Con Deborah Cartisano sui sentieri della memoria



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Transcript:

Con Deborah Cartisano sui sentieri della memoria a cura di Elena Buccoliero Figlia di Alfonso Cartisano, per gli amici Lollò, il fotografo di Bovalino sequestrato e poi ucciso dalla ndrangheta quasi vent anni or sono, Deborah Cartisano porta la testimonianza straordinaria di chi da subito ha saputo reagire alla violenza con l amore per la verità. Il suo incessante lavoro dentro di sé e con i familiari e amici per conoscere i fatti, per conservare la memoria, per rendere possibile una Calabria e una Italia diverse, la porta da anni a raccontare la sua esperienza e ad andare oltre, attraverso l impegno civile e politico. Con la sua dolcezza e profonda umanità, Deborah è un esempio limpido di risposta nonviolenta al potere mafioso. Il testo che segue è tratto dalla conferenza che ha tenuto a Ferrara il 17 aprile 2012 presso la parrocchia dell Immacolata. Bovalino è un paesino della costa ionica, alle spalle l Aspromonte. Se il suo nome non vi dice niente, vi basti pensare che confina con tre comuni, San Luca, Platì e Natile, che probabilmente vi sono più familiari. Negli anni, da paese turistico Bovalino si è trasformato in quasi nulla. Due alberghi grandissimi prima gremiti hanno chiuso e ora stanno quasi crollando. Gli abitanti non si sono resi conto di come questo sia successo. Un processo lento, subdolo. Da qualche anno stiamo cercando di capire come è accaduto, che abbiamo ceduto alla ndrangheta. In quindici anni ci sono stati 18 sequestri di persona e tutto è stato trattato come fosse normale. I media hanno dato spazio alla cosa un giorno, e poi via. Nel tempo uno di questi alberghi è diventato alloggio per i corpi speciali e anche i piantoni col mitra sono diventati normali, per noi abitanti. Mio padre, un uomo che camminava a testa alta Voglio dirvi qualcosa di mio padre. In gioventù era stato calciatore, un buon calciatore. Aveva giocato in serie C nel La Spezia. Quando torna in Calabria si innamora di una ragazza che fa la fotografa, mettono su uno studio insieme. La famiglia, noi tre figli. Negli anni Ottanta sono una ragazzina e sento arrivare a casa strane telefonate, poi l auto ci viene incendiata. Chiedo a mio padre cosa sta succedendo. Ci sono state fatte delle richieste estorsive mi spiega io lo sapevo, tutti in paese pagavano il pizzo ma io non ho pagato. Ho denunciato, li abbiamo fatti prendere. Trent anni fa era una cosa che non si faceva. In quel momento io ho visto con quanta serenità avesse preso la sua decisione. Non aveva paura e diceva di no, un grande insegnamento che mio padre mi ha dato nei fatti. Intorno era tutto un inchinarsi alla ndrangheta, un lasciar fare, e qualcuno ci ha guadagnato, molti perso. Quando anni dopo lui viene sequestrato per me è immediato scendere in piazza a protestare. Intorno a noi si crea un bel gruppo di giovani. In paese tanti ripongono molte speranze in noi, con la solita antifona che Devono essere i giovani a cambiare la società. E noi a chiedere: Ma perché non avete mai detto basta?, perché in fondo questo affidare il compito ai giovani è anche un modo per assolversi e per togliersi la propria parte di responsabilità. Mio padre viene sequestrato il 22 luglio 1993 insieme alla mamma. Lei viene lasciata legata in campagna e ritrovata il giorno dopo, per mio padre invece le ricerche sono infruttuose. È stato risucchiato dalla montagna.

