Sentenza della Corte del 22 aprile Nils Draehmpaehl contro Urania Immobilienservice OHG

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1 Sentenza della Corte del 22 aprile 1997 Nils Draehmpaehl contro Urania Immobilienservice OHG Domanda di pronuncia pregiudiziale: Arbeitsgericht Hamburg Germania Politica sociale - Parità di trattamento fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile - Direttiva 76/207/CEE - Diritto al risarcimento in caso di discriminazione quanto all'accesso al lavoro - Scelta delle sanzioni da parte degli Stati membri - Fissazione di un limite massimo di indennizzo - Fissazione di un limite massimo per il cumulo degli indennizzi Causa C-190/95 raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I Nel procedimento C-180/95, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE, dall'arbeitsgericht di Amburgo (Germania), nella causa dinanzi ad esso pendente tra Nils Draehmpaehl e Urania Immobilienservice OHG, domanda vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), LA CORTE, composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, G.F. Mancini (relatore), J.C. Moitinho de Almeida e L. Sevón, presidenti di sezione, C.N. Kakouris, P.J.G. Kapteyn, C. Gulmann, G. Hirsch, H. Ragnemalm, M. Wathelet e R. Schintgen, giudici, avvocato generale: P. Léger cancelliere: H. von Holstein, vicecancelliere viste le osservazioni scritte presentate: - per il signor Draehmpaehl, dall'avv. Klaus Bertelsmann, del foro di Amburgo, e dalla signora Heide M. Pfarr, professore; - per il governo tedesco, dai signori Ernst Röder, Ministerialrat presso il ministero federale dell'economia, e Gereon Thiele, Assessor presso lo stesso ministero, in qualità di agenti; - per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora Marie Wolfcarius, membro del servizio giuridico, e dal signor Horstpeter Kreppel, funzionario nazionale distaccato presso detto servizio, in qualità di agenti, vista la relazione d'udienza, sentite le osservazioni orali del signor Draehmpaehl, rappresentato dall'avv. Klaus Bertelsmann, del governo tedesco, rappresentato dal signor Ernst Röder, e della Commissione, rappresentata dal signor Bernhard Jansen, consigliere giuridico, in qualità di agente, e dalla signora Marie Wolfcarius, all'udienza del 26 novembre 1996, sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 14 gennaio 1997, ha pronunciato la seguente Sentenza Motivazione della sentenza 1 Con ordinanza 22 maggio 1995, pervenuta alla Corte il 9 giugno successivo, l'arbeitsgericht di Amburgo ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CE, quattro questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 2 e 3 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40; in prosieguo: la «direttiva»). 2 Tali questioni sono sorte nell'ambito di una controversia fra il signor Draehmpaehl e l'urania Immobilienservice OHG (in prosieguo: l'«urania»), quanto al risarcimento del danno che il signor Draehmpaehl sostiene di avere subito a causa di una discriminazione basata sul sesso in occasione di un'assunzione. Sulla direttiva

2 3 La direttiva in esame mira, ai sensi dell'art. 1, all'attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro. 4 A tale scopo, l'art. 2, n. 1, della direttiva dispone che il principio della parità di trattamento fra uomini e donne implica «l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia». 5 In forza dell'art. 3, n. 1, della direttiva, l'applicazione di detto principio implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda le condizioni di accesso, compresi i criteri di selezione, agli impieghi o posti di lavoro. L'art. 3, n. 2, lett. a), dispone che gli Stati membri devono adottare i provvedimenti necessari affinché siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in contrasto con il principio della parità di trattamento. 6 Infine, l'art. 6 della direttiva impone agli Stati membri l'obbligo di introdurre nel loro ordinamento giuridico interno le misure necessarie per consentire a tutti coloro che si ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento di far valere i propri diritti per via giudiziaria, eventualmente dopo aver fatto ricorso ad altre istanze competenti. Sull'ambito normativo nazionale 7 Le disposizioni legislative nazionali concernenti la parità di trattamento fra uomini e donne nella vita professionale da applicare nella causa principale figurano nel Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile tedesco; in prosieguo: il «BGB»). 8 Ai termini dell'art. 611 a, n. 1, del BGB, un datore di lavoro non può svantaggiare un lavoratore a causa del suo sesso, nell'ambito di un contratto o in occasione dell'adozione di disposizioni, in particolare per quanto riguarda l'instaurazione di un rapporto di lavoro, la promozione professionale, istruzioni o un licenziamento. Una differenza di trattamento a causa del sesso è tuttavia consentita se il contratto o le disposizioni adottate riguardano un'attività che, a causa della sua specifica natura, può essere svolta soltanto da lavoratori di uno dei due sessi. L'onere della prova del fatto che l'attività poteva essere svolta soltanto da lavoratori di uno dei due sessi è a carico del datore di lavoro. 