Cortina. di Enrico Macioci

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1 Cortina di Enrico Macioci

2 Enrico Macioci Nato a L Aquila nel Ha pubblicato il volume di racconti Terremoto (Terre di Mezzo) nel 2010, e il romanzo La dissoluzione familiare (Indiana) nel Sue liriche e suoi racconti sono usciti presso riviste cartacee e online. Suoi articoli sono apparsi su Nazione Indiana, Vibrisse, Il primo amore, Archivio Bolaño, Atelier.

3 11 Cortina L estate che andai a Cortina ero già uno scrittore, anche se lo sapevo solo io. L estate che andai a Cortina non sapevo molto altro, forse per questo ci andai. L estate che andai a Cortina avevo ventisette anni e nessuno tranne i familiari e gli amici conosceva il mio nome e cognome. Lavorai presso l Hotel Europa pur non vantando alcuna esperienza in ambito alberghiero. Non ricordo per quale motivo l ingegner Codazzi, il padrone dell hotel, mi assunse. Fu una specie di miracolo. O forse fu il destino. O la sorte. Forse la sorte non è che un miracolo del destino, o viceversa. L Hotel Europa era uno degli alberghi più belli e prestigiosi di Cortina, e penso lo sia tuttora. È tantissimo tempo che non vado più a Cortina, temo che andarci mi farebbe male. Temo che andarci mi spaccherebbe il cuore in due, e poi dal cuore spaccato verrebbero fuori i ricordi e mi ucciderebbero. Lavoravo alla reception, spedivo e ritiravo la posta, rispondevo al telefono, fissavo le prenotazioni, accompagnavo i clienti a visitare le stanze, ritiravo i giornali e li portavo nelle camere, coordinavo il ristorante e le cucine, stampavo i menù. Pranzavo alle undici e mezza del mattino e cenavo alle sei e mezza del pomeriggio. Il mio incarico durò due mesi, luglio e agosto, e andò sempre meglio giorno dopo giorno. Il primo settembre ripartii, anche se l ingegner Codazzi mi aveva proposto di rimanere e anche se sarei voluto restare. Ma non potevo restare. Quando ci si tuffa in un avventura, l avventura non può prolungarsi troppo e men che meno tramutarsi in quotidianità. Se accade c è il rischio che l avventura muoia, e allora perché mai uno se la sarebbe sobbarcata? Al tempo di Cortina avevo ripreso a scrivere da pochi mesi, forse cinque o sei, dopo una pausa d oltre un decennio che interruppe un infanzia letterariamente prodigiosa. Si poteva pensare a me come

4 Enrico Macioci a un piccolo Mozart della scrittura, oppure si poteva pensare a me come a un piccolo Raffaello della scrittura, oppure si poteva pensare a me come a un piccolo Gauss della scrittura, ma io pensavo a me stesso come a un grosso, grossissimo problema. Non capii perché fosse toccato a me (miracolo, destino, sorte), ma capii di dovermi fermare se non volevo precipitare in qualche luogo profondo e irto di spine. Quando decisi di riprendere a scrivere, Cortina chiamò. Ignoro perché fu proprio Cortina e non qualunque altro posto a chiamare, né persi un briciolo delle mie forze a domandarmelo, cosa che non farò nemmeno adesso. In quei due mesi conobbi molti ragazzi simpatici e qualche ragazza carina. La più carina si chiamava Marisa e la incontrai il secondo giorno che ero là. Mi piacque subito e io le piacqui subito. Lei era fidanzata e io no, ragion per cui ci baciammo soltanto la sera precedente alla mia partenza. Nel mezzo io scrissi il mio primo romanzo. Il romanzo s intitolava L alba ed ebbe un insperato successo di critica e pubblico. Non che venga considerato il novello Guerra e pace, né ha venduto milioni di copie, ma riuscì a farmi diventare agli occhi degli altri lo scrittore che ai miei occhi ero già, rendendo insopportabilmente popolari il mio nome e il mio cognome. Il romanzo narrava (ne parlo al passato perché non lo rileggo da decenni) la storia d un giovane scrittore errabondo che durante un esperienza lavorativa sulle Dolomiti s innamorava, ricambiato, d una cameriera di piano. Il sentimento fra i due era però ostacolato dal ragazzo di lei, un tipo violento che scoperta la tresca picchiava lo scrittore di santa ragione sin quasi a ucciderlo, ragion per cui l amore fra lo scrittore e la cameriera naufragava in un malinconico concerto di sangue, lacrime e addii. Si trattava in fin dei conti di un opera ingenua ma gradevole, la cui efficacia risiedeva nello smaccato autobiografismo (in realtà il 12

