CONFISCA PENALE E CONFISCA DI PREVENZIONE: VALUTAZIONE DELLA PROVA E TECNICHE DI MOTIVAZIONE DEI PROVVEDIMENTI

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1 Salvatore Laganà Presidente del Tribunale Sezione Misure di Prevenzione di Reggio Calabria CONFISCA PENALE E CONFISCA DI PREVENZIONE: VALUTAZIONE DELLA PROVA E TECNICHE DI MOTIVAZIONE DEI PROVVEDIMENTI 1. In generale L art. 12 sexies, come è noto, prevede una particolare ipotesi di confisca obbligatoria, che colpisce il denaro, i beni o le altre utilità di cui in condannato (anche a seguito di richiesta di applicazione pena) per determinati reati tassativamente elencati non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito od alla propria attività economica. L art. 10 bis L. 24 luglio 2008 n. 125 ha inserito il comma 2 ter relativo alla c.d. confisca per equivalente, che consente al giudice, quando non è possibile procedere alla confisca in applicazione delle disposizioni ivi richiamate, di ordinare la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, al prezzo o al profitto del reato, nonché il comma 2 quater che estende le disposizioni di cui al comma 2 bis (cioè l applicazione di alcune norme in materia di gestione dei beni sequestrati e confiscati previste dalla L. n. 575/1965) anche in caso di condanna e di applicazione pena per i reati ivi espressamente previsti. L art. 2 ter, comma 3, L. n. 575/1965 prevede che, con l applicazione della misura di prevenzione il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica e giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. L art. 10, comma 1, lett. a), della L. 24 luglio 2008 n. 125, ha ricompreso tra i soggetti destinatari tutti coloro che sono indiziati dei reati previsti dall art. 51, comma 3 bis, c.p.p., e, quindi non soltanto gli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazione comunque localmente denominate che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, ma anche i soggetti indiziati di partecipazione ad associazione dedita alla riduzione ed al mantenimento in schiavitù o servitù, alla tratta di persone ed all acquisto ed alienazione di schiavi, ai soggetti indiziati della consumazione di tali delitti in materia di schiavitù, del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l attività di tali associazioni, dei delitti di cui all art. 74 D.P.R. n. 309/1990, dei delitti in materia di associazione finalizzata al contrabbando dei tabacchi lavorati. 1

2 L art. 14 L. 19 marzo 1990 n. 55 estendeva già le disposizioni della L. n. 575/1965 ai soggetti indiziati di appartenenza alle associazioni previste dall art. 75 L. 22 dicembre 1975 n. 685 (che, come è noto, è stato poi sostituito dall art. 74 D.P.R. n. 309/1990) ed ai soggetti indicati nei numeri 1) e 2) L. n. 1423/1956 quando l attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli artt. 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648 bis o 648 ter c.p. ovvero a quella di contrabbando. Tale norma è stata abrogata dall art. 11 ter L. n. 165/2008.Non è stato abrogato però l art. 19 L. 22 maggio 1975 n. 152, modificato dall art. 13 della L. 3 agosto 1988 n. 327, che prevedeva le disposizioni di cui alla L. 31 maggio 1975 si applicano anche alle persone indicate nell art. 1, nn. 1) e 2) della L. 27 dicembre 1956 n La precedente giurisprudenza della S. C. (cfr. Cass., Sez. I, / n ) aveva ritenuto che le misure patrimoniali di prevenzione del sequestro e della confisca sono applicabili anche ai soggetti pericolosi ai sensi dell art. 1 L. n. 1423/1956, poiché il rinvio di cui all art. 19 L. n. 152/1975 non ha carattere materiale o recettizio, ma formale, nel senso che, in difetto di una espressa esclusione o limitazione, deve ritenersi esteso a tutte le norme successivamente interpolate nell atto fonte, in sostituzione, modificazione od integrazione di quelle originarie, e non limitato alle sole misure di carattere personale. Una recentissima pronuncia (Cass. sez. I, / n. 6841), molto più correttamente, a parere del relatore, aveva invece ritenuto che la misura di prevenzione della confisca prevista dall'art. 2-ter L. 31 maggio 1965 n. 575 non è applicabile ai beni del proposto ritenuti provento di attività delittuose (nella specie, rapine) diverse da quelle indicate dall'art. 14, comma primo, L. n. 55 del Aveva precisato la S.C., a tale proposito, che occorreva prendere atto che, secondo la sopravvenuta e derogatoria norma ("lex specialis posterior") della L. n. 55 del 1990, art. 14, comma 1, - "salvo che si tratti di procedimenti di prevenzione già pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge" - da tale data le disposizioni della L. n. 575 del 1965 concernenti le indagini e l'applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale o interdittivo, si applicano - a regime - con esclusivo riferimento ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o finalizzate al narcotraffico, ovvero ai soggetti indicati nella L. n del 1956, art. 1, comma 1, nn. 1 e 2, "quando l'attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli artt. 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648-bis, 648-ter c.p. ovvero quella di contrabbando" (inciso, quest'ultimo, interpolato dalle novelle di cui al D.L. n. 419 del 1991, art. 11, conv. in L. n. 172 del 1992, ed alla L. n. 108 del 1996, art. 9 e L. n. 228 del 2003, art. 7). L abrogazione dell art. 14 L. n. 55 del 1990 fa indubbiamente venir meno tale effetto derogatorio della legge speciale posteriore e consente di ritenere che l art. 19, non solo non abrogato ma rinnovato dal legislatore del 2008 quanto ai profili della competenza a proporre la misura spieghi tutta la sua efficacia. Per effetto della vigenza dell art. 19, interpretato autorevolmente dalla Corte, è da ritenere, pertanto, che le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale si applichino anche ai soggetti abitualmente dediti ai traffici delittuosi ed a coloro che, per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi che vivano abitualmente,anche in parte, con i proventi di attività delittuose. In tal modo si possono, per così dire, recuperare ai fini dell applicazione delle misure patrimoniali anche i delitti di usura, estorsione e 2

3 riciclaggio non collegati ad attività di carattere mafioso, sempre che sia ravvisabile quell abitualità prevista dalla norma. E necessario, però, rammentare che i numeri 1) e 2) dell art. 1 della L. n. 1423/1956 presuppongono l abitualità sia con riferimento ai soggetti dediti ad attività delittuose che con riferimento a quelli che vivono, anche in parte, con i proventi di attività delittuose: in questi limiti potranno essere applicate le misure di prevenzione patrimoniale nei confronti di persone diverse da quelle indiziate dei reati di cui all art. 1 L. n. 575/1965, che non potranno fondarsi sul semplice presupposto della commissione di delitti che di per sé non siano indicativi di tale abitualità. Tale interpretazione è stata recentissimamente confortata con sentenza della S.C. n del 4 febbraio 2009 che ha confermato la rivitalizzazione della piena operatività dell art. 19 L. n. 152/1975, conforme sia alla ratio legis del c.d. decreto sicurezza, che ha avuto lo scopo di rafforzare e non restringere la possibilità di utilizzo delle misure di prevenzione patrimoniali sia all introduzione di un doppio binario in materia di competenza a promuovere il procedimento di prevenzione. 2. I presupposti di operatività 2.1. I presupposti comuni: La titolarità o disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, di denaro, beni o oltre utilità La sproporzione del valore dei beni rispetto ai redditi dichiarati dal condannato (per l art. 12 sexies) o dalla persona pericolosa socialmente (per la confisca di prevenzione) o alle attività economiche svolte dal medesimo La mancata giustificazione da parte del condannato (per l art. 12 sexies) o dalla persona pericolosa socialmente (per la confisca di prevenzione) della provenienza dei beni 2.2. Le diversità La condanna del soggetto per determinati delitti, per quanto riguarda la confisca ex art. 12 sexies L accertamento della pericolosità sociale per la confisca ex art. ter L. n. 575/1965 La possibilità, nell ambito del procedimento di prevenzione, di disporre la confisca anche dei beni che risultino essere frutto di attività lecite o ne costituiscano il reimpiego La inesistenza di un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per cui si procede per quanto riguarda la confisca ex art. 12 sexies rispetto alla necessità, secondo alcune posizioni giurisprudenziali, di un collegamento temporale tra il bene e l epoca della pericolosità sociale, per la confisca di prevenzione Rimandando ad un rapido esame dei presupposti comuni e differenti al momento in cui si tratterà della motivazione dei provvedimenti, appare opportuno trattare dapprima 3

