Una lezione universitaria su Epicuro. (Università degli studi Ecampus, Maggio 2009) di Mauro Trentadue

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1 Una lezione universitaria su Epicuro (Università degli studi Ecampus, Maggio 2009) di Mauro Trentadue La Vita di Epicuro Epicuro nacque nel 314 a.c. a Samos, ove passò la propria giovinezza. Qui studiò i fondamenti della fisica degli atomisti, prima di trasferirsi peraltro molto giovane ad Atene. Cominciò la sua attività ad Atene nel 307/306 a.c., dopo alcuni anni di pratica a Lesbos. Morì ad Atene nel 271/270 a.c., dopo avere fondato una Scuola filosofica, il Giardino, molto importante, apprezzata e destinata a rivestire un ruolo decisivo nella storia dell Età ellenistica. Epicuro fu autore di numerosi testi e scritti ma di tutta questa produzione restano soltanto tre Lettere, conservateci da Diogene Laerzio: la prima, A Erodoto, tratta della sua fisica; la seconda, A Meneceo, espone la sua etica; la terza A Pitocle, tratta di questioni metereologiche. Epicuro, a un certo punto della sua vita, ritenne necessario fondare una Scuola; essa però si configurò fin dal principio in netta antitesi rispetto alle Scuole ateniesi tradizionali, quali l Accademia fondata da Platone - e il Liceo inaugurato da Aristotele; il Giardino (Képos in greco) era certamente il luogo in cui si tenevano le lezioni di Epicuro (era, infatti, il giardino della casa del filosofo) ma era anche il luogo di aggregazione di una comunità di amici e sodali, accomunati dal bisogno di dare risposte a quesiti fondamentali e relativi all esistenza umana. La filosofia come terapia per la vita quotidiana Epicuro pensava che la filosofia non dovesse avere come fine la ricerca del Vero, come era accaduto, ad esempio, nel caso di Platone, ma che dovesse assumere come scopo quello di liberare l uomo da ansie fisiche e metafisiche, onde potergli garantire un presente felice. Ma perché questo accada, la ragione filosofica non deve più configurarsi come mera ragione teoretica, animata da quella razionalità assoluta che la filosofia della polis aveva coltivato con Platone e Aristotele; la filosofia deve affidarsi ad una razionalità diversa, più vicina alle cose umane, meno algida: Epicuro allude così alla frònesis, una capacità razionale orientata ad un sobrio calcolo dei vantaggi e degli svantaggi di una determinata scelta. 1

2 In questo modo, se per fare filosofia non bisogna affidarsi alla razionalità perfetta di cui avevano parlato i grandi pensatori ateniesi, essa si avvicina all uomo comune, supporta la vita quotidiana e diventa strumento per gestire le ansie e le preoccupazioni di tutti i giorni. Il sapere filosofico riesce così a dissipare l origine del dolore e grazie alla frònesis a garantire l ottenimento del piacere. La filosofia di Epicuro intende garantire all uomo spaesato di età ellenistica la via per accedere ad una vita felice, dunque al piacere; ma quest ultimo deve essere inteso non come una eterna ricerca del meglio, ma come una effettiva liquidazione del dolore. Epicuro e il Tetrafarmaco Il piacere stabile cui Epicuro agogna è figlio della dissipazione delle cause dell angoscia umana. Per ottenere la distruzione dei motivi di dolore e di infelicità per l uomo Epicuro costruisce uno strumento formidabile che allude, anche nel nome, alla dimensione di una vera e propria cura filosofica: si tratta del famoso Tetrafarmaco, ovvero di un rimedio composto di quattro passi. Il farmaco epicureo si poggia su quattro risposte che la filosofia offre per contribuire alla sconfitta di quattro cause di infelicità: 1. La paura degli dei. Secondo Epicuro non c è motivo di avere paura degli dei perché essi a loro volta- non hanno motivo di occuparsi delle faccende umane. Vivono in mondi perfetti separati dal nostro, sono fatti di atomi più rarefatti dei nostri e conducono un esistenza che non abbisogna di nulla. Dunque perché mai dovrebbero occuparsi di noi? 2. La paura della morte. L argomentazione epicurea è veloce e brillante: non ha senso preoccuparsi in anticipo della morte; essa è un dato naturale e come tale va accolta all interno dell orizzonte esistenziale: tuttavia essa, a ben guardare, non si dà mai sul nostro cammino, perché quando ci siamo noi, lei non c è e quando c è lei noi non ci siamo più. Quindi averne paura è senza senso. 3. Non ha, poi, senso avere paura dell infelicità, perché il piacere se correttamente inteso è facilmente raggiungibile. Infatti la frònesis una ragione filosofica orientata alla vita pratica ci raccomanda le scelte giuste per raggiungere i piaceri. 2