5 13 Cortina fidanzato di Marisa non mi picchiò mai e io non ebbi mai la ventura d incontrarlo, ma ne sentii parlare spesso come d un individuo forzuto e geloso), che scrissi furiosamente a penna nella pausa pranzo su un quaderno a quadretti, chino sul tavolo del minuscolo appartamento dove alloggiavo. Terminai il romanzo tre giorni prima della scadenza del mio incarico presso l Hotel Europa. Tutti sapevano che stavo scrivendo una storia su Marisa e su di me, Marisa inclusa, ma lei non volle né accettare il quaderno a quadretti (feci delle fotocopie, le avrei regalato l originale vergato di mio pugno) né ascoltare qualche passo. Provai a convincerla in ogni maniera. Sedevamo nella mia auto sul retro dell Hotel, all ombra fitta di certi pini alti e odorosi che sembravano toccare la roccia delle Tofane, e io insistevo. Marisa non accettò. Fu dolcemente irremovibile. In compenso la sera dopo, sempre nella mia auto e sempre sotto i pini alti e odorosi, ci baciammo a lungo. Non ci fu altro fra noi. Lei non si tolse nemmeno la divisa da cameriera e mi permise a malapena d infilarle una mano nella camicetta. Ricordo che quando scese dalla macchina un ricciolo le era sfuggito dalla cuffia, e che stava cominciando a piovere da un cielo nuvolo e grigio, mentre un freddo prematuro, invernale, scendeva dai canaloni e dalle abetaie. L alba fu pubblicato da Einaudi Stile Libero un anno e mezzo dopo. Due anni dopo ne trassero un film che s avvalse di attori piuttosto famosi, e al botteghino andò forte. Ciò mi rese indipendente economicamente e appetibile sessualmente. I miei amici di Cortina lessero il libro che spedii loro in regalo, una copia ciascuno. Lo lessero tutti e tutti me ne diedero un riscontro tranne Marisa. Io ne dedussi che il suo fidanzato fosse furibondo oppure che lei preferisse glissare, e gli altri non m informarono al riguardo. L argomento fu ammantato da un silenzio di pietra. Una sera verso le undici squillò il telefono

6 Enrico Macioci di casa. Era fine giugno o forse luglio, e me ne stavo in compagnia d una granita alla menta a riflettere sul senso della vita oppure sulla maniera più semplice per rimorchiare la compagna (poco attraente ma invero affascinante) d un famoso poeta, conosciuta a una cena culturale. Risposi al telefono ma dall altra parte dell apparecchio non parlò nessuno. Dissi: «Pronto!», più forte ma non parlò nessuno, e qualcuno sospirò. Dissi: «Pronto!», una terza volta e riattaccarono. Non so perché, ma pensai si trattasse di Marisa. Il secondo romanzo che pubblicai, intitolato La pianura fantasma, fu assai più lungo e impegnativo de L alba (trattava d un mondo post-apocalittico alla stregua dei libri di Cormac McCarthy o di Stephen King), mi richiese quattro anni di fatica improba e nevrotici tormenti, ma vendette poco e non fu accolto con favore dalla critica. Io ne rimasi assai deluso e per tutta risposta odiai L alba con sincero ardore. Durante il mio giro di presentazioni de La pianura fantasma spesso i critici e i lettori ponevano domande su L alba, e la faccenda mi mandava in bestia; un paio di volte risposi male. Durante una di tali presentazioni, nel corso del festival letterario di Pordenone, notai una ragazza bionda, alta, carina, con un vestito blu e stivali rossi, ritta in fondo alla sala, che mi guardava attenta. Al termine della presentazione la ragazza s avvicinò per chiedermi una copia autografata del libro, e poi mi domandò a bassa voce se quella sera m andasse d uscire con lei. Risposi di sì a voce altrettanto bassa. Ridacchiammo entrambi e io mi sentii un idiota. La ragazza si chiamava Dora. Veniva giù una pioggia fitta e dolce, una sinfonia d aghi argentati. Cenammo in un ristorante romantico al centro di Pordenone e poi lei venne a dormire nella mia stanza d albergo, senza neppure tergiversare un po. La pioggia sul tetto batteva piano ma costante. Facemmo l amore quattro 14

