Irène Némirovsky. Suite francese. A cura di Denise Epstein e Olivier Rubinstein Postfazione di Myriam Anissimov Traduzione di Laura Frausin Guarino

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2 Irène Némirovsky Suite francese A cura di Denise Epstein e Olivier Rubinstein Postfazione di Myriam Anissimov Traduzione di Laura Frausin Guarino Adelphi ebook

3 TITOLO ORIGINALE: Suite française Quest opera è protetta dalla legge sul diritto d autore È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata In copertina: Danielle Darrieux ritratta da Raymond Voinquel (1938) 2008 PATRIMOINE PHOTOGRAPHIQUE Prima edizione digitale ÉDITIONS DENOËL 2005 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO ISBN

4 SUITE FRANCESE «Sulle tracce di mia madre e di mio padre, per mia sorella Élisabeth Gille, per i miei figli e i miei nipoti, questa Memoria da trasmettere, e per tutti quelli che hanno conosciuto e ancora oggi conoscono il dramma dell intolleranza». DENISE EPSTEIN

5 Sommario Irène Némirovsky... 2 Suite francese... 2 A cura di Denise Epstein e Olivier Rubinstein Postfazione di Myriam Anissimov Traduzione di Laura Frausin Guarino... 2 SUITE FRANCESE... 4 TEMPORALE DI GIUGNO LA GUERRA DOLCE

6 APPENDICE I APPUNTI DI IRÈNE NÉMIROVSKY II CORRISPONDENZA POSTFAZIONE DI MYRIAM ANISSIMOV...224

7 TEMPORALE DI GIUGNO

8 1 LA GUERRA Sarà dura, pensavano i parigini. Aria di primavera. Una notte di guerra, l allarme. Ma la notte svanisce, la guerra è lontana. Quelli che non dormivano, i malati nei loro letti, le madri con un figlio al fronte, le donne innamorate con gli occhi sciupati dal pianto, sentivano il primo soffio della sirena, ancora solo un ansito profondo simile al sospiro che esce da un petto oppresso. In pochi istanti il cielo tutto si sarebbe riempito di clamori. Che venivano da lontano, dall estrema linea dell orizzonte senza fretta si sarebbe detto. Quelli che dormivano sognavano il mare che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde, la tempesta di marzo che scuote la foresta, una mandria di buoi che galoppano pesanti facendo tremare il suolo con gli zoccoli; ma il sogno finiva e socchiudendo appena gli occhi gli uomini mormoravano: «È l allarme?». Le donne, più ansiose, più pronte, erano già in piedi. Alcune, dopo aver chiuso imposte e finestre, tornavano a letto. Il giorno precedente, lunedì 3 giugno, per la prima volta dall inizio della guerra, Parigi era stata bombardata; ma la popolazione non si era fatta prendere dal panico, benché le notizie fossero tutt altro che buone. Nessuno riusciva a crederci. Così come nessuno avrebbe creduto all annuncio di una vittoria. «Chi ci capisce qualcosa è bravo» diceva la gente. Le madri vestivano i bambini facendo luce Nei palazzi nuovi, attraverso le vetrate che proteggevano le scale di servizio, si vedevano scendere una, due, tre fiammelle: gli inquilini del sesto piano fuggivano da quelle altezze puntando davanti a sé le pile tenute accese in barba ai regolamenti. «Preferisco non rompermi il collo sulle scale, vieni, Émile?». Tutti, istintivamente, abbassavano la voce come se lo spazio si fosse d un tratto popolato di sguardi e di orecchie nemici. Si sentivano sbattere le porte, che venivano richiuse una dopo l altra. Nei quartieri popolari metropolitane e rifugi nei quali stagnava ormai un gran lezzo di sporcizia erano sempre affollati, mentre i ricchi si limitavano a fermarsi nelle portinerie dei loro palazzi tendendo l orecchio agli scoppi e alle detonazioni che avrebbero annunciato la caduta delle bombe, attenti, tesi come animali trepidanti acquattati nei boschi quando scende la notte della caccia. Non è che i poveri fossero più impauriti dei ricchi o più attaccati alla vita, ma avevano, più di loro, la tendenza a vivere in gruppo, avevano bisogno gli uni degli altri e di sostenersi a vicenda, di piangere o di ridere insieme. Stava per spuntare il giorno; un riflesso pervinca e argento sfiorava le strade, i parapetti dei lungosenna, le torri di Notre-Dame. Sacchi di sabbia coprivano fino a metà altezza gli edifici più importanti, nascondevano le danzatrici di Carpeaux sulla facciata dell Opéra, spegnevano il grido della Marsigliese sull Arco di Trionfo. In lontananza, echeggiavano colpi di cannone che via via si facevano più vicini, e i vetri tremavano, in risposta. Bambini nascevano dentro camere afose in cui le fessure delle finestre erano state sigillate per non lasciar trapelare la luce, e i loro pianti facevano dimenticare alle donne il fragore delle sirene e la guerra. Alle orecchie dei morenti le cannonate sembravano deboli e insignificanti, un rumore in più nel sinistro e vago brusio che accoglie l agonizzante come un onda. I piccoli, appiccicati al fianco caldo della madre, dormivano placidamente, le boccucce aperte in uno schiocco leggero, simile a quello dell agnellino che succhia il latte. Abbandonati durante l allarme, carrettini di frutta e verdura rimanevano in strada con il loro carico di fiori freschi. Il sole, ancora tutto rosso, saliva in un cielo senza nuvole. Partì una cannonata così vicina a Parigi che tutti gli uccelli volarono via dalla sommità dei monumenti. Più in alto si libravano grandi uccelli neri, di solito invisibili, spiegavano sotto il sole le ali di un rosa argenteo, poi venivano i bei piccioni grassi che tubavano e le rondini, i passeri che saltellavano tranquillamente nelle strade deserte. Su ogni pioppo dei lungosenna c era un nugolo di uccelletti scuri che cantavano frenetici. Nelle profondità dei rifugi arrivò infine un segnale remoto, attutito dalla distanza, sorta di fanfara a tre toni: il cessato allarme.