4 questo ultimo argomento, oggetto di un netto contrasto (con riferimento alla confisca di prevenzione) nell ambito degli orientamenti più recenti della giurisprudenza di legittimità nonché tra le stesse corti di merito e quella di legittimità. Per ciò che riguarda la confisca ex art. 12 sexies, le S.U. della Corte di Cassazione, con la nota sentenza del / n. 920, Montella, hanno risolto il risalente contrasto giurisprudenziale in ordine al problema del rapporto di pertinenzialità tra i beni confiscabili ed i reati per i quali è intervenuta condanna, affermando che il Legislatore, nell individuare i reati dalla cui condanna discende la confiscabilità dei beni, non ha presupposto la derivazione di tali beni dall episodio criminoso singolo per cui la condanna è intervenuta, ma ha correlato la confisca proprio alla sola condanna del soggetto che di quei beni dispone. Il giudice, pertanto, attenendosi al tenore letterale della disposizione, non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili ed il reato per cui ha pronunciato condanna e nemmeno tra quegli stessi beni e l attività criminosa del condannato, cosa che, sotto un profilo positivo, significa che, una volta intervenuta la condanna, la confisca va sempre ordinata quando sia provata l esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità ed il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e non risulti una spiegazione credibile circa la provenienza delle cose. Con il corollario che, essendo la condanna e la presenza dei beni di valore sproporzionato realtà attuali, la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna Va subito rimarcato, anche al fine di prendere posizione sul conflitto giurisprudenziale che, sul medesimo tema, si è formato con riguardo alla confisca di prevenzione, che già in precedenza le medesime Sezioni Unite, con la sentenza del 30 maggio/17 luglio 2001 n , Derouach, avevano messo in rilievo le affinità tra la confisca ex art. 12 sexies e quella prevista dall art. 2 ter L. n. 575/1965, emergente in maniera chiara solo confrontando i contenuti precettivi delle due norme, e che la stessa sentenza Montella aveva ribadito che l art. 12 sexies configura una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all affine misura di prevenzione antimafia. Anche in precedenza, le Sezioni Unite 3 luglio 1996 n. 18, Simonelli, avevano ricondotto la confisca prevista dalla L. n. 575/1965 ad un tertium genus costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile (quanto al contenuto ed agli effetti) alla misura di sicurezza prevista dall art. 240 c.p., applicata, per scelta non sindacabile del legislatore, nell ambito dell autonomo procedimento di prevenzione previsto e disciplinato dalla L. n. 575/1965 e successive modificazioni. Attesa l affinità non solo del contenuto precettivo ma anche della natura giuridica tra le due norme, apparirebbe consequenziale applicare anche alla confisca di prevenzione il medesimo principio dell irrilevanza del nesso di pertinenzialità tra i beni in sequestro ed il compendio indiziario posto a fondamento della pericolosità sociale, affermato dalla sentenza Montella, con l ulteriore corollario dell irrilevanza del rapporto di connessione temporale tra il momento in cui è insorta la pericolosità sociale e l acquisizione dei beni da sottoporre a provvedimento ablativo. 4

5 In realtà, importanti arresti giurisprudenziali della S.C. pervengono a conclusioni del tutto opposte. A tale proposito, con sentenza del 20 febbraio/19 giugno 2006 n , Puca, è stato affermato che il sequestro e la confisca di cui all art. 12 sexies D.L. n. 306/1992 pur presentando affinità con la confisca di prevenzione, si basano su presupposti del tutto peculiari, dato che, a differenza della L. 31 maggio 1965 n. 575, art. 2 ter, prescindono da una correlazione tra il bene e l attività illecita. Tale conclusione è stata ribadita, con specifico riferimento alla confisca di prevenzione, con sentenza del 4 luglio/28 agosto 2007 n ,Vadalà, che ha riaffermato l insegnamento per il quale occorre verificare se i beni da confiscare siano entrati nella disponibilità del proposto non già anteriormente, ma contestualmente o successivamente al suo inserimento nel sodalizio mafioso e ancora più recentemente con sentenza del 12 dicembre 2007/22 gennaio 2008 n. 3413, Giammanco. Tale ultima pronuncia, più specificamente motivando, ha precisato essere del tutto rilevante verificare la necessaria relazione di connessione temporale tra la pericolosità del proposto e l acquisizione di beni oggetto del provvedimento ablativo. Non può, infatti, ritenersi legittima la confisca di beni entrati nel patrimonio del soggetto indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa in epoca non riconducibile a quella dell accertata pericolosità dello stesso, chiarendo, a tale proposito, che se, indubbiamente, vi è parallelismo tra la confisca prevista dalla disposizione di cui alla L. n. 356/1992, art. 12 sexies detto parallelismo non giustifica, però, la conclusione di una pretesa coincidenza di discipline dei due distinti provvedimenti espropriativi: l uno conseguente al pieno accertamento della responsabilità in sede penale, l altro connesso alla verifica di un complesso indiziario circa la probabile appartenenza del soggetto ad un associazione mafiosa. Va, infatti, considerato che tale diverso contesto spiega l orientamento secondo cui, per poter disporre la confisca in sede di prevenzione, non è sufficiente la sussistenza di indizi di carattere personale sull appartenenza del soggetto ad una associazione di tipo mafioso, implicante una latente e permanente pericolosità sociale, ma occorre che vi sia correlazione temporale fra tale pericolosità e l acquisto dei beni e cioè occorre verificare se i beni da confiscare sia entrati nella disponibilità del proposto, non già antecedentemente, ma successivamente o almeno contestualmente al suo inserimento nel sodalizio criminoso. A fronte di una simile posizione, altre pronunce della Suprema Corte sposano una tesi del tutto opposta. Così la sentenza del 17 febbraio 2005 n , Sbeglia, che ha affermato l applicabilità nel procedimento di prevenzione dei principi enunciati nella sentenza Montella, sostenendo che la confisca dei beni non è preclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore alla pericolosità sociale accertata. Tale concetto è stato ribadito con la sentenza del 17 febbraio/16 marzo 2005 n , Saraceno, che ha affermato: la situazione delineata dall art. 12 sexies D.L n. 306 è del tutto analoga a quella dell art. 2 ter, comma 3, L n. 575, recante disposizioni contro la mafia Tali disposizione, come ha osservato questa Corte <<mirano a sottrarre alla disponibilità dell indiziato di appartenenza a sodalizi di tipo mafioso tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano i reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso; non assume rilievo, nel provvedimento ablativo, l assenza di motivazioni in ordine al nesso causale 5