9 L'art. 611 a, n. 2, del BGB dispone che, se un datore di lavoro si rende responsabile, all'atto dell'instaurazione di un rapporto di lavoro, di una violazione del divieto di discriminazione enunciato al n. 1, il candidato danneggiato può chiedere un adeguato risarcimento pecuniario il cui importo non può superare tre mensilità retributive. La retribuzione mensile corrisponde alle prestazioni pecuniarie e in natura cui il candidato avrebbe avuto diritto durante il mese dell'instaurazione del rapporto di lavoro per un lavoro regolare. 10 In forza dell'art. 611 b del BGB, un datore di lavoro non può offrire un lavoro unicamente a lavoratori di uno dei due sessi, salvo nel caso di cui all'art. 611 a, n. 1, seconda frase. 11 Ai sensi dell'art. 61 b, n. 2, dell'arbeitsgerichtsgesetz (legge sulla magistratura del lavoro; in prosieguo: l'«arbgg»), se più persone svantaggiate nell'ambito dell'instaurazione di un rapporto di lavoro fanno valere, in sede giurisdizionale, un diritto al risarcimento in forza dell'art. 611 a, n. 2, del BGB, l'importo degli indennizzi deve essere limitato, se il datore di lavoro ha presentato domanda in tal senso, a sei mensilità retributive, o a dodici mensilità se un procedimento di assunzione unico era stato organizzato ai fini dell'instaurazione di più rapporti di lavoro. Qualora il datore di lavoro abbia già soddisfatto domande di risarcimento, l'importo massimo, quale è fissato alla prima frase, è ridotto in proporzione. Se il cumulo degli indennizzi cui avrebbero diritto i richiedenti supera complessivamente tale importo massimo, ciascun indennizzo è ridotto proporzionalmente a tale importo. Sugli antefatti della lite 12 Dal fascicolo della causa principale emerge che, con lettera 17 novembre 1994, il signor Draehmpaehl ha presentato la sua candidatura per un'offerta di lavoro dell'urania pubblicata nel quotidiano «Hamburger Abendblatt», che era così redatta: «Cerchiamo un'assistente sperimentata per la nostra direzione vendite. Se è in grado di cavarsela col personale confusionario di un'impresa del ramo distribuzione, se è disposta a far loro una tazza di caffè, se si contenta di rari elogi e di lavorare tanto, Lei è la persona che fa per noi. Da noi si deve saper utilizzare il computer e lavorare in gruppo insieme agli altri. Se vuole davvero raccogliere questa sfida, noi attendiamo da Lei la Sua candidatura. Ma non ci dica che non L'avevamo avvertita (...)». L'Urania non ha risposto alla lettera del signor Draehmpaehl e non gli ha neanche rispedito la sua candidatura. 13 Sostenendo che era il candidato più qualificato per detto posto e che aveva subito una discriminazione basata sul sesso in occasione dell'assunzione, il signor Draehmpaehl ha promosso dinanzi all'arbeitsgericht di Amburgo un procedimento diretto a ottenere il risarcimento del danno subito mediante il versamento di un indennizzo di importo pari a tre mensilità e mezza di stipendio. 14 Dal fascicolo della causa principale risulta del pari che, nell'ambito di un procedimento parallelo dinanzi ad un'altra sezione del tribunale nazionale, un altro candidato di sesso maschile ha anch'egli presentato una domanda di risarcimento contro l'urania per fatti analoghi. 15 Il giudice a quo ha considerato che il ricorrente nella causa principale era stato discriminato a causa del suo sesso da parte dell'urania, in quanto l'offerta di lavoro di quest'ultima era formulata in modo non imparziale e manifestamente destinato a rivolgersi alle donne. Inoltre, il giudice a quo ha constatato che non vi erano a quanto pare motivi che giustificassero una deroga, ai sensi dell'art. 611 a, n. 1, del BGB, e ne ha concluso che

3 l'urania era tenuta, in via di principio, a risarcire il ricorrente nella causa principale. Ritenendo, tuttavia, che l'esito della lite dipendesse dall'interpretazione del diritto comunitario, l'arbeitsgericht di Amburgo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1. Se siano in contrasto con gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, legislative nazionali le quali stabiliscono il presupposto della colpa del datore di lavoro per il risarcimento dei danni derivanti da un comportamento discriminatorio basato sul sesso in materia di assunzione. 