Prima di noi le famiglie che avevano subito un sequestro si erano chiuse nel silenzio. Noi ribaltiamo le cose. La mia famiglia può farlo perché mio padre ci ha insegnato a camminare a testa alta. In un primo momento il paese ha uno scatto di orgoglio come dire: siamo noi i sequestrati. È anche un chiedere ai media, alla politica nazionale, un intervento. Certo, non tutti sono dalla nostra parte. C è anche chi ha crede, assurdamente, che il nostro sia solo un modo per metterci in mostra. Noi però continuiamo. Inizia la trattativa per il riscatto. Dopo sei mesi troviamo un accordo, a dicembre paghiamo con l accordo che il giorno dopo mio padre sarà a casa. Passano settimane, mesi. Niente. La speranza è che sia stato ceduto ad un altra banda con la quale iniziare una nuova trattativa, perché anche questo avveniva. Scegliere la Calabria, scegliere di vivere liberi Per dieci anni facciamo pubblicare un appello sui giornali, lettere ai sequestratori e a mio padre, prima tutti i mesi, poi nell anniversario del sequestro, o a Natale, chiedendo verità e giustizia. Intanto il consenso attorno a noi piano piano si scioglie e ci ritroviamo soli, soltanto i giovani. È una reazione comprensibile: l assenza di notizie uccide la speranza, cominciamo a pensare che mio padre non tornerà e anche il legame con quella parte sana di paese si affievolisce. Anche la mia famiglia ha tanta voglia di andarsene. Non lo facciamo, pur avendone il diritto. La nostra terra ci vuole espellere, cancellare, ma ancora una cosa ci lega ed è mio padre. Un uomo libero, orgoglioso, senza peli sulla lingua. Un uomo educato e schietto, con un grande amore per la Calabria trasmesso a noi figli, innamorato della montagna come del mare. Tutti noi siamo andati tante volte a pescare con lui, tutti noi lo abbiamo accompagnato per i sentieri. Io mi laureo a Milano e lì comincio a lavorare ma ho nelle orecchie la voce di mio padre: Se tutti se ne vanno, che cosa sarà di questa terra? Mi sento in colpa a stare lontana, a maggior ragione dopo il sequestro. Così tutti noi Cartisano decidiamo di restare, con difficoltà, da soli. Perché nonostante le manifestazioni di solidarietà, in certi momenti si è soli. Ci vorrà tempo per risalire. Una persona è stata fondamentale per la nostra esistenza, monsignor Giancarlo Bregantini. Ha capito che eravamo a un passo dal chiuderci e ci ha aiutati a trasformare il nostro dolore. Lui è di Trento, ha l esperienza delle cooperative, una mentalità del lavoro completamente diversa. Poi l incontro con don Ciotti e l esperienza di Libera, la possibilità di ritrovarsi tra famiglie toccate dalla ndrangheta e di condividere ciò che abbiamo vissuto. Trasformare il nostro dolore è stata la chiave per andare avanti. Per molte persone la vita si è fermata quando hanno perso un loro caro; io volevo continuare a vivere. L occasione per fare qualcosa di concreto si presenta dopo qualche anno, quando veniamo a sapere che un centro per minori a rischio cerca un luogo dove svolgere un campo estivo. Noi abbiamo al mare una casa di mio padre chiusa ormai da qualche anno e decidiamo di metterla a disposizione. Sappiamo quanto mio padre ha amato i bambini, e noi figli prima di tutto, e decidiamo di aprire la nostra casa. Per mia madre è un ancora di salvezza. Tutt ora nella nostra casa si tengono campi estivi. Una lettera difficile da scrivere Per dieci anni nell anniversario del sequestro facciamo dire una messa in paese, un momento di condivisione dove ognuno partecipa a modo suo. Io pubblico il mio appello perché si continui a parlare di quanto ci è successo. Per dieci anni viviamo in bilico tra speranza e disperazione e non