6 tra presunta condotta mafiosa ed illecito profitto, essendo sufficiente la dimostrazione dell illecita provenienza dei beni confiscati, qualunque essa sia>>. Con una recentissima pronuncia in data 8 aprile 2008 n , Failla, la Suprema Corte, nel solco dell orientamento per ultimo citato, ha approfondito la questione. Ha affermato, a tale proposito, la S.C.: Nell art. 2 ter della L n. 575 non si rinviene alcun elemento che possa far ritenere che i beni sequestrabili e poi confiscabili debbano essere stati acquisiti nel periodo al quale l accertata pericolosità del soggetto è riferita Il Legislatore nell art. 2 ter, comma 2, L n. 575 ha solo previsto il sequestro dei beni, dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento per l applicazione di una misura di prevenzione personale risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all attività economica svolta. Nel successivo terzo comma è previsto che con l applicazione della misura di prevenzione sia disposta la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia dimostrata la legittima provenienza. Quindi l unico presupposto che la legge vuole realizzato è l inizio di un procedimento di applicazione di misura personale nei confronti di una persona pericolosa. Una volta accertata la pericolosità (pericolosità che costituisce la conditio sine qua non per poter accertare la formazione di tanti patrimoni il cui valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all attività economica svolta) del soggetto, la legge impone una verifica della legittima acquisizione del suo patrimonio. In buona sostanza il legislatore ha creato un vincolo di pertinenzialità solo tra i beni non importa quando acquisiti di cui non sia provata la legittima provenienza e soggetti portatori di pericolosità sociale. D altronde la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 2004 n. 920 ha riconosciuto la validità di tale principio per la confisca ex art. 12 sexies L. 356/1992, norma questa che, sul punto specifico, è stata strutturata dal legislatore come l art. 2 ter L n E evidente che se un tale principio è stato affermato per la confisca ex art. 12 sexies L. 356/1992, confisca che richiede un collegamento con un reato, a maggior ragione questo principio è applicabile alla parallela e affine confisca deliberata ai sensi dell art. 2 ter L. 356/1992. La Corte di legittimità ha, inoltre, osservato come la giurisprudenza più recente si era progressivamente orientata nel senso di rendere autonoma la confisca di prevenzione dalla misura personale, citando il caso della giurisprudenza in materia di decesso del proposto nelle more del provvedimento applicativo di prevenzione (ipotesi che tende ad apprendere beni che, seppure nella formale disponibilità degli eredi, vengono considerati intrinsecamente non più commerciabili), ormai attestatasi nel senso che la confisca disposta non risente della morte della persona. La sentenza Failla conclude nel senso che la confiscabilità del bene va dunque collegata alla sproporzione del valore di beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto ed alla mancata giustificazione dell illecita provenienza dei beni stessi. Sono la sproporzione reddituale, la disponibilità e l origine perversa dei beni, piuttosto che il dato temporale di acquisizione, i presupposti della confisca. E utile, al riguardo, rilevare che la confisca, come misura di prevenzione antimafia, prevista dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, ha trovato una specificazione nell ambito del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies. I principi anteriormente affermati in questa materia possono quindi considerarsi applicazione della normativa generale, data la riconosciuta affinità tra questa e la confisca speciale quale emerge solo che si 6

7 confrontino i contenuti precettivi delle norme. Queste considerazioni consentono di ritenere principio di portata generale l affermazione che la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva alla situazione di accertata pericolosità oggettiva. Si tratta, invero, di una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, con la preminente funzione di togliere dalla circolazione perversa il bene che, al di là del dato temporale, è pervenuto nel patrimonio in modo perverso. Solo in tal modo si evita il proliferare di ricchezza di provenienza non giustificata immessa nel circuito di realtà economiche a forte influenza criminale; realtà che il legislatore ha inteso neutralizzare, colpendo le fonti di un flusso sotterraneo sospetto in rapporto alle capacità reddituali di determinati soggetti, pur sempre ammessi, ovviamente, alla dimostrazione contraria della provenienza legittima dell accumula che superi la presunzione iuris tantum. Senza volere, almeno in questa sede, assumere una netta posizione in favore dell una o dell altra tesi, ed in attesa di una pronuncia chiarificatrice delle Sezioni Unite, vorrei sommessamente osservare che, una volta riconosciuta l identica natura giuridica di misura di sicurezza atipica sia alla confisca di prevenzione che a quella ex art. 12 sexies, sembrerebbe ingiustificato far discendere conseguenze diverse in tema di confiscabilità dei beni solo dai differenti presupposti alla base dei due provvedimenti ablatori: la condanna, da un lato, l accertamento della pericolosità sociale, dall altro. Paradossalmente, a seguire il ragionamento dell orientamento di legittimità che ammette la possibilità della confisca dei beni acquisiti antecedentemente alla commissione del reato solo per la confisca ex art. 12 sexies, sarebbe proprio tale ipotesi a destare maggiori perplessità in quanto collegata ad un fatto il reato che si esaurisce nel segmento temporale della sua consumazione, mentre nel caso della confisca di prevenzione l accertamento ricomprende un vasto arco temporale e normalmente concerne tutta la vita del proposto. Se, poi, è identica la ratio, quella cioè di togliere dal circuito di realtà economiche a forte influenza criminale ricchezze non giustificate, non si comprende perché tale ragione spieghi efficacia solo con riferimento alla condanna per un determinato reato e non avuto riguardo ad un accertamento di pericolosità sociale che si fonda su una molteplicità di fatti (sentenze di condanna, pendenza di procedimenti penali, frequentazioni, arricchimenti ingiustificati) idonei a collegare stabilmente il soggetto proposto ad un contesto criminale di appartenenza. 3. La valutazione delle prove e la motivazione 3.1. Nella confisca ex art. 12 sexies La condanna del soggetto per determinati delitti Non sussistono particolari problemi di motivazione o di prova in merito. La giurisprudenza di legittimità ha precisato: Che il chiaro disposto normativo non autorizza alcuna distinzione tra delitto consumato e delitto tentato, in quanto non collega la confisca al provento o al 7

8 profitto di quel reato, bensì ai beni di cui il condannato non può giustificare la provenienza, indipendentemente dalla loro fonte che si presume derivante dalla complessiva attività illecita del soggetto (Cass. 10 maggio/10 giugno 2005 n , Secchiano); Che la confisca di cui all art. 12 sexies si applica anche a chi risponda solo del reato di cui all art. 73 D.P.R. n. 309/1990, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e non necessariamente congiunta al reato di cui all art. 74 D.P.R. citato (Cass. 30 settembre 1996/30 dicembre 1996, n. 2263, Bortuzzo); Che può costituire oggetto di confisca ex art. 240 c.p. la somma di denaro che il giudice accerti essere stata ricavata dalla cessione della sostanza stupefacente anche in caso di condanna per il reato di cui all art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990, non ostandovi il divieto posto in relazione a tale fattispecie dall art. 12 sexies che, quale disposizione speciale, trova applicazione solo nell ipotesi particolare dalla medesima regolata di condannato che non sia in grado di giustificare la provenienza del denaro di cui abbia la disponibilità (Cass. 2 dicembre 2003/6 febbraio 2004 n. 4844, Vuccisano; Che è legittima la confisca disposta, anche a seguito di patteggiamento, in forza dell art. 12 sexies, a condizione che il giudice motivi adeguatamente in ordine alla mancanza di giustificazione circa la provenienza dei beni o del denaro confiscato e la sproporzione tra il valore dei beni posseduti ed il reddito dell imputato. Ciò in quanto la motivazione sommaria propria del rito speciale non può estendersi automaticamente alla misura di sicurezza patrimoniale (Cass. 30 settembre 1996/30 dicembre 1996, n. 2263, Bortuzzo; Cass. 22 settembre 2005/2 dicembre 2005, n ) La titolarità o disponibilità, anche per interposta persona, fisica o giuridica, di denaro, beni o altra utilità Rinviando, per alcune specifiche problematiche comuni, all esposizione che riguarderà la confisca di prevenzione, va, comunque, sottolineato che il legislatore, con l ampia espressione utilizzata, ha voluto colpire tutti i beni di cui il condannato abbia la titolarità giuridica o la mera disponibilità di fatto, dovunque si trovino ed a chiunque siano intestati. La C. S., a tale proposito, ha precisato: Dall analisi della disposizione traspare univocamente che l oggetto della confisca è costituito anzitutto dai beni sui quali il condannato sia titolare di diritti a lui facenti capo formalmente o attraverso lo schema simulatorio dell interposizione fittizia. Lo spettro di operatività della confisca trascende tuttavia questa situazione in quanto investe anche i beni dei quali egli abbia << la disponibilità a qualsiasi titolo>> e, con tale locuzione, la legge ha inteso indubbiamente designare la relazione effettuate del condannato con il bene, connotata dall esercizio di poteri di fatto, corrispondenti al contenuto del diritto di proprietà, in forza dei quali egli può determinare autonomamente la destinazione, l impiego ed il godimento del bene stesso. La disponibilità coincide, cioè, con la signoria di fatto sulla <<res>>, indipendentemente ed al di fuori delle categorie delineate dal diritto privato e se ad una 8