9 2 I Péricand avevano ascoltato alla radio il bollettino della sera in un silenzio sgomento, ma nessuno aveva commentato le notizie. Erano dei benpensanti; le loro tradizioni, la forma mentis, un certo retaggio borghese e cattolico, nonché i legami con la Chiesa (il figlio maggiore, Philippe Péricand, era stato ordinato sacerdote), tutto li portava a considerare con diffidenza il governo della Repubblica. Al tempo stesso, la posizione del signor Péricand, soprintendente di un grande museo nazionale, li rendeva partecipi di un regime che con i suoi servitori era prodigo di onori e benefici. Con grande cautela, un gatto teneva fra i denti aguzzi un brandello di pesce pieno di spine: ingoiarlo gli faceva paura, sputarlo gli sarebbe dispiaciuto un po. Tutto considerato, Charlotte Péricand riteneva che solo la mente maschile potesse giudicare con serenità avvenimenti così strani e gravi. E al momento né suo marito né il figlio maggiore si trovavano lì: il primo cenava in casa di amici, il secondo non era a Parigi. La signora Péricand dirigeva con polso fermo tutto ciò che atteneva alla vita quotidiana dal governo della casa all educazione dei figli o alla carriera del marito e non aveva bisogno di chiedere il parere di nessuno. Ma questo era un ambito diverso, bisognava che una voce autorizzata le dicesse preventivamente che cosa avrebbe dovuto pensare. Una volta messa sulla buona strada, procedeva poi a tutto vapore e non conosceva ostacoli. Se le si dimostrava, prove alla mano, che la sua opinione era errata, rispondeva con un sorriso freddo e altezzoso: «Me l ha detto mio padre», oppure: «Mio marito è ben informato». E con la mano guantata tracciava nell aria un piccolo gesto perentorio. La posizione del marito la lusingava (lei avrebbe preferito una vita più casalinga, ma secondo l esempio del nostro Divino Salvatore ciascuno di noi, quaggiù, deve portare la sua croce!). Era rientrata in casa un breve intervallo tra una visita e l altra per controllare i compiti dei bambini, i biberon del neonato, i lavori dei domestici, e non aveva ancora trovato il tempo di togliersi tutta la bardatura. Nel ricordo dei figli Péricand, la madre figurava sempre pronta per uscire di casa, cappello in testa e guanti bianchi debitamente infilati. (Parsimoniosa com era, i suoi guanti, spesso rinfrescati, avevano un leggero odore di benzina, prova incontestabile del loro passaggio in tintoria). Anche quella sera era appena rientrata e stava in piedi nel salotto, davanti alla radio. Tutta vestita di nero, portava un cappellino all ultima moda, una cosina deliziosa guarnita con tre fiori e un pompon di seta calcata sulla fronte. Il suo volto era pallido e angosciato, e accusava più che mai i segni dell età e della stanchezza. La signora Péricand aveva quarantasette anni e cinque figli. Era una donna alla quale di sicuro Dio aveva destinato una capigliatura rossa. Lo provavano la pelle molto sottile, sciupata dagli anni, il naso, forte e importante, spruzzato di efelidi, e gli occhi verdi che lanciavano dardi penetranti, da gatto. Ma, all ultimo minuto, la Provvidenza doveva aver esitato o considerato che una capigliatura troppo accesa non si sarebbe accordata né all irreprensibile Il salotto, dove in quel momento echeggiava la voce della radio, era un ampio locale di proporzioni armoniose, con quattro finestre che davano su boulevard Delessert. Era arredato all antica, con grandi poltrone e divani giallo oro trapuntati a losanghe. Vicino al balcone c era la sedia a rotelle del vecchio signor Péricand, ora invalido, che l età molto avanzata a volte faceva tornare bambino; riacquistava piena lucidità solo quando si trattava del suo ingente patrimonio (era un Péricand-Maltête, erede dei Maltête di Lione). Ma la guerra e le sue vicissitudini non lo toccavano più; vi prestava un orecchio distratto, scuotendo ritmicamente la bella barba d argento. Dietro la mater familias i figli erano disposti a semicerchio, compreso il più piccolo in braccio alla bambinaia. Questa, madre di tre figli al fronte, aveva portato lì il piccolino per la buonanotte alla famiglia e approfittava della temporanea ammissione in salotto per ascoltare con angosciata concentrazione le parole dello speaker. Dietro la porta socchiusa la signora Péricand avvertì la presenza degli altri domestici: la cameriera Madeleine, spinta dall apprensione, si portò addirittura fin sulla soglia, e alla signora Péricand