2. Se siano in contrasto con gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, legislative nazionali le quali, nell'ipotesi di un comportamento discriminatorio basato sul sesso in materia di assunzione, fissano - diversamente da tutta la restante normativa nazionale civilistica e giuslavoristica - in tre mensilità retributive il limite massimo del risarcimento da versare ai candidati/e vittime di discriminazioni in sede di selezione, che non avrebbero tuttavia ottenuto il posto da coprire nemmeno nel caso di una procedura di selezione scevra di aspetti discriminatori a causa delle qualifiche migliori del candidato/a assunto/a. 3. Se siano in contrasto con gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, legislative nazionali le quali, nell'ipotesi di un comportamento discriminatorio basato sul sesso in materia di assunzione, fissano - diversamente da tutta la restante normativa nazionale civilistica e giuslavoristica - in tre mensilità retributive il limite massimo del risarcimento da versare ai candidati/e, che avrebbero ottenuto il posto da coprire nel caso di una procedura di selezione scevra di aspetti discriminatori. 4. Se siano in contrasto con gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, legislative nazionali le quali, alla richiesta, avanzata da più danneggiati, di risarcimento di danni derivanti da un comportamento discriminatorio basato sul sesso riguardo all'assunzione a un posto di lavoro - diversamente da tutta la restante normativa nazionale civilistica e giuslavoristica - impongono un limite massimo cumulativo di sei mensilità retributive per tutte le persone vittime del comportamento discriminatorio». Sulla prima questione 16 Con la prima questione il giudice a quo chiede in sostanza se la direttiva e, in particolare, gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della stessa, ostino a disposizioni legislative nazionali che stabiliscono il presupposto della colpa per il risarcimento del danno subito a causa di una discriminazione basata sul sesso all'atto di un'assunzione. 17 A questo proposito, si deve ricordare come, nella sentenza 8 novembre 1990, Dekker, causa C-177/88 (Racc. pag. I-3941, punto 22), la Corte abbia considerato che la direttiva non subordina affatto il coinvolgimento della responsabilità dell'autore di una discriminazione alla prova della colpa oppure alla mancanza di cause esimenti. 18 La Corte ha del pari precisato al punto 25 della succitata sentenza Dekker che, allorché una sanzione adottata da uno Stato membro rientra nell'ambito di un regime di responsabilità civile del datore di lavoro, l'infrazione al divieto di discriminazione deve essere sufficiente per coinvolgere da sola la responsabilità totale dell'autore dell'atto, senza che possano essere prese in considerazione le cause esimenti previste dal diritto nazionale. 19 Si deve constatare pertanto che la direttiva osta a disposizioni legislative nazionali che, quale l'art. 611 a, nn. 1 e 2, del BGB, stabiliscono il presupposto della colpa per il risarcimento del danno subito a causa di una discriminazione basata sul sesso all'atto di un'assunzione. 20 Tale conclusione non può essere inficiata dall'argomento del governo tedesco secondo il quale sarebbe agevole produrre la prova di siffatta colpa, poiché la colpa, ai sensi del diritto tedesco, significa responsabilità sia per dolo sia per negligenza. 21 Va ricordato a questo proposito che, come si è rilevato al punto 25 della precitata sentenza Dekker, la direttiva non contempla alcuna causa esimente di cui potrebbe beneficiare l'autore di una discriminazione e non subordina il risarcimento di siffatto danno all'esistenza di una colpa, per quanto facile sia fornirne la prova. 22 Di conseguenza, si deve risolvere la prima questione dichiarando che, qualora uno Stato membro decida di punire la violazione del divieto di discriminazione nell'ambito di un regime di responsabilità civile, la direttiva, e in particolare gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della stessa, ostano a disposizioni legislative nazionali che stabiliscono il presupposto della colpa per il risarcimento del danno subito a causa di una discriminazione basata sul sesso all'atto di un'assunzione. Sulle questioni seconda e terza 23 Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice a quo chiede in sostanza se la direttiva osti a disposizioni legislative nazionali che fissano un limite massimo di tre mensilità retributive per l'importo del risarcimento cui possono aver diritto candidati che sono stati discriminati a causa del loro sesso in sede di assunzione. Esso chiede inoltre se la soluzione di tale questione debba essere la stessa tanto nei confronti dei candidati che sono stati discriminati nel procedimento di assunzione, ma i quali, a causa delle qualifiche migliori del candidato assunto, non avrebbero ottenuto detto posto nemmeno se la selezione si fosse svolta senza discriminazioni, quanto nei confronti di coloro che sono stati discriminati in occasione dell'assunzione e che avrebbero ottenuto il posto da coprire se la selezione stessa fosse avvenuta senza discriminazioni.