9 di tali categorie vuol farsi proprio riferimento, il richiamo più appropriato risulta essere quello riferito al possesso nella definizione che ne dà l art cod. civ. (Cass. 9 marzo 2005 n , De Masi. Potrà aversi, quindi, sia l interposizione nel rapporto giuridico, quando il condannato abbia trasferito fittiziamente il proprio bene ad una persona fisica o giuridica, che l interposizione di fatto, quando il condannato abbia acquisito la disponibilità del bene che rimane però fittiziamente intestato ad un terzo. E indubbio, poi, che la prova dell interposizione vada fornita dalla pubblica accusa: incombe sull accusa l onere di dimostrare l esistenza di situazioni che avallino concretamente l ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Il giudice ha, a sua volta,l obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, sì da costituire prova indiretta dell assunto che si tende a dimostrare, cioè del superamento della coincidenza tra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (Cass. 5 febbraio 2001, n , Di Bella; Cass. 26 settembre 2006/16 gennaio 2007, Nettuno). Diverso è il caso in cui i beni siano fittiziamente intestati al coniuge, operando in tal caso la presunzione relativa dell illecita acquisizione patrimoniale, sempre nel caso in cui risulti la sproporzione tra il patrimonio nella disponibilità del coniuge ed i suoi redditi (cfr. Cass. 8 luglio 2004 n ). La sproporzione tra i beni confiscabili ed il reddito o l attività economica del condannato. Anche in tal caso rinvio per le problematiche comuni all esposizione che riguarderà la confisca di prevenzione. E bene però, sin d ora, affrontare una questione di carattere generale, che riguarda entrambe le confische: i parametri per valutare la sproporzione sono due: il reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o la propria attività economica. Dovrà il giudice valutare entrambi i parametri, con la conseguenza che i beni non siano confiscabili se conformi ad almeno uno, o, al contrario, potrà far riferimento solo ad uno senza necessità di acquisire la controprova con riferimento all altro? La S.C. propende per la soluzione alternativa, affermando che il giudice, per valutare la sproporzione, può limitarsi a prendere in considerazione solo uno dei citati parametri, non essendo necessario che, constata la sproporzione tra il valore dei beni ed uno dei parametri medesimi, passi ad ulteriore valutazione con l altro parametro (Cass. 10 giugno 1994 n. 2860, Meriggi; Cass., 14 ottobre 1996 n. 5202, Scarcella). Altra pronuncia ha, invece, ritenuto prevalente il reddito effettivo rispetto a quello formalmente dichiarato, affermando, con riferimento al reddito proveniente dalla gestione di terreni agricoli, che trattandosi di una valutazione di situazioni economiche reali, poiché è richiesto che la valutazione debba riferirsi a dati reali, il Tribunale doveva tener conto del reddito agrario effettivo e non di quello dichiarato (Cass. 14 novembre 1997/1 aprile 1998 n. 4458, Manzella). 9

10 Appare evidente come l indiscriminata adozione della soluzione cumulativa finirebbe per premiare situazioni di elusione fiscale, consentendo al proposto di difendersi affermando di aver percepito redditi in nero provenienti da evasione fiscale, in contrasto, del resto, con quella giurisprudenza della S.C. che, come si vedrà in seguito, nega qualsiasi rilevanza giustificativa a redditi così percepiti, ed in contrasto anche con quella necessità di giustificare la provenienza che, nonostante l assenza del termine legittima, presente nel testo dell art. 12 quinquies dichiarato incostituzionale, deve sempre ritenersi tale (cfr. Cass. 2 giugno 1994 n. 2671: la soppressione nel testo della disposizione in questione della qualifica legittima, riferita alla provenienza, che figurava nel testo dell art. 12 quinquies, comma 2, L 369/93, dichiarato incostituzionale, non ha altra significazione se non quella di una innovazione semantica di scarso rilievo, dato che l espressione <<giustificare la provenienza>> equivale, proprio per il significato pregnante che ha il verbo << giustificare>>, a dimostrare la legittimità della provenienza ). Allora è da ritenersi che il riferimento all attività economica svolta abbia l esclusiva funzione di valutare il reddito dichiarato ai fini delle imposte sui redditi nei casi di sopravvalutazione di tale reddito operata al solo fine di giustificare acquisti derivanti da proventi di reato. Sia cioè un parametro sussidiario al fine di valutare la congruità del reddito dichiarato, irrilevante nel caso in cui la sottovalutazione sia dovuta ad evasione fiscale e, al contrario, specificamente rimarchevole in caso in cui il reddito risulti gonfiato per celare o riciclare proventi da attività criminose. Quanto all accertamento della sproporzione, la Corte di Cassazionr a S.U. Montella, già menzionata, ha precisato che il termine sproporzione utilizzato dal legislatore rimanda non a qualsiasi difformità tra guadagni e capitalizzazione, ma ad un incongruo squilibrio tra questi da valutarsi secondo le comuni regole d esperienza, chiarendo ancora: la sproporzione così intesa viene testualmente riferita non al patrimonio come complesso unitario, ma alla somma dei singoli beni, con la conseguenza che i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori in gioco, non vanno fissati nel reddito dichiarato o nelle attività al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel reddito e nelle attività nei momenti dei singoli acquisti, rispetto al valore dei beni volta a volta acquisiti. La sentenza, pure citata, del 26 settembre 2006 n. 721, Nettuno, fornisce utili parametri per tale accertamento: Nell accertamento della sproporzione un ruolo importante assume il riferimento temporale, non potendo il confronto tra la situazione patrimoniale reale e la capacità economica, desumibile dal reddito dichiarato o dall attività economica, che risulta essere svolta dall indagato, prescindere dal dato temporale. Occorre cioè partire da una situazione iniziale, individuata nel tempo, e metterla a confronto con la situazione patrimoniale esistente nel momento in cui dovrebbe essere assunto il provvedimento cautelare, tenuto conto, peraltro, del reddito consumato in relazione al tenore di vita proprio e della famiglia. E evidente, allora, anticipando un tema proprio anche delle misure di prevenzione patrimoniali, che l accertamento deve rigorosamente essere effettuato con riferimento a tutto l arco temporale giudicato rilevante, individuando i redditi del soggetto e del suo nucleo familiare, verificando le spese affrontate per il sostentamento del nucleo familiare in rapporto al tenore di vita praticato, estrapolando l eventuale quota destinata al 10