10 questa infrazione alle usanze parve un brutto segno: è così che, durante un naufragio, tutte le classi sociali si ritrovano mescolate sul ponte. Ma il popolo mancava di autocontrollo. «Come si lasciano andare» pensò con aria di biasimo. La signora Péricand apparteneva a quel tipo di borghesi che hanno fiducia nel popolo. «Non sono cattivi, basta saperli prendere» diceva con il tono indulgente e un po sconsolato che avrebbe usato per parlare di una Si voltò verso il vestibolo in ombra e disse con magnanimità: «Potete ascoltare il notiziario, se volete». «Grazie, signora» mormorarono alcune voci rispettose, e i domestici entrarono circospetti nel salotto camminando in punta di piedi. Madeleine, Marie, Auguste, il cameriere, e da ultima Maria, la cuoca, a disagio per via delle mani che sapevano di pesce. Il notiziario, del resto, era terminato. Ora seguivano i commenti: la situazione era «seria, certo, ma non allarmante», così assicurava lo speaker. Parlava con una voce così rotonda, così calma e rassicurante (ma che assumeva un tono squillante allorché pronunciava parole come «Francia», «patria», «esercito») da infondere ottimismo nei cuori di chi lo ascoltava. Aveva un modo tutto suo di dar lettura del comunicato secondo il quale «il nemico continua a martellare accanitamente le nostre posizioni scontrandosi con la vigorosa resistenza delle nostre truppe». Leggeva la prima parte della frase con tono leggero, ironico e sprezzante, quasi volesse dire: «Perlomeno è quello che cercano di farci credere». In compenso sottolineava con forza ogni sillaba della seconda parte, scandendo l aggettivo «vigorosa» e le parole «le nostre truppe» con tanta sicurezza che la gente non poteva fare a meno di pensare: «Non è davvero il caso di preoccuparci più di tanto!». La signora Péricand colse gli sguardi interrogativi e speranzosi fissi su di lei e dichiarò con fermezza: «Non mi sembra che la situazione sia poi così brutta!». Non ne era affatto convinta, ma riteneva suo dovere risollevare il morale delle persone che le stavano attorno. Maria e Madeleine sospirarono. «Lo crede davvero, signora?». Solo Hubert, il secondogenito dei Péricand, un diciottenne paffuto e roseo, sembrava in preda a disperazione e sgomento. Si tamponava nervosamente il collo con il fazzoletto appallottolato ed esclamava con voce acuta e a tratti rauca: «Non è possibile! Guarda a che punto siamo arrivati! Ma insomma, mamma, che cosa aspettano ad arruolare tutti? Dai sedici ai sessant anni, tutti gli uomini e subito! Questo dovrebbero fare, non credi, mamma?». Corse fino allo studio, tornò con una grande carta geografica e la spiegò sul tavolo, misurando febbrilmente le distanze fra vari punti. «Siamo perduti, ti dico, perduti a meno che...». La speranza tornava a sorridergli. «Io l ho capito quello che si deve fare» annunciò quindi con un largo sorriso gioioso che gli scoprì i denti bianchi. «È molto chiaro: li lasceremo venire avanti, sempre più avanti, e noi li aspetteremo lì, poi lì, capisci, mamma! O anche...». «Sì, sì» disse sua madre. «Su, va a lavarti le mani e sistemati quel ciuffo che ti cade sugli occhi. Guarda cosa sembri...». Furente, Hubert ripiegò la sua mappa. Solo Philippe lo prendeva sul serio, solo Philippe gli parlava da pari a pari. «Famiglie, vi odio!» declamò tra sé e, per vendicarsi, uscendo dal salotto sparpagliò qua e là con un gran calcio i giocattoli del fratellino Bernard, che si mise a urlare. «Questo gli insegnerà cos è la vita» pensò Hubert. La bambinaia si affrettò a portar fuori Bernard e Jacqueline, mentre il piccolo Emmanuel già dormiva sulla sua spalla. Camminava a grandi passi, tenendo per mano Bernard e piangendo i suoi tre figli che immaginava già morti. «Solo miseria e disgrazia, miseria e