4 24 A questo proposito occorre anzitutto ricordare che, anche se la direttiva non impone agli Stati membri una sanzione determinata, è pur vero che l'art. 6 impone loro l'obbligo di adottare provvedimenti che siano sufficientemente efficaci per conseguire lo scopo della direttiva e di far sì che tali provvedimenti possano essere effettivamente fatti valere dinanzi ai giudici nazionali dagli interessati (sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann, Racc. pag. 1891, punto 18). 25 Peraltro, la direttiva implica che, qualora uno Stato membro decida di punire la violazione del divieto di discriminazione mediante il riconoscimento di un indennizzo, questo deve essere tale da garantire una tutela giurisdizionale effettiva ed efficace, deve avere un effetto dissuasivo reale nei confronti del datore di lavoro e in ogni caso deve essere adeguato al danno subito. Un indennizzo meramente simbolico non può essere conforme alle esigenze di efficace trasposizione della direttiva (precitata sentenza Von Colson e Kamann, punti 23 e 24). 26 Del pari, non può essere considerata fondata la tesi del governo tedesco secondo cui un risarcimento della misura massima di tre mensilità retributive esorbita dall'ambito del risarcimento simbolico ed impone al datore di lavoro un onere economico considerevole, rilevante e dissuasivo, cosicché la persona discriminata ottiene un risarcimento consistente. 27 Infatti, come la Corte ha precisato nella succitata sentenza Von Colson e Kamann, al punto 23, qualora gli Stati membri decidano di risarcire i danni subiti a causa di una discriminazione vietata dalla direttiva nell'ambito di un regime di responsabilità civile del datore di lavoro, tale risarcimento deve essere adeguato al danno subito. 28 Inoltre, dalla domanda pregiudiziale, dalla risposta ai quesiti posti dalla Corte e dalle precisazioni apportate in udienza emerge che le disposizioni del diritto tedesco da applicare nella causa principale fissano un limite di risarcimento specifico, che non è contemplato dalle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche. 29 Scegliendo la soluzione adeguata per garantire lo scopo della direttiva, gli Stati membri devono vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza (sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia, Racc. pag. 2965, punto 24). 30 Da quanto precede emerge che non rispondono a tali precetti disposizioni legislative nazionali le quali, a differenza delle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche, fissino un limite massimo di tre mensilità retributive per l'importo del risarcimento ottenibile in caso di discriminazione basata sul sesso all'atto di un'assunzione. 31 Occorre pertanto chiedersi se tale soluzione debba essere la stessa tanto nei confronti dei candidati all'assunzione che, a causa delle qualifiche migliori del candidato assunto, non avrebbero ottenuto il posto di cui trattasi nemmeno se la selezione si fosse svolta senza discriminazioni, quanto nei confronti di coloro che avrebbero ottenuto il posto da coprire se la selezione fosse avvenuta senza discriminazioni. 32 A questo proposito, si deve ricordare che, come è stato precisato ai punti 25 e 27 della presente sentenza, il risarcimento deve essere adeguato al danno subito. 33 E' pur vero che siffatto risarcimento può tener conto del fatto che, anche se la selezione fosse avvenuta senza discriminazioni, alcuni candidati non avrebbero ottenuto il posto da coprire a causa delle migliori qualifiche del candidato assunto. E' pacifico che tali candidati, che hanno subito soltanto il danno dell'esclusione dal procedimento di assunzione, non possono pretendere che la portata del danno che hanno subito sia identica a quella dei candidati che avrebbero ottenuto il posto da coprire se la selezione si fosse svolta senza discriminazioni. 34 Di conseguenza, un candidato appartenente alla prima categoria, menzionata al punto 31 della presente sentenza, ha subito soltanto un danno derivante dal mancato esame della sua candidatura a causa di una discriminazione basata sul sesso, mentre un candidato appartenente alla seconda categoria ha subito un danno derivante dal non essere stato assunto proprio perché il datore di lavoro ha valutato in modo oggettivamente erroneo la sua candidatura a causa di una discriminazione fondata sul sesso. 35 Alla luce di tali considerazioni, non risulta irragionevole che uno Stato membro istituisca una presunzione legale in forza della quale il danno subito da un candidato appartenente alla prima categoria non può eccedere un massimo di tre mensilità retributive. 36 A questo proposito, si deve precisare che tocca al datore di lavoro, il quale dispone di tutti gli atti di candidatura presentati, fornire la prova che il candidato non avrebbe ottenuto il posto da coprire, nemmeno in mancanza di qualsiasi discriminazione. 37 Ciò premesso, si devono risolvere le questioni seconda e terza come segue: la direttiva 76/207 non osta a disposizioni legislative nazionali che fissino un limite massimo di tre mensilità retributive per l'importo del risarcimento cui può aver diritto un candidato se il datore di lavoro può provare che, a causa delle qualifiche migliori del candidato assunto, egli non avrebbe ottenuto il posto da coprire nemmeno se la selezione si fosse svolta senza discriminazioni. Per contro, la direttiva osta a disposizioni legislative nazionali le quali, a differenza delle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche, fissino un limite massimo di tre mensilità retributive per l'importo del risarcimento cui può aver diritto un candidato discriminato a causa del sesso in occasione di un'assunzione, se detto candidato avrebbe ottenuto il posto da coprire qualora la selezione fosse avvenuta senza discriminazioni. Sulla quarta questione 38 Con la quarta questione il giudice a quo chiede in sostanza se la direttiva osti a disposizioni legislative nazionali che stabiliscono la fissazione di un limite massimo per il cumulo dei risarcimenti dovuti a più candidati discriminati a causa del sesso all'atto di un'assunzione.