11 risparmio e le risorse utilizzate per eventuali acquisti straordinari, e comparando il tutto con i singoli acquisti effettuati. Possono essere di qualche utilità le eventuali tabelle ISTAT sul costo della vita, distinte per numero di componenti della famiglia, per regioni e per fasce sociali, con l avvertenza che trattasi solo di un parametro orientativo soggetto a numerose variabili non tutte facilmente conoscibili; è importante per questo un indagine sul campo che tenga conto dell effettivo tenore di vita del soggetto, delle spese voluttuarie effettuate, dell effettivo accesso al credito, etc. Proprio con riferimento all accesso al credito va rimarcato che spesso, per mascherare il diretto investimento di profitti di reato nell acquisto di beni, si preferisce celare l acquisto attraverso il conseguimento di un finanziamento bancario in maniera da giustificare la provenienza delle somme utilizzate. E evidente che, in tal caso, l analisi dei redditi deve essere particolarmente attenta alla valutazione della capacità del soggetto a far fronte al pagamento del debito, in assenza della quale potrà dedursi la destinazione di proventi illeciti a tal fine. Vanno rinviate alla trattazione della confisca di prevenzione le questioni relative all onere del condannato di giustificare la provenienza dei beni. Sarà sufficiente dire che, secondo la giurisprudenza più attenta al rispetto dei parametri costituzionali, non si tratta di inversione di onere della prova bensì di onere di allegazione. (cfr. la cit. sentenza Nettuno: In sostanza non sarebbe richiesta una giustificazione qualificata della legittima provenienza dei beni, ma un attendibile e circostanziata giustificazione, che il giudice deve valutare in concreto, secondo il principio della libertà della prova e del libero convincimento. Una tesi che ha come presupposto la ricostruzione dell istituto in termini di conformità alla Costituzione, in quanto sostiene che l art. 12 sexies ha introdotto una mera presunzione relativa all illecita accumulazione patrimoniale, trasferendo sul soggetto, che la titolarità o la disponibilità dei beni, l onere di giustificare la provenienza, con l allegazione di elementi che, pur senza avere la valenza probatoria civilistica in tema di diritti reali, possessori o obbligazionari, siano idonei a vincere tale presunzione, escludendo ogni ipotesi di inversione dell onere della prova. A diverse conclusioni perviene, invece, la sentenza Montella che ha affermato: La giustificazione credibile attiene alla positiva liceità della provenienza e non si risolve nella prova negativa della non provenienza dal reato per cui si è stati condannati. E così, per esempio, per gli acquisti che hanno un titolo negoziale occorre un esauriente spiegazione in termini economici (e non semplicemente giuridico-formali) di una derivazione del bene da attività consentite dall ordinamento, che sarà valutata secondo il principio del libero convincimento ) Nella confisca di prevenzione La motivazione della pericolosità sociale In generale E noto che, a differenza del processo penale, in cui si giudicano singoli fatti, da ricondurre ai tipici modelli dell antigiuridicità penale, nel procedimento di prevenzione si valutano condotte complessive portatrici di pericolosità sociale. 11

12 Le misure di prevenzione sono, anche a differenza delle misure di sicurezza applicate in esito al processo penale, funzionali ad anticipare la consumazione di delitti e muovono, per ciò, da una valutazione complessiva della personalità del proposto, non limitata esclusivamente ai delitti consumati, onerando il giudice di svolgere il giudizio in prospettiva prognostica futura. Sicché - salvo che tra la consumazione di fattispecie delittuose ed il momento della valutazione della personalità, non sia trascorso un significativo lasso di tempo che può lasciare supporre una resipiscenza del proposto o non siano individuati comportamenti inequivocabilmente indicativi di una vera e propria cesura con le precedenti modalità e scelte di vita - l accertamento preventivo non può limitarsi a verificare la consumazione di fattispecie delittuose, ma deve sviluppare una valutazione attenta anche delle cause che hanno determinato l abituale reiterazione di comportamenti, sintomatici della pericolosità sociale, al fine di esprimere un giudizio prognostico in ordine alla loro futura ripetizione. Diverso è anche il livello probatorio richiesto dalla legge. Va ricordato, infatti, che anche elementi indiziari che non sono stati ritenuti idonei o sufficienti per fondare l affermazione della penale responsabilità, possono essere positivamente valutati ai fini dell applicazione di una misura di prevenzione, e tanto più nell ipotesi di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose di cui all art. 1 L. nr. 575/1965, essendo certamente più bassa, rispetto a quella probatoria propria del processo penale, la soglia indiziaria per l applicazione della misura della sorveglianza speciale di p.s., come, ormai, è sancito dalla giurisprudenza assolutamente prevalente della S.C. (cfr., per tutti, Cass., sez. VI, 10 settembre 1992, Longorgo: Il giudizio in tema di applicazione delle misure di prevenzione ha per oggetto la pericolosità sociale del soggetto e non la sua responsabilità penale; nulla impedisce, tuttavia, che tale giudizio sia fondato su elementi di prova o indicazioni utilizzate o utilizzabili nel processo penale. L autonomia del giudizio di prevenzione da quello di cognizione consente, inoltre, l utilizzazione degli indizi anche quando questi non siano gravi, precisi e concordanti, essendo sufficienti che essi siano sintomatici della pericolosità sociale della persona e non siano contrastati da elementi diversi processualmente rilevanti ). Va sottolineato, poi, che solo una valutazione complessiva degli elementi indiziari, quasi sempre frammentariamente valutati nei singoli processi in cui il proposto è stato coinvolto, può condurre ad una ricostruzione unitaria della sua posizione, della sua personalità, dell evolversi delle relazioni nel campo criminale, e può consentire di pervenire un giudizio di pericolosità sociale. Quella della valutazione parcellizzata degli indizi costituisce certamente il più grave errore metodologico in cui si può incorrere in materia di misure di prevenzione: la pericolosità sociale, spesso, può evincersi soltanto in base ad un esame completo delle relazioni intessute da un soggetto nel corso degli anni, delle vicende in cui è stato coinvolto, ognuna delle quali, di per sé sola, finirebbe per assumere un significato riduttivo, come tessere di un mosaico visionate una per una e non nel disegno unitario che si evince dalle loro interconnessioni. Da ciò deriva il principio dell autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale che consente di desumere la pericolosità sociale dagli stessi fatti storici in ordine ai quali è stata esclusa la configurabilità dell illiceità penale o da altri fatti, acquisiti autonomamente nel giudizio di prevenzione. 12

13 Un limite, comunque, trova tale principio: i fatti storici accertati o esclusi nel processo penale non possono essere ritenuti, rispettivamente, insussistenti o sussistenti nel giudizio di prevenzione, dovendo prevalere l esigenza di certezza e uniformità del sistema giuridico (cfr., a tale proposito, Cass. 27 febbraio/15 maggio 2001 n. 891: I fatti storici la cui esistenza sia stata positivamente accertata o negativamente esclusa nel processo penale non possono non essere considerati, dal giudice della prevenzione, come dati di fatto ormai acclarati e non già quali elementi suscettibili di ulteriori accertamenti ). Altro profilo riguarda i limiti di utilizzazione della prove acquisite nel processo penale. E stato recentemente affermato dalla S.C., a modifica di un precedente orientamento che riteneva la piena utilizzabilità di qualsiasi elemento indiziario, purchè certo ed idoneo a fondare il convincimento del giudice in ordine alla pericolosità sociale del proposto, che il materiale probatorio acquisito possa essere utilizzato non in maniera indiscriminata, potendo essere individuati limiti all utilizzazione in presenza di vizi che determinano una <<patologica>> inutilizzabilità, ad esempio quando si tratta di prove assunte in violazione dei diritti garantiti da principi costituzionali ( Cass., sez. VI, 30 settembre 2005, n , Nicastro; Cass. 25 ottobre 2007/10 gennaio 2008 n. 1161). E stato precisato in tali pronunce che i vizi dipendenti da violazioni di regole interne al processo penale non possono proiettarsi nell ambito delle regole probatorie proprie del processo di prevenzione e, pertanto, in tal caso, il giudice della prevenzione ben può prendere in considerazione la prova stessa per valutarla autonomamente. Al contrario, vanno sussunte nel paradigma della inutilizzabilità patologica tutte le prove assunte contra legem e con modalità lesive dei diritti della persona tutelati dalla Costituzione, p. es., dichiarazioni accusatorie acquisite senza l osservanza delle garanzie dei diritti di difesa. L attualità della pericolosità sociale Nel caso di pericolosità sociale c.d. qualificata, è sufficiente richiamare quell orientamento giurisprudenziale, ampiamente prevalente (cfr., ad esempio, Cass., Sez. I, 27 gennaio 1998, La Rocca; Sez. I, 20 novembre 1998, Iorio, e, più recentemente, Cass., sez. II, n del 2004, Serraino, Cass. 20 settembre 2004, Cinà), secondo il quale il requisito della attualità della pericolosità deve considerarsi necessariamente implicito nella riconosciuta appartenenza del soggetto proposto ad una consorteria mafiosa. La presunzione di mancato recesso dall organizzazione opera nei confronti di coloro che sono stati riconosciuti quali associati, e può essere vinta solo da prove contrarie che dimostrino o il venir meno della stessa associazione o il distacco del soggetto dal sodalizio criminoso: nel caso dell associato, infatti, l immanenza della sua partecipazione al sodalizio anche in tempi successivi alle contestazioni giudiziarie, si trae dalla natura stessa dell associazione mafiosa che presuppone, normalmente, un adesione irrevocabile ed irrinunciabile (pena specifiche sanzioni contemplate dallo statuto stesso del sodalizio). Ha precisato, a tale proposito, la S.C.: La rigidità delle regole interne delle organizzazioni mafiose, ed il divieto, in particolare, di recesso, salvi casi eccezionali, dal vincolo associativo, sono stati, infatti, ormai provati in numerosissimi processi 13