abbiamo risposte. La mafia vieta anche l elaborazione del lutto, che è indispensabile per andare avanti. Mio padre è un non morto, un non vivo. Noi siamo distrutti, annientati. Finalmente, nel 2003 arriva una lettera. Una lettera inaspettata, perché la ndrangheta non chiede scusa. Viene da un carceriere di mio padre. Si dichiara pentito del male commesso. Parla di tutte le volte che ci vede in paese - e anche questo è shockante, perché allora vuol dire che anche noi lo vediamo, senza poterlo riconoscere e ci chiede scusa, non aveva avuto l intenzione di ucciderlo. In seguito si ipotizza gli abbiano dato un colpo alla testa per tramortirlo al momento di riconsegnarcelo, come avevano fatto con mia madre quel primo giorno prima di lasciarla in campagna, solo che con quel colpo mio padre è morto. La lettera indica il luogo della sepoltura ed è in montagna, a Pietra Cappa, nel punto preferito di mio padre. Ci chiede perdono e una risposta tramite il giornale. Restiamo confusi. Lui ha detto la verità, perché riprendono le ricerche e dopo tre giorni l ispettore Raffaele La Bella ritrova i resti di mio padre. Diverse persone partecipano, con tenacia, scavando alla fine con le mani, caparbiamente, finché la nostra preghiera di riavere i resti viene esaudita. Ora tocca a noi rispondere. È una lettera difficile da scrivere. Gli dico che voglio conoscerlo, voglio che mi racconti i mesi di prigionia di mio padre. Un uomo così libero, voglio sapere come ha potuto adattarsi alla prigione. E aggiungo: il mio perdono è un fatto solo personale, tu devi pagare il tuo debito con la giustizia. Non si è più fatto avanti. Nella lettera scriveva che era malato. Abbiamo avuto da lui il grande dono di riavere mio padre. Tanti sequestrati non sono mai stati ritrovati e le famiglie li aspettano ancora, in silenzio purtroppo. La nostra volontà di non restare in silenzio ha prodotto un cambiamento nel nostro carceriere, e chissà anche l incontro con mio padre come ha lavorato sulla sua coscienza. Lui ha cambiato tante persone, e mi fa accettare un po la sua morte aver capito che cambiare si può. Sui sentieri della memoria Dal 2003 noi facciamo una marcia, I sentieri della memoria, da Bovalino a Pietra Cappa dove è stato ritrovato mio padre. Lì abbiamo posto una lapide. Il pellegrinaggio è in salita un po come la nostra storia, una storia di cambiamento, di trasformazione, compiuta nella condivisione con altri. Percorriamo due ore su un terreno disastrato, impervio, ma non siamo stanchi se lo facciamo insieme. Fin dalla prima edizione mia madre ha chiesto che ognuno portasse una pietra dipinta con un fiore, simbolo dell anima del nostro carceriere, un cuore di pietra che ha potuto germogliare. Da qualche anno ricordiamo anche altre vite, altri nomi di persone sequestrate. I loro familiari sono con noi e ci raccontano le storie dei loro cari. Questo è un po il senso del camminare insieme. La morte di mio padre non riguarda solo la famiglia Cartisano. Se lui ha reagito e si è opposto lo ha fatto anche per chi è venuto dopo di lui. Lo scorso anno, in paese, dieci commercianti hanno denunciato un estorsore. Tutto questo non sarebbe successo se non ci fosse stato ciò che ho raccontato. E le famiglie che prima non volevano parlare dei sequestri avvenuti ora trovano la forza di raccontare. È difficile raccontare, la morte di mio padre è una ferita che non si rimargina mai e ogni volta che ne parlo la riapro un po, ma voglio farlo perché mio padre non sia dimenticato. L incontro con gli autori di reato Qualche anno fa mi hanno proposto un incontro con un gruppo di detenuti. Ho sempre pensato che fosse giusto dare a chi sbagliava la possibilità di incontrare le vittime e ho sempre sperato che si possa uscire dal carcere avendo veramente capito il proprio errore, per poter cambiare, ma un conto

è l idea teorica di incontrare dei detenuti e un conto è farlo. A me questa proposta ha messo davvero in difficoltà, ci ho pensato tanto e poi mi sono detta: Bisogna fare qualcosa. Ho accettato anche un po per curiosità. Ero lì e immaginavo di avere davanti i sequestratori di mio padre e di dire loro che cosa avevo vissuto. In realtà quelli non erano detenuti per mafia ma per reati minori, e tuttavia è stato interessante nel momento in cui mi sono sentita dire: Di questa storia delle vittime noi non vogliamo parlare, e non ne parliamo mai. Di fronte al loro tentativo di rimuovere il dolore che avevano provocato, la mia presenza lì era un modo per impedirlo. Tra le altre famiglie vittime della criminalità organizzata tanti rifiutano incontri come questo. Persone nella mia situazione con le quali