio 2007, causa C-119/05, in Banca Dati BIG, IPSOA). [14] La Corte di giustizia, nella sentenza 23 febbraio 2006, cause C-346/03 e C-529/03, «Atzeni», ha affermato infatti che «le esigenze di certezza del diritto, e più in particolare quelle che derivano dal principio dell'autorità di cosa giudicata, inducono ad escludere che il beneficiario di un aiuto oggetto di una decisione della Commissione adottata in forza dell'art. 93 del Trattato, che avrebbe potuto impugnare tale decisione e che ha lasciato decorrere il termine imperativo all'uopo prescritto dall'art. 173, quinto comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230, comma 5, CE), possa contestare la legittimità della medesima dinanzi ai giudici nazionali nell'ambito di un ricorso proposto avverso i provvedimenti presi dalle autorità nazionali in esecuzione di questa decisione». [15] Corte di giustizia, 24 febbraio 1987, causa n. 26/86, «Deutz c. Consiglio». [16] Si vedano la sentenza del Tribunale 15 giugno 2000, cause riunite T-298/97 e altre, «Alzetta», e la sentenza della Corte di giustizia 19 ottobre 2000, cause riunite C-15/98 e C-105/99, «Italia e Sardegna Lines». [17] Si veda la sentenza «Zuckerfabrik» del 21 febbraio 1991, in cause riunite C-143/88 e C-92/89. Nella sentenza «Atlanta» del 9 novembre 95, causa C-465/93, la Corte ha concluso affermando che «la tutela cautelare che i giudici nazionali debbono garantire ai singoli in forza del diritto comunitario non può variare a seconda che questi ultimi chiedano la sospensione dell'esecuzione di un provvedimento amministrativo nazionale adottato sulla base di un regolamento comunitario o la concessione di provvedimenti provvisori che modifichino o disciplinino a loro vantaggio situazioni di diritto o rapporti giuridici controversi». Possono essere citate, infine, la sentenza 19 settembre 1996, causa 236/95 «Commissione contro Repubblica ellenica» la sentenza 15 maggio 2003, causa C-214/000 «Commissione contro Regno di Spagna». Copyright 2011 Wolters Kluwer Italia Srl - Tutti i diritti riservati UTET Giuridica è un marchio registrato e concesso in licenza da UTET S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l.