7 15 Cortina volte e ci addormentammo abbracciati. Quando ci svegliammo Dora sembrava più fredda e distaccata della sera prima, la versione adulta della bionda ninfa notturna. Si alzò e s avvolse attorno al corpo un asciugamano bianco provocandomi una fitta di desiderio, si fece la doccia e tornò da me in una nube di vapore. S accoccolò al mio fianco e carezzandomi la nuca mi disse di dover scappare al lavoro. Io le chiesi che lavoro faceva e lei mi disse che lavorava in banca, era cassiera e s annoiava a morte, e per non morire aveva deciso di sedurre e scoparsi uno scrittore famoso. Io replicai di non essere famoso, e lei rise e disse che non ero nemmeno uno sconosciuto come lei e come il novantanove per cento delle persone, scrittori oppure no. Io le dissi che diventare famosi non era solo bello ma aveva i suoi lati negativi e lei m interruppe posandomi l indice sulle labbra e pregandomi di non ripeterle la solita stronzata di quant è dura la vita del vip. Io le dissi di non essere un vip e lei mi disse che La pianura fantasma non le era piaciuto per nulla ed era venuta a letto con me esclusivamente per via de L alba. «L alba sì è una bella storia», disse Dora annuendo convinta dentro l asciugamano e smuovendo i capelli umidi e fragranti di shampoo. «L alba è la storia che mi sarebbe piaciuto vivere e che non vivrò mai. L alba è la storia che a ogni donna piacerebbe vivere, e beata la tua camerierina seppure esiste, e se esiste non lo voglio punto sapere». Dora disse così e poi, quasi offesa, lasciò cadere sulla moquette l asciugamano, si rivestì in fretta e se ne andò. Quel giorno e i giorni successivi ripensai spesso a Marisa e mi domandai dove stava, come se la cavava, se era sposata col fidanzato geloso oppure se si fossero lasciati, magari a causa del mio libro. Fui tentato di contattare qualcuno degli amici di Cortina per ottenere informazioni al riguardo, ma alla fine rinunciai.

8 Enrico Macioci Il mio terzo libro fu una massiccia raccolta di racconti intitolata Stelle in fuga. Mi costò tre anni di massacrante applicazione. L accoglienza da parte della critica fu tiepida e da parte del pubblico pessima. Dov è finito, si domandò un critico insigne sulle pagine culturali d un noto quotidiano, il narratore squisito, accattivante e semplicemente ma splendidamente lirico de L alba? Forse rischiamo d averlo perso per sempre. Forse L alba è stato uno di quei rari esordi che sono già un canto del cigno. Io afferrai il giornale e lo strappai in mille pezzi, guadagnandomi lo sguardo di rimprovero d una vecchietta che sedeva sulla panca accanto alla mia gettando ai piccioni enormi pezzi di mollica. La sera stessa mi sbronzai. Il giorno successivo andai a Roma per presentare Stelle in fuga nell ambito d un festival letterario. Alloggiai presso l Hotel Europa. L omonimia con l albergo di Cortina non mancò d inquietarmi. La presentazione durò dalle sei alle otto del pomeriggio. Alle dieci, dopo un cocktail noiosissimo, ero esanime sul letto. Alle dieci e dieci il telefono squillò, ridestandomi da un torpore denso come un fondo di bottiglia. Risposi e il tizio della reception disse che mi passava una signora. Io snebbiai subito, strinsi più forte la cornetta e chiesi chi fosse, e lui mi disse trattarsi d una certa Laura. Non collegai il nome ad alcun volto ma ordinai comunque di passarmela. Il tizio mi passò la chiamata ma dall altra parte nessuno parlava. Dissi: «Pronto, chi è?», ma nessuno rispose e qualcuno sospirò. Dissi ancora: «Pronto, chi è?», e riattaccarono. Steso sul letto mi misi a pensare, con le mani incrociate dietro la testa e lo sguardo fisso al lampadario. L unica Laura che mi sovveniva era una delle cameriere di piano con cui feci amicizia a Cortina, una donna bruna e simpatica originaria della provincia di Bari, ma quale motivo poteva spingerla dopo tanto tempo a chiamarmi? E come aveva fatto a rintracciarmi fino a Roma? Poi d un tratto fui certo che 16

