LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Per la dignità e la salute dei lavoratori: alla carica in cinque secoli di storia



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Pietro Donato Perrone LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Per la dignità e la salute dei lavoratori: alla carica in cinque secoli di storia QUADERNI DELLA R I V I S T A DEGLI INFORTUNI e DELLE MALATTIE PROFESSIONALI

Pietro Donato Perrone LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Per la dignità e la salute dei lavoratori: alla carica in cinque secoli di storia Edizione 2010

Edito da INAIL - Direzione Centrale Comunicazione Piazzale Giulio Pastore, 6 dccomunicazione@inail.it In copertina: Caravaggio, Medusa, 1598 - Galleria degli Uffizi, Firenze Stampato dalla Tipolitografia INAIL nel mese di settembre 2010

La Leyenda del Indio Dorado è un viaggio nella storia, in cinque secoli di storia del lavoro, un viaggio nelle viscere della terra, nella periferia della vita e dell uomo. Ed è un viaggio in una memoria secolare da cui emergono i ricordi di chi ha dedicato tutta la vita al lavoro in miniera. Questo quaderno ha lo scopo di riportare alla memoria le mille e mille storie di miseria schiacciate dal rischio di malattia e di morte che incombe quotidianamente in quei budelli dell inferno, sotto la terra. Ma quei cunicoli, quei pozzi, quelle gallerie, che troppe volte inghiottono la vita e le speranze di coloro che scavano con le unghie e con i denti, sono qualcosa di ancora più profondo, raggiungono l intimo delle coscienze. Quindi la loro storia diventa metafora, immagine per raccontare degli sforzi, e al tempo stesso dei sacrifici, profusi dagli uomini nel loro viaggio sulla terra. Con questa prospettiva davanti, Pietro Donato Perrone apre questo quaderno raccontando la storia di uno scienziato del 1500 che ha assunto in quegli anni il ruolo di faro, preoccupandosi di dare un po di luce al buio di quelle mille e mille miserevoli vite. In quegli anni, filosofi, pensatori e scienziati diedero vita alla rivoluzione scientifica che mise a soqquadro tutte le certezze dell uomo sulle cose del mondo e dell universo. Tra questi, Georg Bauer, italianizzato come Giorgio Agricola, nacque il 24 marzo 1494 e morì il 21 novembre 1555. Nelle pagine che seguono vedremo gli avvenimenti che hanno fatto da sfondo ai suoi anni e scopriremo, non senza sorpresa, l intenso interesse scientifico di Bauer per le condizioni degli uomini delle miniere. Il contesto temporale è quello compreso tra il 1480 e il 1560, l arco di vita del nostro scienziato. E vedremo che vita. E che uomo! Saremo così testimoni di fatti ed eventi che si collocano tra la Meraviglia e la Tragedia. L autore lo segue fedelmente intrecciando, in forma un po espressionista, il filo dei cinquecento anni trascorsi fino ad oggi. Fra Meraviglia e Tragedia scorgeremo la trama che alcuni fatti dolorosi ed alcuni personaggi esemplari hanno tessuto nella nostra memoria. Una trama a forti tinte e contrasti stridenti, così come solo la storia può tessere. La Leyenda del Indio Dorado è la leggenda delle ricchezze nascoste nelle viscere della terra del Nuovo Mondo, scoperto proprio negli anni di Bauer. In quel nome, tuttavia, nel nome di Eldorado, si può scorgere ancora, oggi come allora, il fiume di lava della cupi-

digia che eruttò dalla Vecchia Europa e che come una corrente di fiamme si propagò nell opposto emisfero, sommergendo di magma incandescente le civiltà millenarie che erano germogliate in quei luoghi. I fatti ed i personaggi di cui si narra nel quaderno de La Leyenda sono illustrati attraverso i documenti ufficiali ed in questo senso il lavoro di ricerca si è avvalso soprattutto delle fonti disponibili su Internet, procedendo ad incrociare i dati ed i riferimenti al fine di verificarne l attendibilità. In conclusione, il viaggio che Pietro Donato Perrone ci fa compiere nella terra dell Eldorado è un viaggio attraverso i territori della Storia e della Civiltà. La Storia, che diventa grande quando si coniuga con il riconoscimento della dignità dell Uomo e con la promozione delle migliori condizioni di vita e di salute per tutti i lavoratori. E la Civiltà, che matura ogniqualvolta il sacrificio dei lavoratori diventa occasione per nuove consapevolezze e nuove conquiste della coscienza civile. Marco Stancati Direttore Responsabile della Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali

