A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto.
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- Fabiola Parisi
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1 ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA DEI SERVI Il Gibbo Diciannovesima domenica del tempo ordinario Gubbio Sabato 30 luglio dalle 15 alle 16, Lectio divina in S. Maria de Servi A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto. Prima lettura (Sap 18,6-9) La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina:
2 di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri. Seconda lettura (Eb 11, ) Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Vangelo (Lc 12,32-48) In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
3 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell ora che non immaginate, viene il Figlio dell uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l aspetta e a un ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». IL COMMENTO DEL CARDINALE RAVASI (da Secondo le Scritture, anno C, ) «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno. Vendete ciò che avete e datelo in elemosina : fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! Sappiate bene questo: se il padrone dí casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate» (Le 12).
4 Un filo ben solido unisce questa liturgia della Parola a quella della scorsa domenica. Già ne parlavamo sette giorni fa, vedendo affiorare dalla parabola del ricco stolto il contrasto tra l'attaccamento ai beni presenti e posseduti e il distacco che l'imminenza della notte con la morte comporta. Ebbene, ora Gesù da un lato invita ad aprire le mani che stringono con cupidigia le ricchezze e dall'altro esorta a essere pronti per il viaggio notturno, tenendo strette le lucerne fiammeggianti. L'accento cade tutto ormai sulla seconda dimensione, quella della vigilanza. Cristo spera che il suo discepolo si sia già sbarazzato delle «borse che invecchiano» e che vengono rapinate, donandole ai poveri e sí sia cinto le vesti per il lungo viaggio. È evidente l'allusione in quest'ultima immagine alla Pasqua ebraica: «Ecco come mangerete l'agnello: coi fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano» (Es 12, 11). Si delinea, così, il profilo del cristiano come quello di un pellegrino che è in marcia e in attesa. Dopo tutto pellegrino era stato Abramo la cui prima parola divina ascoltata era stata: «Esci dalla tua terra e va'!». Pellegrino era stato Israele nel momento decisivo della sua nascita come popolo libero «uscendo» dalla schiavitù d'egitto e marciando nel deserto. Pellegrino lo era stato anche quando si era stanziato nella terra promessa, secondo il monito di Davide: «Noi siamo pellegrini e stranieri come i nostri padri» (1 Cr 29, 15). Come già sappiamo, pellegrino è il Gesù di Luca, ora in marcia verso Gerusalemme, e pellegrino sarà Paolo coi suoi «viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, di briganti, pericoli nelle città, nel deserto, sul mare...» (2 Cor 11, 26-27). Pietro, poi, esorta nella sua Prima Lettera tutti i cristiani a «essere stranieri e pellegrini» (2, 11) all'interno del mondo in cui vivono ed è celebre l'esortazione della Lettera agli Ebrei: «Usciamo anche noi dall'accampamento e andiamo verso Cristo perché non abbiamo quaggiù una città stabile ma cerchiamo quella futura» (13, 13-14). L'essere liberi e distaccati dalle cose come un pellegrino è, quindi, una parabola della fede e della spiritualità cristiana. Suggestivo al riguardo è l'avvio di quel famoso lungo racconto noto come Il pellegrino russo, espressione della mistica orientale ma molto letto anche in Occidente in questi ultimi anni: «Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore, per vocazione pellegrino della specie più misera, errando di luogo in luogo. I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso con un po' di pane secco, e nella tasca interna del camiciotto la Sacra Bibbia. Null'altro». Ma il pellegrinaggio è diverso dal nomadismo. Quest'ultimo è un girare senza meta definitiva, è un vagabondare disegnando quasi spirali nello spazio, in un movimento senza approdo. E per questo che la scena che Gesù dipinge davanti ai nostri occhi comprende anche una casa con una mensa imbandita. È il segno dell'intimità, della serenità gioiosa raggiunta ed è qui che la parabola del Cristo introduce un elemento originalissimo: il padrone stesso di casa si mette a servire i suoi domestici! E facile correre col pensiero a quel gesto che Gesù compirà nell'ultima sera della sua vita terrena, lavando i piedi ai discepoli in un atto estremo di donazione e di servizio. Perché «il Figlio dell'uomo non è venuto per, essere servito ma per servire» (Mt 20,28). E sarà lo stesso Luca a offrirci proprio nell'ultima Cena questo autoritratto del Cristo: «Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (22,27). La liturgia ci propone oggi un profilo dell'esistenza cristiana come quello di un viaggio che non dev'essere appesantito dagli ingombri delle cose ma dev'essere libero, generoso, totale. In una sua lirica padre Turoldo esprimeva bene quest'ansia della ricerca che deve pervadere tutti gli uomini: «Anima mia, canta e cammina. Anche tu, o fedele di chissà quale fede, oppure tu, uomo di nessuna fede: camminiamo insieme. E l'arida valle si metterà a fiorire: Qualcuno Colui che tutti cerchiamo ci camminerà accanto». Alla fine di questo «glorioso emigrare», come lo definisce il Libro della Sapienza nell'odierna prima lettura, ci sarà una grande festa, si aprirà davanti a noi il