11 disgrazia!» ripeteva sottovoce scuotendo la testa grigia. Aprì i rubinetti della vasca, mise a scaldare gli accappatoi dei bambini e intanto continuava a borbottare parole che le sembravano rappresentare non solo la situazione politica ma anche, e soprattutto, la sua stessa esistenza: i lavori della terra in gioventù, la vedovanza, il brutto carattere delle nuore e sedici anni di vita in casa d altri. Auguste, il cameriere, ritornò in cucina a passi felpati. Sul «C è vostro padre, bambini» disse udendo il rumore della chiave che veniva girata nella serratura. Era il signor Péricand, infatti: un ometto grassoccio, dall aspetto bonario e un po goffo. Il suo viso, abitualmente roseo, riposato e ben pasciuto, era pallidissimo e sembrava non già spaventato o preoccupato bensì estremamente stupito. Aveva la stessa espressione che si coglie in genere sul volto di chi trova la morte in pochi secondi, in un incidente, senza aver avuto il tempo di soffrire o di avere paura chi leggeva un libro, o guardava dal finestrino dell auto, o pensava agli affari suoi, o stava andando al vagone ristorante, e si trova di colpo all inferno. La signora Péricand si sollevò leggermente dalla sedia. «Adrien?» esclamò in tono angosciato. «Niente, niente» mormorò lui in fretta, indicando con lo sguardo i bambini, suo padre e i domestici. La signora Péricand capì. Fece segno di continuare a servire. Si sforzava di mandar giù il cibo che aveva davanti, ma ogni boccone le sembrava duro e insipido come una pietra «Non bere prima di aver cominciato a mangiare la minestra. Tieni bene il coltello, piccolo mio...». Intanto tagliava a pezzettini il filetto di sogliola del vecchio Péricand. A quest ultimo si riservavano cibi molto leggeri ed elaborati, e la signora Péricand lo serviva sempre personalmente. Gli versava l acqua, gli imburrava il pane, gli annodava il tovagliolo intorno al collo perché, quando vedeva comparire qualcosa che gli piaceva, il signor Péricand aveva l abitudine di sbavare. «Penso» diceva la signora agli amici «che a questi poveri vecchi invalidi non piaccia affatto esser toccati dalle mani dei domestici». «Dobbiamo affrettarci a dimostrare tutto il nostro affetto al nonno, bambini» tornò ancora una volta a esortare i figli, guardando il vegliardo con una tenerezza raccapricciante. Negli anni della maturità il signor Péricand aveva creato alcune opere pie, delle quali una soprattutto gli stava a cuore: quella dei Piccoli Redenti del XVI arrondissement, la mirabile istituzione che perseguiva lo scopo di emendare minorenni traviati. Si dava per scontato che alla sua morte avrebbe lasciato una certa somma a questa organizzazione, ma il vecchio aveva un modo alquanto irritante di non precisarne mai l ammontare. Quando una pietanza non gli era piaciuta o i bambini facevano troppo chiasso, usciva all improvviso dal suo torpore e diceva con voce flebile ma chiara: «Lascerò cinque milioni ai Piccoli Redenti». Seguiva un penoso silenzio. In compenso, quando aveva mangiato di gusto e dormito bene nella sua sedia a rotelle davanti alla finestra, al sole, levava verso la nuora i suoi occhi pallidi, vacui e velati come quelli dei neonati o dei cuccioli. Charlotte aveva molto tatto. Non esclamava, come avrebbe fatto un altra: «Saggia decisione, papà!», ma rispondeva con voce dolce: «Mio Dio, papà, avete tutto il tempo per pensarci!». Il patrimonio dei Péricand era ingente, e davvero non sarebbe stato giusto accusarli di concupire l eredità del vecchio. Non tenevano al denaro, no, era il denaro che, in qualche modo, teneva a loro! Potevano contare su diversi beni, fra l altro sui «milioni dei Maltête di Lione» che non Il vecchio Péricand seguiva con sguardo attento le mani della nuora. Era così distratta e turbata che dimenticò la salsa. La barba bianca del vegliardo si agitò in modo allarmante e la signora Péricand, riacquistato il senso della realtà, si affrettò a versare sulle carni eburnee del pesce il burro fuso cosparso di prezzemolo tritato; ma solo quando ebbe aggiunto sul bordo del piatto una fettina di limone il vecchio

