Produzione di Energia Elettrica da Rifiuti Urbani
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1 1 Appendice al Cap. 3 (della Parte Seconda del Corso) Produzione di Energia Elettrica da Rifiuti Urbani 1. Generalità Per quanto riguarda l Italia, il Decreto Legislativo n 22 del 5/02/97 (Decreto Ronchi), in attuazione delle Direttive Comunitarie Europee, introduce in Italia il concetto di Sistema Integrato dei Rifiuti (SIR), cioè un modello gestionale che considera ogni aspetto del sistema rifiuti : produzione, raccolta, trasporto, opzioni tecnologiche di trattamento e smaltimento finale, allo scopo di sfruttarne ogni contenuto di materia e di energia e di ridurre il più possibile l impatto ambientale. Il Decreto Rochi all art. 5 stabilisce che: dal 1 gennaio 2000 è consentito smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, i rifiuti individuati da specifiche norme tecniche ed i rifiuti che risultano come residuo dalle operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento a partire dal 1 gennaio 1999 la realizzazione e la gestione di nuovi impianti di icenerimento possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione è accompagnato da recupero energetico. Si ricorda inoltre che il decreto Legislativo 16/03/1999 n 79 (Decreto Bersani), nonché la recente Legge n 239 del 23/08/2004 sul Riordino del Settore Energetico, hanno inserito fra le fonti rinnovabili anche la trasformazione in energia elettrica dei rifiuti organici ed inorganici. Pertanto l energia elettrica prodotta dagli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti urbani, di nuova realizzazione, può essere oggetto di specifici contratti fra i produttori di energia elettrica (certificati verdi). Stante l obbligatorietà del recupero energetico dei rifiuti, stabilito dal Decreto Ronchi, e l inserzione dei rifiuti urbani fra le fonti rinnovabili (con tutti i conseguenti vantaggi), nel presente documento la nostra attenzione verrà rivolta soprattutto al sistema di termovalorizzazione dei rifiuti ed al suo impatto ambientale. Si prendono in considerazione Impianti di Termovalorizzazione da RSU (Rifiuti Solidi Urbani) e/o da CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti mediante un apposito impianto di selezione degli stessi). In Italia il CDR viene definito come: combustibile ottenuto da rifiuti solidi urbani e da rifiuti speciali (ad esclusione dei rifiuti ospedalieri) attraverso la raccolta differenziata e/o attraverso cicli di lavorazione che ne aumentino il potere calorifico e riducano la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, contenuto di umidità e di inquinanti. A fronte di un potere calorifico inferiore (p.c.i.) medio del RSU pari a kcal/kg, il p.c.i. del CDR può arrivare a valori di kcal/kg. 2. Dati statistici sullo stato attuale del settore dei rifiuti urbani in Italia Gli ultimi dati disponibili in letteratura confermano che la produzione di rifiuti urbani tal quale in Italia nell anno 2002 si attesta in torno ai 29,8 milioni di tonnellate, con un incremento dell 1,3% rispetto all anno 2001 (29,4 Mt/anno). L andamento della produzione di rifiuti urbani in Italia negli anni è riportato in Fig. 1 che attesta negli ultimi anni un certa stabilizzazione nel tasso di crescita medio annuo, dopo un incremento annuo relativamente elevato negli anni
2 2 La raccolta differenziata ha raggiunto in Italia nel 2002 i 5,7 Mt, pari al 19,1% della produzione totale annua; la situazione appare tuttavia decisamente diversificata passando da una macroarea geografica all altra (Nord 30,6% - Centro 14,5% - Sud 6,0%). La raccolta differenziata svolge un ruolo primario nel sistema di gestione integrato dei rifiuti urbani, in quanto consente, da un lato, di ridurre il flusso dei rifiuti da avviare allo smaltimento e, dall altro, di condizionare in maniera positiva l intero sistema di gestione dei rifiuti. Esso infatti consente: la valorizzazione delle componenti merceologiche dei rifiuti la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti da avviare allo smaltimento indifferenziato il recupero di materiali e di energia nella fase di trattamento finale la promozione di comportamenti più corretti da parte dei cittadini. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani in generale in Italia, l analisi dei dati relativi all anno 2001 conferma una diminuzione dello smaltimento in discarica, già registrato anche nel 2000, anche se tale forma di gestione risulta sempre la più diffusa (il 67,1%), nonchè un aumento delle altre tipologie di trattamento e smaltimento, quali il compostaggio e la termovalorizzazione. Con riferimento a quest ultima, lo sviluppo tecnologico ha limitato drasticamente il numero degli impianti di incenerimento privi di tecnologie per il recupero energetico (del totale dei 44 impianti di incenerimento dei rifiuti urbani nel 2001, solo 8 impianti risultano privi di recupero energetico). Le varie percentuali di rifiuti urbani inviate ai diversi sistemi di smaltimento nell anno 2001 sono risultate le seguenti (dove l incenerimento è stato considerato con e senza recupero energetico): smaltimento in discarica 67,1% smaltimento mediante incenerimento 8,7% smaltimento mediante formazione di Compost e CDR 12,7% smaltimento mediante formazione di Compost da frazioni selezionate 5,8% smaltimento mediante altre forme di recupero 5,7% Dai dati sopra riportati si evidenzia che lo smaltimento mediante incenerimento risulta ancora una frazione relativamente piccola dell intero sistema di gestione dei rifiuti urbani. Tuttavia rispetto agli anni precedenti si osserva un continuo incremento dei rifiuti avviati a incenerimento nelle regioni del Nord Italia, mentre nel resto del paese la situazione rimane molto modesta e praticamente costante: vedi istogramma di Fig. 2. A titolo puramente indicativo, con riferimento ai dati dell anno 2001 (29,4 Mt di rifiuti urbani in totale, di cui 8,7% smaltiti mediante l incenerimento pari a 2,55 Mt di rifiuti), si riportano di seguito le quantità annue di energia elettrica che si potrebbero ottenere se si utilizzassero le suddette quantità di rifiuti solo per produrre energia elettrica con le attuali tecnologie: Ipotesi: a) utilizzo di RSU tal quale, considerando un p.c.i. medio di kcal/kg b) utilizzo di impianti di termovalorizzazione con un consumo specifico di circa kcal/kwh (quindi con un rendimento di circa η = 25%) Energia elettrica producibile a) se si considerano solo i rifiuti smaltiti con l incenerimento nell anno (2,55 Mt = 2,55 x 10 9 kg): [(2,55 x 10 9 kg) x (2.000 kcal/kg)] / kcal/kwh = 1,45 x 10 9 kwh = GWh b) se si utilizzassero invece tutti i rifiuti prodotti nell anno (29,4 Mt = 29,4 x 10 9 kg): [(29,4 x 10 9 kg) x (2.000 kcal/kg)] / kcal/kwh = 16,8 x 10 9 kwh = GWh Nel caso si ipotizzasse di poter utilizzare del CDR anziché del RSU tal quale, il potere calorifico del combustibile (il p.c.i. ) aumenterebbe, ma le quantità di combustibile nei due casi suddetti
3 3 diminuirebbero perché una parte dei rifiuti verrebbe recuperata a seguito della selezione; di conseguenza le relative quantità di energia elettrica producibili non dovrebbero discostarsi molto dai dati precedentemente ricavati. Facendo riferimento alla richiesta totale di energia elettrica sulla rete italiana registrata nell anno 2003 (pari a circa GWh), si può concludere che nei due casi suddetti si potrebbe recuperare rispettivamente lo 0,45% della richiesta totale di energia elettrica nel primo caso, ed il 5,2% nel secondo caso. 3. Impianti di Termovalorizzazione L economicità di un Impianto di Termovalorizzazione deve essere calcolata confrontando tra di loro: da un lato, tutti i costi di investimento e di esercizio dell impianto dall altro, tutti i ricavi derivanti dal conferimento del RSU e/o del CDR, dalla vendita di energia elettrica e dall eventuale vendita di calore. Dovrà essere determinata inoltre la soluzione ottimale in termini di taglia dell impianto, con riferimento alle tonnellate/giorno ( t/g ) di rifiuti (RSU e/o CDR) smaltibili con l impianto di termovalorizzazione. Le taglie più comuni sono quelle da: 250 t/g, 500 t/g, 1000 t/g, 2000 t/g. Una valutazione economica per impianti di diversa potenzialità è riportata nell allegata Tab 1 (con rif. a: smaltimento di CDR ed un prezzo di 110 Euro/MWh per vendita en. el. + certificati verdi). La taglia dell impianto va valutata in relazione al bacino di utenza (cioè alla quantità di t/g di rifiuti producibili nell area che fa capo all impianto in questione) ed all eventuale dislocazione del relativo impianto di selezione dei rifiuti nel