CASSAZIONE Sezione prima civile sentenza 18 novembre aprile 2004, n Svolgimento del processo

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1 CASSAZIONE Sezione prima civile sentenza 18 novembre aprile 2004, n Svolgimento del processo Con ricorso, proposto ai sensi dell articolo 274 Cc, A. E. adì il Tribunale di Ancona, esponendo: a) che egli, pur essendo nato (*********) in costanza di matrimonio tra la madre A. M. ed il signor P. E., era in realtà figlio naturale del dott. C. B., nato a ******** il ************ed ivi deceduto il ********; b) che egli fin da piccolo aveva conosciuto l identità di suo padre, in quanto essa gli era stata confessata dalla madre, gli era stata ribadita da P. E. e gli era stata confermata dal dott. B.; c) che egli mai aveva iniziato l azione per disconoscere la paternità legittima (e quindi l azione per la dichiarazione di paternità naturale), sia per mancanza di mezzi finanziari sia per le ripetute assicurazioni del dott. B.. il quale più volte aveva dichiarato a lui e alla madre di aver predisposto la divisione dei suoi beni tra i tre figli e di aver stilato a tal fine un testamento, portato a conoscenza dei suoi figli legittimi; d) che non aveva avuto motivo per dubitare di tali assicurazioni, avuto riguardo ai continui aiuti finanziari e morali a lui concessi. Su tali premesse egli chiese che il Tribunale dichiarasse ammissibile l azione diretta ad ottenere gli alimenti, ai sensi dell articolo 279 Cc, azione che intendeva proporre nei confronti degli eredi del suo defunto padre naturale C. B.. Costoro si costituirono, nelle persone del coniuge superstite R. B. M. e dei figli legittimi G. ed O. B.. La prima eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, avendo rinunciato all eredità, e gli altri due sostennero l inammissibilità o l infondatezza del ricorso. Il Tribunale di Ancona, con decreto depositato il , dichiarò il ricorso inammissibile in quanto, ai sensi dell articolo 279 Cc, gli alimenti spettano al figlio naturale, se maggiorenne e in stato di bisogno, in ogni caso in cui non può proporsi l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, azione nella specie non esercitata per scelta dipendente dalla volontà della parte (e non per impossibilità assoluta e originaria), sicché tale scelta impediva il riconoscimento del diritto azionato. Contro detta pronunzia l E. propose reclamo, sostenendo che essa era erronea, non essendo possibile accertare in un procedimento a carattere sommario qual è quello previsto dall articolo 274 Cc le ragioni per cui l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale non era stata proposta. Osservò, inoltre, che l interpretazione fatta propria dal Tribunale conduceva a violare l articolo 3 della Costituzione, perché creava una palese disparità di trattamento tra soggetti aventi gli stessi diritti. Infine, pur volendo considerare tale interpretazione esatta, i primi giudici avrebbero dovuto valutare se la mancata proposizione dell azione fosse riconducibile alla volontà del ricorrente di conservare lo stato di figlio legittimo, con rinunzia ad acquisire quello di figlio naturale. L E., comunque, ribadì l impossibilità d iniziare una causa di disconoscimento nei confronti del padre legittimo, data la propria carenza di mezzi finanziari. Chiese, quindi, che - in riforma del provvedimento impugnato - l azione ex articolo 279 Cc fosse dichiarata ammissibile, dopo avere assunto (occorrendo) le informazioni del caso. In subordine, sollevò questione di legittimità costituzionale in relazione all articolo 274 Cc per contrasto con l articolo 3 della Costituzione. La Corte di appello di Ancona, con decreto depositato il 24 maggio 2001, respinse il reclamo e dichiarò compensate le spese della procedura. La Corte territoriale rilevò, in primo luogo, che il giudice della fase preliminare concernente il procedimento ai sensi dell articolo 279 Cc doveva non soltanto effettuare una delibazione sommaria del fatto ma anche esaminare le questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito, idonee a risolvere immediatamente la controversia. In ordine all interpretazione della detta norma osservò che la giurisprudenza più recente di questa Corte aveva posto in luce che il diritto all assegno - previsto dall articolo 580 Cc (in cui si traduceva il diritto agli alimenti di cui all articolo 279 Cc) - spettava al figlio naturale soggetto ad un divieto assoluto di riconoscimento e non anche al figlio naturale che, divenuto maggiorenne, avesse consapevolmente rinunciato al riconoscimento, preferendo la conservazione dello stato di figlio legittimo. Questa interpretazione (che sottraeva la normativa de qua alla dedotta illegittimità costituzionale) era riconducibile al fatto che l interessato non doveva trarre alcun indebito vantaggio dalla duplice condizione di figlio legittimo e di figlio naturale, perché la legge lo poneva davanti alla libera ma doverosa scelta di decidere nell uno o nell altro senso. Pag. 1 a 6

2 In questo quadro la Corte di merito passò a verificare se, nel caso in esame, fosse intervenuta una consapevole rinunzia dell istante a proporre l azione di disconoscimento di paternità, al fine di conservare lo status di figlio legittimo. Ritenne che il primo argomento addotto dall E., secondo cui egli non aveva i mezzi finanziari sufficienti per tale azione, non fosse fondato perché egli avrebbe ben potuto avvalersi del gratuito patrocinio, come aveva fatto in questa sede, e ritenne del pari infondato il secondo argomento (in base al quale l E. non avrebbe proposto l azione a seguito delle assicurazioni ricevute dal padre naturale circa la divisione dei beni di quest ultimo), perché la scelta di non agire in giudizio rientrava nelle motivazioni personali che avevano condotto Il reclamante a preferire la conservazione dello stato di figlio legittimo. Contro il suddetto decreto A. E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Gli intimati. R. M., O. e G. B., non hanno svolto in questa sede attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo mezzo di cassazione il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell articolo 274 Cc. Detta norma, richiamata dal successivo articolo 279, sarebbe diretta a disciplinare l espletamento di un giudizio sommario, avente lo scopo di verificare in fatto se sussistano le condizioni per ammettere l azione prevista dal citato articolo 279. L accertamento delle cause, che condussero a non proporre l azione per il disconoscimento della paternità legittima, sarebbe estraneo a quel procedimento, considerato il carattere sommario di esso che non consentirebbe l attività istruttoria necessaria per effettuare l accertamento medesimo. L orientamento secondo cui il giudice della fase preliminare, oltre ad esprimere il giudizio di probabilità del fatto dovrebbe anche esaminare le questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito (tra le quali i motivi d improponibilità della domanda), non sarebbe esatto. Esso finirebbe col violare lo spirito dell articolo 274 Cc che, se da un lato intende evitare giudizi temerari, dall altro contempera detta esigenza con quella, ancor più meritevole di tutela, volta a garantire una giusta protezione alla prole. In realtà la procedura prevista dal citato articolo 274 avrebbe soltanto la finalità di accertare (in via sommaria) la mera non infondatezza della futura domanda, precludendo qualsiasi altra indagine sul merito, destinata ad essere affrontata nel successivo giudizio da istituire. Perciò la Corte di Ancona avrebbe violato o erroneamente applicato la normativa de qua, essendosi arrogata il potere di decidere su questioni di merito definendole, a torto, questioni preliminari. Il motivo non è fondato. Come questa Corte ha già chiarito, trattando del procedimento ex articolo 274 Cc, il giudice chiamato a rendere la pronuncia sull ammissibilità, dell azione per la dichiarazione giudiziale di paternità - che definisce non una fase di un unico rapporto processuale ma un procedimento autonomo e distinto, ancorché collegato a quello sul fondamento nel merito della relativa domanda -deve esaminare non soltanto le questioni pregiudiziali di rito ma anche quelle preliminari di merito, tra cui i motivi d improponibilità della domanda che valgono a risolvere immediatamente la controversia (Cassazione, 8190/98; 7644/95; Su, 7447/93). Tale principio è applicabile anche quando si verta nella specifica ipotesi contemplata dall articolo 279 Cc, dal momento che detta norma opera