Lettura E l Italia si scoprì ricca e cafona Nel 1983 esce il primo Vacanze di Natale, specchio di un paese pronto ad accogliere il berlusconismo. IVanzina non volevano cambiare il sistema ma lo hanno spernacchiato con ironia e allegria GUIA SONCINI
GLI OUTSIDER Due scatti dei fratelli Vanzina, padri del genere inedito del cinepanettone. In copertina, il cast del primo Vacanze di Natale, 1983 Atutti quelli che citano il Vacanze di Natale del 1983 - il primo, l originale, l unico, quello che sapete a memoria senza sapere di saperlo, come il repertorio di Claudio Baglioni - per parlare delle commedie natalizie, con automatismo dette cinepanettoni ; a tutti quelli che lo liquidano come il capostipite di trent anni di film volgari basati su nomi da botteghino e umorismo fisico; a tutti quelli, compreso l articolo che state leggendo, che associano uno dei film fondativi della storia del costume italiano a commedie perlopiù dimenticabili, a tutti noi i fratelli Vanzina dovrebbero fare causa. Chissà se esiste un corso universitario denominato Storia di come il berlusconismo riuscì a prenderci di sorpresa pur essendo un annunciata componente del carattere nazionale : se esistesse, Vacanze di Natale dovrebbe esserne testo di studio obbligatorio. C è tutto. C è il borghese tutto sommato perbene ma incapace di opporsi alle cose come sono: ai figli sfaccendati, alla moglie petulante e classista per cui i volgari sono sempre gli altri, alle usanze sfibranti. È quello interpretato da Riccardo Garrone, quello con cui ridete ogni anno, di questi tempi, perché ogni anno una dozzina di vostri conoscenti mette su Facebook la scena in cui lui sospira: E anche que-
Vacanze di Natale,30 anni fa REVIVAL Stefania Sandrelli, Jerry Calà e Marilù Tolo. Nei video, alcune scene famose del film
GIOVANISSIMI Christian De Sica e Karina Huff sto Natale ce lo siamo levato dalle palle. C è la stampa estera che ci guarda e che figura facciamo, qui rappresentata dall americana portata a casa da Christian De Sica, molto più comprensiva - sebbene parte lesa in quanto fidanzata mollata - del di lui coming out di quanto potrà mai esserlo una famiglia di Roma nord. C è, per sceneggiare il coming out, un formidabile esempio di satira sociale a sfondo marxista, di ricchezza senza cultura, di contemporaneità che travolge gente di buona volontà ma non preparata a capire nulla con cui non abbia familiarità: «La colpa è vostra», dice De Sica ai genitori che lo trovano a letto col maestro di sci. «M avete fatto viaggiare? M avete mandato nei collegi svizzeri? Ecc allà: adesso mi trovate a letto con Leonardo Zantorlin. Papà, a te t ha fregato il benessere: tu facevi il capomastro, invece oggi hai i soldi e ti scandalizzi. M hai mandato in America, a New York: noi siamo de Frascati».
LATIN LOVER Da sinistra, Karina Huff, Claudio Amendola e Antonella Interlenghi A volerlo paragonare non a uno qualunque degli intercambiabili film di Natale in uscita ora, ma a Checco Zalone, cioè a un caso che per la cultura popolare di questa stagione sia rilevante quanto Vacanze di Natale lo fu per quella di trent anni fa, si capisce che è una questione di lotta di classe. Il De Sica che colpevolizza i genitori di un benessere economico che porta con sé apertura mentale cui poi è difficile sottrarsi («Mamma, il mondo va avanti. Tu sei rimasta agli anni Cinquanta: guarda come sei pettinata»), così come il Guido Nicheli che apre il film vantandosi della rapidità del tragitto Milano-Cortina in epoca pre-autovelox («Alboreto is nothing»), sono quel genere di satira sociale sui ricchi che possono fare solo quelli che sono nati ricchi. Somigliano molto più ai personaggi di un film di Valeria Bruni Tedeschi o di Sofia Coppola di quanto potranno mai avvicinarsi al riscatto zaloniano. Carlo ed Enrico Vanzina, che sono i figli di Steno, che sono cresciuti sui set di gente come Monicelli, che hanno vissuto tutta la vita ai Parioli e studiato al liceo francese e
INSIEME SUL SET Jerry Calà e Stefania Sandrelli, che nel film sono amanti hanno il vantaggio competitivo di non avere complessi, non darebbero mai interviste come quelle con cui Gennaro Nunziante, il regista di Sole a catinelle, cerca copertura culturale per il proprio successo. Non hanno bisogno di dichiarare d aver letto Roland Barthes (il quale Barthes avrebbe plausibilmente trovato assai interessante studiare loro) né di giustificare la commedia di cassetta con un sostrato di buone letture. Non è che i Vanzina abbiano combattuto o cambiato il sistema dall interno, né probabilmente intendevano farlo. Ma l hanno spernacchiato, con la tranquillità con cui può farlo solo chi è nato dalla parte dell offerta delle brioche, e sa che a nessuno verrà il sospetto che stia facendo, con una certa allegria, la sua parte di rivoluzione. Era il Natale dell 83, quando uscì il film che si usa considerare capostipite di un genere che poi in realtà non
avrebbe avuto presenza regolare nelle sale fino agli anni Novanta. Mancavano dieci anni al berlusconismo così come siamo abituati a storicizzarlo. Eppure c era già Stefania Sandrelli come rappresentazione plastica di noialtri che proprio non ce la facevamo a capire quel pezzo di Italia lì. E dire che lei - cioè: il suo personaggio - se l era sposato, uno di quelli. Eppure, quando arrivavano nella stanza d albergo e lui esponeva la propria filosofia di vita sul come garantirsi una vacanza «nel burro», non riusciva a non sospirare: «Questa storia delle tue megamance la trovo così cafona». Naturalmente poi se lo teneva, il cafone che la trascurava pensando solo alle mance e al tachimetro, lo cornificava col pianista ma mica lo mollava. Perché dove lo trovava, un altro candidato che la facesse sentire così deliziosamente superiore.