caso in cui si consideri di bruciare del CDR. In questo caso le soluzioni per l installazione dell impianto di termovalorizzazione sono sostanzialmente due: l impianto di selezione del CDR può essere integrato con l impianto di termovalorizzazione, cioè la selezione viene effettuata nello stesso luogo dove il CDR viene bruciato l impianto di termovalorizzazione è separato da quello di selezione del CDR, nel qual caso bisogna tener conto anche del costo di trasporto del CDR. Tenuto conto che il costo di conferimento del CDR risulta attualmente dell ordine di Euro/t, l invio del CDR all impianto di termovalorizzazione deve risultare economicamente conveniente per il gestore dei rifiuti rispetto all eventuale suo smaltimento in discarica. Per il gestore dei rifiuti, pertanto, è vantaggioso portare il CDR all impianto di termovalorizzazione quando il costo di conferimento, più quello del trasporto, risulta inferiore al costo di messa in discarica più il costo di trasporto alla discarica stessa. Quest ultima somma al momento è valutabile, orientativamente, intorno ai 75 Euro/t di rifiuti. Per quanto riguarda invece l energia elettrica producibile con il termovalorizzatore, il prezzi medi (anno 2002) derivanti dalla vendita del kwh e dalla cessione del Certificato Verde risultano rispettivamente di 56 e 84 Euro/MWh, per un totale di 140 Euro/MWh. E possibile inoltre interpretare i valori riportati in Tab. 1 attraverso degli indicatori economici, che mettono bene in evidenza l effetto scala, quali: il costo di investimento dell impianto: vedi Fig. 3, dove gli importi unitari di investimento risultano attualmente compresi fra Euro per t/g di rifiuti in corrispondenza di impianti con una potenzialità di t/g, e circa Euro per t/g di rifiuti in corrispondenza di impianti con una potenzialità di 250 t/g il costo per il personale: vedi Fig. 4, che mostra come, all aumentare della taglia dell impianto, il peso del costo del personale incida sempre di meno sul costo totale
4 4 le quantità di rifiuti(in t/g ) bruciate per addetto: vedi Fig. 5 il margine operativo lordo: vedi Fig. 6, che mostra come il margine operativo lordo si riduca del 15,95 passando da una potenzialità di t/g ad una di 500 t/g, e come invece si riduca del 28,2% passando da una potenzialità di 500 t/g ad una di 250 t/g. Si può concludere che, nel caso in questione, l effetto scala sui costi, oltre a quello sulle prestazioni, consiglia la realizzazione di grandi impianti di termovalorizzazione in grado di servire bacini di utenza piuttosto ampi, superiori alle 500 t/g di rifiuti. 4. Configurazione di un Impianto di Termovalorizzazione in generale Un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti urbani è sostanzialmente un impianto termoelettrico con ciclo a vapore, che utilizza i rifiuti urbani come fonte energetica primaria per la produzione di energia elettrica e calore. Un impianto di termovalorizzazione è costituito da varie sezioni tra loro interconnesse, e precisamente: dalla sezione relativa al conferimento, allo stoccaggio, all eventuale trattamento ed all alimentazione dei rifiuti, nonché alla gestione ed al trattamento dei residui e dei sottoprodotti solidi (dopo la selezione dei rifiuti); scopo principale di questa sezione è la gestione dei flussi dei rifiuti in ingresso e del loro eventuale pre-trattamento, nonché quello di favorire un possibile recupero dei residui solidi dopo la eventuale selezione; dalla sezione relativa all incenerimento dei rifiuti, cioè dalla caldaia con la relativa camera di combustione, finalizzata alla distruzione dei rifiuti organici ed alla produzione di scorie potenzialmente riciclabili, minimizzando il contenuto di incombusti; dalla sezione relativa al trattamento dei fumi, avente come scopo principale la rimozione dai fumi dei composti inquinanti derivanti dalla combustione, concentrandoli in quantità relativamente ridotte (ceneri, sali di reazione, fanghi da trattamento ad umido, ecc.); dalla sezione riguardante il recupero energetico, e finalizzata al necessario (come richiesto dal Decreto Ronchi) e nel contempo massimo recupero del contenuto energetico dei fumi derivanti dalla combustione, sotto forma di energia termica e/o elettrica. Tuttavia la sezione che più caratterizza questo tipo di impianti è