Cass. Civ., Sez. VI, 17 maggio 2017, n di Valeria Cianciolo- Avvocato del Foro di Bologna

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1 Cass. Civ., Sez. VI, 17 maggio 2017, n di Valeria Cianciolo- Avvocato del Foro di Bologna La violenza domestica subita da una donna marocchina ad opera del marito costituisce un trattamento degradante ai sensi dell'art. 14 del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251 e può giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria se si dimostra che le Autorità Marocchine non sono in grado di offrire adeguata protezione. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 1 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOGLIOTTI Massimo - Presidente - Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere - Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere - Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere - Dott. DE CHIARA Carlo - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso proposto da: E.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA, 53, presso lo studio dell'avvocato ANTONELLO CIERVO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro MINISTERO DELL'INTERNO, (OMISSIS); - intimato - avverso la sentenza n. 2301/2016 della CORTE D'APPELLO di ROMA del 24/03/2016, depositata il 13/04/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA; udito l'avvocato Antonello Ciervo difensore del ricorrente che si riporta agli atti e solleva la incostituzionalità. Svolgimento del processo

2 Che è stata depositata relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue: "1. - La Corte d'appello di Roma, respingendo il gravame della sig.ra E.N., cittadina del Marocco, ha confermato la decisione del Tribunale di rigetto del ricorso proposto dalla medesima avverso il diniego di riconoscimento della protezione internazionale da parte della competente Commissione territoriale. L'appellante aveva dichiarato di essere vittima, da anni, di abusi e violenze da parte del marito, proseguiti anche dopo il divorzio ottenuto nel (OMISSIS); che l'ex marito era stato punito dalla giustizia marocchina, ma con una sanzione blanda (tre mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena); che in caso di rientro in patria sarebbe stata esposta nuovamente ai medesimi abusi e violenze. La Corte d'appello ha affermato che la vicenda della sig.ra E. non consentiva il riconoscimento della protezione internazionale, trattandosi di episodi confinati nell'ambito del rapporto con l'ex coniuge e non potendo sostenersi che lo stato di origine della signora sia rimasto del tutto inerte o che non appresti in simili occasioni forme di tutela della donna, giacchè all'appellante era stato consentito il divorzio e l'ex marito era stato condannato in sede penale a seguito di denuncia sporta dalla stessa, accompagnata, nell'occasione, dai genitori, segno dell'appoggio ricevuto dall'ambiente familiare. La sig.ra A. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi. L'Amministrazione intimata non si è difesa Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione di norme di diritto. La ricorrente premette che la protezione offerta dalle autorità marocchine nel suo come in analoghi casi non è sufficiente, come emerge anche da fonti puntualmente citate nel ricorso, e che l'ordinamento marocchino non prevede specifiche misure di tutela della vittima, quali l'allontanamento e/o il divieto di avvicinamento dell'uomo nei confronti della propria moglie. Sostiene, quindi, che la sua vicenda va qualificata come forma di violenza domestica ai sensi della Convenzione del Consiglio d'europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 giugno 2013, n. 77. Detta Convenzione prevede in particolare, all'art. 60: "Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell'art. 1, A (2) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare/sussidiaria". Norma, questa, vincolante già sul piano dell'interpretazione della normativa nazionale.

3 La ricorrente insiste, pertanto, per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), essendo esposta, in caso di rientro in patria, al rischio di subire un danno grave sotto forma di trattamento inumano o degradante Il motivo è fondato. Ai sensi dell'art. 3, lett. b), della Convenzione sopra richiamata, "l'espressione "violenza domestica" designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima". La vicenda della ricorrente rientra, dunque, pienamente nelle previsioni della Convenzione stessa. Corretta è, inoltre, la tesi sostenuta nel ricorso, che riconduce tale forma di violenza all'ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in base ad una interpretazione che, per un verso, non trova ostacolo letterale nell'ampia dizione normativa e, per altro verso, è imposta dal richiamato art. 60, comma 1, u.c. della Convenzione. Era dunque necessario che la Corte d'appello verificasse in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un "soggetto non statuale", come l'ex marito della ricorrente, lo stato marocchino sia in grado di offrire a quest'ultima adeguata protezione (art. 5, lett. c) D.Lgs. cit.). A tale compito invece la Corte d'appello si è sostanzialmente sottratta, avendo trascurato qualsiasi approfondimento della situazione del paese di provenienza della ricorrente - obbligatorio ai sensi dell'art. 3, comma 3, lett. a) D.Lgs. cit. e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3) - come denunciata dalla ricorrente stessa, limitandosi invece a valorizzare, sul punto, circostanze di per sè non indicative di una adeguata protezione, quali la ricordata condanna penale dell'ex marito e l'ottenimento del divorzio, o del tutto estranee a forme di protezione statale, quale l'appoggio della famiglia di origine della ricorrente Il secondo motivo, espressamente subordinato, nonchè il terzo e il quarto, logicamente subordinati in quanto attinenti al riconoscimento della meno incisiva protezione umanitaria, sono assorbiti."; che tale relazione è stata comunicata agli avvocati delle parti costituite; che non sono state presentate memorie. Motivi della decisione Che il Collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione sopra trascritta;

