Sacra Famiglia anno C
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- Aldo Forte
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1 1 Prima lettura (1 Sam 1, ) Sacra Famiglia anno C Al finir dell anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché diceva al Signore l ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre». Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore. Valore della legge antica San Tommaso (S. Th. I-II, q. 98, a. 1, corpo) Senza dubbio alcuno la legge antica era buona. Come infatti una dottrina mostra di essere vera per il fatto che concorda con la retta ragione, così anche una legge mostra di essere buona per il fatto che concorda con la ragione. Ora, l antica legge concordava con la ragione. Infatti reprimeva le concupiscenze contrarie alla ragione, come è evidente in quel precetto contenuto in Es: Non desidererai la roba del tuo prossimo. Inoltre essa proibiva tutti i peccati, che sono contrari alla ragione. Perciò la sua bontà è evidente. E questo è il ragionamento di S. Paolo in Rm: Mi compiaccio della legge di Dio secondo l uomo interiore; e ancora: Consento alla legge, perché è buona. Si noti però, con Dionigi, che la bontà ha diversi gradi: c è un bene perfetto e c è un bene imperfetto. Nei mezzi ordinati al fine la bontà è perfetta quando il mezzo è tale da raggiungere per se stesso efficacemente il fine; si ha invece un bene imperfetto se esso coopera al raggiungimento del fine, ma non è sufficiente per raggiungerlo. Una medicina perfettamente buona, p. es., è quella che guarisce il malato; è invece imperfetta quella che può dargli un sollievo, ma non la guarigione. Ora, si deve considerare che il fine della legge umana è diverso da quello della legge divina. Infatti la legge umana ha come fine la tranquillità temporale dello stato; ed essa lo raggiunge reprimendo gli atti esterni, così da eliminare il male che potrebbe turbare la pace pubblica. Invece la legge divina ha lo scopo di condurre gli uomini alla felicità eterna; fine che può essere impedito da qualsiasi peccato, e non soltanto dagli atti esterni, ma anche da quelli interni. Perciò quanto basta alla perfezione della legge umana, cioè il proibire i peccati e stabilire le pene, non basta alla perfezione della legge divina, ma questa deve rendere l uomo perfettamente idoneo a partecipare alla felicità eterna. E ciò non può avvenire che mediante la grazia dello Spirito Santo, per mezzo della quale è riversata nei nostri cuori la carità [Rm], che è capace di adempiere la legge, poiché la grazia di Dio è la vita eterna, come è detto in Rm. Ora, l antica legge non poteva conferire questa grazia, che era riservato a Cristo, perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo, come è detto in Gv. Perciò la legge antica è buona, ma imperfetta, secondo quanto è detto in Eb: La legge non ha portato nulla alla perfezione. Testo latino di S. Tommaso (S. Th. I-II, q. 98, a. 1, corpus) Respondeo dicendum quod absque omni dubio lex vetus bona fuit. Sicut enim doctrina ostenditur esse vera ex hoc quod consonat rationi rectae, ita etiam lex aliqua ostenditur esse bona ex eo quod consonat rationi. Lex autem vetus rationi consonabat. Quia concupiscentiam reprimebat, quae