9 17 Cortina dietro il nome di Laura si nascondesse Marisa, che Marisa avesse voluto lanciarmi un messaggio cifrato. Ma perché? E qual era il senso del messaggio? M addormentai in preda a questa convinzione bizzarra e carezzevole, una specie d amaro conforto non sapevo in chi, in cosa. Quando l indomani mi svegliai non la pensavo più così, anzi mi sembrava assurdo aver potuto concepire simili idee e addirittura dubitai che la telefonata si fosse mai verificata al cocktail subito dopo la presentazione di Stelle in fuga avevo bevuto parecchio. Composi il numero della reception e domandai al tizio se rammentasse la telefonata che la sera prima lui stesso m aveva passato verso le dieci. «Una certa Laura», dissi. «Ricorda?» Ma il tizio era un altro tizio che faceva il turno giornaliero e non ne sapeva un tubo della telefonata. Mi disse che se lo desideravo poteva informarsi presso il collega del turno di notte e poi farmi sapere, ma replicai in malo modo di lasciar perdere e riagganciai. Il mio quarto e ultimo libro s intitolò Cannoni in festa, un romanzo storico di ottocento pagine in cui si svolge pure una vicenda amorosa. Per scriverlo impiegai sette anni abbondanti, e persi parecchi capelli e svariate compagne che non ressero la mia dedizione totale all opera. La vicenda amorosa si dipana sullo sfondo della guerra del Golfo, fra un americano e una palestinese. Alla fine lui muore falciato da una scarica di mitragliatrice e lei finisce in un bordello, dove s ammala d epatite e diventa un mostro di bruttezza. Il romanzo fu un flop totale che sancì il mio definitivo tramonto come romanziere (e debbo confessare che è stato giusto così). Fu stroncato dalla critica e ignorato dai lettori, per i quali io continuavo a essere pur sempre il brillante giovanotto che li aveva fatti sognare tanto tempo prima grazie a L alba. L insuccesso mi precipitò in condizioni economiche difficili.

10 Enrico Macioci Per la prima volta dall uscita de L alba ripresi a lavorare. M impiegai presso una casa editrice come correttore di bozze, poi cominciai a tenere corsi di scrittura creativa in giro per l Italia. Uno dei corsi lo tenni a Firenze, presso un vetusto circolo ricreativo. Fra gli altri partecipò una giovane piuttosto avvenente. Il corso durò quattro lezioni suddivise in due fine settimana. Al termine del secondo fine settimana la ragazza m invitò a prendere un aperitivo. Accettai. Dopo l aperitivo fui io a invitarla a cena. Accettò. Mi piaceva. Il suo talento letterario era penoso. Dopo cena camminammo un po per il centro. Era una sera autunnale morbida e piena di cantucci e quasi senza accorgercene ci prendemmo per mano, proprio sotto il Palazzo della Signoria screziato da piccoli fari arancio. Lei indossava un soprabito color pastello e guanti blu. Lasciai la sua mano e le cinsi la vita col braccio. La sua vita si rivelò confortevole. Camminando e parlando di poeti e scrittori arrivammo fino a Ponte Vecchio. L Arno era uno sciacquio di tenebra entro cui galleggiavano i lampioni e qualche straccio lunare. Andammo nella mia camera d albergo e facemmo sesso per tre ore di fila. Mentre la ragazza mi schiacciava il volto fra i seni domandò se fosse una brava scrittrice, e io risposi leccandole i capezzoli che era una scrittrice fantastica. Lei disse che io avevo scritto solamente un buon romanzo e cioè L alba, e il resto della mia produzione faceva schifo, era spazzatura. Disse che ero una merda. Lo disse felice. Sul momento la cosa mi eccitò e leccai le sue gambe giù giù fino ai polpacci. Lei si rizzò sul letto, sollevò il piede destro e me lo piantò in faccia, e io leccai e sentii sapore di pelle e sudore e cuoio mentre lei continuava a ripetermi dall alto che ero un romanziere di second ordine, anzi d infimo ordine, che avevo avuto fortuna all esordio e poi m ero perso come un miserabile da quattro soldi. Mentre diceva così mi ficcava il piede in bocca e godeva, e anch io 18