12 ritrovò la sua serenità. Chinandosi verso il fratello, Hubert sussurrò: «Le cose vanno male, vero?». «Sì» confermò l altro con il gesto e lo sguardo. Hubert lasciò cadere sulle ginocchia le mani tremanti. La sua fantasia gli prospettava drammatici scenari di battaglie e di vittorie. Era uno scout; lui e i compagni avrebbero formato una brigata di volontari, di franchi tiratori che avrebbero difeso il paese fino all ultimo sangue. In un secondo attraversò con la mente il tempo e lo spazio. Lui e i compagni: un pugno di uomini uniti nel segno dell onore e della fede. Si sarebbero battuti, si sarebbero battuti di notte; avrebbero salvato Parigi bombardata, incendiata. Che vita eccitante, meravigliosa! Il cuore gli balzò in petto. Eppure la guerra era una cosa oscena e selvaggia. Hubert era inebriato da quelle visioni. Strinse con tanta violenza il coltello che il pezzetto di roast beef sotto la lama schizzò sul pavimento. «Imbranato» sussurrò Bernard, suo vicino di tavola, facendogli le corna sotto il tavolo. Lui e Jacqueline erano due biondini di otto e di nove anni, smilzi, con il nasino all insù. Furono spediti a letto subito dopo il dessert e il vecchio Péricand si addormentò al solito posto, vicino alla finestra aperta. La tenera luce del giorno indugiava, non voleva morire. Ogni suo fremito era più lieve e più incantevole del precedente, quasi un addio alla terra pieno di amore e di rimpianto. Seduto sul davanzale della finestra, il gatto guardava con aria nostalgica il verde «Dopodomani, domani forse, i tedeschi saranno alle porte di Parigi. Pare che l Alto Comando sia deciso a combattere davanti, dentro e dietro Parigi. Non si sa ancora niente di preciso, per fortuna, perché da qui a poche ore le stazioni e le strade saranno prese d assalto. Dovete partire domattina di buonora, Charlotte, e andare da vostra madre in Borgogna. Quanto a me,» continuò il signor Péricand, non senza una certa solennità «dividerò la sorte dei tesori che mi sono stati affidati». «Credevo che avessero sgombrato il museo già in settembre» disse Hubert. «Sì, ma il rifugio provvisorio scelto in Bretagna non andava bene, si è rivelato umido come una cantina. Non ci capisco niente: avevamo organizzato un comitato per la salvaguardia dei tesori nazionali diviso in tre gruppi e sette sottogruppi, ciascuno dei quali doveva designare una commissione di esperti incaricata del dislocamento delle opere artistiche durante la guerra, ed ecco che il mese scorso un guardiano del museo provvisorio ci segnala la comparsa di macchie sospette sui quadri. Proprio così: un mirabile ritratto di Mignard aveva le mani corrose da una specie di lebbra verde. Abbiamo subito fatto tornare a Parigi quelle casse preziose, e adesso siamo in attesa di un ordine, che non può tardare, per spedirle più lontano». «Ma allora noi come viaggeremo? Soli?». «Partirete tranquillamente domattina insieme ai bambini, con le due macchine e tutti i mobili e i bagagli che potrete portare via, perché non dobbiamo nasconderci che entro la fine della settimana Parigi può essere distrutta, incendiata e per di più saccheggiata». «Siete straordinario,» esclamò Charlotte «parlate di tutto questo con una calma!». Il signor Péricand volse verso la moglie un viso che andava riprendendo a poco a poco il suo colorito roseo, ma opaco come quello dei maiali appena ammazzati. «Il fatto è che non posso crederci» spiegò con dolcezza. «Parlo con voi, vi ascolto, decidiamo di abbandonare la nostra casa, di metterci in fuga sulle strade, ma non posso credere che questo sia REALE, capite? Andate a prepararvi, Charlotte, e fate in modo che tutto sia pronto domattina, potrete arrivare La signora Péricand aveva assunto l aria tra l acido e il rassegnato che sfoggiava, insieme al camice da infermiera, quando i figli si ammalavano; in genere facevano in modo di ammalarsi tutti nello stesso momento seppure di malattie diverse. In quei giorni la signora Péricand usciva dalla camera dei bambini brandendo il termometro come la palma del martirio e tutto, in lei, era un solo grido: «Mio caro e buon Gesù, tu saprai chi ricompensare nel giorno del Giudizio!». Ma si limitò a domandare: «E Philippe?».

13 «Philippe non può allontanarsi da Parigi». La signora Péricand uscì a testa alta. Non si sarebbe lasciata piegare dalle difficoltà. Avrebbe fatto in modo che all indomani la famiglia fosse pronta per la partenza: il vecchio invalido, i quattro bambini, i domestici, il gatto, l argenteria, i pezzi più preziosi del servizio da tavola, le pellicce, le cose dei bambini, le provviste di cibo e, non si sa mai, una scorta di medicinali. Rabbrividì. In salotto, Hubert supplicava il padre: «Permettetemi di non andare. Resterò qui con Philippe. E... non burlatevi di me, ma non credete che se andassi a cercare i miei compagni, giovani, forti, pronti a tutto, potremmo formare una brigata di volontari... Potremmo...». Il signor Péricand lo guardò e disse solo: «Mio povero ragazzo!». «È finita? Abbiamo perso la guerra?» balbettò Hubert. «È... è così?». All improvviso sentì con orrore che stava scoppiando in singhiozzi. Piangeva come un bambino, come avrebbe fatto Bernard, la grande bocca piegata in una smorfia, un torrente di lacrime che gli bagnava le guance. Scendeva la notte, dolce e serena. Nell aria già scura passò una rondine, quasi rasente il balcone. Il gatto emise un piccolo verso di bramosia.

