MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO. fraternitàemissione

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1 MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO Anno XVII, n. 6 giugno ,50 fraternitàemissione Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 1, LO/MI 6 LA FRATERNITÀ SAN CARLO NEL MONDO: ALVERCA PORTOGALLO ASUNCIÓN PARAGUAY BOLOGNA ITALIA BOSTON USA BUDAPEST UNGHERIA CHIETI ITALIA CITTÀ DEL MESSICO MESSICO COLONIA GERMANIA CONCEPCIÓN CILE DENVER USA FROSINONE ITALIA FUENLABRADA SPAGNA GROSSETO ITALIA GROTTAMMARE ITALIA LONDRA GRAN BRETAGNA MILANO ITALIA MOSCA RUSSIA NAIROBI KENYA NAPOLI ITALIA NOVOSIBIRSK SIBERIA PESARO ITALIA PRAGA REPUBBLICA CECA REGGIO EMILIA ITALIA ROMA ITALIA SAN PAOLO BRASILE SAN QUIRICO ITALIA SANTIAGO DEL CILE CILE S-HERTOGENBOSCH OLANDA TAIPEI TAIWAN TRIESTE ITALIA VIENNA AUSTRIA VIGEVANO ITALIA WASHINGTON USA L abside della basilica di Santa Maria Maggiore (foto Zennaro). La dignità del sacerdozio di Paolo Sottopietra Gesù ha parlato della dignità del sacerdozio in diverse occasioni. Spesso sono momenti drammatici, in cui Cristo corregge le aspettative degli apostoli, legate a un immagine troppo terrena della loro gloria. Tra questi episodi c è anche un dialogo, avvenuto in casa di Pietro, a Cafarnao. Seguiamo il vangelo di Marco: il Maestro è appena rientrato con i Dodici dopo vari giorni di assenza. Le donne di casa e i figli, possiamo verosimilmente pensare, si danno subito da fare per accogliere il gruppo e preparano acqua, catini e asciugatoi per i piedi dei viaggiatori. Gesù ha però un conto in sospeso con i discepoli e, prima ancora che i compagni si siedano per lavarsi, domanda loro: Di che cosa stavate parlando lungo la strada? Le donne e i bambini sospendono il loro servizio, forse intimoriti, e aspettano che il Maestro concluda il discorso iniziato. I discepoli tacciono. Lungo il cammino avevano infatti discusso tra loro di chi fosse il più grande, annota Marco. Qual è la dignità che il Messia ci riserva nel suo Regno? Pietro ci pensava spesso, in quella fase della sua amicizia con Gesù. Lo testimonia l evangelista Matteo: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo? Dopo aver lasciato correre i pensieri dei discepoli per un momento di silenzio, Gesù per primo si siede. Le donne e i bambini sono ancora lì, immobili con i secchi in mano, come servi in attesa di un ordine. Gesù li guarda e, forse accennando proprio a loro, dice: Se uno vuol essere il primo, sia l ultimo e il servo di tutti. Ecco chi è il vero apostolo, e quindi ogni sacerdote. Colui che desidera partecipare della missione di Cristo può scoprire la vera dignità della sua chiamata solo imitando Lui, che è il Servo. Dio ha messo noi, gli apostoli, all ultimo posto, come condannati a morte, scriverà san Paolo ai cristiani di Corinto. Il sacerdote è chiamato a servire la vita degli altri, a dare la sua vita per loro. Poi Gesù prende per mano uno dei bambini che gli stanno accanto e lo rassicura, stringendolo a sé con tenerezza paterna. Tra le sue braccia quel bambino diventa il simbolo dell apostolo, teneramente protetto da Dio, trattato con amore. Il sacerdote può essere servo perché è molto amato. Dio lo ha scelto ed egli è Suo. Dio non lo incarica di un compito sovrumano per poi dimenticarsene. Al contrario, lo segue e lo protegge. Segno della fiducia in questa cura di Dio è la preghiera della Chiesa, che non smette di affidare i suoi pastori a Colui che li ha chiamati. Infine Gesù spiega: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me. I discepoli possono ormai capire che cosa intenda: chi accoglie voi che siete gli ultimi di tutti e i servi di tutti per amore mio, dice loro il Maestro, accoglie me. Ma c è ancora di più: Chi accoglie me, conclude infatti Gesù, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato. Quale dignità potremmo cercare che sia più alta di questa? Quale gloria più grande desiderare? Noi crediamo che chiunque ci accoglie, accoglie in noi il Creatore del cielo e della terra. In questa consapevolezza il sacerdote trova una letizia stabile e profonda. La gioia di essere nel mondo il portatore di Cristo lo libera pian piano da ogni immagine mondana di grandezza e attira il suo sguardo verso la realtà invisibile delle cose. La stessa che Gesù indica rispondendo alla domanda di Pietro nel vangelo di Matteo: In verità vi dico, voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. ORDINAZIONI 2013 Roma, 22 giugno. Nella Basilica di Santa Maria Maggiore, otto membri della Fraternità san Carlo diventano sacerdoti, per l imposizione delle mani di mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia - Guastalla: Nicolò Ceccolini, Donato Contuzzi, Matteo Dall Agata, Francesco Ferrari, Stefano Lavelli, Lorenzo Locatelli, Paolo Paganini, Daniele Scorrano. Nella stessa celebrazione (inizio ore 15.30) è ordinato diacono Michele Benetti. PASSIONE PER LA GLORIA DI CRISTO

2 L uomo buono rende buono il popolo, l uomo felice condivide con il popolo la sua gioia. proverbio cinese 2 fraternitàemissione Questa è casa mia di Donato Contuzzi Scoprendo il destino «Tra mezz ora devo essere a Bologna, mi puoi accompagnare?» Oppure: «Mi hanno rubato l auto, devo andare dai carabinieri, puoi occuparti tu degli avvisi per la messa della comunità?» (e invece doveva andare a Milano a incontrare don Massimo ). E poi le partite a biliardo alle tre di notte, e quella volta che per farlo studiare in pace (era il capo della comunità, sempre impegnatissimo) lo abbiamo chiuso in un bunker filtrandogli le telefonate, o quando alla sua laurea sono arrivati a Parma tutti i suoi parenti dal Sud Quante avventure! Eppure, se ci ripenso, capisco che le vicende liete e tristi che abbiamo condiviso non sono soltanto dei bei ricordi, ma delle circostanze concretissime attraverso le quali ci facevamo compagnia e scoprivamo il nostro destino: io di marito e di padre, lui di sacerdote. Ha scritto Florenskij che «Il fatto che ci siano fratelli, per quanto amati, non elimina la necessità dell amico. Per vivere tra i fratelli bisogna avere un amico, anche lontano». Prego perché anche lontani possiamo essere fedeli alla nostra rispettiva vocazione che insieme abbiamo scoperto. Paolo Serafini orrei essere ricco, avere una bella e numerosa fa- e viaggiare tanto in compagnia dei miei «Vmiglia amici». Sono stati questi i miei ideali per i primi vent anni della mia vita, trascorsi a Montescaglioso, un piccolo paese della Basilicata. Dell idea di fare il prete, nemmeno l ombra. Sono cresciuto in una famiglia cattolica: è stata soprattutto mia mamma a trasmettere la fede a noi tre figli (io sono il minore). Pian piano, però, mi ero allontanato dalla vita della Chiesa e, anche se non ho mai smesso di pregare, la messa domenicale era relegata al tempo libero. Negli anni dell adolescenza era cresciuta in me una grande passione per la musica: suonare il sassofono mi dava grande soddisfazione e con la banda del paese facevamo concerti in diverse città. Ci divertivamo molto e guadagnavamo anche un po di soldi. Nel frattempo mia sorella e mio fratello si erano trasferiti a Parma per studiare all università. Lì avevano incontrato la comunità del movimento e, ogni volta che tornavano a casa, ci raccontavano con entusiasmo dei loro nuovi amici di Cl. Così, quando anch io li raggiunsi per frequentare Ingegneria e terminare il Conservatorio, mi ritrovai quasi senza accorgermene in mezzo a quegli stessi amici, che, pur non conoscendomi, già mi aspettavano. Ciò mi colpì molto. La via privilegiata Gli anni passati a Parma sono stati decisivi per la mia vita e la mia vocazione. Conserverò sempre un immensa gratitudine per ogni persona che allora mi ha accompagnato. Stando con loro ho scoperto che la fede riempie di gusto la vita e che le amicizie nelle quali è vissuta, insieme ai doveri a cui siamo chiamati, sono la via privilegiata per sperimentare tale gusto. Quel sottile filo della preghiera, che mi aveva fino ad allora tenuto unito a Cristo, ha cominciato ad irrobustirsi sempre di più perché era finalmente incarnato in tanti volti. Dopo i primi anni di università giunsi però a un bivio: non mi bastava conoscere gente che mi parlava di Cristo, avevo bisogno di vederlo io stesso. Poco tempo dopo un mio caro amico mi disse che sarebbe entrato nella Fraternità san Carlo per diventare prete. Cristo, portandomi via un amico, cominciò a rendersi più concreto nella mia vita. È iniziata proprio in quegli anni la mia amicizia con don Paolo Sottopietra ed altri miei attuali fratelli (tra cui don Paolo Costa, con cui ora vivo a Taipei). Ma io ero fidanzato sin dal primo anno di università, tutto procedeva bene ed avevamo già fatto tanti piani per l avvenire. Nel 2002 accadde il fatto decisivo, potremmo dire il colpo di grazia. In aprile, con alcuni amici, ci recammo a Roma per visitare il nostro amico ed altri seminaristi con cui era nato un bel rapporto. Era la domenica delle Palme