5 banchetto del Regno, cioè la comunione serena e gioiosa con Dio. «Una sola cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario» (Sal 27, 4). LE PROVOCAZIONI RECEPITE E RILANCIATE DA ENZO BIANCHI (da Oggi si compie per voi la Scrittura, anno C, Edi San Paolo 2009, ) «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno»: le parole di Gesù con cui si apre il vangelo odierno, oltre a essere di grande consolazione, sono fondamentali perché esprimono l'identità della sua comunità, quale egli la vuole e la pensa. Definendola «piccolo gregge», Gesù afferma innanzitutto che è lui il vero pastore, «il buon pastore» (Gv 10,11.14): il Padre ha posto le pecore nelle sue mani, ed egli dà loro la vita eterna (cfr. Gv 10,230). Ma cosa significa essere «piccolo gregge»? Questa espressione non va intesa solo in senso quantitativo; il richiamo alla «piccolezza» è un monito contro la tentazione di primeggiare e di essere ammirati dagli uomini (cfr. Le 6,26): nessun orgoglio o arroganza da parte della chiesa, ma l'umiltà di chi pone la sua fiducia solo nel Padre e nel suo Regno veniente... Da questa straordinaria parola dipende tutto il resto del brano. Gesù chiede in primo luogo ai suoi discepoli di dare in elemosina i loro beni, di condividere ciò che possiedono, senza preoccuparsi del domani (cfr. Mt 6,34). Nessun accumulo di ricchezze a discapito dei fratelli può appesantire chi sa che «dove è il proprio tesoro, là è anche il proprio cuore»: la comunione con il Signore Gesù Cristo è il tesoro della propria vita. E qual è la caparra più reale del tesoro preparao per noi nei cieli, se non la gioia che nasce dal vivere già sulla terra la condivisione fraterna? Come potremo gioire alla fine dei tempi, se non sappiamo gioire qui e ora? Se dunque Gesù è il bene prezioso della nostra vita, colui per il quale vale addirittura la pena di perdere la vita (cfr. Lc 9,24), saremo anche capaci di orientare tutta l'esistenza verso la sua venuta alla fine dei tempi. Noi cristiani siamo infatti per definizione «coloro che attendono la venuta gloriosa del Salvatore Gesù Cristo» (cfr. Tt 2,13), «coloro che amano la sua venuta» (cfr. 2Tm 4,8)... Ciò che ci contraddistingue è l'atteggiamento della vigilanza, descritto efficacemente da Gesù: «Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a chi aspetta il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa». A questo mandato egli unisce una promessa: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà svegli; si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e li servirà». Per chi lo attende con perseveranza il Signore ripeterà i gesti compiuti nell'ultima cena, quando si è fatto servo dei suoi discepoli e ha detto loro: «Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Sì, dobbiamo sempre essere ben desti, perché il Signore Gesù, il Figlio dell'uomo, verrà nell'ora che non pensiamo, come un ladro nella notte; per chi avrà saputo attenderlo si compirà allora la sua parola: «Io preparo per voi un Regno... perché mangiate e beviate alla mia tavola» (Lc 22,29-30)! Infine, sollecitato da Pietro, Gesù trae alcune conseguenze delle sue parole per quanti nella sua comunità hanno responsabilità di guida, responsabilità «pastorali». Se tutti sono chiamati a vigilare, è però vero che il Signore, «il Pastore dei pastori» (lpt 5,4), ha affidato ad alcuni il compito di essere amministratori fedeli e sapienti, incaricandoli di «distribuire ai loro con-servi la
6 razione di cibo a tempo debito». Ebbene costoro, cioè i pastori della chiesa nell'oggi della storia, sappiano di essere chiamati a svolgere il loro ministero quali «servi di Cristo» (1Cor 4,1), colui che proclama beati quei servi che, alla sua venuta, saranno trovati intenti al loro servizio. Se invece, per l'affievolirsi dell'attesa del Signore, essi acconsentono alla tentazione di spadroneggiare sul gregge loro affidato (cfr. IPt 5,3), saranno puniti con severità; non potranno infatti dire di non essere stati avvertiti... Il piccolo gregge della chiesa non deve temere nulla dall'esterno: l'unica minaccia seria può venirgli da se stesso, dalla sua incapacità di amare il Signore Gesù e di tenersi pronto alla sua venuta nella gloria. È questa attesa vigilante che dà senso alla nostra vita e ispira il nostro comportamento quotidiano. Lo aveva ben capito san Basilio, il quale scriveva: «Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare costantemente ed essere sempre pronto a compiere ciò che è gradito a Dio, sapendo che nell'ora che non pensiamo il Signore viene».
La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
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