ovviamente quella dedicata all incenerimento (combustione) dei rifiuti, e cioè la caldaia (denominata comunemente anche forno ), e di questa ci si limita a trattare nel seguito. La scelta della tecnologia di recupero energetico tramite combustione dei rifiuti va fatta principalmente in funzione della tipologia del rifiuto da trattare, ed in particolare in base al suo contenuto energetico associato al p.c.i., ed alle sue caratteristiche chimico-fisiche (densità, pezzatura, contenuto di umidità, di inerti, ecc.). In tema di combustione di rifiuti le principali tecnologie impiegabili, che coprono attualmente la stragrande maggioranza delle applicazioni sono essenzialmente quattro, e precisamente: le caldaie (i forni) a griglia fissa le caldaie (i forni) a griglia mobile le caldaie (i forni) a tamburo rotante le caldaie (i forni) a letto fluido. Un quadro di confronto delle possibili tecnologie di combustione dei rifiuti e delle loro applicazioni, con riferimento alle quattro tecnologie suddette, è riportato nella Tab. 2:
5 5 Tab. 2 Quadro sintetico delle tecnologie di incenerimento di rifiuti Tipologia forno Tipologia rifiuto RU CDR / speciali a Griglia mobile idoneo idoneo con limitaz. a Griglia fissa idoneo non idoneo fanghi idoneo (1) con limitaz. non idoneo rifiuti sanitari Idoneo Idoneo Industria chimica Non idoneo Non idoneo Scarti animali non idoneo non idoneo a Tamburo rotante idoneo idoneo idoneo Idoneo Idoneo Idoneo a Letto fluido idoneo con limitaz. idoneo idoneo idoneo con limitaz. Fonte elaborazione Enea (1) in co-incenerimento con i RU che costituiscono il rifiuto principale trattato Idoneo con limitaz. Idoneo con limitaz Forni a griglia (fissa o mobile) I forni a griglia (fissa o mobile) costituiscono la tecnologia più consolidata e, come tale, di più largo impiego nella combustione di rifiuti, in particolare quelli urbani, grazie alla flessibilità che ne caratterizza il funzionamento ed all affidabilità derivante dalle numerosissime applicazioni. La loro caratteristica consiste appunto in una griglia, fissa o mobile, su cui viene formato un letto di rifiuti dello spessore di alcune decine di centimetri. I forni a griglia mobile, in particolare, sono composti da una camera, alla cui base si trova una suola di combustione costituita da una griglia, di norma inclinata e formata da una serie di gradini mobili (vedi Fig. 7). I rifiuti vengono immessi mediante una tramoggia nella parte più alta della griglia, dalla quale uno spintore li sospinge verso i gradini inferiori. L aria di combustione viene iniettata sia sotto la griglia (aria primaria, grossomodo nella quantità stechiometrica necessaria per la combustione), sia nella parte alta della camera di combustione (aria secondaria, corrispondente in prima approssimazione all eccesso d aria necessario per una completa combustione). Il tempo di permanenza del rifiuto sulla griglia deve essere ovviamente tale da garantire il completamento delle diverse fasi del processo di combustione, ed è in genere compreso fra 30 e 60 minuti primi. Le scorie residue del processo vengono scaricate dalla parte finale della griglia. Per garantire maggior flessibilità al processo, e per fare fronte a inevitabili variazioni qualitative dell alimentazione (dei rifiuti in ingresso), è possibile regolare le condizioni di combustione tramite la modulazione delle velocità degli elementi mobili della griglia e/o della portata di aria di combustione nelle varie zone della griglia. Il completamento dell ossidazione dei prodotti di gassificazione e di pirolisi, presenti nella fase gassosa e proveniente dal letto di materiale posto sulla griglia, avviene nella zona immediatamente superiore alla griglia stessa, che costituisce la camera di combustine del forno. Essa deve fornire un buon mescolamento tra i gas provenienti dal letto e l aria secondaria. Le modifiche di più recente introduzione prevedono: l adozione di idonee configurazioni della griglia, al fine di limitare il trascinamento di polveri il miglioramento della distribuzione dell aria primaria sotto la griglia l impiego di griglie raffreddate ad acqua per diminuire l usura degli elementi che la costituiscono