2 2 rationi adversatur; ut patet in illo mandato, non concupisces rem proximi tui, quod ponitur Ex. 20 [17]. Ipsa etiam omnia peccata prohibebat, quae sunt contra rationem. Unde manifestum est quod bona erat. Et haec est ratio apostoli, Rom. 7 [22], condelector, inquit, legi Dei secundum interiorem hominem; et iterum [16], consentio legi, quoniam bona est. Sed notandum est quod bonum diversos gradus habet, ut Dionysius dicit, 4 cap. De div. nom., est enim aliquod bonum perfectum, et aliquod bonum imperfectum. Perfecta quidem bonitas est, in his quae ad finem ordinantur, quando aliquid est tale quod per se sufficiens est inducere ad finem, imperfectum autem bonum est quod operatur aliquid ad hoc quod perveniatur ad finem, non tamen sufficit ad hoc quod ad finem perducat. Sicut medicina perfecte bona est quae hominem sanat, imperfecta autem est quae hominem adiuvat, sed tamen sanare non potest. Est autem sciendum quod est alius finis legis humanae, et alius legis divinae. Legis enim humanae finis est temporalis tranquillitas civitatis, ad quem finem pervenit lex cohibendo exteriores actus, quantum ad illa mala quae possunt perturbare pacificum statum civitatis. Finis autem legis divinae est perducere hominem ad finem felicitatis aeternae; qui quidem finis impeditur per quodcumque peccatum, et non solum per actus exteriores, sed etiam per interiores. Et ideo illud quod sufficit ad perfectionem legis humanae, ut scilicet peccata prohibeat et poenam apponat, non sufficit ad perfectionem legis divinae, sed oportet quod hominem totaliter faciat idoneum ad participationem felicitatis aeternae. Quod quidem fieri non potest nisi per gratiam Spiritus Sancti, per quam diffunditur caritas in cordibus nostris [Rom. 5,5], quae legem adimplet, gratia enim Dei vita aeterna, ut dicitur Rom. 6 [23]. Hanc autem gratiam lex vetus conferre non potuit, reservabatur enim hoc Christo, quia, ut dicitur Ioan.1 [17], lex per Moysen data est; gratia et veritas per Iesum Christum facta est. Et inde est quod lex vetus bona quidem est, sed imperfecta; secundum illud Heb. 7 [19], nihil ad perfectum adduxit lex. Seconda lettura (1 Gv 3, ) Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato. La visione di Dio San Tommaso (S. Th. I-II, q. 3, a. 8, corpo) La beatitudine ultima e perfetta non può trovarsi che nella visione dell essenza divina. Per averne la dimostrazione bisogna considerare due cose. La prima è che l uomo non è perfettamente beato fino a che gli rimane qualcosa da desiderare e da cercare. La seconda è che la perfezione di ciascuna potenza è determinata dalla natura del suo oggetto. Ora l intelletto, come dice Aristotele, ha per oggetto la quiddità o essenza delle cose. Quindi la perfezione di un intelletto si misura dal suo modo di conoscere l essenza di una cosa. Per cui se un intelletto viene a conoscere l essenza di un effetto partendo dalla quale però non è possibile conoscere l essenza o quiddità della causa, non si dirà che l intelletto può raggiungere senz altro la causa, sebbene possa conoscerne l esistenza mediante gli effetti. Quando dunque l uomo nel conoscere gli effetti arriva a comprendere che essi hanno una causa, conserva il desiderio naturale di conoscere la quiddità della causa. E si tratta di un desiderio dovuto alla meraviglia, come dice Aristotele, che stimola la ricerca. Come chi osserva le eclissi del sole capisce la loro dipendenza da una causa, la cui natura però gli
3 3 sfugge: e allora si meraviglia, e mosso dalla meraviglia si pone alla ricerca. Ricerca che non cessa finché non giunge a conoscere la natura della causa. Ora, dal momento che l intelletto umano, conoscendo la natura di un effetto creato, arriva a conoscere solo l esistenza di Dio, la perfezione da esso conseguita non è tale da raggiungere veramente la causa prima, ma rimane ancora il desiderio naturale di indagarne la natura. Quindi l uomo non è perfettamente beato. Per la beatitudine perfetta si richiede dunque che l intelletto raggiunga l essenza stessa della causa prima. E così esso avrà la sua perfezione unendosi a Dio come al suo oggetto, nella qual cosa soltanto si trova la beatitudine dell uomo, come si è visto sopra. Testo latino di S. Tommaso (S. Th. I-II, q. 3, a. 8, corpus) Respondeo dicendum quod ultima