e, mentre attraversavo il parcheggio per raggiungere la processione che ci avrebbe condotti in chiesa, mi sorpresi a pensare: «Questa è casa mia! Io rimango qui». Un pensiero assolutamente irragionevole, fuori da ogni calcolo. Da subito però percepii che a quel momento sarei dovuto ritornare sempre: è stato come se tutto il mio passato fosse servito per portarmi lì, a quell istante e, al contempo, il mio futuro si fosse caricato di una grande promessa. È stato un momento di pura gioia, come solo Dio può concedere. Da allora, però, per due anni, ho lottato con il Signore cercando di difendere il mio progetto. Ma alla fine la mia difesa si è indebolita e «mi sono lasciato sedurre». Oltre a me, alcuni miei cari amici dell università hanno accolto la chiamata di Cristo a seguirlo nella via del sacerdozio o nella vita consacrata. Altri invece lo hanno seguito nella vocazione matrimoniale. Questa chiamata comune è uno dei più bei regali che il Signore mi ha fatto. In missione a Taipei Nella mia storia Dio mi ha donato tante case. Da quella nativa a quella di Parma, da quella di Roma a quella attuale taiwanese. E in ogni casa ho trovato dei padri che la rendevano tale. Da mio papà ai sacerdoti che a Parma mi hanno accompagnato, come don Mauro e don Fausto. Da don Paolo Sottopietra fino a don Massimo, che mi ha accolto a Roma e ancora oggi continua ad accompagnarmi. Ora sono in missione a Taipei. Studio il cinese, collaboro con don Paolo e don Emanuele nel seguire le persone che ci sono affidate, in particolare i parrocchiani, gli amici del movimento e gli studenti dell università cattolica, dove da qualche mese insegno italiano. I desideri che custodivo nel cuore a vent anni ora sono ancora più veri: sono ricco, ma di Cristo, e ho una grande famiglia che mi accompagna nel mondo per annunciarne a tutti il Significato. Ogni giorno, quando esco di casa e mi imbatto in tanta gente spesso inconsapevole di attendere il dono che io ho già ricevuto, ripenso con gratitudine alla mia storia e al cammino che Dio mi ha pazientemente indicato attraverso tanti volti. E ancora una volta riscopro di essere a casa, sotto lo sguardo buono del Padre.

3 La cosa più alta che si può fare per un essere è renderlo libero. Sören Kierkegaard fraternitàemissione 3 Da sin. Donato Contuzzi, 33 anni, parmense di origini lucane, e Stefano Lavelli, piacentino, 35 anni. Nel nome dei figli Qualcuno che mi aspettava di Stefano Lavelli Sono nato a Piacenza. Mio padre si chiama Renato e mia madre Franca. Da loro ho ricevuto la vita e quell amore solido che nasce dalla fedeltà alla propria vocazione, anche nei momenti difficili. E poi il gusto per il lavoro, la passione per il buon cibo e il buon vino da condividere con gli amici, l ironia e la leggerezza di chi spera. Mi mancava però qualcosa, che ho trovato solo tra Salsomaggiore e Fidenza, quando incontrai delle persone speciali. Avevo 16 anni e volevo diventare un grande chef. Nel mio ufficio, in mezzo alle cose da fare, ai fogli, alla quotidianità c è una foto: in mezzo io, di fianco Lucia. a destra Stefano. Lucia adesso è Maria Luce e vive a Vitorchiano. Stefano dovrò imparare a chiamarlo don anche se mi fa strano, mi imbarazza. In quella foto abbiamo 15 anni di meno. Era estate, eravamo a Rimini, sorridiamo. Ed era inimmaginabile pensare dove ci avrebbe condotto l incontro cristiano, quando ci ha travolto. Il monastero, la missione sacerdotale, mia moglie e i miei tre figli di cui la prima porta il nome di Lucia e l ultimo quello di Stefano. Mi accorgo adesso con chiarezza mentre vi scrivo che ho voluto circondarmi del vostro nome e della vostra memoria anche quando guardo i miei bambini, quando li chiamo decine di volte. Mi siete stati messi di fianco e siete due argini della mia fede. Siete compagni incredibilmente presenti nella mia giornata. Riguardo la foto, penso a quello che è successo, sono grato e penso a quello che ancora deve venire. E ti ringrazio carissimo Stefano perché se ho un idea precisa e misteriosa di cosa sia l amicizia la devo alla tua persona così diversa da me, ma come me afferrata e in cammino. Ripenso, in questi giorni così speciali per te, alla tenerezza con cui siamo stati guardati quando eravamo due studenti alla scuola alberghiera. Che storia. Ti abbraccio. Andrea Sinigaglia Alla scuola alberghiera Come tanti dei miei coetanei avevo perso la fede. Non andavo più a messa da anni. Per me Gesù era solo un bel personaggio storico e la Chiesa un istituzione lontana dai miei interessi. Frequentavo il terzo anno della scuola alberghiera di Salsomaggiore Terme. Nella mia classe avevo stretto un rapporto significativo con Andrea, ma l amicizia con lui fiorì in modo inaspettato quando cambiò l insegnante d italiano e arrivò Margherita. Dall incontro con Margherita, dall amicizia con Andrea e poi con alcuni ragazzi di Fidenza, cominciò a vibrare in me una corda che non avevo mai sentito prima e che da quel momento non ha più smesso di suonare. In modo semplice, durante le lezioni o giocando al bar, cenando a casa di Margherita o fumando un sigaro con Carlo, guardando un film o studiando assieme, avevo trovato delle persone con i miei stessi interessi, ma con una profondità ed un gusto per le cose della vita molto più grande del mio. Avevano qualcosa che a me mancava: la fede in Cristo. Con loro mi sono sentito accolto, a casa. Pian piano, anche per me Dio divenne qualcuno di familiare. Un giorno decisi di confessarmi in Duomo a Piacenza. Erano anni che non mi confessavo e senza dir nulla a nessuno decisi di confidare a Cristo tutto me stesso, anche il mio male. Non ricordavo tutt intera neanche un Ave Maria, ma sapevo che attraverso le parole e i gesti del prete io ero davanti a Dio (qualcosa del catechismo mi era ancora rimasto ). Mi sono infilato nel primo confessionale libero. Il prete mi disse: «Quanto tempo è che non ti confessi?». Non lo ricordavo e avevo vergogna. Fui sincero. Mi aspettavo un rimprovero. Uscirono dalla bocca di quell uomo anziano dagli occhi chiari e pacifici, parole dolci e profumate: «Pensa quanto ti vuol bene il Signore! Non solo non ti ha mai abbandonato in questi anni, ma ha vigilato su di te e ti è venuto a cercare, aspettando di poterti riabbracciare». Mi aspettavo uno schiaffo e arrivò una carezza. C era qualcuno che mi aspettava, anzi si era scomodato per me! Ed era Dio. Scoppiai in pianto. Il Signore aveva scelto di far passare la potenza e la tenerezza della sua misericordia attraverso Margherita, Andrea, quei ragazzi di Fidenza ed ora attraverso quell uomo. Ho percepito in modo chiaro la carnalità e la divinità del cristianesimo, della Chiesa e l importanza del sacerdozio. «Chi hai incontrato?», aggiunse quel prete anziano dagli occhi chiari. Gli parlai degli amici che avevo incontrato e di Giussani che avevo cominciato a conoscere attraverso di loro. «Hai incontrato la roccia della Chiesa! Non abbandonarli più, stai con loro! Dai, ringrazia Dio per quello che ti è successo e ripeti dopo di me: Mio Dio, mi pento e mi dolgo» «Mio Dio» Finalmente potevo dire anch io che Dio era qualcosa di mio, non era più uno sconosciuto, ma un amico vicino, un padre. Non qualcosa, ma tutto Dopo l alberghiera decisi d iscrivermi all università: Beni Culturali a Parma. Un bel salto. Ho sempre amato l arte, il bello, e ho voluto rischiare su una cosa che amavo. Durante gli anni universitari si approfondì la familiarità e la stima per Cristo e il Movimento. Nel tempo maturò in me la disponibilità a donare a Dio non qualcosa delle mie giornate, ma tutto. Anche in questo non ero solo. Un altra decina di miei amici decise in quegli anni di dare tutto a Cristo in modo radicale, nella verginità. Un giorno Cispo, un carissimo amico che frequentava l università a Parma, disse che sarebbe entrato in seminario per diventare sacerdote missionario. Dopo qualche mese lo andai a trovare a Roma e conobbi così alcuni seminaristi e sacerdoti della Fraternità san Carlo. Vedendo loro, per la prima volta pensai al sacerdozio come un ipotesi affascinante e possibile per me. Mi dissi: «E se Dio chiedesse anche a me di donargli la vita in questo modo? Qui?». Domenica 20 agosto dell anno 2000, durante la messa del Giubileo, Giovanni Paolo II disse: «Se qualcuno di voi, cari ragazzi e ragazze, avverte in sé la chiamata del Signore a donarsi totalmente a Lui per amarlo con cuore indiviso, non si lasci frenare dal dubbio o dalla paura. Dica con coraggio il proprio sì senza riserve, fidandosi di Lui che è fedele in ogni promessa. Non ha Egli forse assicurato, a chi ha lasciato tutto per Lui, il centuplo quaggiù e poi la vita eterna?». Eravamo in milioni, ma quelle parole hanno trafitto il mio cuore. Parlai di queste cose e di molte altre con don Matteo, che con pazienza e discrezione paterna mi ha accompagnato a stare davanti a ciò che mi stava succedendo, finché con gioia ho potuto dire anch io, come il profeta Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre».