3 Non tutti, come vedremo, sono ugualmente raccomandabili: ve ne sono alcuni che esigono uno sforzo maggiore dell appagamento derivante dal piacere che se ne potrebbe derivare. Questi ultimi vanno abbandonati senza rimpianti. 4. Non si deve avere paura del dolore fisico: esso, se è acuto, passa in fretta o porta alla morte. Se è debole è facilmente sopportabile. Questi quattro passaggi secondo Epicuro - garantiscono all uomo un esistenza il più possibile esente da turbamento. Inutile dire quanto la terapia filosofica epicurea abbia avuto successo ai propri tempi. L Epicureismo, come si può facilmente immaginare, è stato aspramente osteggiato dal pensiero cristiano, sia antico che medievale, ma ai suoi tempi ebbe grande diffusione in Grecia e a Roma. Epicuro ritiene che la filosofia possa offrire strumenti in grado di permettere a chiunque giovane o vecchio, uomo o donna, ricco o povero - di ottenere la felicità. Nei passi che seguono il nostro pensatore si esprime molto chiaramente al proposito: Non aspetti il giovane a filosofare, né il vecchio di filosofare si stanchi: nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell anima. Chi dice che non è ancora giunta l età di filosofare o che è già trascorsa, è come se dicesse che non è ancora o non è più l età per essere felici. Cosicché devono filosofare sia il giovane, sia il vecchio: questo perché invecchiando rimanga giovane nei beni, per il ricordo gradito del passato; quello perché sia insieme giovane e vecchio, per l assenza di timore di fronte al futuro: dunque bisogna esercitare ciò che procura felicità, perché se abbiamo questa, abbiamo tutto, ma se manca, facciamo di tutto per averla. Epicuro, Lettera a Meneceo, 122. quando siamo vivi, possiamo godere di una felicità pari a quella degli dei Epicuro, Epistola alla madre, 38/40 La Lettera a Meneceo Epicuro, come abbiamo visto sinora, attribuisce una precisa priorità all etica: la fisica e la teoria della conoscenza hanno a suo avviso importanza solo in virtù dell apporto che sono in grado di offrire alla dimensione morale. Quest ultima, come ormai abbiamo capito, 3 è