un richiamo pieno all articolo 274, con la sola modifica che il provvedimento ammissivo è definito autorizzazione. Ed esso si sottrae alle censure mosse dal ricorrente. È vero, infatti, che la pronuncia prevista dall articolo 274 Cc, atteso il carattere sommario del relativo procedimento, postula soltanto il riscontro della mera non infondatezza della domanda, il cui effettivo fondamento deve essere accertato nel successivo giudizio di merito. Ma ciò non significa che il giudice di quel procedimento debba trascurare totalmente i presupposti e le condizioni della domanda stessa. Come questa Corte ha già rilevato nella menzionata sentenza n del 1993, anche il giudizio di ammissibilità necessita di un parametro normativo alla stregua del quale il giudice è chiamato a decidere, con riguardo sia ai presupposti processuali (giurisdizione, competenza, legittimazione ad processum contraddittorio e cosi via) sia alle condizioni dell azione ed al suo fondamento nel merito. Il giudice, quindi deve verificare anche la rispondenza della domanda di ammissibilità alle norme sostanziali che ritenga applicabili alla stessa. Che l articolo 274 Cc descriva l oggetto del giudizio in termini fattuali specifiche circostanze ) non significa che quelle circostanze non possano essere già valutate sotto il profilo giuridico e che, più in generale, non possano essere prese in esame le questioni preliminari di merito. Diversamente opinando, resterebbe inibito al giudice del procedimento ex articolo 274 Cc di verificare l astratta rispondenza dell azione al modello legale previsto, col risultato di non Pag. 2 a 6

3 permettere la declaratoria d inammissibilità di domande manifestamente estranee a quel modello e, dunque, con la conseguenza di eludere in toto la finalità perseguita dal legislatore con la previsione del filtro stabilito dalla citata norma. Nel caso in esame, la Corte di appello ha, per l appunto, verificato la rispondenza della domanda di ammissibilità (o di autorizzazione, come si esprime l an 279 Cc) al modello legale descritto nella norma ora indicata, e tale indagine - di puro diritto e suscettibile di risolvere immediatamente la controversia - andava senz altro compiuta, salva la verifica (cui si procederà più avanti) relativa alla conformità al diritto del risultato ermeneutico raggiunto. Da quanto esposto consegue che il primo motivo del ricorso deve essere respinto. Col secondo mezzo di cassazione il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell articolo 279 Cc e chiede la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per violazione dell articolo 3 della Costituzione. Richiamato il tenore dell articolo 279 nel testo precedente alla riforma attuata con la legge 151/75 e nel testo vigente, il ricorrente sostiene che il legislatore, togliendo l avverbio più dal dettato normativo, avrebbe inteso «ridurre le circostanze impeditive solo ai casi d impossibilità assoluta originaria e non a quelli dipendenti dalla volontà dell interessato» (ricorso, pag. 6), evitando cosi un trattamento discriminatorio tra due soggetti aventi gli stessi diritti nei confronti del padre naturale. Il soggetto, quindi, sarebbe stato liberato dall onere di proporre in termini brevi un azione comunque ingrata, senza vedersi poi costretto a giustificare i motivi che l avevano indotto a tenere quel comportamento omissivo. In sostanza, il legislatore avrebbe scelto di non penalizzare la parte che, pur potendo vantare un diritto imprescrittibile, avesse omesso per qualsiasi ragione di disconoscere il padre legittimo. Opinare in senso contrario significherebbe violare l articolo 3 della Costituzione, dando luogo ad una evidente disparità di trattamento tra soggetti aventi gli stessi diritti. Con il terzo mezzo di cassazione il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell articolo 580 in riferimento all articolo 279 Cc, nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Il decreto impugnato, interpretando l espressione «in ogni caso in cui non può proporsi l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità», avrebbe aderito all orientamento (espresso anche dalla giurisprudenza di questa Corte) secondo cui il diritto all assegno previsto dall articolo 580 Cc, nel quale si traduce