6 6 la possibilità di estrarre le scorie con estrattori a secco, anziché ad umido, al fine di ridurre il loro contenuto di umidità Forni a tamburo rotante I forni a tamburo rotante sono costituiti da una camera cilindrica leggermente inclinata (in genere dell ordine di 1-3%) che ruota lentamente attorno al proprio asse (vedi Fig. 8). La combustione del letto di rifiuti avviene direttamente a contatto con la parete del forno, che nella maggior parte dei casi è rivestita di materiale refrattario. Per quanto riguarda il rapporto lunghezza/diametro del forno questo è in generale compreso tra 2 5 (nella maggior parte dei casi tra 3 4), mentre la velocità di rotazione varia tra 0,2 e 1-1,2 giri/minuto. I forni a tamburo rotante sono impiegati principalmente per lo smaltimento di rifiuti di origine industriale (solidi, liquidi, pastosi), anche pericolosi. A fronte di una semplicità costruttiva e di una elevata flessibilità (per quanto riguarda la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti) questi forni presentano degli svantaggi legati essenzialmente al ridotto volume della camera di combustione (e quindi una capacità di trattamento piuttosto ridotta), ed al fatto che la combustione avviene con modalità pressocchè adiabatiche, per cui il controllo della temperatura può essere realizzato solo aumentando l eccesso d aria di combustione e, se necessario, iniettando acqua di raffreddamento. Entrambi questi fattori rendono queste apparecchiature non molto adatte a conseguire elevati livelli di recupero energetico, per cui i forni a tamburo rotante hanno avuto (ed hanno tuttora) una scarsa diffusione per il trattamento dei rifiuti urbani Forni a letto fluido I forni a letto fluido sono costituiti da una camera di combustione all interno della quale viene mantenuto un certo quantitativo di materiale inerte (il letto ), di solito sabbia, tenuto in sospensione (e quindi fluido ) da una corrente ascendente di aria, che funge da comburente, e che è immessa attraverso una griglia di distribuzione posta sul fondo della camera stessa. Il movimento del letto di sabbia garantisce un buon contatto fra combustibile e comburente, oltre ad una notevole uniformità di temperatura e di miscelazione, che contribuiscono a garantire una combustione praticamente costante e completa. In generale i forni a letto fluido, sulla base della pressione di esercizio, si differenziano in letti fluidi a pressione atmosferica e letti fluidi in pressione. Nel campo dei letti fluidi a pressione atmosferica sono disponibili le due varianti in funzione della velocità di efflusso dell aria (vedi Fig. 9a e 9b). a) letto fluido bollente (v = 1-3 m/s), in cui il letto rimane in sospensione statica sotto le azioni contrastanti del peso e della spinta ascensionale. b) Letto fluido circolante o ricircolato (v = 4-10 m/s), in cui il letto viene trascinato con la corrente gassosa e ricircolato sul fondo dopo esser stato separato meccanicamente (tramite ad esempio un ciclone) dai fumi della combustione. A fronte di una configurazione più complessa i forni a letto circolante presentano turbolenze più elevate, con conseguenti miglioramenti nell efficienza di combustione e di scambio termico. I costi maggiori, rispetto ai forni a letto bollente, ne giustificano tuttavia l adozione solo per potenzialità piuttosto significative.
7 7 5. Conclusioni Per quanto riguarda un impianto di termoutilizzazione nel suo complesso, si può dire in conclusione che le relative principali caratteristiche sono le seguenti: 1. Esso è innanzitutto un impianto che recupera energia dai rifiuti, e precisamente sotto forma di energia elettrica e/o energia termica. 2. E un impianto che brucia (incenerisce) rifiuti urbani ed anche rifiuti speciali e/o sanitari, purchè non pericolosi. 3. E un impianto in cui può essere bruciata anche la plastica, purchè essa abbia un contenuto di cloro < 0,9%. 4. E un impianto che risulta più completo se abbinato alla raccolta differenziata dei rifiuti, in quanto quest ultima provvede a separare la frazione secca (CDR) da inviare direttamente al termovalorizzatore. 5. Le ceneri prodotte da un impianto di termovalorizzazione di rifiuti urbani risultano normalmente dell ordine del 15% della quantità di combustibile (rifiuti) bruciato, e possono essere utilizzate tal quali come inerti (impieghi edili) e/o smaltite in discarica.
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