4 Ci viene promessa una felicità che supera il nostro desiderio, un dono che trascende la nostra speranza, una grazia che supera la nostra natura. Gregorio di Nissa 4 fraternitàemissione La bellezza ci chiama Il faro che illumina la via di Nicolò Ceccolini Quando ero bambino andavo al porto con mio padre in bicicletta, fino al limitare del molo. Davanti a noi si apriva quella distesa azzurra nella quale il sole si rifletteva interamente e le navi andavano e venivano, lasciando dietro di loro la scia biancastra. Alle nostre spalle, il faro. La sua imponenza dominava e mi affascinava. Era lui che con la sua luce riaccompagnava a casa i marinai usciti nella notte per la pesca. Era lui che li avvisava del sopraggiungere della nebbia o delle intemperie. Quando penso alla storia della mia vocazione penso alla storia di un ritorno a casa. Proprio come quello dei marinai. Sono cresciuto in un piccolo paese di mare della riviera romagnola, in una famiglia semplice: mio padre fa l elettrauto, mia madre è casalinga. Ho un fratello minore che sta terminando la scuola di ragioneria. In casa ho sempre respirato un clima di serietà verso la vita, fatta di lavoro assiduo e quotidiano. In parrocchia, all età di nove anni, ho incontrato un prete. Don Lino era giovane, bassetto, un po tarchiatello, con due gambe corte che muoveva però molto in fretta e, dietro a lenti grandi come fanali, si intravedevano due occhi azzurri. Quegli occhi piccoli ma intensi erano vivi e sprigionavano una gioia profonda. Era forse la prima volta che mi trovavo davanti a una persona veramente grata della propria vita. Ben presto desiderai anch io essere felice come lui. Quello fu il primo momento in cui percepii il fascino di una vita sacerdotale pienamente donata a Dio. Una compagnia vera Alla fine delle scuole medie iniziò in parrocchia un piccolo coro a cui decisi di prendere parte su invito di una catechista. Nel tempo le parole di quei canti mi segnarono profondamente. Lei era di Comunione e Liberazione, ma io non lo sapevo. Con un gruppetto di amici iniziammo a frequentarla, e lei ci raccontava di quelle persone a cui era legata. Non capivo molto, ma avevo chiaro che erano insieme per Gesù. Da quei racconti crebbe in me il desiderio di una vera amicizia e di una compagnia. La mia allora era quella del sabato sera, quella degli amici della squadra di calcio, che si incontrava nella piazza del paese, ognuno accavallato al proprio scooter nell attesa che accadesse qualcosa. Me ne tornavo a casa amareggiato e sempre un po vuoto. A volte capitava di leggere alcune frasi tratte dai libri di un certo Giussani che, di nuovo, non sapevo chi fosse. Percepivo che in quelle parole era contenuto qualcosa di grande e affascinante. Quando scoprii che Giussani era un prete mi dissi: «Questa è la strada che devo seguire, è questo ciò che desidero». E da quel giorno mi immersi nella lettura dei suoi testi. Avvenne una vera liberazione: fu la scoperta che il cristianesimo non era uno sforzo personale per essere all altezza di Cristo, ma la sorpresa della sua presenza viva nel volto degli amici che chiedeva unicamente di potermi amare. Negli stessi giorni scoprii che anche nella libreria di don Lino c erano libri di Giussani. Anche lui era del movimento. L approdo a Roma Poi è arrivata la Fraternità san Carlo. Era il 2004, quarto anno di liceo scientifico. L idea del sacerdozio mi era rimasta addosso, anche dopo essermi innamorato. Sfogliando le pagine di una rivista mi imbattei in una frase nella quale si diceva che nella Fraternità entrano ragazzi che, incontrando il movimento, hanno maturato la loro vocazione al sacerdozio e desiderano essere educati secondo il carisma di don Giussani e portarlo a tutti gli uomini del mondo. «Voglio questo per me», mi dissi. Compresi che non c era più tempo da perdere: ne parlai con don Lino e insieme andammo dal vescovo di Pesaro. Così approdai a Roma, come seminarista diocesano ospitato dalla Fraternità per il tempo necessario alla formazione, e destinato a far ritorno in diocesi. Ma così non avvenne. «Qual è la casa che tu, Signore, hai preparato da sempre per me?». Questa domanda mi accompagnò per diversi mesi. Mi colpì la letizia sul volto dei preti della Fraternità, la gioia del loro stare assieme e la disponibilità nel consegnare le loro vite nelle mani di Dio. Erano lieti perché non erano soli. Vedevo possibile, anche per me, vivere la vocazione al sacerdozio in un amicizia, radicata nel silenzio e nella preghiera. Questo mi portò alla decisione di scrivere a don Massimo e richiedere di entrare nella Fraternità san Carlo. La richiesta venne accettata. Ora mi sento anche io un marinaio che ha preso il largo per uscire e andare a pesca. Anche quando giungono nebbie e turbolenze sono certo che il faro è sempre lì, imponente, sul molo ad aspettarmi perché possa far continuamente ritorno alla casa di Dio. Fra le tante esperienze vissute insieme a Nicolò mi soffermo su una in particolare: la bellezza dei nostri luoghi. Alcuni anni fa l attuale cardinale Antonio Maria Vegliò venne a celebrare un matrimonio nel Santuario di Casteldimezzo, un borgo gioiello del circondario di Gabicce Mare (patria di Nicolò). Era maggio. A quel tempo Vegliò era Nunzio apostolico. «Ammiro la bellezza di questo ambiente mi disse perché sono appena tornato dal Santuario mariano nazionale dell Alto Volta: 45 gradi all ombra e un pulviscolo nell aria che toglieva la voglia di respirare!». Sempre a Casteldimezzo, una sera di agosto, alcuni amici sacerdoti di Rimini portarono il cardinale Simonis, olandese e grande amico del Meeting, a prendere un po di fresco alla Taverna del Pescatore (un ristorantino niente male). Di fronte allo spettacolo del mare, del panorama, del cielo stellato, del crocifisso del Quattrocento e della pala d altare del Cinquecento del Santuario e diciamo anche del frizzantino fresco che stavamo sorbendo, il cardinale ci chiese: «Come si spiega che in Italia tutto parla di arte e di bellezza?». Ecco, se ogni vocazione è un mistero insondabile, essa vive anche di elementi tangibili. E fra gli elementi alla base del dialogo vocazionale del Signore con Nicolò, c è anche la bellezza del borgo ridente di Gabicce Mare, del suo mare, delle sue colline e della sua umanità. don Lino Capriotti Nicolò Ceccolini, 25 anni, di Gabicce Mare, durante la messa «in coena Domini» con papa Francesco, presso l Istituto Penale per i Minorenni di Roma (28 marzo Foto Servizio Fotografico Osservatore Romano).