SOMMARIO Prologo 1 Capitolo 1 - De Re Metallica 1.1 Un contributo alla storia del lavoro 1.2 De Re Metallica, Libro VI, Georgius Agricola, 1556 19 19 27 Capitolo 2 - La pazza corsa 2.1 Giorgio Bauer 2.2 A passo di carica 41 41 45 Capitolo 3 - Marcinelle 61 Capitolo 4 - Monongah 81 Bibliografia 118

Prologo È la leggenda dell Oro, della folle rincorsa alla ricchezza, delle mille fatiche per accaparrarsi il povero frutto del Diavolo. Una cavalcata nei territori dell uomo, nei domìni del desiderio e nelle praterie della speranza. Sono storie di dolorosa disperazione e di riscatto morale. Ma è anche la storia degli umili uomini che si infilavano nei cunicoli e nei pozzi senz aria, scavati sotto terra, nel regno delle Ombre, frequentati da creature bestiali, demoni e mostri. Ed è un viaggio. Un viaggio esplorativo nelle gallerie oscure di quelle regioni senza Luce, di quei pozzi senza Cielo, per ricordare le condizioni di vita di quelle misere creature. 1

È, ancora, la storia fatta dalle mille e mille storie che nessuno vuole o può più rammentare, ma che sono le storie di mille e mille umili uomini che, simili a vermi nel fango, si sono calati nelle miniere per sottrarre la ricchezza alle viscere della terra. È un viaggio nella storia, in cinque secoli di storia, con l obiettivo di donare l onore della memoria a chi, tra i primi, ha ritenuto importante offrire un contributo alla dignità delle mille e mille storie che parlano di miseria, di rischi, di malattie e, troppo spesso, anche della morte di quei mille e mille piccoli uomini. Cavalcando a passo di carica nel secolo che segna il confine con l epoca moderna, in quegli anni che hanno conosciuto meraviglie e tragedie senza pari, vediamo all opera filosofi, pensatori e studiosi che hanno dato vita a quella rivoluzione scientifica che avrebbe messo a soqquadro tutte le certezze dell uomo relative alle cose del mondo ed a quelle dell universo. Tra questi vi è Georg Bauer, che si è occupato dei mille e mille piccoli uomini delle miniere. Questo erudito luminare del Rinascimento delle Arti e delle Scienze, oltre a descrivere le misere situazioni in cui erano condannati ad operare i lavoranti delle miniere, ha trattato scientificamente la questione del che fare per alleviare le inumane sofferenze provocate da quel lavoro nelle viscere della terra. Prendendo il via dai suoi scritti ed intrecciando i fili che hanno percorso cinquecento anni di storia, sono venuti alla luce preziosi frammenti di quei tempi lontani. Nel portarli all attenzione dei lettori, mi sono sentito come uno degli esploratori che quasi cinque secoli fa scoprivano fette inesplorate di mondo. Nelle miniere della memoria scavate in questi cinque secoli, ho trovato giacimenti immensi di meraviglia attraversati da filoni profondi di angoscia, vene di ricchezze smisurate perdute nei pozzi oscuri dell ingordigia più inconfessabile. Ma ora cominciamo questo splendido viaggio nel tempo e gustiamoci direttamente un pezzo del raccondo di Francisco Pizarro sulla scoperta delle Terre del Perù, delle immense ricchezze nascoste nelle viscere delle montagne di quelle lande sperdute e delle tremende imprese compiute per la brama di conquista. 2

Dal: Discorso sopra il discoprimento e conquista del Perù di Francisco Pizarro Pubblicato in: Navigationi et viaggi di Giovanni Battista Ramusio (1485-1557) - Vol. IV L umanista, storico e geografo trevigiano Giovanni Battista Ramusio (1485-1557) raccolse nella sua celebre opera Navigationi et viaggi, seguendo un ordine storico-geografico, gli scritti e le relazioni di viaggio dei grandi viaggiatori ed esploratori di terra e di mare, dall età classica ai suoi tempi. La monumentale opera si compone di tre grandi volumi pubblicati tra il 1550 e il 1559: nel primo, dedicato all Africa, sono descritti animali esotici, tra cui l iguana. GIOVANNI BATTISTA RAMUSIO, Delle navigationi et viaggi In Venetia, appresso i Giunti, 1606. Introduzione al Vol. IV delle Navigazioni Discorso sopra il discoprimento e conquista del Perù. Ora che abbiamo finite le narrazioni che da noi si son potute aver del discoprimento e conquista della Nuova Spagna fatta per il signor Fernando Cortese, si comincierà a dire di quella parte di terra ferma sopra il mar del Sur chiamata il Perú, la quale al presente è discoperta intorno intorno con diverse navigazioni, e tien di larghezza mille leghe e di lunghezza 1200 e di circunferenza 4065. Dico, cominciando da quella parte di detta terra ferma che si ristringe tanto fra il mar del Nort e quello del Sur, che non vi è di spazio piú che 60 leghe, cioè dalla città del Nome di Dio, ch è verso levante, a quella del Panama, che è verso ponen- 3