il diritto agli alimenti contemplato dall articolo 279 dello stesso codice, spetterebbe al figlio naturale soggetto ad un divieto assoluto di riconoscimento e non anche al figlio naturale che, divenuto maggiorenne, abbia consapevolmente rinunziato al riconoscimento per lo specifico motivo di preferire la conservazione dello stato di figlio legittimo. Tale conclusione non andrebbe condivisa, sia perché frutto di un errata interpretazione della legge, sia perché soltanto in apparenza sarebbe in linea con la giurisprudenza di questa Corte. In primo luogo l articolo 279 Cc non potrebbe essere interpretato nel modo indicato stante il carattere generico del dettato normativo («in ogni caso in cui non può proporsi l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità»), avuto riguardo alla modifica della norma introdotta con la riforma del Se fosse esatta l interpretazione dell articolo 279 sostenuta dalla Corte di appello di Ancona detta norma sarebbe applicabile soltanto alla filiazione incestuosa, ma allora non si capirebbe perché il legislatore abbia continuato ad utilizzare la citata espressione, della quale la portata generale risulterebbe evidente. Del resto, questa Colle in passato avrebbe considerato ammissibile l azione ex articolo 279 Cc anche nei casi in cui la paternità o la maternità del figlio fossero giudizialmente dichiarabili ma, in concreto, non dichiarate, e tale opinione sarebbe condivisa in dottrina, in coerenza con la cosiddetta responsabilità da procreazione, sussistente verso ogni figlio in base all articolo 30 della Costituzione, alla stregua del quale lo stesso articolo 279 andrebbe interpretato. Inoltre, anche la più recente giurisprudenza di questa Corte escluderebbe dalla legittimazione ad agire colui che abbia rinunciato al riconoscimento in modo consapevole, con esplicito riferimento alla volontaria scelta della non contestazione dello status di figlio legittimo, pure in presenza delle condizioni previste per il disconoscimento del padre legittimo ed in assenza di cause di forza maggiore impeditive del tempestivo esercizio dell azione. Nel caso in esame il ricorrente non sarebbe stato in grado di esercitare una scelta consapevole, avendo fatto affidamento sulle parole del padre naturale che nei fatti lo aveva mantenuto, educato ed istruito, come sarebbe ben dimostrabile nel giudizio di merito. Pag. 3 a 6

4 L E., promuovendo il giudizio (ed a parte la precarietà delle sue condizioni economiche), non avrebbe potuto correre il rischio d inimicarsi il detto padre naturale, che lo manteneva agli studi, sicché nella specie sarebbe ravvisabile proprio una causa di forza maggiore. La pronunzia della Corte territoriale sarebbe altresì errata, perché avrebbe omesso di verificare la sussistenza di una consapevole rinunzia all azione, rinunzia che non potrebbe desumersi dalla mera inerzia ma dovrebbe trarsi da un comportamento contrario in modo inequivocabile alla volontà di esercitare il diritto. In ogni caso sarebbe spettato ai convenuti l onere di provare che l E. aveva consapevolmente rinunciato all azione di disconoscimento di paternità, avendo preferito conservare lo stato di figlio legittimo. I due motivi, che - essendo tra loro connessi - devono formare oggetto di esame congiunto, sono fondati nei sensi in prosieguo indicati. L articolo 279, primo comma, Cc dispone: «In ogni caso in cui non può proporsi l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il figlio naturale può agire per ottenere il mantenimento, l istruzione e l educazione. Il figlio naturale se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti». Come si vede la norma (richiamata dagli articoli 580 e 594, rispettivamente per le successioni legittime e per quelle testamentarie) contiene due precetti. Il primo (concernente il mantenimento) riguarda il figlio naturale senza riferimenti all età, sicché la norma contempla sia il minorenne sia il maggiorenne che non abbia ancora raggiunto una propria autonomia e indipendenza economica (costituendo ormai ius receptum il principio secondo cui il dovere del genitore di mantenere il figlio non cessa al compimento della maggiore età ma può invece protrarsi, secondo le circostanze da apprezzare caso per caso, fino a quando egli non