5 Dio si manifesta all uomo come amore: è Dio che illumina l amore e lo fa risplendere e accende nel cuore umano la luce dell amore, quella luce che è in grado di vedere l amore assoluto. H.U. von Balthasar fraternitàemissione 5 Cominciare a dire noi di Matteo Dall Agata escrivi come sarai a quarant anni». Questo, più o «Dmeno, il titolo del tema di quinta elementare che i miei genitori hanno ritrovato, cercando dei documenti scolastici, una settimana dopo la notizia ufficiale della mia ordinazione sacerdotale. Rileggendo quelle righe che avevo scritto a dieci anni, hanno fatto una scoperta: già allora pensavo che prima o poi sarei diventato sacerdote. Me ne ero completamente dimenticato! Dio suscita in noi l idea di seguirlo in una certa via in modo misterioso e nascosto (tanto che io non lo ricordavo più). Poi, però, torna e ci viene incontro attraverso persone e fatti, perché quell ipotesi diventi persuasiva. Sono nato a Forlì tra l Appennino e il mare, trentadue anni fa. Sono vissuto in città, ma non vedevo l ora che arrivassero le vacanze estive per trasferirmi in campagna dai nonni e gli zii, dove giocare all aperto sotto il sole caldo. I miei genitori incontrarono il movimento di Comunione e liberazione durante i miei primi anni di vita e io crebbi in mezzo a tanti amici, che mi tirarono su assieme a loro, comunicandomi una fede semplice. Ricordo che, durante la preparazione per la prima comunione, un prete ci chiese cosa avremmo preferito tra una montagna di cioccolata, una Ferrari e Gesù. Io ero un appassionato consumatore di cioccolata, ma ciò non mi impedì di dare la mia preferenza per Gesù, perché mi avrebbe procurato Lui cioccolata e Ferrari a volontà. Le omelie del martedì Negli anni delle medie ero entusiasta dell esperienza fatta alle vacanze guidate da un prete di Cesenatico assieme ad altri amici di Forlì. Lì sentii dire che Dio è un amico che vuole fare grande la mia vita, come era grande quella di quel piccolo vivacissimo prete e dei suoi amici. Anche la mia insegnante di italiano mi aveva comunicato qualcosa di importante: il desiderio di vivere per qualcosa, per un ideale. Il giorno della mia cresima ebbi un intuizione chiara. Sentivo in me una grande attesa, sapendo che sarei diventato soldato di Cristo. Quando il vescovo nell omelia disse: «Spero che qualcuno tra di voi prenda la strada del sacerdozio», mi sembrò che Matteo Dall Agata, 32 anni, di Forlì. Mi ha rubato il segreto Ma cosa vuole questo qui? Qual è il suo problema? Da mesi, ogni settimana Matteo mi cerca, vuole parlare con me: ma non c è mai un argomento specifico, un punto preciso da chiarire. Incontro spesso persone ossessionate da un particolare e devo lottare per riaprire l orizzonte. Con Matteo è il contrario: si parla di tutto, tutto è interessante. Ma il punto infiammato del dialogo non è mai quel particolare. Il dialogo si fa intrigante. Un giorno confessa. «A me interessa come vivi tu; anzi, parlasse proprio a me. Quel momento mi rimase dentro come ipotesi che ogni tanto riemergeva. Concluso il liceo classico mi iscrissi a Giurisprudenza a Bologna. Dopo i primi anni di università, cominciò un periodo più difficile, in cui non vedevo in alcun compagno la passione per la vita che desideravo avere. Questo disagio mi fece ascoltare con maggiore avidità le omelie di un sacerdote, che diceva messa al martedì per gli universitari di Comunione e Liberazione. Era pieno di fuoco e molto chiaro nel pensiero: qualità che mi affascinavano sempre. Andai a trovarlo pieno dei miei interrogativi e anche della domanda su cosa volesse Dio da me. Ne nacque un amicizia molto intensa, che resuscitò la mia vita, mi diede speranza e forza per affrontare l università alla grande. Ero rappresentante degli studenti: cominciarono rapporti interessanti con alcuni professori, iniziai a godermi molto di più l amicizia con i compagni (del movimento e non), trovavo le energie per studiare, pur in mezzo a tanti impegni. Soprattutto, niente era più bello che raccontare agli altri l esperienza che facevo. Si fece strada in me il desiderio di vivere sempre così, di dare tutto per quella bellezza. L idea del sacerdozio rinacque in me, perché volevo essere come quel mio amico prete, volevo offrire ai miei amici e a tutti Gesù stesso, che stava cambiando la mia vita. Alla fine dell università conobbi alcuni sacerdoti della San Carlo e decisi di entrare in seminario. Un seme piantato da Dio Nella Fraternità ho scoperto in modo nuovo che quell ideale che volevo seguire non è qualcosa di arduo da realizzare e che Dio mi chiede. È, invece, il dono che lui mi fa di una compagnia, di una casa, in cui vivere con lui stesso. «Sarei certo di cambiare la mia vita, se potessi cominciare a dire noi», diceva una canzone di Gaber, all epoca in cui frequentavo le superiori. Questa frase, che mi è tornata in mente più volte lungo la mia vita, è stata una sorta di promessa. Ho imparato a dire noi in questi anni e soprattutto grazie ai fratelli e ai padri che ho ricevuto nella Fraternità. Ora sono in missione a Vienna. Quando guardo i giovanissimi chierichetti della nostra parrocchia, due dei quali non hanno nemmeno cominciato a leggere, penso a cosa può dire loro Dio in modo misterioso, attraverso le parole e i gesti della messa, che loro ancora non capiscono. Allora prego perché possano vivere una compagnia, che nutra il seme silenziosamente piantato in loro da Dio. Siamo qua in quattro, per viverla anzitutto noi. per Chi vivi tu». Mi ha rubato il segreto: della libertà e della passione che desidera per la sua vita. Adesso può offrirla tutta. La stima e l affetto che ci legano sono fioriti in quel momento e per quella ragione: dalla scoperta che di Gesù si può vivere. «Mentre il saggio indica la luna, lo stupido guarda il dito», dice un proverbio cinese. «Non sei stato stupido, Matteo: il dito non vale se non come segno della luna». Si può essere grati che esista. don Carlo Grillini

6 L avvenimento dello Spirito ha travolto la pusillanimità degli apostoli e ha suscitato l avventura più intensa, coraggiosa e dinamica che la storia umana conosca. Luigi Giussani 6 fraternitàemissione Amato senza misura di Francesco Ferrari Quando ho deciso di fare il prete avevo la ragazza. Le volevo bene e le sono profondamente grato perché mi ha capito e amato. «Se questo è quello che vuole Dio, io mi faccio da parte», mi disse. Se oggi desidero fare il prete è perché ho incontrato persone che mi hanno amato così, senza misura. Mi hanno amato i miei genitori e i miei fratelli, mostrandomi che la vita è bella e vale la pena viverla fino in fondo. Me l hanno insegnato senza parole. Mio padre mi ha testimoniato che vivere vuol dire spendersi per qualcosa. Mia madre che servire è una decisione quotidiana del cuore. Con i miei fratelli ho iniziato a conoscere il mondo e ho visto quanto è bello scoprirlo insieme. Mi hanno insegnato che la vita è bella, non perché è facile, ma perché il bene è più forte del male. Non mi hanno mai parlato troppo di Dio, me l hanno semplicemente fatto vedere. E mi è piaciuto. Ho fatto le elementari dalle suore. Non ho tanti ricordi. Il più nitido è quel giorno in cui ci hanno lasciati in un parco da soli, in silenzio, per dieci minuti, ognuno con una frase del vangelo. Loro non lo sanno, ma mi hanno donato il primo ricordo che ho di Dio. Non è poco. Con il passare del tempo scopro che la mia infanzia è piena di segni di Dio. Come quel prete alto, lituano. Aveva fatto vent anni di prigionia e una notte venne a dormire a casa mia. Avevo cinque anni, credo. Mi hanno amato senza saperlo dei Memores Domini, missionari, amici dei miei genitori. Venivano da paesi lontani e quando avevo dodici anni le loro avventure erano più affascinanti delle mie piccole disperazioni. Allora ho pensato che sarei stato missionario. Una volta stavano parlando con i miei, seduti sul divano. Io sono passato per andare a una delle mie prime uscite con Gs. Uno di loro mi ha detto: «Io ho iniziato così e sono finito in Russia!». Mi ricordo chiaramente cosa ho pensato: «Per essere felice, ci andrei anch'io...». Il primo abbraccio Ci conosciamo all ingresso della Cattolica, una mattina di settembre. «Saremo in appartamento insieme» e mi abbraccia, tutto allegro. Troppa confidenza, sentenzia il mio cuore bergamasco, sarà un anno duro. Ma qualcosa in comune l avevamo: tre fratelli maschi, il segno del Toro, l amore per Celentano. E scherzando ci dicevamo: «Allora siamo gli amici più grandi del mondo intero!». Una delle prime sere abbiamo a cena un esperto di enogastronomia, noi due in cucina. Lui presenta delle pennette al mastice, io un purè solido. La pioggia di insulti cementa la nostra fratellanza. Folklore a parte, ho impiegato anni a scoprire il segreto di quel primo abbraccio. Passando per le gite a Recanati in cui mi spacciava per esperto di Leopardi. Per i weekend sulle colline di Reggio, pieni di pace e di ciccioli. Per lo studio e le lotte quotidiane in università. Fino a quell invito improvvisato a sentire la testimonianza di una sua amica che andava in monastero. Fino alla scoperta che Cristo ci aveva resi gli amici più grandi del mondo intero, per