et perfecta beatitudo non potest esse nisi in visione divinae essentiae. Ad cuius evidentiam, duo consideranda sunt. Primo quidem, quod homo non est perfecte beatus, quandiu restat sibi aliquid desiderandum et quaerendum. Secundum est, quod uniuscuiusque potentiae perfectio attenditur secundum rationem sui obiecti. Obiectum autem intellectus est quod quid est, idest essentia rei, ut dicitur in 3 De an. Unde intantum procedit perfectio intellectus, inquantum cognoscit essentiam alicuius rei. Si ergo intellectus aliquis cognoscat essentiam alicuius effectus, per quam non possit cognosci essentia causae, ut scilicet sciatur de causa quid est; non dicitur intellectus attingere ad causam simpliciter, quamvis per effectum cognoscere possit de causa an sit. Et ideo remanet naturaliter homini desiderium, cum cognoscit effectum, et scit eum habere causam, ut etiam sciat de causa quid est. Et illud desiderium est admirationis, et causat inquisitionem, ut dicitur in principio Metaphys. Puta si aliquis cognoscens eclipsim solis, considerat quod ex aliqua causa procedit, de qua, quia nescit quid sit, admiratur, et admirando inquirit. Nec ista inquisitio quiescit quousque perveniat ad cognoscendum essentiam causae. Si igitur intellectus humanus, cognoscens essentiam alicuius effectus creati, non cognoscat de Deo nisi an est; nondum perfectio eius attingit simpliciter ad causam primam, sed remanet ei adhuc naturale desiderium inquirendi causam. Unde nondum est perfecte beatus. Ad perfectam igitur beatitudinem requiritur quod intellectus pertingat ad ipsam essentiam primae causae. Et sic perfectionem suam habebit per unionem ad Deum sicut ad obiectum, in quo solo beatitudo hominis consistit, ut supra [aa. 1-7; q. 2, a. 8] dictum est. Vangelo (Lc 2,41-52) I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
4 4 L aumento della grazia in Cristo San Tommaso (S. Th. III, q. 7, a. 12, in contrario, corpo e soluzione 3) In Gv 1 [14] è detto: Lo abbiamo visto come Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Ma non può esistere né può immaginarsi qualcosa di più grande che essere l Unigenito dal Padre. Quindi non può esistere né immaginarsi una grazia più grande di quella di cui Cristo era ricolmo. Diciamo dunque che per una perfezione l impossibilità di crescere può dipendere da due cose: o dal suo soggetto o dalla perfezione stessa. Dal soggetto, quando esso raggiunge nella partecipazione della forma suddetta il grado più alto secondo il modo che gli compete: come se si dicesse che l aria non può aumentare di calore quando raggiunge l ultimo grado che è compatibile con la sua natura, sebbene in natura possa esistere un calore maggiore, che è quello del fuoco. Da parte poi della perfezione c è l impossibilità di crescere quando un soggetto possiede quella perfezione nella misura massima in cui può essere posseduta: come se dicessimo che il calore del fuoco non può crescere per il fatto che non ci può essere un calore più grande. Ora la sapienza divina, come ha dato una misura a tutte le altre cose, così l ha data anche alla grazia, come è detto in Sap 11 [21]: Tutto hai disposto con numero, peso e misura. Ma la misura viene stabilita per ciascuna forma in rapporto al suo fine: come non esiste una gravità maggiore di quella della terra, non potendoci essere un luogo più basso di quello che spetta alla terra. Ora, il fine della grazia è l unione della creatura razionale con Dio. Ma non può esistere né si può pensare un unione della creatura razionale con Dio più intima dell unione personale. Perciò la grazia di Cristo tocca il vertice più alto della grazia. E così è chiaro che la grazia di Cristo non poteva crescere dalla parte della grazia stessa. Ma neppure dalla parte dello stesso soggetto. Poiché Cristo in quanto uomo dal primo istante del suo concepimento fu comprensore in modo vero e pieno. In lui dunque non ci poteva essere aumento di grazia, come non ci può essere nemmeno negli altri beati, avendo essi raggiunto il loro termine. Nei viatori invece la grazia può crescere sia dalla parte della forma, non avendola essi nel grado sommo, sia dalla parte dei soggetti, non avendo essi ancora raggiunto il loro termine. 