abbia raggiunto una propria indipendenza). Il secondo prevede l ipotesi in cui il figlio, divenuto maggiorenne e per il quale più non si siano poste esigenze di mantenimento, istruzione, educazione, venga però poi a trovarsi in stato di bisogno; in tal caso la legge lo legittima a chiedere gli alimenti. In entrambe le ipotesi la legittimazione ad agire è attribuita «in ogni caso in cui non può proporsi l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità». E tale requisito è richiesto anche per il diritto all assegno di cui agli articoli 580 e 594 Cc, stante il richiamo al citato articolo 279 contenuto nelle dette norme. Va chiarito, peraltro, che, pur in presenza di tale richiamo, le due azioni previste dall articolo 279, primo comma, Cc restano distinte da quelle relative al diritto successorio (aventi ad oggetto un assegno vitalizio), derivanti per le eredità ab intestato dall articolo 580 Cc e per quelle testamentarie dal successivo articolo 594 (v., al riguardo, Cassazione, 467/86, in motivazione). Nel caso di specie, come risulta dal decreto impugnato (ma, in parte qua non censurato), A. E. ha chiesto la declaratoria di ammissibilità dell azione per ottenere gli alimenti ex articolo 279 Cc, sicché nell ambito di tale norma (e con riguardo alla questione preliminare trattata nel provvedimento impugnato) l indagine deve restare circoscritta. Ciò posto, il collegio ritiene che l interpretazione del citato articolo 279 (primo comma), cui la Corte distrettuale è pervenuta, non possa essere condivisa. Invero, come sopra si è notato, detta norma attribuisce al figlio naturale il diritto di agire per ottenere il mantenimento, l istruzione e l educazione, nonché, se maggiorenne e in stato di bisogno, per ottenere gli alimenti, «in ogni caso in cui non può proporsi l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità». Secondo l avviso espresso dalla Corte di merito, tale diritto spetterebbe al figlio naturale soltanto in presenza di una impossibilità assoluta ed originaria di proporre l azione per la dichiarazione indicata; non spetterebbe invece al figlio naturale che, divenuto maggiorenne, abbia consapevolmente rinunciato al riconoscimento, preferendo la conservazione dello stato di figlio legittimo. La Corte di Ancona è pervenuta a tale conclusione richiamandosi alle sentenze di questa Corte 467/86 e 711/92 (cui può aggiungersi la più recente Cassazione, 9065/99). Tali pronunzie, tuttavia, riguardano le (distinte) fattispecie relative ai diritti successori di cui agli articoli 580 e 594 Cc, sicché non possono essere considerate come precedenti in termini. Anzi la sentenza 467/86, dopo avere esaminato i diritti scaturenti dalle norme m questione (articoli 279 e ), testualmente afferma: «L analisi della natura dei tre diritti sopramenzionati sembra poter autorizzare la seguente conclusione: quando, come nella specie, un figlio ha già un genitore legittimo che non ha voluto disconoscere, forse si può discutere (non è qui il caso di deciderlo) se, essendo ancora minorenne e non ricevendo da lui il mantenimento, l educazione e l istruzione ottimali, possa pretenderli in sostituzione - o per la differenza che manca - dal genitore naturale fino al raggiungimento della maggiore età o se, essendo già maggiorenne ma Pag. 4 a 6

5 trovandosi in stato di bisogno, possa pretendere dal padre naturale quanto i genitori legittimi non sono in grado di fornirgli, perché in nessuno di questi casi il figlio naturale viene ad avere più di quello che, in base al nostro ordinamento, ogni persona può pretendere dai suoi genitori a tutela dei valori della sua personalità: e, cioè, la maggiore educazione possibile fino alla maggiore età e un aiuto in caso di bisogne», e procede, poi, ad esaminare il diverso caso del diritto all eredità. Come si vede, quindi, la sentenza 467/86 non ha interpretato l articolo 279 Cc nel senso ritenuto dalla Corte di appello, ma ha lasciato aperta la questione, affermando che in quella sede non venivano in evidenza i diritti previsti dalla norma ora indicata. Tanto chiarito, si deve ancora osservare che quest ultima postula un accertamento incidenter tantum della filiazione naturale, indipendentemente dal riconoscimento o dall attribuzione di uno status