davvero. Facendoci Suoi per sempre. Stefano Nembrini Anche Celentano Appunto, in quegli anni avvenne il mio incontro personale con il movimento, con gli amici di Gioventù studentesca. Ho iniziato a stare con loro all'inizio delle superiori, nel liceo scientifico di Reggio Emilia, e non sono mai andato via. Da quando li ho incontrati non ho più conosciuto momenti di reale disperazione. Con loro ho deciso che nella mia vita mi sarei donato interamente al movimento. E poi in Gs potevo essere chi ero veramente. Potevo anche dirgli senza vergogna che mi piaceva Celentano. Mi prendevano in giro, però lo cantavamo insieme. Con noi di Gs c era Gabriella, anche lei era stata in missione, ed era sempre felice. Con noi c era don Mauro. Una volta siamo andati con lui in Spagna. Durante un viaggio in pullman a un certo punto si è isolato e si è messo a leggere quel suo strano libro di preghiere. Per la prima volta mi sono accorto che il prete faceva cose che altri non facevano, aveva a che fare con Dio. Con noi c era anche Annalisa. Quando è entrata in monastero ho capito che donarsi è una scelta. Una scelta che va fatta, prima o poi. Sono stato molto amato all'università, a Milano. Là ho avuto tanti amici veri, in particolare quattro. Abbiamo vissuto insieme il mio primo anno, in un appartamento in via Borsieri, vicino alla stazione. Abbiamo dato tutti la vita a Cristo. Loro sono entrati nei Memores Domini ed io alla San Carlo. Con loro ho intravisto cosa sarà il Paradiso: un amicizia bellissima, che vive di Cristo. Con loro ho conosciuto don Pino. Era un prete che si spendeva totalmente per il movimento. Viveva servendo l amicizia più cara che aveva. Un mese dopo l inizio dell università ho deciso che volevo vivere anch'io così. È allora che ho detto a Margherita che volevo fare il prete. Ed è quel giorno che lei mi ha amato così tanto, lasciandomi andare. Da allora desidero amare tutto così, con la stessa disponibilità, con la stessa radicalità. Dare la vita Sono stato profondamente amato da Marta. Era un amica. Ad un certo punto si è ammalata di tumore ed ha offerto la sua vita anche per me. Solo in Paradiso vedrò veramente la portata della sua offerta. Anche per questo non vedo l ora di andarci. Per ora mi ha mostrato che «dare la vita per i propri amici» è possibile e bellissimo. All inizio del terzo anno di università ho conosciuto don Paolo, della Fraternità san Carlo. È stato un incontro discreto e decisivo, come a volte sceglie di essere Dio. Attraverso di lui ho scoperto che nel mondo esisteva un luogo fatto di amici, preti, del movimento. Da allora ho sempre pensato che la Fraternità san Carlo fosse il mio posto. In occasione dell ordinazione si sceglie un immagine come ricordo. Ho scelto quella della Maddalena che onora i piedi di Gesù con un profumo costoso. Tutti lo giudicano uno spreco, lei desidera solo donarsi senza misura. È un gesto che mi affascina. Quanta gratitudine deve avere avuto nel cuore quella donna, così grande da non calcolare lo spreco. Forse questo abbiamo in comune: la gratitudine. E oggi il desiderio più grande che ho è proprio di poter sprecare la mia vita per Cristo.

7 La profonda letizia del cuore è come una bussola che indica il sentiero da seguire nella vita. Madre Teresa di Calcutta fraternitàemissione 7 Quella voce di Lorenzo Locatelli Dunque, vediamo Il titolo potrebbe essere «Dai Castelli romani alle Ande». Sarebbe perfetto, in fondo si tratta di raccontare la storia di un romano partito missionario per il Cile. E lo svolgimento? Potrei partire da quando avevo nove anni e, durante una vacanza in montagna in cui mi ero beccato una tonsillite, mio cugino mi chiese cosa volessi fare da grande, e io gli risposi: «Il prete». Tra l altro, anche mio cugino era prete Pero sarebbe troppo lunga. E poi darebbe l idea del santarello devoto tipo: sin da piccolo dimostrava una spiccata propensione per la vita ascetica. Per carita! Allora potrei partire raccontando gli anni turbolenti dell adolescenza, quando facevo disperare i miei poveri genitori No, anche questo suonerebbe esagerato. «Se qualcuno di voi...» Sapevo che prima o poi avrei dovuto scrivere questo articolo. Pero non immaginavo che sarebbe stato così difficile! La verita e che ho gia scritto su Fraternita e Missione la storia della mia vocazione! Quel testo sì che mi era venuto bene! (I lettori piu distratti potranno rileggerlo su F&M di maggio 2011). Raccontavo della Giornata Mondiale della Gioventu a Roma durante il grande Giubileo del Duemila, quando papa Giovanni Paolo II, nella spianata di Tor Vergata, pronuncio quelle parole che mi cambiarono la vita: «Se qualcuno di voi avverte in se la chiamata del Signore a donarsi totalmente a Lui per amarlo con cuore indiviso, non si lasci frenare dal dubbio o dalla paura. Dica con coraggio il proprio sì senza riserve, fidandosi di Lui che e fedele in ogni sua promessa». Quelle frasi vinsero in me la paura per un pensiero che tentavo di scacciare da un po di tempo. Poi concluse con quelle che furono le parole decisive: «Non ha Egli forse assicurato, a chi ha lasciato tutto per Lui, il centuplo quaggiù e la vita eterna?». In mezzo a due milioni di persone, mi sembrò di trovarmi faccia a faccia con il Papa Ma non posso cavarmela con un semplice copia e incolla. Ci sono! Racconto del primo incontro con don Sergio. Potrei parlare di Mille circostanze, mille volti, e una lotta che si ingaggia con il Signore, fatta di fascino e di resistenza quella domanda ripetuta quasi per gioco eppure così fondamentale: «Sei felice? Perché?». Potrei raccontare di come con lui ho imparato a gustare l amicizia con gli amici dell universita, della passione per il Movimento, dell esperienza del Centro giovanile, lo studio assieme, le cene... Di quando per la prima volta gli parlai di Luisa e capii che Cristo c entrava veramente con tutta la vita. Della contentezza che condividevo con mia sorella Anna Maria quando tornavamo a casa in auto dopo una serata al Centro, delle birre tra uomini, del pensiero ricorrente: «Io desidero una vita così». Fu a lui che affidai il mio segreto, tornato da Tor Vergata Credo che le 5mila battute assegnatemi non basterebbero. Strade parallele Allora parlo dei miei amici! Le corse in motorino con Martino e Alessandro ai tempi del liceo, i film del mercoledì sera con Mattia, Andrea e Michele. L amicizia con Marina e Cinetta e la scoperta di Gs. E poi la mitica band di Venticello e i magnaccioni quando ci siamo accorti che, mettendo in piedi una band, costruivamo la nostra amicizia. Scrivo di come la passione per Cristo ci ha portato a vivere sparsi un po per tutto il mondo: Roma, Chicago, Santiago... No, troppo romanzesco, troppo difficile. Forse potrei cominciare parlando dei miei genitori. Del loro incontro con il movimento, della loro discrezione nel vedere e accompagnare me e Anna Maria prendere la nostra strada, una strada che forse non avrebbero immaginato così. Di quando mia sorella disse loro che sarebbe entrata nella Trappa di Vitorchiano, della loro disponibilita silenziosa e commossa. Della loro fatica i primi anni dalla sua partenza mentre io pensavo tra me e me: «e non finisce qui». Sì, potrei anche raccontare di quando, qualche anno dopo, dissi loro a bruciapelo che entravo in seminario e del nuovo senso che il dono dei loro unici due figli a Dio diede al loro matrimonio. E infine potrei scrivere di mamma, che offrì la sua malattia e la sua morte per la perseveranza nella vocazione mia e di Anna Maria. Credo che dovro arrendermi: raccontare la storia di una vocazione è quasi impossibile. Mille circostanze, mille volti, e una lotta che si ingaggia con il Signore, fatta di fascino e di resistenza, di amore e di peccato. Ovunque risuona l eco della voce di Dio. E nei fatti che qui ho potuto solo accennare, quella voce ha gridato forte per me. Fedele sempre Lorenzo è uno dei primi studenti che ho conosciuto quando sono stato destinato a Roma. Ci siamo incontrati ad una vacanza estiva di Gs in Svizzera e da lì è iniziato un rapporto che nel tempo è diventato sempre più significativo per la mia vita. Nell amicizia con lui ho conosciuto sua sorella Annamaria, ora a Vitorchiano, suo papà Jean Marie (che ora vive con noi alla Navicella) e sua mamma Gabriella che continua ad accompagnarci tutti dal cielo. Lorenzo è sempre stato il tramite facile per conoscere altri. I suoi anni di università, gli inizi dell esperienza del Centro Giovanile e poi della Navicella, sono stati per me l occasione di imparare con lui e i suoi amici cosa significa spendere la vita per seguire e testimoniare Gesù. Spesso, parlando delle cose belle che scoprivamo e delle fatiche che tutti viviamo (la fatica dello studio, gli affetti, le incomprensioni con gli amici...) mi sono trovato a pensare e dirgli: «Chissà cosa sarà tra dieci anni». Questo è l augurio che faccio a lui, a me, a ciascuno: poterci accorgere della fedeltà del Signore alla nostra vita, vivere ogni istante fino in fondo, sapendo che nascerà un frutto che non è opera nostra e non è in mano nostra. don Sergio Ghio Da sinistra: Francesco Ferrari, 31 anni, originario di Reggio Emilia; Lorenzo Locatelli, 32 anni, di Roma.