14 3 Lo scrittore Gabriel Corte stava lavorando sulla sua terrazza, tra il bosco frusciante e cupo e il tramonto verde oro Era bello, aveva modi languidi e crudeli come quelli di un gatto, mani morbide, espressive, e un volto da Cesare un po imbolsito. Solo Florence, l amante ufficiale, l unica autorizzata a dividere il suo letto per tutta la notte (le altre non dormivano mai con lui), avrebbe potuto dire sotto quante maschere poteva nascondersi il vecchio seduttore con quelle borse livide sotto gli occhi e le sopracciglia femminili, appuntite, troppo sottili. Quella sera lavorava, come al solito, mezzo nudo. La casa di Saint-Cloud era costruita in modo che nessuno sguardo indiscreto salisse fino alla terrazza grande, bellissima, adorna di cinerarie blu. Il blu era il colore preferito da Gabriel Corte. Poteva scrivere solo se aveva accanto a sé una piccola coppa di lapislazzuli di un azzurro intenso. A volte la contemplava e la accarezzava quasi fosse un amante. E del resto, quello che preferiva in Florence, glielo aveva detto spesso, erano i suoi occhi dall azzurro deciso, che gli davano la stessa sensazione di freschezza della coppa. «I tuoi occhi mi dissetano» sussurrava. Lei aveva un mento morbido, leggermente appesantito, una voce da contralto ancora bella e qualcosa di bovino nello sguardo, come diceva Gabriel Corte agli amici. È una cosa che mi piace. Una donna deve assomigliare a una giovenca, dolce, pacifica e generosa, con un corpo bianco come panna e la pelle delle vecchie attrici, avete presente?, resa più elastica dai massaggi, impastata di ciprie e cosmetici. Corte stirò le dita allungandole in aria e le fece schioccare come nacchere. Florence gli porse un limone e lui vi affondò i denti, poi divorò un arancia e qualche fragola gelata; la quantità di frutta che riusciva a consumare aveva del prodigioso. Lei lo guardò, quasi inginocchiata su un pouf di velluto, nella posa adorante che gli piaceva (e del resto non ne avrebbe immaginata un altra!). Lui si sentiva stanco, ma di quella stanchezza buona che viene dopo un lavoro ben riuscito, una stanchezza migliore di quella che segue l amore, come a volte dichiarava. Osservò l amante con aria benevola. «Be, credo proprio che funzioni. Vedi, il centro» e disegnò in aria un triangolo indicandone il vertice «l ho già superato». Lei sapeva che cosa voleva dire. Sempre, a metà del romanzo, l ispirazione gli veniva meno. Corte, allora, penava come un cavallo che non riesce a liberare dal fango il carro impantanato. La donna giunse le mani in un grazioso gesto di ammirato stupore. «Di già! Complimenti, tesoro. Adesso tutto filerà liscio, ne sono certa». «Dio ti ascolti! Ma Lucienne mi dà qualche problema» mormorò lui con aria pensosa. «Lucienne?». L uomo la squadrò, e il suo era uno sguardo duro, freddo e sgradevole. Quando lo vedeva di buon umore, Florence diceva: «Hai di nuovo i tuoi occhi da basilisco», e lui ne rideva, lusingato, ma nel fuoco della creazione non gli andava di scherzare. Florence non si ricordava assolutamente del personaggio di Lucienne. E mentì. «Ma certo! Chissà dove avevo la testa!». «Me lo domando anch io» disse lui in tono amaro e offeso. Florence aveva un aria così triste e così umile che Gabriel ne ebbe pietà. E si rabbonì. «Te l ho sempre detto, non dai abbastanza peso alle comparse. Un romanzo deve somigliare a un viale pieno di sconosciuti, in cui passano solo due o tre creature che conosciamo a fondo, non di più. Prendi certi scrittori, come Proust: hanno saputo utilizzare le comparse. Se ne servono per umiliare, per sminuire i personaggi principali. Niente di più salutare, in un romanzo, di questa lezione di umiltà inflitta Guerra e pace, alle contadinelle che attraversano la strada davanti alla carrozza del principe André ridendo e la prima immagine che ne hanno è quella di lui che parla con loro, alle loro orecchie; nello stesso tempo la visione del lettore si allarga, non c è più un singolo volto, una sola anima. Si scopre la