5 39 Come la Corte ha precisato nella succitata sentenza Von Colson e Kamann, al punto 23, la direttiva implica che la sanzione scelta dagli Stati membri debba avere un effetto dissuasivo reale nei confronti del datore di lavoro e debba essere adeguata ai danni subiti, al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva ed efficace. 40 E' evidente che una disposizione quale l'art. 61 b, n. 2, dell'arbgg, che fissa un limite massimo cumulativo di sei mensilità retributive per l'importo del cumulo dei risarcimenti di tutti i candidati lesi da una discriminazione basata sul sesso nell'ambito di un'assunzione, qualora più candidati chiedano un risarcimento, può determinare l'attribuzione di indennizzi ridotti e produrre l'effetto di dissuadere i candidati danneggiati dal far valere i loro diritti. Siffatta conseguenza non corrisponderebbe alla tutela giuridica effettiva ed efficace e non produrrebbe un effetto realmente dissuasivo nei confronti del datore di lavoro contrariamente a quanto prescritto dalla direttiva. 41 Inoltre, dalla domanda pregiudiziale, dalla risposta ai quesiti posti dalla Corte e dalle precisazioni apportate in udienza emerge che una siffatto limite massimo per il cumulo dei risarcimenti non è contemplato dalle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche. 42 Orbene, come la Corte ha già rilevato, le modalità e i presupposti di un diritto al risarcimento basato sul diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelli stabiliti nell'ambito dell'analogo regime nazionale (precitata sentenza Commissione/Grecia, punto 24). 43 Si deve risolvere pertanto la questione nel senso che la direttiva osta a disposizioni legislative nazionali le quali, a differenza delle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche, fissino un limite massimo cumulativo di sei mensilità retributive per l'importo del cumulo dei risarcimenti cui possono aver diritto candidati discriminati a causa del sesso all'atto di un'assunzione, qualora più candidati chiedano un risarcimento. Decisione relativa alle spese Sulle spese 44 Le spese sostenute dal governo tedesco e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Dispositivo Per questi motivi, LA CORTE, pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall'arbeitsgericht di Amburgo, con ordinanza 22 maggio 1995, dichiara: 1) Qualora uno Stato membro decida di punire la violazione del divieto di discriminazione nell'ambito di un regime di responsabilità civile, la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, e in particolare gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della stessa, ostano a disposizioni legislative nazionali che stabiliscono il presupposto della colpa per il risarcimento del danno subito a causa di una discriminazione basata sul sesso all'atto di un'assunzione. 2) La direttiva 76/207 non osta a disposizioni legislative nazionali che fissino un limite massimo di tre mensilità retributive per l'importo del risarcimento cui può aver diritto un candidato se il datore di lavoro può provare che, a causa delle qualifiche migliori del candidato assunto, egli non avrebbe ottenuto il posto da coprire, anche se la selezione si fosse svolta senza discriminazioni. Per contro, la direttiva osta a disposizioni legislative nazionali le quali, a differenza delle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche, fissino un limite massimo di tre mensilità retributive per l'importo del risarcimento cui può aver diritto un candidato discriminato a causa del sesso in occasione di un'assunzione, qualora detto candidato avrebbe ottenuto il posto da coprire se la selezione fosse avvenuta senza discriminazioni. 3) La direttiva 76/207 osta a disposizioni legislative nazionali le quali, a differenza delle altre disposizioni nazionali civilistiche e giuslavoristiche, fissino un limite massimo cumulativo di sei mensilità retributive per l'importo del cumulo dei risarcimenti cui possono aver diritto candidati discriminati a causa del sesso all'atto di un'assunzione, qualora più candidati chiedano un risarcimento.

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