8 Dio è così grande che ha tempo per le nostre piccole cose. Joseph Ratzinger 8 fraternitàemissione La fede o l amicizia? di Paolo Paganini Negli anni 80, a Inveruno (Milano), era piuttosto chiaro che Dio c era. Semmai il problema era capire dove andarlo a trovare. Certamente partivo avvantaggiato in tale ricerca: nella mia famiglia la fede non era parlata, discussa, o particolarmente scandagliata. Era semplicemente vissuta. Nessuno mi ha mai intimato di centrare la mia esistenza sulla fede in Cristo. Semplicemente, questa era la vita che si viveva, senza particolari velleità ascetiche o contemplative. All oratorio mi hanno poi insegnato le basi. Insomma, la società era ancora cristiana e io, a undici anni, ero anche piuttosto convinto. Molti dei miei amici, però, non lo erano. E un po avevano ragione, perché era tutto vero, ma tutto troppo implicito. Ma a quel punto, scegliere fra le fede e l amicizia era impossibile, così sono rimasto pietrificato nel mezzo. Finché non ho incontrato Gs, a Busto Arsizio. La stessa promessa Paolo Paganini, milanese di 32 anni. In alto, durante un periodo di missione in Messico. Non posso non ripensare ad una cena di due anni fa. Eravamo insieme a Paolo e ad altri due amici in un ristorante di Busto Arsizio, durante le vacanze di Natale. Lui aveva preparato l ordine del giorno : «Quando eravamo a Gs, seppur forse in modo ancora sentimentale, era evidente che la vita doveva essere spesa per servire e conoscere Gesù. Cosa ne è stato di quella promessa adesso che siamo chi in seminario, chi in una casa di Memores Domini, chi a casa con moglie e figli?». Penso che solo una domanda così possa sostenere un amicizia che, dopo la convivenza quotidiana degli anni del liceo e dell università, ha dovuto affrontare un inevitabile distacco (è riuscito anche a farsi cambiare il soprannome!). In questi ultimi anni, per noi suoi amici, è stato evidente come Paolo fosse sostenuto dalla paternità di don Massimo e come ricercasse questo rapporto riconoscendolo come decisivo, senza rinnegare nulla del suo carattere e temperamento. È interessante riconoscere che, pur in circostanze diverse, per noi il metodo è lo stesso: sempre una sequela ed un appartenenza a Carrón e alla Chiesa. Giorgio Chevallard Resistenza passiva Non che ignorassi del tutto cosa fosse Comunione e liberazione, solo il problema era ancora dove, o, meglio, con chi vivere una vita del genere. Ho iniziato, in particolare con un paio di amici: sapevamo che ciò che avevamo incontrato era tutto, e allora cercavamo di vivere tutto cercando il nesso con Gesù. E infatti eravamo piuttosto ridicoli: come si fa, a quindici anni (ma anche a trentatré)? Intanto, però, iniziavo a riconciliare amicizia e ideale, l uno a tener su l altra. E, pian piano, riguadagnavo tutto ciò che molti miei coetanei stavano perdendo. «Niente si perde in Colui che non si può perdere»: questa promessa di sant Agostino ci ha letteralmente fregato. Sapevamo, in maniera chiara e distinta, che qualsiasi direzione avrebbero assunto le nostre esistenze, non avremmo potuto prescindere dalla forma di vita che ci aveva così potentemente investito: la lotta spalla a spalla per essere santi, cioè amici di Cristo e l amicizia fra gli uomini come luogo vivo del rapporto col Signore. Mi sono iscritto a Medicina con una sola idea: occorre portare l annuncio della Risurrezione a chi soffre e non sa nemmeno perché. Ma, pur trovandomi a studiare con gente splendida, mi sono ri-pietrificato per i primi due anni. Un segreto timore di perdere qualcosa si è impossessato di me. E allora mi sono dato alla resistenza passiva a Dio che mi chiamava. L idea del sacerdozio era viva in me, ma non accettavo che il Signore potesse disporre di me con l ubriacante libertà che contraddistingue il Suo stile. Dei grandi amici mi hanno sostenuto e sopportato in quegli anni di fastidiosa indeterminatezza, e a un certo punto mi sono arreso. Ho capito che alla mia vita non mancava nient altro che l umiltà e la docilità di cuore di chi riconosce che il padrone della storia è un Altro. Iniziando dall accettare che la comunità del Clu dell ospedale Sacco a Milano fosse casa mia (fatto che non ammettevo, nella più ampia cornice dalla mia personale guerriglia contro Dio). Questa piccola, micragnosa ammissione, ha comportato un escalation nella mia vicenda personale. I romanzi di Marshall Da quel momento tutto comincia a girare velocissimo. Un mio compagno di studi, dopo la laurea, ci comunica che sarebbe entrato nella Fraternità san Carlo. Penso passerò tutta la vita a domandarmi cosa allora si sia smosso in me. Forse vedere una persona così vicina fare un tale passo mi ha semplicemente dimostrato che quella strada era possibile. La sera dopo gli dico che l avrei seguito dopo la mia laurea, due anni dopo. Alla terza ripetizione si convince che non scherzo. Torno a casa cercando di fingere indifferenza a riguardo - ma i miei capiscono subito tutto. Inizio il rapporto con la Fraternità san Carlo. Il perché è semplice. Leggendo i romanzi di Bruce Marshall mi ero imbattuto in figure di preti eroici, ma al contempo soli. Non era quella la forma di vita che mi aveva avvinto a suo tempo. Dovevo forse rinunciare ancora all amicizia, in favore di un ideale che rischiava di diventare nebuloso? Ma fedele è Dio, e quanto Egli promette, vuole anche portarlo a compimento. Il 19 febbraio 2005 incontro a Milano don Massimo Camisasca, che aveva appena detto addio a don Giussani. E io passo in consegna da un padre a un altro. Dopo otto anni nella Fraternità posso affermare che la casa che ho sempre cercato, dove l amicizia con il Signore e con gli uomini è non solo possibile, ma il centro stesso della vita, c è. In essa è possibile recuperare tutto ciò che rende grande e bella l esistenza. In essa io sono voluto bene con un intensità e una libertà infinite (ed è raro che si diano le due cose assieme). Ed è questa la vita che sognavo da bambino.