14 penali per reati di criminalità organizzata di tipo mafioso e costituiscono, pertanto, regole di esperienza che non richiedono alcuna specifica dimostrazione concreta. Né è arbitraria la premessa della illazione che trae dal grave sospetto di attualità del vincolo associativo quello della pericolosità del soggetto. Il requisito dell attualità della pericolosità è, infatti, da considerare necessariamente implicito nella ritenuta attualità della presumibile appartenenza del proposto ad un associazione mafiosa (Cass., sez. II, 23 gennaio/24 febbraio 2004 n. 7971, Spina). Tale immanenza dell attualità è stata ritenuta dalla S.C. anche con riferimento all ipotesi del c.d. concorso esterno (cfr. Cass. 16 dicembre 2005, n. 1984, Canino, che ha ritenuto che l impossibilità di recesso riguardi anche il concorrente esterno dal quale il sodalizio di tipo mafioso ha ricevuto un apporto e sul quale ritiene di poter contare, specie quando l apporto sia stato fornito per un notevole lasso di tempo ed abbia dato vita a rapporti tendenzialmente stabili). Una valutazione diversa, a mio parere, dovrebbe riguardare le altre categorie di indiziati di cui all art. 1 L. n. 575/1965, quale modificato dalla L. n. 125/2008. In tal caso, infatti, il giudizio di pericolosità sociale dovrebbe coniugarsi con la valutazione dell attualità. Quella presunzione di immanenza dell attualità della pericolosità che deriva dall appartenenza all associazione di stampo mafioso, per la particolare natura dell affiliazione ad un sodalizio di tal genere, che non ammette normalmente un abbandono volontario, salva la prova contraria del recesso o della disgregazione del sodalizio, non può essere sic et simpliciter trasferita all ipotesi di indiziato di reato di cui all art. 51, comma 3 bis, c.p.p., e, direi, neppure a quella di indiziato di appartenenza ad associazione ex art. 74 D.P.R.. Il vincolo criminale tra l agevolatore e la consorteria mafiosa, nel primo caso, o tra l associato e l organizzazione diretta al traffico di sostanze stupefacenti, nel secondo, non ha certo quelle caratteristiche di intensità, di irretrattabilità, di definitive e irrevocabili scelte proprie dell associato ex art. 416 bis : tale vincolo può colorare un segmento della vita di un individuo, un periodo delle sue opzioni criminali, ma non può produrre un ultrattività in successivi frammenti dell esistenza in cui tali opzioni risultino abbandonate. Una volta valutata in concreto la pericolosità sociale derivante dalla qualità di indiziato di uno dei reati di cui al comma 3 bis dell art. 51 c.p. e ritenuta l attualità di tale pericolosità, non sarà però necessario prendere in considerazione anche il requisito dell abitualità ai fini dell applicazione della misura di prevenzione personale, rimanendo tale requisito confinato alle ipotesi di cui all art. 1, nn. 1) e 2) L. n. 1423/1956. Va, comunque, precisato, come più volte affermato in giurisprudenza, che il perimetro cronologico del processo di prevenzione può essere diverso da quello preso in considerazione nel processo penale (cfr. Cass., sez. I, 5 ottobre 2006 n , Gashi; Cass. sez. I, 4 luglio 2007, Richichi + 3), nel senso che, a differenza di quanto accertato in sede penale, l arco di tempo della pericolosità sociale desunta dall appartenenza del soggetto ad una consorteria criminale di stampo mafioso può essere più ampio di quello affermato, p.es., dalla sentenza di condanna, appunto perché fondato su elementi indiziari di natura diversa dalle prove certe necessarie a fondare l affermazione della penale responsabilità La motivazione della misura patrimoniale 14

15 La titolarità o disponibilità, anche per interposta persona, fisica o giuridica, di denaro, beni o altra utilità Alcune problematiche di carattere generale sono state esposte con riferimento alla confisca ex art. 12 sexies. E stato sottolineato, in quella sede, come, sia nel caso di interposizione fittizia nel rapporto che nell ipotesi di interposizione di fatto, ciò che rileva è il rapporto signoria che lega il soggetto proposto al bene, nel senso che sullo stesso eserciti un potere di disposizione uti dominus che valga ad escludere gli altri e che non trovi giustificazione in altro rapporto giuridico (p.es., locazione, comodato) che legittimi il possesso e sempre che tale titolo, sulla base di elementi probatori già risultanti dagli atti, non appaia fittiziamente predisposto per simulare una disponibilità piena con una disponibilità a titolo obbligatorio. Molteplici possono essere gli elementi probatori in base ai quali valutare l effettiva disponibilità del bene in capo al proposto: la contiguità del terzo, formale intestatario, con l associazione di cui fa parte il proposto o con lo stesso proposto; la mancanza di disponibilità economiche del terzo; la vendita o l intestazione avvenuta in tempi prossimi al sequestro; la vendita in contanti di beni di rilevante valore; l assenza di titoli comprovanti la vendita; la materiale disponibilità di fatto del bene comprovata da indagini sul campo da parte del proposto. Appare opportuno segnalare il problema, sempre più frequente, della locazione finanziaria: in tal caso appare impossibile sequestrare e, poi, confiscare il bene, rimanendo la titolarità dello stesso in capo al soggetto che concede il bene in leasing e trovando la disponibilità del soggetto proposto giustificazione nello stesso rapporto di locazione finanziaria. Appare possibile, però, - ed è questa la soluzione comunemente adottata dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria - sequestrare la posizione contrattuale del proposto in maniera da poter esercitare, nel corso della gestione del bene, le opzioni proprie del soggetto titolare del contratto di leasing: il riscatto del bene, nel caso in cui appaia conveniente per la procedura, per essere stati corrisposti gran parte dei canoni, o la restituzione del bene alla società locatrice. I commi 13 e 14 dell art. 2 ter, aggiunti dall art. 10, prevedono una forma di presunzione, sino a prova contraria, di intestazione fittizia. Si presumono tali: a). I trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b). I trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione. In tal caso, quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con la sentenza che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione. Appare chiaro che tale presunzione di intestazione fittizia non impedisce di dimostrare che anche altri beni, al di fuori della previsione della norma (perché, p. es., trasferiti antecedentemente ai due anni dalla proposta o trasferiti a titolo oneroso nei 15