te, il qual Panama sta in gradi otto e mezzo di sopra dell equinoziale: e se questo stretto di terra di 60 leghe fussi tagliato, tutto il Perú della grandezza che abbiamo detto sarebbe isola e corre da questi gradi otto e mezzo di sopra l equinoziale fino a 52 sotto il polo antartico, dove è il stretto di Magalianes. Ora di questo gran pezzo del mondo di nuovo trovato vi sono stati varii discopritori, perché di quella parte che guarda verso levante nel mare del Nort si son vedute varie navigazioni nel libro del signor Pietro Martire, e della terra del Brasil per le navi de Portughesi, e della navigazion scritta per il signor Antonio Pigafetta; e avendosi letto il discoprir che fece Vasco Nunez di Balboa del mar del Sur, si proseguiranno le narrazioni del conquistare del detto paese del Perú, fatto d alcuni capitani spagnuoli. E però dico, avendo Pedrarias d Avila fondato la città del Panama, come s è letto, si trovarono fra gli abitatori di detto luogo due cavalieri ricchissimi per l imprese passate, che, desiderosi di non stare in ozio, s accordarono di mandar a discoprire piú oltre la terra che correva sopra il detto mar del Sur verso ponente: e questi furono Francesco Pizarro e Diego d Almagro; e determinarono che un di lor andasse in Spagna a farsi dar la governazion della terra che scoprissero, che fusse commune fra loro; e andatovi il Pizarro, promettendo gran tesori alla Maestà cesarea, fu fatto capitano generale e governatore del Perú e della Nuova Castiglia, che cosí fu chiamato detto paese. Condusse di Spagna detto Francesco quattro suoi fratelli, cioè Ferrando, Gonzalo e Giovan Pizarro e Francesco Martin d Alcantara, fratello di madre. Giunti questi Pizarri nel Panama con gran fausto e pompa, non furon ben veduti dall Almagro, qual si vedea escluso dagli onori e titoli, essendo compagno dell impresa: e furono in grandissima discordia; pur, intravenendo molti gentiluomini, e specialmente quelli venuti di Spagna nuovamente, s accordorno insieme, promettendoli il Pizarro di procurargli un altra governazione nella detta terra. Or l Almagro, acquietatosi, dette 700 pesi di oro, l armi e vettovaglie che avea al Pizarro, qual andò a far l impresa, come si vedrà nelle sotto scritte tre narrazioni. E veramente questi due capitani meriterebbono grandissime lodi di questa cosí gloriosa impresa, se alla fine per avarizia, accompagnata con l ambizione, non si fossero ribellati contro alla Maestà cesarea, e tra loro non avessin fatto molte guerre civili con li Spagnuoli medesimi, le quali ebbero infelice e sfortunato esito. E tutti quelli che si trovarono alla morte del caciche Atabalipa, nominati nelle infrascritte relazioni, fecero cattivo fine, come si vedrà nel quarto volume di queste navigazioni. E accioché si sappin le condizioni di detti due cavalieri, dico che Diego d Almagro era nativo della città d Almagro in Spagna, il padre del qual non 4