mi sono confrontata mi hanno detto: Non lo farei mai! Devono marcire in galera!, ed è sacrosanto pensarla così. Io ho faticato e ho lavorato tanto su me stessa per arrivare a questo incontro, e oggi non sono l unica vittima ad avere accettato. Sono passati quasi vent anni dal sequestro di mio padre, sul mio dolore ho lavorato tanto. È importantissimo che noi vittime riceviamo un sostengo psicologico che ci aiuti a trasformare questo dolore. Io ho cercato questo aiuto per i fatti miei ma in altri paesi europei esistono dei centri specializzati per il supporto alle vittime e noi abbiamo chiesto, come Libera, al Governo italiano di fare lo stesso. No all odio, no alla paura I sequestratori di mio padre sono stati individuati quasi tutti e hanno avuto il massimo della pena, confermato in appello. Hanno poi chiesto la revisione del processo e gli è stata respinta. Hanno negato di avere partecipato al sequestro, l ultimo Santo Gligora, preso l anno scorso dopo anni di latitanza - ha ammesso la sua parte di responsabilità e non più di questo. Credo che per adesso non abbiano intenzione di pentirsi. Non sono di Bovalino. Noi però il riscatto lo abbiamo portato a San Luca, quindi crediamo che qualcuno delle nostre parti fosse coinvolto e ancora non sia stato individuato. Ah, i primi tre sono stati arrestati grazie alle intercettazioni telefoniche. Non ho mai desiderato la vendetta e neppure ho provato odio verso di loro. I sequestratori mi sono sempre sembrati un entità astratta, difficile da odiare. Più che altro ho tanta rabbia perché mi hanno tolto mio padre. Penso che non ha potuto conoscere i suoi nipoti, penso a come li avrebbe amati Faccio in modo che anche i nostri bambini conoscano la storia di Lollò Cartisano, e ormai i nostri figli partecipano con noi alla marcia. Nella nostra famiglia c è sempre il posto per nonno Lollò. Il mio gruppo si è presentato alle elezioni amministrative del 2010 con la lista Nova Bovalino e ora siamo il secondo partito in consiglio comunale. Non ho perso la speranza che sia possibile fare qualcosa ma vedo ogni giorno quanto è difficile fare una opposizione seria, per di più con una stampa totalmente asservita. No, non ho paura nel fare quello che faccio e d altra parte non credo di dare fastidio Scrivo, racconto, concedo interviste. Mi sembra normale e naturale, dopo quello che è successo, e non penso di sfidare nessuno, né ho angoscia per questo. Ne ho di più al pensiero di non fare abbastanza, o di non dare a mia figlia opportunità che crescendo in altri luoghi potrebbe avere. Contrastare la mafia è lavorare per una trasformazione culturale Quando faccio incontri nelle regioni del nord sento che è cambiata la percezione della criminalità organizzata, non c è più l idea che la mafia o la ndrangheta riguardano voi al sud e io penso: meglio tardi che mai. Dal 2009 è con noi Giovanni Tizian. Aveva sei anni quando il padre, Peppe, è stato ucciso, il mobilificio di famiglia incendiato. Giovanni cresce a Modena e vuole sapere del padre. Diventa giornalista, studia la ndrangheta nei suoi legami con il nord Italia e nel 2011 pubblica Gotica. Le

sue inchieste sono così efficaci e veritiere che ormai Giovanni vive sotto scorta perché ha ricevuto serie minacce di morte. Scopo della sua vita e del suo lavoro è indagare. La mafia si è trasformata anche da noi in Calabria, in Sicilia. Non è più così evidente. Il Comune ci offrì il funerale, nel 2003, e il Sindaco è lo stesso che è stato poi indagato. I politici reggono entrambe le parti. Ma si capisce, è un fatto di mentalità, riguarda anche la famiglia che non è mafiosa. Quando io uso la sopraffazione per farmi ragione, se a scuola c è bullismo e nessuno dice niente, se non mi danno lo scontrino e non lo chiedo per timidezza, se accetto di votare per qualcuno in cambio di qualcosa questa è la mafia. Perciò va fatto un lavoro soprattutto culturale. È una lotta impari. La mafia ha appeal, grande consenso economico, politico e mediatico. Per questo mi ribello quando vengono girati film che danno una facciata glamour ad un fenomeno criminale. Un film che dipinge Riina come eroe romantico, io non lo accetto.