16 confronti di persone diverse da quelle elencate nella lett. a), siano stati trasferiti o intestati fittiziamente: in tal caso, però, non vi sarà alcuna inversione dell onere della prova che graverà sul giudice della prevenzione, salva la facoltà del terzo, ai sensi del 5 comma dell art. 2 ter, di svolgere le sue deduzioni e di chiedere l acquisizione di ogni elemento utile. Nell ipotesi introdotta dal legislatore del 2008 si assiste, invece, ad una vera e propria inversione dell onere della prova: graverà sul terzo interessato appartenente alle categorie di cui alle lettere a) e b), dimostrare di avere acquisito il bene in buona fede ed attraverso risorse proprie e commisurate al valore del bene, almeno nelle ipotesi dei trasferimenti e delle intestazioni a titolo oneroso. Certamente più difficoltosa sarà la prova contraria da fornire in caso di trasferimenti o intestazioni a titolo gratuito o, peggio, fiduciario: in tale ultimo caso, presupponendo il trasferimento o l intestazione fiduciaria in re ipsa l assunzione dell obbligazione di trasferire il bene al fiduciante o di amministrarlo per suo conto, non si comprende quale buona fede possa invocare il fiduciario; nel caso, invece, di trasferimento o di intestazione gratuita un margine di prova della buona fede del terzo può sempre essere ipotizzato, anche se naturalmente deve trattarsi di prova rigorosa ricavabile da elementi oggettivi e chiari, che possono essere rinvenuti nei rapporti interpersonali tra il proposto ed il terzo, nella motivazione del trasferimento etc. (si veda, per esempio, una donazione che si fondi sulla gratitudine per un atto compiuto dal terzo nei confronti del proposto, una donazione in favore di un istituto religioso per puri scopi di beneficenza etc.). Naturalmente, nel caso in cui la prova contraria sarà positivamente data, si verterà nell ipotesi di trasferimento legittimo a terzi di buona fede e potrà essere azionata nei confronti del proposto la procedura della confisca per equivalente. Come si vede, si verte solo in un ipotesi di inversione di onere della prova o, meglio, di presunzione semplice superabile attraverso prova contraria, che non priva in alcun modo il terzo della possibilità di allegare e provare, azionando tutti gli strumenti difensivi in suo possesso, che non si è trattato di intestazione fittizia. Il terzo non viene in alcun modo privato della possibilità di provare ed allegare la circostanza che i beni sono stati da lui legittimamente acquisiti; il legislatore ha solo istituito una presunzione che, come tutte le presunzioni, corrisponde all id quoad plerumque accidit, cioè che le cessioni dei beni, da parte di soggetto indiziato, per la sua attività criminosa, di averli acquisiti illecitamente, a prossimi congiunti, o le cessioni fiduciarie o gratuite, siano, in realtà, fittizie. La sproporzione tra i beni confiscabili ed il reddito o l attività economica del proposto. I beni frutto di attività illecite o che ne costituiscono il reimpiego. Il primo periodo del 3 comma dell art. 2 ter L. n. 575/1965 che prevedeva con l applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza è stato sostituito con il seguente: con l applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti è stato instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o 16

17 alla propria attività economica nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. E importante notare, in primo luogo, che tale norma afferisce alla confisca e non al sequestro cautelare, in relazione al quale, sulla base delle ormai consolidate acquisizioni giurisprudenziali, era stata richiesta la sussistenza di una soglia probatoria più bassa rispetto al provvedimento ablatorio vero e proprio. Proprio con riferimento alla confisca, la giurisprudenza della S.C. aveva sottolineato che l'art. 2-ter, terzo comma, della legge 31 maggio 1965 n. 575 non prevede un'inversione dell'onere della prova in tema di legittima provenienza dei beni sequestrati al soggetto indiziato di appartenere a sodalizio mafioso, ma va letto in coordinazione con quella di cui al secondo comma; sicché, pur essendo stata data all'interessato la facoltà di contrapporre agli indizi raccolti dal giudice elementi che ne contrastino la portata ed elidano l'efficacia probatoria degli elementi indizianti offerti dall'accusa, tuttavia rimane intatto l'obbligo del giudice di individuare ed evidenziare gli elementi da cui risulta che determinati beni formalmente intestati a terze persone, siano in realtà nella disponibilità del proposto o che il loro valore sia sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta, e raccogliere "sufficienti" indizi che i predetti beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Ne consegue che, ai fini della confisca, spetta al giudice far "risultare" (ovvero dimostrare) che il proposto ha la piena disponibilità dei beni apparentemente appartenenti a persone diverse o che il loro valore è sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, mentre, ai medesimi fini, bastano "indizi sufficienti" che tali beni siano il frutto delle attività illecite da lui esercitate. (cfr. Cass n. 5897). La norma introdotta dal legislatore del 2008 non sembra aver operato una profonda revisione di tali meccanismi di onere probatorio: spetterà sempre al giudice della prevenzione dimostrare (dovendo in tal senso, secondo l insegnamento della Cassazione, interpretarsi l utilizzo del verbo risultare ) che i beni sono nell effettiva disponibilità della persona nei cui confronti è instaurato il procedimento e che gli stessi hanno un valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all attività economica svolta o che siano frutto o reimpiego di attività illecite (ed in tal senso la soglia probatoria diviene più elevata rispetto a quella precedentemente richiesta, che postulava la sussistenza di indizi sufficienti ); ma, una volta dato prova di ciò, sarà onere del proposto giustificare la legittima provenienza del bene, il che comporta che la presunzione di illecita provenienza del bene il cui valore è sproporzionato rispetto al reddito dichiarato potrà essere superata da una rigorosa prova di legittima acquisizione che grava sul soggetto interessato. Legittima (e non solo lecita) provenienza significa, poi, che tale prova non potrà mai avere ad oggetto l acquisizione del bene attraverso redditi percepiti in nero o, comunque, non dichiarati ai fini delle imposte sul reddito. Già da tempo, del resto, era stato chiarito in giurisprudenza che in tema di misure di prevenzione patrimoniali, poiché le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell indiziato di appartenenza a sodalizi di tipo mafioso tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso, non rileva, nel provvedimento ablativo, l assenza di motivazione in ordine al nesso causale fra presunta condotta mafiosa ed illecito profitto, essendo sufficiente la dimostrazione della illecita provenienza dei beni 17

18 confiscati, qualunque essa sia (cfr., a tale proposito, Cass n ). In applicazione di tali principi era stato affermato: è legittimo il provvedimento di confisca di beni del prevenuto che ne giustifichi il possesso dichiarando di averli acquistati con i proventi dell evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, né assume rilievo in proposito che a seguito del perfezionamento dell iter amministrativo previsto dalla L n. 413 (c.d. condono tombale) le somme di cui all evasione fiscale siano entrate a far parte legittimamente del patrimonio del prevenuto medesimo, dal momento che l illiceità originaria del comportamento con cui se le è procurate continua a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca (cfr. Cass n. 2181). La previsione normativa da ultimo citata fornisce dignità di legge a tale orientamento giurisprudenziale ed in qualche modo lo consolida e lo amplia, sostituendo al concetto di illiceità quello di illegittimità, e consentendo di ritenere illegittima una provenienza che sia stata realizzata non solo in violazione di leggi penali ma anche amministrative, fiscali etc. Va, anche con riferimento a questa novella legislativa, negato che si sia prodotta quella inaudita inversione dell onere della prova affermata, invece, in maniera apodittica dai commentatori più critici nei confronti del sistema delle misure di prevenzione: pericolosità sociale del soggetto; disponibilità in capo a lui dei beni; sproporzione rispetto al reddito dichiarato o all attività economica svolta, sono tutti elementi probatori (costitutivi della fattispecie) che dovranno essere provati dall accusa; spetterà al proposto, una volta formatasi tale prova, giustificare la legittima provenienza, ma ciò rientra perfettamente nei normali canoni probatori, essendo onere di chi vuole elidere gli effetti di una prova già raggiunta quello di allegare e comprovare gli elementi idonei a conseguire tale risultato, tra l altro da lui solo conosciuti (p.es, entrate diverse e non provenienti da evasione fiscale rispetto ai redditi dichiarati, come dazioni di danaro in forma di donazione, risarcimenti del danno, risarcimento da ingiusta detenzione, indennità da riconoscimenti di invalidità, contributi, vincite alla lotteria, etc.). E stato, del resto, anche molto recentemente, ribadito dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost., sentenza n. 225), in una pronuncia in ordine all art. 707 c.p.p., fattispecie che secondo il rimettente stabilirebbe un'inversione dell'onere della prova in danno dell'imputato, che in realtà, al di là della formulazione letterale - "dei quali non giustifichi l'attuale destinazione" ciò che la norma prefigura è solo un onere di allegazione, da parte dell'imputato, delle circostanze da cui possa desumersi la destinazione lecita degli oggetti, che non risultino conosciute o conoscibili dal giudicante. Ancora, con la sentenza n. 05 del 2004 (udienza ) la Corte Costituzionale ha ribadito che la formula senza giustificato motivo il cui carattere elastico si connette come di frequente nella pratica legislativa all impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a giustificare l inosservanza del precetto e la cui valenza riceve adeguata luce dalle finalità dell incriminazione e dal quadro normativo in cui si innesta, implica un semplice onere di allegazione che non comporta alcun inversione di onere della prova. Medesimo concetto è stato espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 464 del 1992, in tema di possesso ingiustificato di valori e con la sentenza n. 14 del 1971 sempre in tema 18