si seppe, ancor che lui procurasse d intenderlo, poiché si vidde ricco. Non sapeva leggere, ma era valente, diligente e amico d onore, e desideroso d esser lodato, e sopra tutto liberalissim,. e per questa causa tutti i soldati l amavano fuor di misura, perché dall altro canto era molto aspro e di parole e di fatti. Donò piú di centomila ducati del suo a quelli che furono con lui all impresa de Chili: liberalità piú tosto di prencipe che di soldato. Alla fine per ambizione di signoreggiare venne alle mani con Francesco Pizarro, qual lo fece prender da Hernando Pizarro suo fratello e, posto in prigione nel Cusco, lo fece strangolare, e poi in su la piazza gli fece tagliar la testa, nell anno 1538. Mai ebbe moglie, ma di una Indiana nel Panama ebbe un figliuolo del suo nome medesimo: fecegli insegnare e ammaestrarlo con ogni diligenza, riuscí un valente cavaliero e piú che alcuno altro nato d Indiana, ma alla fine fu fatto morir per le mani di detti Pizarri. Francesco Pizarro fu figliuolo naturale di Gonzalo Pizarro, capitano in Navarra. Nacque nella terra di Trugillo, e fu da sua madre posto sopra la porta d una chiesa: pur, riconosciuto dal padre doppo alcuni giorni, lo pose a stare in villa alle sue possessioni. Non seppe leggere, e vedendosi in quel stato, essendo grande, sdegnatosi si partí e venne in Sibilia, e de lí nell Indie. Stette in S. Domenico, e passò ad Uraba con Alfonso d Hoieda e Vasco Nunez di Balboa, a discoprire il mar del Sur, e con Pedrarias d Avila nel Panama. Costui possedette piú oro e argento che alcun Spagnuolo over capitano che sia mai stato per il mondo; non era liberale né scarso, né si vantava di quel che donava, ma era sollecito molto del util del re; giocava largamente con ogni sorte d uomini senza far differenza d alcuno. Non vestiva riccamente, ancorché alcune fiate portassi una vesta foderata di martori, che Fernando Cortese li mandò a donare; si dilettava di portare le scarpe e il cappello di seta di color bianco, perché cosí portava il gran capitan Consalvo Ferrando. Fu uomo grosso, non seppe leggere, fu animoso, robusto e valente, ma negligente in guardare la sua vita, perché li fu detto e fatto intendere che Diego d Almagro, al quale avea fatto morire il padre, come è detto, trattava di farlo ammazzare, ed egli non lo volse mai credere, finché i congiurati non gli furono adosso nella città de los Reyes e con le spade lo finirono: e fu del 1541, a 24 di zugno. Gonzalo Pizarro, dapoi la morte di Diego d Almagro e di Francesco suo fratello, si ribellò contra alla Maestà cesarea e si fece chiamar re del Cusco; e dapoi molti conflitti con capitani di Cesare, fu preso e fattogli tagliar la testa nella città de los Reyes del 1548. E non è fuor di proposito di considerare come tutti i capitani che furon al discoprimento del Perú e alla morte del cacique Atabalipa feciono mala fine: perché Giovan Pizarro, fratello di Francesco, fu morto dagli Indiani nel Cusco; e Francesco Pizarro 5

e suoi fratelli feciono strangolare Diego d Almagro; e Diego d Almagro suo figliuolo fece ammazzare Francesco Pizarro; e il licenziado Vacca di Castro fece tagliar la testa al detto Diego; e Blasco Nunez Vela fece prigione Vacca di Castro, il qual non è ancor fuor di prigione di Spagna; Gonzalo Pizarro amazzò in battaglia Vasco Nunez; e Gasca giustiziò Gonzalo Pizarro, e mandò preso in Spagna l auditore Cepeda, perché gli altri suoi compagni erano morti: di sorte che chi volesse andare dietro raccontando troveria piú di 150 capitani, uomini con carico di governo e di giustizia e d eserciti, esser periti, alcuni per mano d Indiani, altri combattendo fra loro, ma il piú di lor fatti appiccare. Gl Indiani di quel paese, uomini vecchi e prudenti, e molti Spagnuoli dicono queste morti e guerre procedere dalla constellazione della terra e dalla ricchezza di quella; ma li piú prudenti l attribuiscono alla malizia e avarizia degli uomini, ancorché dicono che, dapoi che s arricordano (ancora che abbino cento anni), mai mancò la guerra nel Perú, perché Guainaca, Opanguy suo padre, ebbero continuamente guerra co suoi vicini per signoreggiar soli quella terra, e Guaxcar e Atabalipa fratelli combatterono sopra il dominare quanto potettono, e Atabalipa ammazzò Guaxacar suo fratello maggiore, e Francesco Pizarro amazzò e privò del regno Atabalipa per traditore. E quanti procurarono la morte del detto fecero la sua fine infelice e dolorosa, come è sopra detto; e il reverendo fra Vicenzio Valverde, che fu alla presa del Cusco, come si leggerà, fu fatto vescovo del Cusco, e alla fine, fuggendo da Diego d Almagro, fu fatto morir dagl Indiani dell isola della Puna. Hernando di Soto, partito dal Perú e andato nel paese della Florida, fu morto dagl Indiani; e Hernando Pizarro, se ben non si trovò alla morte d Atabalipa, pur fu mandato prigion in Spagna in la Mota di Medina del Campo, per causa della morte d Almagro. Sopra tutta questa regione del Perú sono state fondate diverse città, alle quali è stato posto i nomi di quelle città di Spagna, e a ciascuna assegnato il suo vescovo, come la città de los Reyes sopra il mar del Perú è fatto arcivescovado, e li suoi suffraganei sono il vescovo del Cusco, del Quito, Carcas e Tumbez, e ogni dí si va nobilitando. Tutta questa regione del Perú è divisa in tre parti, cioè pianura, montagna e andes. La pianura è molto calida e arenosa e s estende lungo la marina, e cominciando da Tumbez non vi piove né tuona né vi vengono saette, e corre di costa 500 leghe o piú, e di larghezza fino in dieci o dodeci, fin al piede della montagna; e gli uomini si servon, tanto per il bere quanto per lo irrigare i terreni lavorati e seminati, delli fiumi e fontane che descendon dalli sopradetti monti, quali non s allontanano 15 o 20 leghe dal mare. La montagna è una schiena di monti altissimi che corre 700 o piú leghe, su le quali vi piovono grandissime acque e vi nevica in gran copia, ed è molto fredda; e gli abitatori che stanno fra 6