4 interamente dedicata alla ricerca di una felicità coincidente col piacere. Una vita felice è una vita contrassegnata dall atarassia, cioè dall assenza di turbamento, così come dall aponia, cioè l assenza di dolore. Nella Lettera a Meneceo Epicuro spiega nel dettaglio i fondamenti della sua filosofia. In primo luogo il nostro pensatore si esprime chiaramente circa il ruolo universale della terapia filosofica: grazie alla frònesis sarà sempre possibile comprendere a quali piaceri dedicarsi e a quali rinunciare. Infatti se la filosofia vuole aiutare l uomo a conquistare la felicità deve saper indicare anche importanti rinunce: non tutti i piaceri sono da inseguire; quelli che esigono imponenti sforzi e troppe rinunce vanno liquidati senza rimpianti. Quando diciamo che il piacere è un bene completo, non alludiamo ai piaceri dei dissoluti o a quelli dell ebbrezza, come pensano alcuni che non conoscono o non condividono o interpretano male il nostro insegnamento, ma al non aver dolore nel corpo né turbamento nell anima. Perché non bevute o banchetti continui, né il godersi fanciulli e donne o pesci e quant altro offre una lauta mensa genera una vita felice, ma un sobrio calcolo che esamini le motivazioni di ogni scelta e rifiuto e recisamente respinga le false opinioni, da cui deriva il maggior turbamento che prende le anime. Di tutte queste cose il principio e il massimo bene è la frònesis. (Ep. Men.) Lo stesso concetto viene ribadito in un altro passaggio della medesima Lettera a Meneceo: non scegliamo ogni piacere, ma può essere che ne tralasciamo molti, quando da essi provenga un fastidio maggiore; e riteniamo molti dolori preferibili ai piaceri, quando ne consegua un piacere maggiore, perché per lungo tempo abbiamo sofferto dolori. Tutti i piaceri sono dunque un bene, perché sono per natura a noi congeniali, ma non tutti sono da scegliere; così come tutti i dolori sono un male, ma non tutti sono tali da dover essere fuggiti. (Ep. Men. 129) La filosofia, allora, anche per Epicuro deve condurre l uomo al massimo bene, ma quest ultimo non coincide più con il Vero, ma con la felicità. In questo senso Epicuro può scrivere: vano è il discorso di quel filosofo che non cura le afflizioni dell uomo. Come infatti non c è alcun vantaggio dalla medicina che non cura le malattie dei corpi, così nemmeno dalla filosofia se non scaccia l afflizione dall animo. Fr.221 Usener In un altro importante passaggio della medesima Lettera a Meneceo, Epicuro si sofferma sulla questione della morte. La sua posizione al riguardo è una conseguenza diretta dell applicazione della frònesis: in altre parole il nostro filosofo non si dimostra assolutamente 4

5 interessato alla questione del destino dell anima dopo la morte. L anima è fatta di atomi più leggeri e tondi rispetto a quelli che compongono il resto della materia, così la morte è la cessazione dell esistenza, così come della sensazione. Da qui l assurdità del timore della morte. Abituati a pensare che la morte per noi è nulla, perché ogni bene e ogni male risiede nella possibilità di sentirlo: ma la morte è perdita di sensazione. Per cui, la retta conoscenza che la morte non è nulla per noi rende piacevole il fatto che la vita sia mortale, non perché la prolunga per un tempo infinito, ma perché la libera dal desiderio di immortalità. Non c è infatti nulla di temibile nella vita per chi ha la profonda convinzione che nulla di temibile vi sia nel non vivere più. ( ) Pertanto essa è nulla per i vivi e per i morti, perché per quelli non c è, e questi non ci sono più. (Ep.Men. 124/125) Epicuro mostra di voler indicare all uomo una via d uscita - non metafisica e assolutamente materialista rispetto all assillo ricorrente della finitezza, ma a ben guardare non risolve la problematicità della mortalità. Come è evidente a chiunque, infatti, la posizione epicurea non consola l uomo rispetto al proprio destino effimero, ma lo spinge ad assumerlo, cioè a razionalizzarlo e a situarlo entro un preciso contesto. Nei confronti di tutto il resto è possibile procacciarsi sicurezza, ma a causa della morte noi tutti uomini abitiamo una città massimamente senza mura. Gnomologium Vaticanum, 31 Epicuro sembra voler alludere chiaramente al fatto che la consapevolezza del proprio destino perituro non finisce necessariamente con il cancellare la gioia di esistere. La coscienza della mortalità diventa, come si vede qui di seguito, uno stimolo all esistenza e all adesione partecipe ai propri giorni: Si nasce una volta, due non è concesso, ed è necessario non essere più in eterno; tu, pur non essendo padrone del tuo domani, procrastini la gioia, ma la vita trascorre in questo indugio e ciascuno di noi muore senza avere mai goduto della pace Gnomologium Vaticanum, 14 5