personale. Tale accertamento è compatibile con un eventuale stato di figlio legittimo, salvi i limiti alle indagini sulla paternità o maternità previsti dalla legge (Cassazione, 9065/99 e 467/86, cit., cui adde: Cassazione, 5633/90; 1894/74; 2163/73). Pertanto la tesi, propugnata da una parte della dottrina, secondo cui le azioni consentite dall articolo 279 non potrebbero essere proposte quando il soggetto attivo abbia lo stato di figlio legittimo (o naturale) altrui, non può essere condivisa. In questo quadro occorre prendere le mosse dal testo normativo, la cui analisi non conforta l interpretazione restrittiva fatta propria dalla Corte di merito. Infatti, quel testo esordisce con una locuzione ampia in ogni caso ) e prosegue ponendo l accento su un dato oggettivo, costituito dall impossibilità di proporre l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, senza distinguere in alcun modo tra impossibilità assoluta o relativa, originaria o sopravvenuta. Introdurre tali distinzioni dunque, significa andare oltre il significato proprio delle parole. (articolo 12, primo comma, disp. sulla legge in generale), dando della norma formulata nel testo una lettura restrittiva che finisce per forzarne oltre misura la portata letterale. Questa, invece, proprio per l ampiezza della sua formulazione include ogni caso in cui l azione per la dichiarazione giudiziale non possa essere proposta, e quindi comprende anche l ipotesi nella quale l impossibilità derivi dal mancato tempestivo esperimento dell azione di disconoscimento di paternità. Né l interpretazione restrittiva appare giustificata da ragioni di ordine logico. Invero, l argomento utilizzato dalla Corte di merito, secondo cui l interessato non deve trarre alcun indebito vantaggio dalla duplice condizione di figlio naturale e di figlio legittimo, non coglie nel segno. Ai sensi dell articolo 30, primo comma, della Costituzione è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Tale dovere spetta in via primaria ai genitori legittimi, come si evince dal combinato disposto degli articoli 147 e 148 Cc. Ne deriva che, poiché il sistema non contempla un doppio e contestuale titolo di mantenimento, il figlio naturale (il quale si trovi ad avere anche lo stato di figlio legittimo di altri soggetti) può proporre le azioni previste dall articolo 279 Cc qualora i genitori legittimi non abbiano i mezzi per provvedere oppure qualora, per le circostanze del caso concreto da accertare volta per volta, il figlio medesimo non possa comunque ottenere il mantenimento (o un sostegno economico) dai detti genitori legittimi. Ciò emerge direttamente dal testo normativo quanto al diritto agli alimenti, per il quale è richiesto lo stato di bisogno. Ma altrettanto deve dirsi per quanto concerne il diritto al mantenimento, previsto dalla prima parte dell articolo 279 (primo comma) Cc, appunto perché l ipotesi di un doppio titolo di mantenimento si rivela estranea al sistema normativo, che non ammette una duplicazione dei diritti derivanti dallo stato di figlio legittimo e dal fatto di essere al contempo figlio naturale di un altra persona. Sul piano logico, anzi, si deve notare che l approdo ermeneutico sopra raggiunto con l analisi della portata letterale dell articolo 279 trova riscontro proprio nel già citato articolo 30, primo comma, della Costituzione, con lo specifico richiamo in esso contemplato ai doveri incombenti sui genitori anche in relazione ai figli nati fuori del matrimonio. Come questa Corte ha già rilevato, il precetto costituzionale «indirizza il legislatore ad una regolamentazione del tema informata al principio del dovere (nel senso di obbligo) del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli in funzione del solo fatto materiale della procreazione e senza alcun vincolo con il riconoscimento formale della paternità o maternità naturale; al principio, cioè, per cui il diritto al mantenimento deve trovare la sua fonte immediata nel fatto della procreazione e non nello status formale di figlio naturale» (così Cassazione, 5633/90, cit., in motivazione). La medesima sentenza cosi prosegue: «Emerge, inoltre, la presenza dell articolo 279 Cc nel testo modificato dalla legge di riforma del diritto di famiglia, il cui dettato - ove correttamente interpretato alla luce della norma costituzionale appena richiamata - attribuisce al figlio naturale, una volta accertato incidenter tantum il rapporto materiale di filiazione, il diritto al mantenimento, all istruzione e alla educazione, quand anche Pag. 5 a 6