quel freddo e caldo sono per la maggior parte guerci o ciechi, ed è gran maraviglia che fra tanti uomini non ve se ne trova a pena due soli che non sieno ciechi o guerci. Queste son le piú asprissime montagne che si trovino al mondo, e hanno principio nella Nuova Spagna e piú oltra, ed entrano fra il Panama e il Nome di Dio, e s estendon sino al stretto di Magalianes; da quali monti nascon grandissimi fiumi, che descendon nel mar del Sur e nel mar del Nort, com è il fiume della Plata e del Maragnon. Andes son valle molto popolate e ricchissime d oro e d argento e d animali, ma non s ha di queste tanta notizia come della montagna e della pianura. E questa narrazione con brevità abbiamo voluto discorrer per satisfazione de lettori, la qual piú distintamente leggeranno nel 4 volume. 7

Relazione d un capitano spagnolo della conquista del Perù. Come il signor Hernando Pizarro, andando ad una moschea, qual si diceva esser molto ricca d oro, trovò in diversi luoghi grandissima quantità d oro, datogli per alcuni capitani d Atabalipa per riscattarlo. E come spogliorono il tempio del Sole, coperto di lastre d oro, e similmente molte case e pavimenti e muri, i quali erano coperti d oro e d argento. In questi giorni fu portato certo oro, e di già il signor governatore aveva inteso come in quella terra era una moschea molto ricca, nella quale era molto piú oro di quello che l cacique gli aveva promesso, perché tutti li caciqui di quelli paesi adoravano in quella, e similmente il detto Cusco, li quali venivano ad intendere quello che avevano a fare, e molti dí dell anno venivano ad un idolo che avevano fatto, e gli davano da bere in uno smeraldo concavo. Sapendo questa cosa il signor governatore e tutti gli altri cristiani che v erano presenti, il signor Hernando Pizarro dimandò di grazia al governator suo fratello che li desse licenzia di poter andar a quella moschea, perché voleva veder quel falso iddio, o per dir meglio quel demonio, poiché aveva tanto oro. Il governator li dette licenzia, e menorono alcuni Spagnuoli con loro, con i quali il demonio poteva aiutarsi molto poco: e questo fu l anno 1533. Il signor governatore e tutti quelli che restammo ci trovavamo ogni giorno in molto travaglio, perché il traditor d Atabalipa faceva continuamente venir gente contra di noi, quali venivano, ma non bastava lor l animo d assaltarci. Arrivò il signor Hernando Pizarro ad un luogo detto Guamacuco, e vi trovò oro che portavano per riscatto del cacique Atabalipa, che poteva esser da 100 mila castigliani d oro, e scrisse al governatore che mandasse per quello oro, accioché venisse con buona guardia. Il governatore mandò tre uomini a cavallo che lo accompagnassero, a quali arrivati consegnò l oro, e passò avanti al cammino della moschea, e coloro si tornorono al governatore. E nel cammino accadé che li compagni che portavano l oro vennero insieme alle mani per alcuni pezzi d oro, e uno tagliò un braccio all altro: il che non averia voluto il governatore per tutto il detto oro. Stando nella città di Caxamalca quaranta giorni il governator senza speranza d aiuto, venne Diego d Almagro con cento e cinquanta Spagnuoli in nostro soccorso, dal quale intendemmo che voleva far abitare un porto vecchio detto Cancebi, ma, come intese che noi avevamo trovato tanto oro, come fedel servitor dell imperadore venne in nostro soccorso. Il cacique Atabalipa in questo tempo disse al governatore che l oro non poteva venir cosí presto, perché, stando lui prigione, gli Indiani non lo ubbidivano, e che 8