9 Gesù non chiama quelli che sono degni, bensì chi vuole lui. Teresa di Lisieux fraternitàemissione 9 Un mare di gratitudine Quei«sì» di slancio di Daniele Scorrano Bologna, A.D Una domenica d aprile: preparare le lezioni di filosofia e storia per la prossima settimana, telefonare al Resto del Carlino per avvisare che la rubrica settimanale la invierò in ritardo, poi l incontro e la serata di Gs. A proposito: c è anche da preparare la convivenza dei ragazzi E sempre lì, come un avvoltoio, le scadenze dei progetti per finanziare la scuola. Non avevo proprio niente da fare, quindi era naturale che mi venisse affidata anche l organizzazione dell Open day del Liceo! E poi l ennesimo discorso da correggere certo, se qualcuno intanto correggesse i miei compiti in classe non sarebbe male. Con la scusa di essere l uomo per tutte le stagioni, come dice la preside, qui prima o poi mi ammazzano! Eppure ero contento, mi spendevo per costruire qualcosa di grande. Amavo insegnare e scrivere. E poi gli incontri continui con le persone, l educazione dei ragazzi, i rapporti che si moltiplicavano, colleghi e amici da cui imparare e con i quali condividere tutto. Era la vita che desideravo. Quella domenica ero riuscito a ritagliarmi una mezza giornata per fare un po di pulizie in casa, lavare i panni e stirare. Accesi distrattamente il televisore e iniziai a fumare una sigaretta. Mandavano un film su Giovanni Paolo II, pensai che non mi piaceva il modo in cui era realizzato. Intanto mi tornavano in mente le parole che più mi avevano provocato nell incontro del papa con i giovani durante il grande Giubileo del 2000: «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare». Una scena d improvviso catturò la mia attenzione, e il mio cuore. Non ricordo precisamente la sequenza: una ragazza dichiarava, forse, il suo amore al giovane Karol e lui, con lo sguardo pieno di affetto, le rispondeva che il suo cuore lo aveva già consegnato ad un Altro, tutto ad un Altro. Non so spiegare cosa mi accadde nell ascoltare quelle parole. Fu come se l intera mia vita si ricapitolasse improvvisamente attorno ad esse. Il ritmo della natura Non avevo mai pensato di diventare sacerdote. Volevo sposarmi, formare una bella famiglia con almeno sette figli. Pensavo che avrei comprato un casolare in campagna circondato da alberi e animali dove avrei potuto invitare sempre gli amici. E avrei comprato anche un camper per viaggiare in tutto il mondo portandomi dietro la mia casa. Sono nato vicino al mare, sul golfo ionico del Salento. Sin da bambino lo sciabordio delle onde, il fragore delle foglie d ulivo mosse dal vento, il profumo degli agrumi e la luce del sole riflessa dalle bianche pietre della campagna hanno popolato il mio mondo. Terzo di quattro figli, papà ferroviere, mamma casalinga. Una vita semplice, segnata dal ritmo della natura e dalle tradizioni: d inverno la raccolta delle olive, d estate la produzione della salsa di pomodoro, la domenica sera a casa della nonna con tutti i parenti. E poi il profumo del pane fatto in casa, le passeggiate a cavallo, la puzza delle stalle mista all odore tipico delle selle e del fieno seccato al sole... E la vita in parrocchia, gli amici della stanzetta : quante avventure! Quante feste! Ho sempre amato ballare... In casa non si parlava di fede, di religione o della Chiesa. Non si facevano mai grandi discorsi, ma si vivevano le cose quotidiane, materiali e concrete. Spesso si litigava, ma poi si ricominciava sempre. Da mia madre imparavo che era possibile donare la vita, anche a costo di sacrifici, per amore dell unità. Mio padre mi insegnava che l affetto non si dimostra con le parole, ma con il lavoro e la presenza. Da lui ho ereditato una certa spinta all intraprendenza. Sin dalle medie ho iniziato a lavorare come fruttivendolo, venditore di scarpe, poi come cameriere. Negli anni universitari come insegnante privato, promotore di un museo, operaio in una tipografia, attore in una piccola compagnia teatrale e cronista televisivo, lavoro che ho lasciato per studiare filosofia in Germania. E poi la grande avventura come presidente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica. Avvertivo in me tanti desideri. Sentivo di essere fatto per qualcosa di grande. Intanto rincorrevo mille passioni, non volevo perdermi nulla della vita. Una corte spietata Sono arrivato alla fine del pezzo e non ho ancora raccontato la mia vocazione! Sarà per un altra volta. Per ora basti questo: sono entrato in seminario perché ero contento. Tanti doni, tante avventure, tanti padri e sullo sfondo una Presenza che mai mi ha abbandonato, come il profumo del mare. Non hai mai smesso di cercarmi, mi hai aspettato. Hai aspettato che mi accorgessi di Te. Mi hai fatto una corte spietata, ma sempre discreta. Tutto mi hai dato: anche i miei capricci hai preso sul serio e solo per farmi capire che era altro ciò che veramente volevo. Tu mi conosci. Sapevi della mia testardaggine. Sapevi che se non avessi avuto tutto, non avrei ceduto, non mi sarei accorto Mi avevi fatto per Te e io ti ho fatto aspettare tutto questo tempo. Così mi hai introdotto nella fedeltà dell amore, più forte del tempo e della morte. Ora sono qui e sono tuo, mio Dio e mio tutto. «Non ho mai visto un Collegio dei docenti così! Siete animati da "ansia" educativa». Daniele era arrivato da Taranto, si era presentato con una camicia a righe terribile e un accento fortissimo. Era stato travolto dal nostro modo di lavorare e lo aveva riassunto in modo perfetto. Con lui è nato un rapporto fatto di passione per gli studenti, di amore per gli autori insegnati, di curiosità e di voglia di imparare. Era l unico che diceva sì, di slancio, a ogni proposta. Se c erano dei problemi ne parlavamo dopo: all inizio c era un adesione senza condizioni. Una positività assoluta. Nel corso degli anni ho visto maturare la sua vocazione. I suoi tratti personali sono emersi come emerge un volto da un pezzo di marmo lavorato da un sapiente scultore. La vita di Daniele è la dimostrazione che il Signore è un grande educatore: lo ha saputo far crescere attraverso mille circostanze, senza mai sostituirsi. Sfruttando il suo temperamento. Quando l ho incrociato la prima volta ero appena uscita da un incontro con i ragazzi di Gs di Taranto. Corse dietro l auto in cui ero già salita, sventolando in mano il suo curriculum. Abbassai il finestrino e mi raggiunsero due occhi scuri vivacissimi: «Sono laureato in filosofia e voglio insegnare nella tua scuola, anzi, so che verrò ad insegnare al Malpighi». E il "caso" volle che si liberassero delle ore per una supplenza... Quando mi disse che sarebbe entrato in seminario mi rattristai, sapevo di perdere molto, ma ero certa che da quel sacrificio sarebbero arrivati dei frutti. Quello di oggi è il più evidente, altri sarebbero da raccontare... magari un altra volta. Buon inizio, Daniele caro! Elena Ugolini

10 «Il Signore tuo Dio ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che hai fatto». Dt 1, fraternitàemissione Notizie Flash a cura di Marco Sampognaro NUOVE DESTINAzIONI Neo ordinati Nicolò Ceccolini e Francesco Ferrari saranno vicerettori della Casa di formazione, a Roma. Donato Contuzzi tornerà a Taipei (Taiwan), dove ha trascorso l anno di diaconato. Allo stesso modo, Matteo Dall Agata tornerà a Colonia (Germania). Lorenzo Locatelli è destinato a Santiago del Cile. Paolo Paganini proseguirà gli studi a Roma in vista della sua destinazione in Russia. Daniele Scorrano è destinato alla casa di Reggio Emilia. Il neodiacono Michele Benetti resterà nella casa di Washington, dove ha effettuato la sua formazione. Spagna e Cile Dopo tredici anni di missione, Alessandro Camilli si trasferisce da Fuenlabrada (Madrid, Spagna) a Santiago del Cile, dove è destinato anche Stefano Don, che lascia la casa di Roma Magliana. In Spagna, infine, andrà Tommaso Pedroli, destinato alla casa di Fuenlabrada. CASA DI FORMAzIONE Mostre itineranti Hanno iniziato a girare per l Italia le nuove mostre sulla Bibbia, curate dai seminaristi della Fraternità san Carlo. Prosegue il viaggio della mostra sulla paternità «Nessuno genera se non è generato». Le ultime tappe sono state Termoli (Cb), Busca (Cn) e Brescia. Alla Pontificia Università Lateranense, invece, gli studenti della Fraternità hanno allestito la mostra «Il sorriso della libertà» dedicata a Tommaso Moro, realizzata dalla Fondazione «Costruiamo il futuro». CASA DI FORMAZIONE «Chi sei tu, Altissimo Signore Da Città di Castello ad Assisi, in cammino verso san Francesco. Un pellegrinaggio di sei giorni subito dopo Pasqua, nel momento in cui in Umbria cominciava a fiorire la primavera. Questa è stata sicuramente una delle esperienze più significative che ho avuto la gioia di vivere durante il secondo anno di seminario in compagnia di alcuni miei fratelli. E porterò sempre nel cuore la bellezza di quei giorni così intensi, pieni di preghiera, allegria, fatica, incontri e silenzio perché camminando insieme abbiamo contemplato il volto di un santo, domandando di potergli assomigliare. Tutti sapevamo qualcosa di san Francesco ed eravamo affascinati da lui ancor prima di partire, ma è stato camminando con lui e dietro di lui che siamo riusciti ad entrare un po di più nel mistero della sua gigantesca figura. Chi è Francesco? Un grande riformatore, un santo importante, un fedele servitore della Chiesa tutte queste risposte sono giuste, ma egli è soprattutto un uomo innamorato totalmente e unicamente di Cristo, di Gesù Crocifisso. La sua