6 non sia stato riconosciuto formalmente pur essendo ciò possibile e, quindi, indipendentemente dalla qualifica formale dello status». Se, dunque, il fatto materiale della procreazione naturale (accertabile anche incidenter tantum e svincolato dal riconoscimento formale del relativo status) costituisce l antecedente giuridico immediato delle azioni attribuite al figlio naturale dall articolo 279, primo comma, Cc, e se questo dato è direttamente collegabile con l articolo 30, primo comma, della Costituzione, non si rivela coerente con tale precetto costituzionale un interpretazione che riduca l azionabilità di quei diritti ai soli casi in cui l interessato sia venuto a trovarsi nell impossibilità assoluta e originaria (e non relativa, in quanto sopravvenuta) di proporre l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità. Ciò significa ridurre fortemente la portata applicativa dell articolo 279 Cc, quale risulta dalla sua formulazione, con correlata riduzione dell area di tutela garantita ai figli naturali dal citato articolo 30, sicché anche sul piano di una interpretazione costituzionalmente orientata la tesi restrittiva seguita dal decreto impugnato non si rivela sostenibile. Sempre da un punto di vista logico si deve ancora notare che, quando l azione sia promossa dal figlio naturale maggiorenne (che si trovi ad avere anche lo stato di figlio legittimo di un altra persona), allo scopo di ottenere gli alimenti (come nel caso in esame), è necessario il requisito dello stato di bisogno. Tuttavia tale stato può insorgere anche nel momento in cui il detto figlio naturale - sia pure per semplice inerzia o perché le sue precedenti condizioni economiche gli consentivano di provvedere al proprio mantenimento - ha trascurato di promuovere l azione di disconoscimento nei termini (piuttosto brevi) di cui all articolo 244 Cc, con conseguente impossibilità di proporre l azione ex articolo 269 Cc. In questa ipotesi il figlio naturale, ancorché il suo diritto al mantenimento (per quanto sopra detto) debba trovare la sua fonte immediata nel fatto della procreazione e possa perciò farsi valere soltanto su detta base, si vedrebbe irragionevolmente preclusa l azione diretta ad ottenere gli alimenti, pur essendo ormai integrato il presupposto oggettivo richiesto dall articolo 279 e cioè l impossibilità di proporre l azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità. Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, deve affermarsi che - nel quadro dell articolo 279 Cc ed ai fini di far valere i diritti attribuiti al figlio naturale da tale norma - l impossibilità di proporre l azione di cui all articolo 269 Cc (impossibilità costituente, oltre all accertamento del fatto procreativo, requisito per agire a tutela di quei diritti) resta integrata anche qualora si tratti di impossibilità sopravvenuta, perché derivante dall omesso esperimento, nel termine di decadenza all uopo fissato, dell azione di disconoscimento del padre legittimo. Il decreto impugnato, che ha invece postulato l esigenza di un impossibilità assoluta o originaria (in quest ottica pervenendo poi a ritenere che vi fosse stata una consapevole rinuncia del richiedente al riconoscimento, al fine di conservare lo stato di figlio legittimo), si rivela dunque non conforme a diritto, essendo incorso in violazione del citato articolo 279 del codice civile. Pertanto, il decreto stesso deve essere cassato e la causa va rinviata ad altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Bologna e che procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi ai principi sopra enunciati. La Corte di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. PQM La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie (nei sensi di cui in motivazione) il secondo e il terzo motivo, cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Bologna anche per le spese del giudizio di cassazione. Pag. 6 a 6

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