mandasse tre cristiani al paese Cusco, che questi portariano molto oro e disforniriano certe case che di lame d oro erano coperte, ne portariano ancora molto che si trovava in Xauxa, e che potevano andare sicuri, perché tutto il paese era suo. Il governatore vi mandò uomini, raccomandandogli a Dio, li quali cristiani menorono assai Indiani che li portavano in hamacas, quale è a modo d una lettica, ed erano molto ben serviti. E arrivorono al luogo detto Xauxa, dove stava un grande uomo, capitano di Atabalipa, qual era quello che prese il Cusco, e aveva tutto l oro in suo potere, e dette alli cristiani trenta cariche d oro, delle quali ciascuna pesava libre cento. E loro ne fecero poco conto e, mostrando che avevano poca paura di lui, gli dissero che era poco, e lui ordinò che li fussino date altre cinque cariche d oro, il qual oro mandorono dove stava il signor governator, per un suo negro che avevano menato seco. E li detti volsero andar avanti e arrivarono alla città del Cusco, dove trovarono un capitano d Atabalipa che si chiamava Quizquiz, che vuol dir in quella lingua barbiero. Costui fece poca stima delli cristiani, ancora che si maravigliasse non poco di loro, e per questo fu uno delli nostri che volse approssimarsi a lui e dargli delle ferite, pure non lo fece per la molta gente che teneva. Allora il capitano disse loro che non gli dimandassero molto oro, e che se non volevano restituir il cacique per quel tanto che gli dava, che lui l andarebbe a tuor di sua mano: e subito gli inviò ad uno tempio del Sole, che loro adorano. Questo tempio era volto a levante, coperto di piastre d oro. Li cristiani andorono al detto tempio e senza aiuto d alcuno Indiano, perché loro non gli volevano aiutare, essendo quello tempio del Sole, dicendo che moririano, li cristiani determinarono con alcuni picchetti di rame disfornir quel tempio, e cosí lo spogliarono, secondo che poi di bocca loro ci dissono. E oltra questo furono ragunate ancora molte olle o pignatte d oro, con le quali usano cucinare in quel luogo, e portate alli cristiani per riscatto del suo signore Atabalipa. In tutte le case dove abitorono dicono che vi era tanto oro che era maraviglia. Entrarono in una casa dove fanno li loro sacrificii, dove trovarono una sedia d oro: questa sedia era tanto grande che pesava 19 mila pesi, nella quale potevano seder duoi uomini. In un altra casa molto grande, nella quale giaceva morto il Cusco vecchio, il pavimento della quale e li muri eran coperti di piastre d oro e d argento, trovarono molti cantari over giarre di terra coperte di lame d oro che pesavano molto, e non gli volsono rompere per non far dispiacere agli Indiani; nella qual casa erano molte donne, ed eranvi duoi Indiani morti, a modo d imbalsamati, appresso delli quali stava una donna con una maschera d oro sul viso, facendogli vento con uno ventaglio per la polvere e per le mosche, e li detti Indiani morti avevano in mano un baston molto ricco d oro. La donna non volse che intrassero den- 9

tro se non si discalzavano, e discalzandosi andarono a veder quelli corpi secchi, e levarono loro datorno molti pezzi d oro; né del tutto gli spogliorono, perché il cacique Atabalipa gli aveva pregati che non gli spogliassero del tutto, dicendo che quel era suo padre, il Cusco vecchio: e per questo non ne volsero tuor piú. E cosí caricorono il suo oro, e il capitan che v era li dette tutte le cose necessarie per condurlo via. Li cristiani trovorono in quel luogo tanto argento che dissono al governatore che v era una casa grande quasi piena di cantari e tinacci grandi e vasi e molte altre pezze, e che molto piú n avrian portato, ma temevano di non dimorar troppo, perché erano soli e piú di dugento e cinquanta leghe lontani dagli altri cristiani; ma dissero che avevano serrato la casa e le porte di quella, e messovi un sigillo per la Maestà dell imperatore e per il governatore Francesco Pizarro, e ordinatovi guardie d Indiani. E fatto un signore in quel luogo, come gli era stato comandato, presono il suo cammino con le pezze dell oro bellissime che portavano, tra le quali era una fontana grande d oro fatta di molti pezzi, la qual pesava piú di dodecimila pesi. Questa e molte altre cose portarono. Di certi ponti sopra i fiumi, e come le ferrature, per averne mancamento, furono fatte d oro e d argento. Della città di Pachalchami e sua moschea, e le cose in quella ritrovate. Della città di Xauxa e d un luogo grandissimo. Come Chulicuchima capitano col signor Hernando portarono l oro del riscatto d Atabalipa, e con quanta riverenzia vadino gl Indiani al suo signore. Lascio di parlare di costoro, che venivano per il suo cammino, e dirò del signor Hernando Pizarro, il quale andava alla volta della moschea. Nel qual viaggio, che fu di molte giornate, trovarono molti fiumi, sopra ciascuno delli quali sempre trovorono duoi ponti fatti vicini l uno all altro, in questo modo: avean fatto nel mezzo del fiume una pila, la quale appariva molto sopra l acqua, per sostegno del mezzo del ponte, perché da una parte e dall altra del fiume erano appiccate corde fatte di stroppe di salcio, grosse come un ginocchio, le quali alle rive eran legate a grossi sassi, discosto l una dall altra la larghezza d un carro; a queste per traverso eran legate corde forti e ben tessute di cotone, e, perché il ponte stesse forte, appiccavano dalla parte di sotto a queste corde sassi molto grandi. Uno di questi ponti serviva alla gente comune e stava sempre aperto, l altro alli signori e capitani, e questo stava sempre serrato, e fu aperto quando passò il signor Hernando Pizarro. E arrivò con molto travaglio, perché pensorono non condur mai alcuni cavalli, per mancamento di ferrature per il mal cammino, 10