15 molteplicità delle forme. Aspetta, ti leggo il passo, è notevole. Accendi la luce» le disse, giacché era scesa la notte. «Aerei...» rispose Florence indicando il cielo. Lui grugnì: «Quand è che mi lasceranno in pace?». Odiava la guerra, che minacciava ben più della sua vita o del suo benessere: distruggeva in ogni istante l universo della creazione romanzesca, l unico in cui si sentisse felice, simile a uno squillo di tromba discordante e terribile che facesse crollare le fragili muraglie di cristallo erette con tanta fatica tra lui e il mondo esterno. «Dio!» sospirò. «Che noia, che incubo!». Ma era tornato con i piedi per terra. «Hai i giornali?» domandò. Lei glieli portò in silenzio. Lasciarono la terrazza. Gabriel diede una scorsa alle pagine, scuro in volto. «Insomma, niente di nuovo» disse. Non voleva vedere, rimuoveva la realtà col gesto spaventato e infastidito di chi dorme e viene svegliato nel bel mezzo di un sogno. Si fece perfino schermo agli occhi con la mano, quasi a proteggersi da una luce troppo forte. Florence si avvicinò alla radio. Lui la fermò. «No, no, lascia stare». «Ma, Gabriel...». «Non voglio sentire niente, ti dico» sbottò, pallido di rabbia. «Ci sarà tempo domani. Le brutte notizie (e non possono che essere brutte con questi st... al governo) in questo momento provocano la caduta della mia ispirazione, la morte dello slancio creativo, e stanotte forse provocheranno una crisi d angoscia. Insomma, faresti meglio a chiamare la signorina Sudre, credo che detterò qualche pagina!». Florence si affrettò a ubbidire. Mentre tornava in salotto dopo aver avvertito la segretaria squillò il telefono. «Il signor Jules Blanc chiama dalla presidenza del Consiglio e chiede di parlare con il signore» disse il cameriere. Florence chiuse accuratamente tutte le porte affinché nessun rumore arrivasse nella stanza dove Gabriel e la segretaria lavoravano. Nel frattempo il cameriere preparava, come al solito, la cena fredda che avrebbe soddisfatto il capriccio del padrone. Gabriel mangiava poco ai pasti, ma spesso aveva fame di notte. C erano un avanzo di pernice, delle pesche e certi deliziosi pâté al formaggio che Florence ordinava personalmente in un negozio della Rive gauche, il tutto accompagnato da una bottiglia di Pommery. Dopo lunghi anni di riflessione e di ricerche, Gabriel era arrivato alla conclusione che solo lo champagne si confaceva al suo mal di fegato. Fu Florence a prendere la telefonata di Jules Blanc, la sua voce estenuata, quasi afona; e nello stesso tempo coglieva tutti i suoni familiari della casa, il leggero tintinnio di piatti e bicchieri, la voce stanca, roca e profonda di Gabriel, e le sembrava di vivere in un sogno nebuloso. Riagganciò la cornetta e chiamò il cameriere. Questi era da tempo al loro servizio e conosceva perfettamente ciò che chiamava «la meccanica della casa», quella sorta di inconsapevole imitazione del Grand Siècle che affascinava tanto Gabriel. «Cosa si può fare, Marcel? Il signor Jules Blanc ci consiglia di partire...». «Partire? E per andare dove, signora?». «In un posto qualsiasi. In Bretagna. Nel Midi. Pare che i tedeschi abbiano già attraversato la Senna. Cosa si può fare?» ripeté. «Non lo so proprio, signora» disse Marcel in tono gelido. Era ora che gli chiedessero il suo parere. E pensava: «Per fare le cose per bene avremmo dovuto essere già partiti. Che strazio vedere questa gente ricca e famosa con meno sale in zucca degli animali! E

16 almeno gli animali lo fiutano, il pericolo!». Quanto a lui, i tedeschi non gli facevano paura. Li aveva già visti nel 14. Adesso non aveva più l età per essere richiamato e lo avrebbero lasciato in pace. Ma gli sembrava francamente scandaloso che non ci si fosse preoccupati per tempo della casa, dei mobili, dell argenteria. Si lasciò scappare un sospiro appena percettibile. Fosse dipeso da lui avrebbe imballato ogni oggetto, nascosto tutto nelle casse, messo tutto al riparo da un pezzo. Provava nei confronti dei suoi padroni una sorta di affettuoso disprezzo, lo «La signora farebbe bene ad avvertire il signore» concluse. Florence entrò in salotto ma, socchiusa la porta, subito le giunse la voce di Gabriel: quella dei giorni peggiori, dei momenti di angoscia, una voce lenta, rauca, interrotta a tratti da una tosse nervosa. Diede qualche ordine a Marcel e alla cameriera, e pensò alle cose più preziose, quelle che ci si porta dietro nella fuga, nel pericolo. Fece posare sul letto una valigia leggera e solida, e vi nascose prima di tutto i gioielli che, prudentemente, aveva già ritirato dalla cassetta di sicurezza. Vi mise sopra qualche capo di biancheria, gli oggetti da toilette, due camicette di ricambio, un abitino elegante da indossare per cena all arrivo (bisognava calcolare eventuali ritardi nel viaggio), vestaglia e pantofole, l astuccio del trucco (che occupava molto spazio) e naturalmente i manoscritti di Gabriel. Tentò di chiudere la valigia. Impossibile. Spostò il cofanetto dei gioielli, provò ancora. No, decisamente bisognava togliere qualcosa. Ma cosa? Tutto era indispensabile. Appoggiò un ginocchio sulla valigia, premette, fece forza sulla serratura. Inutile. Si innervosì e finì per chiamare la cameriera. «Vedi un po tu, Julie, se riesci a chiuderla». «È troppo piena, signora. È impossibile». Per un attimo, Florence esitò fra l astuccio del trucco e il manoscritto, poi optò per il primo e chiuse la valigia. Ficcheremo il manoscritto nella cappelliera, pensò. Oh, Dio, no! Lo conosco, scoppi di collera, crisi di angoscia, digitalina per il cuore. Vedremo domani, meglio preparare tutto questa notte e che lui non sappia niente. Poi si vedrà...