19 di articoli 707 e 708 c.p., richiamandosi, in sintesi, da tale giurisprudenza costituzionale il concetto che non comporta inversione dell onere della prova e che, quindi, non è ravvisabile alcuna lesione del diritto di difesa, il porre a carico dell imputato l onere di fornire giustificazioni a fronte di situazioni di pericolo normativamente tipizzate. Quanto alla confisca dei beni che costituiscono frutto o reimpiego di attività illecita è stato affermato (cfr. Cass. 12 dicembre 2007/7 gennaio 2008 n.228, Campione ) che sono sufficienti indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i beni dei quali si chiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di attività illecite e che il proposto non sia riuscito a dimostrare la legittima provenienza del danaro utilizzato per l'acquisto di tali beni. Ne deriva che al riguardo non si verifica alcuna inversione dell'onere della prova, perché la legge ricollega a fatti sintomatici la presunzione di illecita provenienza dei beni e non alla mancata allegazione della loro lecita provenienza, la cui dimostrazione è idonea a superare quella presunzione. Problema particolare riguarda l individuazione dei beni che costituiscono il reimpiego dell attività illecita. Una recente pronuncia (cfr. Cass., sez. I, 4 luglio 2007/28 agosto 2007, n , Richichi) ha affermato che In virtù dell'art. 2 ter della legge n. 575 del 1965, il sequestro e la successiva confisca non possono indiscriminatamente colpire tutti i beni di coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione personali, bensì solo quelli che si ha motivo di ritenere frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego. Ne consegue che nelle ipotesi in cui il reimpiego del denaro, proveniente da fonte sospetta di illiceità penale, avvenga mediante addizioni, accrescimenti, trasformazioni o miglioramenti di beni già nella disponibilità del soggetto medesimo, in virtù di pregresso acquisto del tutto giustificato da dimostrato titolo lecito, il provvedimento ablativo deve essere rispettoso del generale principio di equità e, per non contrastare il principio costituzionale di cui all'art. 42 Cost., non può coinvolgere il bene nel suo complesso, ma, nell'indispensabile contemperamento delle generali esigenze di prevenzione e difesa sociale con quelle private della garanzia della proprietà tutelabile, deve essere limitato soltanto al valore del bene medesimo, proporzionato all'incremento patrimoniale per il reimpiego in esso effettuato di profitti illeciti. Il che si realizza mediante la confisca della quota ideale del bene, rapportata al maggior valore assunto per effetto del reimpiego e valutata al momento della confisca medesima. Al contrario, qualora si acquisisca la prova che i beni acquistati originariamente siano frutto di attività illecita, tutti i successivi proventi derivanti dallo sfruttamento economico dei predetti beni (p. es. canoni di locazioni, profitti di impresa, interessi passivi da conti correnti, rendite da titoli di stato, dividendi azionari o obbligazionari, etc.) è da ritenere che costituiscano reimpiego da attività illecite e, come tali, siano soggetti a confisca (cfr. Cass. 28 gennaio 1998 n. 479, De Fazio). Un capitolo specifico può essere dedicato alla c.d. impresa mafiosa che trae la sua capacità di imporsi sul mercato non sul fondamento di una razionale organizzazione di risorse economiche in regime di libera concorrenza né su scelte imprenditoriali oculate, ma esclusivamente a mezzo di strategie di penetrazione mafiosa, sia attraverso la forma classica dell intimidazione e dell imposizione del dominio sul territorio con estromissione delle imprese che non godono di pari entrature criminali, sia attraverso sinergie con le istituzioni locali, attuate con la corruzione e con il rilevantissimo peso che deriva dal sodalizio di stampo mafioso di riferimento. 19

20 Ne deriva, in tal caso, che il libero mercato viene del tutto azzerato e sostituito da una rigida ripartizione degli affari sul territorio egemonizzato dalle cosche mafiose, attraverso le imprese che ne costituiscono l espressione. E da ritenere che, in tal caso, lo stesso esercizio dell attività di impresa costituisca frutto o reimpiego di attività illecita in quanto sia la costituzione dell impresa che i proventi che ne derivano costituiscono diretta proiezione dell attività mafiosa del proposto, per cui sia l impresa, costituita in forma individuale o collettiva, che il patrimonio aziendale o societario, che, infine, i profitti ricavati o reinvestiti, siano aggredibili attraverso la confisca di prevenzione. Tale ultimo argomento consente almeno un cenno alla confisca ex art. 3 quinquies L. n. 575/1965. E stato ritenuto che in materia di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, la confisca dei beni che, nel corso del procedimento conclusosi con l'applicazione della misura a carico del proposto, siano stati ritenuti pertinenti ad attività oggettivamente agevolative di quelle mafiose, ai sensi dell'art. 3 quater della legge n. 575, va disposta non sulla base dei criteri riconducibili alla disciplina dettata dall'art. 2 ter di detta legge, ma facendo riferimento ai distinti parametri dello schema procedimentale disegnato dagli artt. 3 quater e 3 quinquies e quindi verificando soltanto, sulla base di univoci e pregnanti elementi indiziari, che trattisi di beni costituenti frutto o reimpiego del frutto di attività illecite, sì da potersi dire realizzata una obiettiva commistione di interessi tra attività d'impresa e attività mafiosa; situazione, questa, nella quale gli effetti del provvedimento ablatorio legittimamente si riflettono sui beni di un imprenditore il quale, pur non sospettato ne' indiziato di appartenenza ad un'associazione di tipo mafioso, tuttavia, per il ruolo oggettivamente agevolatore dell'attività economica da lui esercitata rispetto agli interessi di detta associazione, sia da considerare, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 487 del 1995, "certamente non estraneo nel quadro della complessiva gestione del patrimonio mafioso". (cfr. Cass. 8 febbraio 1999 n. 112). Appare, comunque, evidente che i beni che possono essere oggetto dei provvedimenti di cui agli artt. 3 quater e 3 quinquies non possono coincidere con quelli nella disponibilità, diretta o indiretta, del soggetto agevolato, in quanto, se tali, potrebbero essere immediatamente aggrediti con il sequestro e la confisca di cui agli artt. 2 bis e 2 ter, ma devono essere individuati in quelli rientranti nella disponibilità del terzo esercente l attività economica agevolatrice. Un ultimo cenno va doverosamente fatto alla c.d. confisca per equivalente. L art. 10 della L. n. 125/2008, aggiunge, inoltre, all art. 2 ter il comma 10, prevedendo anche in materia di misure di prevenzione patrimoniale la c.d. confisca per equivalente: se la persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, il sequestro o la confisca hanno ad oggetto denaro o altri beni di valore equivalente. Analogamente si procede quando i beni non possano essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede. Naturalmente la confisca per equivalente non riguarderà il denaro o agli altri beni provenienti direttamente dagli atti di distrazione o di vendita, trattandosi, in tal caso, di reimpiego di attività illecite in quanto ripetono tale natura da quella del bene oggetto di 20

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