perché passorono per molte montagne, la strada delle quali era fatta a mano come una scala; ma il signor Hernando comandò agli Indiani che facessino ferrature d oro e d argento, e cosí li chiodi, e in questo modo condussero li suoi cavalli al luogo dove era la moschea, ad una città la quale è maggior di Roma, detta Pachalchami. Nella qual moschea è una camera molto brutta e sporca, dove è un idolo fatto di legno molto brutto, il qual dicono essere lo Dio loro, e che questo fa nascere tutto quello di che vivono, alli piedi del qual tengono offerte alcune gioie, massime smeraldi legati in oro; e hannolo in tanta venerazione che vogliono che sol quelli lo vadino a servire che da quello (come dicono) son chiamati, e dicono che nessuno è degno di toccarlo con mano, né ancora li muri della casa sua. Non è da dubitar che il diavolo non entri in quel idolo e parli con quelli suoi ministri, e dichi loro quel che hanno a dir per il paese. Vengono a questo idolo con grandissima divozione gl Indiani di lontano trecento leghe, e gli offeriscono oro e argento e gioie, e subito che arrivano presentano il dono al portinaro, e lui entra dentro e parla con l idolo e porta fuora la risposta. Avanti che alcuno ministro vadi a servirlo, bisogna che l sia puro e casto, e che digiuni e non tocchi donna. Tutto il paese di Catamez che è lí intorno è devotissimo di questa moschea, e per questo vi portano ogni anno tributo, e l idolo fa loro intendere che lui è loro Iddio, e che tutte le cose del mondo sono nelle man sue, e che niente adviene agli uomini che non sia di sua volontà: per il che gli Indiani della moschea e della città di Pachalchami erano in grandissima paura, perché il capitano Hernando Pizarro con gli Spagnuoli senza alcun rispetto erano entrati a vederlo, e per questo dubitavano gli Indiani che, dapoi usciti gli Spagnoli, l idolo non gli distruggesse. Di questa moschea cavorono molto poco oro, perché l avevano tutto ascoso, e trovorono una cava molto grande donde avevano tratto l oro, e li luoghi dove stavano li cantari che gli aveano levati, di sorte che mai poterono trovare dove l oro fusse. In un altra casa viddero un poco d oro ad una Indiana che guardava la casa, che l aveva gettato in terra; trovorono similmente certi morti che erano in detta moschea; tal che non poterono averne piú di trentamila pesi, e da un cacique di Chicha ne ebbero tanto che arrivorono alla somma di quarantamila pesi. E stando quivi gli mandò Chilicuchima, che era il capitano che prese il Cusco, messi, e fecegli intendere che avea molto oro per portar per riscatto del suo signore Atabalipa, e che si partirebbe da quel luogo di Xauxa, quale è una città molto grande fondata in una bella valle, e ha l aere molto temperato, e che s accompagneria con il signor Hernando Pizarro, e che insieme anderiano a veder il governatore. Hernando Pizarro si partí, pensando che fusse la verità quel che gl Indiani dicevano, ma, essendo andato quattro o cinque giornate, seppe 11