11 19 Cortina godevo, e mentre godevo pensavo che durante il corso la ragazza s era comportata nei miei confronti con estrema educazione e impeccabile rispetto. Poi venni. Il giorno dopo era lunedì e la ragazza, che si chiamava Gloria, aveva lezione all università. Io decisi di prolungare il mio soggiorno a Firenze per trascorrere un altra notte con lei. Ogni tanto mi rigiravo la lingua fra i denti, e mi pareva di sentire sapore di pelle sudata e cuoio. A metà mattina, risalendo in camera dopo una lauta colazione, scorsi nella penombra del corridoio una cameriera che mi sembrò Marisa. La cameriera stava sparendo dietro l angolo dall altra parte del corridoio e le somigliava. Soprattutto il modo di camminare era il medesimo, e prima di reagire ebbi tempo di rendermi conto sbigottito che l andatura di Marisa era forse la caratteristica di lei che ricordavo meglio. Il cuore mi balzò in gola e provai a gridare: «Un attimo! Aspetti!», ma la voce uscì strozzata e poi era assurdo darle del lei se lei era Marisa. Corsi verso l angolo dietro cui la cameriera era sparita e per la prima volta m accorsi di quanto fosse patetico il mio stato fisico. Raggiunsi l angolo e svoltai, e davanti a me vidi un altro lungo corridoio, vuoto come una spiaggia a dicembre. Pensai che la cameriera doveva essere entrata in qualche stanza e controllai le porte una per una, ma erano tutte chiuse. Non s udivano rumori tranne alcuni mugugni, probabilmente gli ospiti che domandavano chi fosse a girare la maniglia della porta. L ascensore era fermo al terzo piano, quello subito sopra il mio. Raggiunsi le scale e salii al terzo piano col cuore sfarfallante e l affanno. Vidi la porta semiaperta d una camera e col fiato sospeso spalancai la porta precipitandomi dentro. Una cameriera girò su sé stessa urlando per lo spavento e lasciando cadere la scopa per terra, e io mi scusai. Si trattava d una signora anziana, più grassa che robusta, con crespi e candidi capelli avvolti in una crocchia monumentale.

12 Enrico Macioci Le spiegai d aver sbagliato stanza e tornai giù. Trascorsi le ore successive a fissare il telefono della camera nella speranza che squillasse, ma il telefono non squillò. Alle cinque disdissi la prenotazione per il resto del pomeriggio e per la notte, e senza darmi pena d avvisare Gloria me ne andai via da Firenze. In fondo, se davvero lo volessi, potrei rintracciare Marisa in un baleno. I nostri comuni amici di Cortina sono rimasti in contatto con lei e sanno dov ella viva e con chi. Ogni tanto sento ancora qualcuno di loro (qualcun altro non lo sento più, qualcun altro è morto), ma non ho mai chiesto una volta di Marisa e loro non ne hanno mai parlato. Il loro mutismo mi sembra eloquente. Senz altro Marisa non si trova più a Cortina da gran tempo ormai. Senz altro avrà la sua vita più di quanto io non abbia la mia, che non c è. Forse la cosa che più mi piacerebbe sapere è se quel dannato libro (parlo de L alba) Marisa l abbia letto oppure no, e cosa abbia pensato leggendolo. Insomma, l hanno letto tutti, possibile che proprio lei non l abbia letto? Io continuo a ritenerlo un libro abbastanza scadente e sopravvalutato, una discreta opera prima e basta; e ritengo che i libri scritti dopo siano di gran lunga migliori (a parte forse Cannoni in festa). Ma questo è un pensiero cui sono obbligato per non impazzire o suicidarmi, per non ammettere cose che finirebbero con lo schiacciarmi. Forse prima di morire tornerò a Cortina, all Hotel Europa; potrei persino andare a rivedere il piccolo appartamento dove scrissi L alba, tutti i giorni durante la pausa lavorativa, nel luglio e agosto di tanti anni fa, correndo con la penna sui fogli del quaderno a quadretti fino a che il polso mi doleva; forse davvero mi deciderò a chiedere alla signora che l affittava (se è ancora viva) di farmi entrare e allora respirerò a fondo e chiuderò gli occhi e mi concentrerò, tentando di catturare il passato che somiglia a tenere farfalle vorticanti; starò 20

13 Cortina ritto al centro del piccolo soggiorno accucciato sotto l onda dei boschi, e ripenserò a quando la mattina si riversavano dalla finestra lo smeraldo dei prati e i fumi trasparenti delle malghe e la luce rarefatta dei cedri, e poi a quando nelle prime ore del pomeriggio, con accanto la caffettiera e la tazzina e il pacchetto di sigarette e il posacenere, scrissi freneticamente, incoscientemente, magicamente L alba. Non ho mai più scritto con quella fluida felicità, con quell innocenza fresca come pioggia d aprile. Mai più. 21

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