4 che pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si darà carico dell'approfondimento di cui al penultimo e all'ultimo capoverso della relazione sopra trascritta e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Vibo Valentia in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 dicembre Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017 Si segnala la sentenze della Corte di cassazione in commento per aver sancito il diritto alla protezione internazionale per le vittime di violenza di genere, le quali possono vedersi riconosciuto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Cosa che non è del tutto immediata. La vicenda riguardava una cittadina marocchina vittima per anni di abusi e violenze da parte del marito, anche dopo aver ottenuto il divorzio. Per questi episodi, l exmarito era stato condannato in Marocco alla pena di tre mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena. Lasciato il suo Paese, la donna ha fatto richiesta di protezione internazionale affermando che in caso di rientro in Marocco sarebbe stata nuovamente esposta agli abusi e alle violenze dell ex-marito. Sia la Commissione territoriale che il giudice di primo e secondo grado hanno rigettato la richiesta in ragione del fatto che la vicenda rientrerebbe nell ambito dei rapporti familiari non meritevoli di protezione internazionale, considerate le possibilità di tutela offerte alla donna dal suo Paese di origine. Questi i fatti. La Corte d'appello di Roma, respingendo il gravame della donna, cittadina del Marocco, ha confermato la decisione del Tribunale di rigetto del ricorso proposto dalla donna avverso il diniego di riconoscimento della protezione internazionale da parte della competente Commissione territoriale. L'appellante aveva dichiarato di essere vittima, da anni, di abusi e violenze da parte del marito, proseguiti anche dopo il divorzio ottenuto nel 2008; che l'ex marito era stato punito dalla giustizia marocchina, ma con una sanzione blanda (tre mesi di

5 reclusione con sospensione condizionale della pena); che in caso di rientro in patria sarebbe stata esposta nuovamente ai medesimi abusi e violenze. La Corte d'appello ha affermato che la vicenda non consentiva il riconoscimento della protezione internazionale, trattandosi di episodi confinati nell'ambito del rapporto con l'ex coniuge e non potendo sostenersi che lo stato di origine della signora sia rimasto del tutto inerte o che non appresti in simili occasioni forme di tutela della donna, giacché all'appellante era stato consentito il divorzio e l'ex marito era stato condannato in sede penale a seguito di denuncia sporta dalla stessa, accompagnata, nell'occasione, dai genitori, segno dell'appoggio ricevuto dall'ambiente familiare. In questo caso, la Corte di cassazione ha cassato la sentenza Corte d appello di Roma, perché non aveva approfondito la situazione del Paese di provenienza della ricorrente e accertato l effettiva capacità delle autorità statuali di offrire un adeguata protezione alla donna, vittima delle violenze dell ex-marito. Secondo la Corte, la vicenda della donna marocchina trova tutela nelle previsioni della Convenzione di Istanbul. Ai sensi dell art. 3, lett. b), della predetta Convenzione si definisce violenza domestica come «tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima». I giudici della suprema Corte aderiscono, in particolare, alla tesi sostenuta nel ricorso secondo cui questa forma di «violenza domestica» andrebbe ricondotta nell ambito dei trattamenti inumani e degradanti cui fa riferimento l art. 14, lett. b), d. lgs. 251/2007. Una simile interpretazione è conforme all art. 60 della Convenzione di Istanbul che impone agli Stati firmatari di riconoscere la violenza di genere come elemento atto a fondare la protezione sussidiaria. Quale il portato innovativo della sentenza? Oltre alla protezione internazionale, in Italia vi è la possibilità di rilasciare un permesso per motivi umanitari alle vittime straniere di violenza domestica, quando il fatto si verifichi in Italia e non nel Paese di provenienza. Il dl 93/2013 ha infatti inserito all interno del d.lgs 286/1998 (TUI) il nuovo art. 18- bis che consente il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari alle vittime straniere di reati inerenti la violenza domestica 1, qualora il questore ritenga sussistente un «concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità, come 1 I delitti menzionati dalla norma in esame sono: maltrattamenti in famiglia (art. 572 cp), lesioni personali, anche aggravate (artt. 582, 583 cp), mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis cp), sequestro di persona (art. 605 cp), violenza sessuale (art. 609-bis cp), atti persecutori (art. 612-bis cp) ovvero per uno dei reati per cui è previsto l arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 cpp) commessi in Italia in ambito di violenza domestica.

6 conseguenza della scelta di sottrarsi alla medesima violenza o per effetto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio». L introduzione del requisito del pericolo per l incolumità della vittima, concreto ed attuale, sembra presentare profili di illegittimità, perché circoscrive fortemente la portata applicativa dell art. 59 della Convenzione di Istanbul, che prevede che le vittime il cui status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, conformemente al loro diritto interno, possano ottenere, su richiesta, in caso di scioglimento del matrimonio o della relazione, in situazioni particolarmente difficili, un titolo autonomo di soggiorno, indipendentemente dalla durata del matrimonio o della relazione. Il punto è che il requisito del concreto ed attuale pericolo per l incolumità della donna si configura solo in determinate situazione ad alto rischio, in cui spesso sono compresenti precedenti violenze di carattere fisico, psicologico ed economico. Che succede se la donna straniera decidesse di fuggire da una relazione maltrattante da intendersi come relazione caratterizzata da forte controllo economico, denigrazione, umiliazioni anche in presenza dei figli, limitazioni della libertà personale et similianon rischiando la vita? Decidendo di sottrarsi a questa violenza o di denunciare il proprio coniuge, paradossalmente non avrebbe diritto al rilascio del permesso di soggiorno.

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