che non veniva il capitano, e deliberò con la gente che aveva andarsene al luogo del capitano, che era con gran gente, e cosí fece, e trovatolo gli disse che venisse a veder il signor governatore e il suo cacique Atabalipa. Lui rispose che non voleva partirsi di quel luogo, essendogli stato cosí comandato dal suo signore. Allora Hernando Pizarro gli disse che, se non voleva venire, lo menerebbe per forza, e mise in ordine quella poca gente che avea, perché era in una piazza grande e pensava, ancora che fussero molti, di vendicarsi di loro, perché quelli che erano con lui erano valenti uomini. Il capitan indiano, quando vidde quella gente messa in ordine, deliberò andar con lui. Il quale partito, avanti che arrivasse dove stava il signor governator in Caxamalca con il cacique Atabalipa, sei leghe lontano, trovò un lago d acqua dolce, che era di circuito circa dieci leghe, con le rive tutte piene d arbori verdissimi e tutto abitato intorno da casali d Indiani, quali sono pastori, con pecore di diverse sorti, cioè alcune picciole come le nostre e altre tanto grandi che l adoperano in portare le cose che gli fa di bisogno, per somieri. In questo lago sono uccelli di diverse sorti e similmente pesci, dal quale nasce un fiume bellissimo, il qual si passa con un ponte fabricato nel modo detto di sopra, dove stanno certi Indiani a torre un certo tributo da tutti quelli che passano. Giunti a Caxamalca, dove era il governatore e Atabalipa, il capitano Chilicuchima, avanti che entrasse nella stanza dove sedeva il cacique Atabalipa suo signore, prese da un Indiano di quelli che lui menava seco una carica mezzana e se la messe sopra le spalle, e il medesimo fecero tutti gli altri principali che lo seguitavano; ed entrati dentro, subito come lo vidde alzò tutte due le mani verso il sole, ringraziandolo che gli avesse fatto veder il signore suo, e subito piangendo si buttò in terra e con molta riverenzia pian piano s accostò a lui e gli baciò le mani e i piedi, e il simile fecero gli altri Indiani principali. Atabalipa allora mostrò grandissima maestà e, ancora che sapesse che non aveva uomo in tutto il suo paese che lo amasse piú di Chilicuchima, non lo volse però guardare nella faccia, ma stette con una gravità mirabile, né fece alcun atto o dimostrazione, non altrimenti che se gli fusse venuto avanti il piú vil Indiano suo suddito. Questo atto di caricarsi le spalle quando vanno a veder gli suoi signori dimostra una gran riverenzia che gli hanno. Come Chilicuchima, doppo molte minaccie, confessò dove fusse l oro del Cusco vecchio. Della provincia chiamata Guito. Come Atabalipa aveva deputato molte case per fondere l oro e l argento; come si cavi l oro delle minere del piano e in alcune montagne. Questo cacique Atabalipa non ebbe grata la venuta del suo capitano, ma, essendo molto astuto, finse d averne avuto piacere. Il governatore gli dimandò dell oro del Cusco, perché quel capitano era quello che l aveva 12

preso: quello rispose, sí come Atabalipa l aveva avisato, che non avevano altro oro, e che quello che avevano tutto l avevano portato. Tutto quel che diceva era falso, e tirandolo da parte Hernando di Soto lo minacciò che, se non diceva la verità l abbrucciarebbono; lui gli rispose quel che prima aveva detto, donde subito ficcorono un palo, al qual lo legorono, e portorono molte legne e paglia, dicendo pure che se non dicesse la verità l abbrucciarebbono. Chilicuchima fece chiamar il suo signore, il qual venne con il governatore, e parlò con lui, e finalmente gli disse che voleva dire la verità alli cristiani, perché non dicendola l abbrucciarebbono. Atabalipa gli disse che non dicesse cosa alcuna, perché essi tutto quello facevano per farli paura, che non avriano ardimento d abbrucciarlo: e cosí gli dimandorono un altra volta dell oro, e lui non lo volse dire. Ma, subito che gli misero un poco di fuoco intorno, disse che menassero via quel cacique suo signore, perché lui gli faceva cenno che non dicesse la verità: e cosí lo menorono via, e subito disse che per comandamento del cacique Atabalipa lui era venuto tre o quattro volte con molta gente per assaltare li cristiani, il qual dipoi ordinava loro che tornassero indietro, per paura che, conoscendo i cristiani li suoi tradimenti, non l ammazzassero. Similmente gli dimandorono un altra volta dove era l oro del Cusco vecchio. Lui gli disse che nel medesimo luogo del Cusco era un capitano chiamato Quizquiz, e che questo capitano aveva tutto l oro, perché niuno ardisce accostarsi a lui, che, ancora che sia morto, fanno il suo comandamento cosí integramente come se l fusse vivo, e cosí gli danno da bere e spandono tutto quel vino che gli vogliono dar a bere lí intorno, dove il corpo del Cusco vecchio è posto; e similmente disse quel capitano indiano che in quella terra piú a basso, dove il cacique Atabalipa suo signor aveva alloggiato il suo esercito, era un padiglione molto grande, nel quale il cacique aveva molti cantari over ghiare grandi e altre diverse pezze d oro di molte sorti. Questo e molte altre cose disse quel capitano indiano alli cristiani che quivi erano, le quali io non sapria dire, per non essermi trovato presente. Poiché costui ebbe cosí detto, subito lo menorono alla casa del signor Hernando Pizarro, e gli facevano una diligente guardia, perché cosí era necessario, imperoché piú ubbidiva la maggior parte della gente al comandamento di questo capitano che al medesimo Atabalipa suo signore, perché era molto valent uomo in guerra e aveva fatto molto male in quella provincia: ed era il detto capitano molto sdegnato contra Atabalipa suo signore, dicendo che per sua causa l avevano mal trattato. Il cacique non gli mandava da mangiare né altra cosa alcuna, per causa del molto sdegno che contra lui teneva per quel che aveva detto, ma il signor capitano che l aveva in casa gli dava ben da mangiare, e lo faceva servire e davagli quanto gli faceva di bisogno; e ancor che fusse cosí mezzo abbruc- 13