3. In sapienza e grazia si può progredire in due modi. Primo, con l aumento degli abiti stessi della sapienza e della grazia: e così Cristo non poteva progredire. Secondo, in rapporto agli effetti, in quanto cioè uno compie opere più sapienti e più virtuose. E Cristo progrediva in questo modo nella sapienza e nella grazia, come anche nell età: poiché secondo lo sviluppo dell età egli compiva opere più perfette per dimostrarsi veramente uomo, sia nelle relazioni con Dio che nelle relazioni con gli uomini. Testo latino di S. Tommaso (S. Th. III, q. 7, a. 12, sed contra, corpus e ad tertium) Sed contra est quod dicitur Ioan. 1 [14], vidimus eum, quasi Unigenitum a Patre, plenum gratiae et veritatis. Sed nihil potest esse aut intelligi maius quam quod aliquis sit Unigenitus a Patre. Ergo non potest esse, vel etiam intelligi, maior gratia quam illa qua Christus fuit plenus. Respondeo dicendum quod aliquam formam non posse augeri contingit dupliciter, uno modo, ex parte ipsius subiecti; alio modo, ex parte illius formae. Ex parte quidem subiecti, quando subiectum attingit ad ultimum in participatione ipsius formae secundum suum modum sicut si dicatur quod aer non potest crescere in caliditate, quando pertingit ad ultimum gradum caloris qui potest salvari in natura aeris; licet possit esse maior calor in rerum natura, qui est calor ignis. Ex parte autem formae excluditur possibilitas augmenti quando aliquod subiectum attingit ad ultimam perfectionem qua potest talis forma haberi, sicut si dicamus quod calor ignis non potest augeri, quia non potest esse perfectior gradus caloris quam ille ad quem pertingit ignis. Sicut autem aliarum formarum est ex divina sapientia determinata propria mensura, ita et gratiae, secundum illud Sap. 11 [21], omnia in numero, pondere et mensura disposuisti. Mensura autem unicuique formae praefigitur per comparationem ad suum finem, sicut non est maior gravitas quam gravitas terrae, quia non potest esse inferior locus loco terrae. Finis autem gratiae est unio creaturae rationalis ad Deum. Non potest autem
5 esse, nec intelligi, maior unio creaturae rationalis ad Deum quam quae est in persona. Et ideo gratia Christi pertingit usque ad summam mensuram gratiae. Sic ergo manifestum est quod gratia Christi non potuit augeri ex parte ipsius gratiae. Sed neque ex parte ipsius subiecti. Quia Christus, secundum quod homo, a primo instanti suae conceptionis fuit verus et plenus comprehensor. Unde in eo non potuit esse gratiae augmentum, sicut nec in aliis beatis, quorum gratia augeri non potest, eo quod sunt in termino. Hominum vero qui sunt pure viatores, gratia potest augeri et ex parte formae, quia non attingunt summum gratiae gradum, et ex parte subiecti, quia nondum pervenerunt ad terminum. Ad tertium dicendum quod in sapientia et gratia aliquis potest proficere dupliciter. Uno modo, secundum ipsos habitus sapientiae et gratiae augmentatos. Et sic Christus in eis non proficiebat. Alio modo, secundum effectus, inquantum scilicet aliquis sapientiora et virtuosiora opera facit. Et sic Christus proficiebat sapientia et gratia, sicut et aetate, quia secundum processum aetatis perfectiora opera faciebat, ut se verum hominem demonstraret, et in his quae sunt ad Deum et in his quae sunt ad homines. 5
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