radicalità, il suo desiderio di amare solo «colui che con le sue piaghe riscattò il mondo e la nostra vita», è il punto a partire da cui poter comprendere in cosa consiste la sua scelta per la povertà così come ogni suo gesto, ogni sua parola. Francesco desiderava essere piccolo e nudo per poter essere più disponibile all opera di Dio e più immedesimato con Cristo. Nudus nudum sequi, ci ripete spesso don Massimo: nudo, segui colui che è nudo, guarda a Gesù in croce. E guardando a Francesco, ascoltando la sua storia, lasciandoci stupire da lui abbiamo imparato ad invidiarlo, a desiderare di farci più piccoli, per lasciare che Dio realizzi la sua opera grande in noi e attraverso di noi. La povertà consiste principalmente in questo: nella disponibilità all opera di Cristo, nel farsi piccoli per lasciare spazio a Lui. È commovente scoprire che nel più alto momento di immedesimazione con Gesù, mentre riceveva il dono delle stimmate, Francesco pregava dicendo: «Chi sei tu, Altissimo Signore mio? E chi sono io, verme inutilissimo?». L uomo non è proprio nulla. Ma la povertà diventa causa di ricchezza se accetta di lasciarsi riempire dall amore di Dio, nella rinuncia a sé stessi e ai propri progetti. E allora si capisce perché Francesco invitò santa Chia- Aut. del Trib. di Cassino n del DIRETTORE RESPONSABILE: Paolo Sottopietra REDAZIONE: Fabrizio Cavaliere, Jonah Lynch, Francesco Montini, Marco Sampognaro HANNO COLLABORATO Massimo Camisasca, Nicolò Ceccolini, Donato Contuzzi, Matteo Dall Agata, Francesco Ferrari, Stefano Lavelli, Lorenzo Locatelli, Paolo Paganini, Daniele Scorrano, Patrick Valena GRAZIE A Lino Capriotti, Giorgio Chevallard, Sergio Ghio, Carlo Grillini, Stefano Nembrini, Paolo Serafini, Andrea Sinigaglia, Elena Ugolini PROGETTO GRAFICO: G&C IMPAGINAZIONE: Fabrizio Cavaliere STAMPA: Arti Grafiche Fiorin Via del Tecchione 36, San Giuliano Milanese (Mi) REDAZIONE E UFFICIO ABBONAMENTI: Via Boccea Roma Tel fm@sancarlo.org ABBONAMENTI base 15 - sostenitore 50 C/C IBAN: IT44X OFFERTE c/c postale IBAN: IT08A

11 IL TUO 5X1000 Anche quest anno puoi sostenere la missione e le opere della Fraternità san Carlo senza spendere nulla. Nella tua dichiarazione firma nello spazio per il sostegno del volontariato e inserisci il nostro CODICE FISCALE fraternitàemissione 11 Sulle orme di san Francesco per lasciarsi riempire dall amore di Dio di Patrick Valena L interno della Basilica Superiore di Assisi (Elio e Stefano Ciol ). A destra, alcuni scatti dal pellegrinaggio ad Assisi compiuto in aprile da alcuni seminaristi. mio?» In cammino con il popolo di Francesco Montini «Tanti uomini, e le donne dove le avete lasciate?». «Sa, siamo seminaristi». Momento di imbarazzo, poi risata generale. Livio, presidente di un azienda alimentare, lo incontriamo l ultima sera, quando festeggiamo la nostra fatica pellegrina a base di carne alla brace e specialità umbre. Attacca subito bottone, con il suo accento marcatamente lombardo. Parla come se parlasse a vecchi amici. Le sue fatiche di imprenditore, le sue preoccupazioni, la famiglia si intrecciano ai nostri racconti, alle nostre esperienze. Due ore intense, concluse da alcuni canti alpini, un abbraccio e un biglietto da visita: «Quando vengo a Roma passo sicuramente a trovarvi». A Gubbio invece andiamo a messa a san Marziale, una piccola ma stupenda chiesa medievale che è anche monastero. Un tempo abitato da suore benedettine, da sei anni è la casa di un gruppo di suore francescane. Sono in quattro con due aspiranti: uno dei tanti nuovi rami generato dal carisma del Santo di Assisi. Il giorno successivo ci propongono di passare una giornata con loro, nel posto dove la tradizione racconta che Francesco incontrò il lupo. Qui troviamo un altra chiesetta e incontriamo padre Francesco: ha quasi novant anni, ma ogni giorno è lì. Prega, confessa o semplicemente saluta i pellegrini diretti ad Assisi. È l ora di pranzo. Una pastasciutta veloce con le suore (domande, curiosità, vocazioni che si intrecciano). Poi di nuovo in cammino. Più di tutto, restano impressi negli occhi i volti delle decine di persone che al nostro passaggio ci salutavano, sorridevano, recitavano una paio di preghiere con noi. Gli occhi vivi di un popolo. Insieme impariamo a guardare a Gesù e a camminare al suo fianco. Questo ci fa appartenere l uno all altro ra a seguirlo nell impresa di «distruggere il delicato alabastro del suo corpo per riempire la Chiesa del profumo della sua anima». Ecco: l edificazione della Chiesa coincide con il compimento della propria vocazione ed è l unica cosa che Dio ci chiede, ciò che ci rende felici, l unico modo per amare tutti i nostri fratelli uomini. La testimonianza di Francesco ha illuminato ulteriormente ciò che chiediamo di vivere ogni giorno in seminario tra noi. Mi rendevo conto in quei giorni di essere particolarmente fortunato: chiamandomi a vivere nella Fraternità il Signore mi ha donato la strada per poter imparare giorno dopo giorno a vivere quella stessa povertà che infiammò il cuore di Francesco. Era sufficiente per me durante il pellegrinaggio alzare lo sguardo e guardarmi intorno: la strada è la mia casa; la strada è fatta dei volti e della compagnia dei miei fratelli che sono la mia famiglia. Insieme impariamo a guardare a Gesù e a camminare al suo fianco; e questo ci unisce, ci fa appartenere uno all altro. Insieme noi vogliamo essere pellegrini sulle strade del mondo, perché la vita è pellegrinaggio.

12 ABBONATI O RINNOVA IL TUO ABBONAMENTO. È SEMPLICE. ON LINE: fraternitàemissione c/c postale: Intestato: Fraternità Sacerdotale Missionari S. Carlo B. Fraternità e missione ABBONAMENTI: base 15 - sostenitore fraternitàemissione Foto Alice Caputo Associazione Cometa. I BAMBINI CI SCRIVONO «Non ho voglia di fare i compiti» di Massimo Camisasca Caro don Massimo, leggo sempre le tue risposte sul giornale. Anch io desidero farti alcune domande. 1) Faccio una grande fatica a fare i compiti perché non mi piacciono. Cosa mi aiuta a farli volentieri? 1) Caro Matteo, anch io ricordo tanti pomeriggi dei miei anni giovanili resi pesanti dai compiti a casa. Che cosa può aiutarti ad alleggerire il loro peso? Pensare a quanto è bello conoscere: la storia passata, i paesi del mondo, la struttura di una lingua, i numeri e i loro rapporti sono come tante finestre aperte, come essere su un treno e guardare dal finestrino paesaggi sempre nuovi. Un altro modo per alleggerire la fatica: studiare con un amico. Così si sommano le scoperte e le abilità (attento: non ci si può trovare solo per chiacchierare!). E poi una terza via: l offerta della fatica. Si può sempre dire a Gesù: «Ti offro la fatica dello studio per questa persona a cui voglio bene». Oppure: «perché tu mi renda più buono». Oppure: «perché tu mi aiuti». Dio è contento dei regali che gli facciamo. Certo, Lui ne fa tanti a noi anche quando lo dimentichiamo. Ma è commosso dai nostri piccoli doni. 2) Faccio fatica a resistere a una grande voglia di fare alcune cose, come per esempio giocare tanto con il computer: come frenare questo desiderio? 2) Pensa a un uomo che avesse una testa grossa e un corpo piccolo. Oppure un braccio corto e una mano grande. Ciò che è bello è anche armonico. Così noi dobbiamo sviluppare tutti i doni che Dio ha posto dentro di noi creandoci. Se stiamo un tempo esagerato al computer, diventeremo come quei mostri di cui ho parlato sopra. Dobbiamo prenderci il tempo di correre, di giocare all aperto con gli amici, di guardare gli alberi, i fiori, il cielo, non solo sullo schermo, ma dal vivo, di prendere in mano un libro, di ascoltare una musica. Fatti aiutare da qualcuno che ti vuole bene. Il vescovo di Reggio Emilia - Guastalla risponde ai piccoli. Per le domande scrivete a: pr@sancarlo.org Dio ci fa tanti regali, anche quando lo dimentichiamo. Ma è commosso dai nostri piccoli doni 3) Come fa Dio a trasmettermi bontà? Grazie per le tue belle e utili risposte. Matteo, 10 anni 3) Dio trasmette bontà. Che bella e giusta espressione! «Il nostro cuore è fatto per te», ha scritto sant Agostino, un santo africano vissuto tra il quarto e il quinto secolo. Noi siamo fatti a immagine di Dio. Lui, che ci ha fatti, ha messo dentro di noi il desiderio del bene. Ma vuole che siamo noi a scegliere ragionevolmente la bontà. Ha perciò permesso che siamo messi alla prova del Demonio, che è il padre della cattiveria. Caro don Massimo, che cosa vuol dire «venga il tuo regno»? Giacomo, 5 anni. Caro Giacomo, «venga il tuo regno» è una delle invocazioni con cui Gesù ci ha insegnato a pregare Dio nel «Padre nostro». La frase va dunque letta all interno di tutta la predicazione di Gesù. Che cos è il Regno di Dio? E perché dobbiamo chiedere che venga? Regno è il territorio geografico su cui un re esercita il suo governo. Anzi, propriamente il territorio che è proprietà di un re e dei suoi discendenti. Il territorio di Dio è l universo di cui è il creatore, ma in un senso differente dagli altri regni. «I re del mondo - ha detto Gesù - esercitano il dominio sui loro sudditi» (cfr. Mc 10, 42). Dove arrivano i re del mondo diminuisce la libertà degli uomini. Il Padre invece vuole entrare nel cuore degli uomini per aiutarli ad essere liberi, cioè a riconoscere ciò che è bene e a fare il bene. Senza l aiuto di Dio non siamo capaci da soli di fare il bene. Per questo Gesù ci invita a chiedere ogni giorno: «venga il tuo regno». Egli vuole regnare nei nostri cuori per renderci liberi e capaci di amare.

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