17 4 I Maltête di Lione avevano lasciato in eredità ai Péricand non solo il loro patrimonio ma anche una certa predisposizione alla tubercolosi. Malattia che stroncò prematuramente le giovani vite di due delle sorelle di Adrien Péricand. Ne era stato colpito, qualche anno prima, anche Philippe, ma un paio d anni passati in montagna sembravano averlo guarito Quella mattina si fermò davanti a una casa grigia ed entrò in un cortile che puzzava di cavolo: l Opera dei Piccoli Redenti del XVI occupava un piccolo edificio costruito dietro una casa a molti piani dall apparenza borghese. Come scriveva la signora Péricand nella lettera annuale indirizzata agli amici dell opera (membro fondatore, 500 franchi l anno; sostenitore, 100 franchi; socio, 20 franchi), lì i ragazzi vivevano nelle migliori condizioni materiali e morali, facendo il loro apprendistato nei diversi mestieri e dedicandosi a una sana attività fisica. Vicino alla casa era stata costruita una piccola rimessa a vetri che ospitava un laboratorio di falegnameria e un banco da lavoro per calzolai. Attraverso le vetrate padre Péricand vide le teste rotonde dei pupilli sollevarsi un attimo al rumore dei suoi passi. In un aiuola fra la scalinata esterna e la rimessa due ragazzi di quindici e sedici anni stavano lavorando agli ordini di un sorvegliante. Non indossavano l uniforme. Non si era voluto perpetuare il ricordo dei riformatori per i quali alcuni di loro erano già passati. Vestivano abiti confezionati da persone caritatevoli che utilizzavano poi per sé i resti della stoffa. Uno dei ragazzi portava un maglione verde mela che gli lasciava scoperti i lunghi polsi magri e pelosi. Rivoltavano la terra, strappavano le erbacce, trasferivano «Che bella giornata» mormorò. «Sì, signor curato» risposero quelli con voci fredde e impacciate. Philippe disse ancora qualcosa poi entrò nell atrio. La casa era grigia e pulita, la stanza in cui si trovava quasi nuda, con due sedie impagliate quale unico arredo. Era il parlatorio dove si andava a far visita ai pupilli cosa tollerata ma non incoraggiata. Del resto, i ragazzi erano per lo più orfani. Di tanto in tanto qualche vicina che aveva conosciuto i genitori morti, qualche sorella maggiore sistemata in provincia si ricordava di loro e otteneva il permesso di una visita. Ma in quel parlatorio padre Péricand non aveva mai incontrato un essere umano. L ufficio del direttore si trovava sullo stesso pianerottolo. Il direttore era un ometto pallido dalle palpebre rosate, il naso aguzzo e fremente come il muso di un animale che fiuta il cibo. I ragazzi lo chiamavano «il topo» o «il tapiro». Tese a Philippe entrambe le mani, fredde e umidicce. «Non so come ringraziarla, signor curato, della cortesia che mi fa accettando di occuparsi dei nostri pupilli». Bisognava farli sfollare il giorno dopo, e lui era stato chiamato d urgenza nel Midi al capezzale della moglie ammalata... «Il sorvegliante teme che l impegno sia troppo gravoso e pensa di non farcela, da solo, a trasferire trenta ragazzi». «Sembrano molto docili» osservò Philippe. «Ah, su questo può stare tranquillo. Qui li facciamo diventare remissivi, teniamo a freno i più ribelli. Ma, non lo dico per vantarmi, sono io che mando avanti tutto. I sorveglianti non hanno polso. Del resto, la guerra ci ha privati di parecchi di loro...». Fece una smorfia. «Ottimi elementi se non li si priva delle loro abitudini, ma assolutamente incapaci di una qualsiasi iniziativa. Gente che annegherebbe in un bicchier d acqua. Insomma, non «Lo farò molto volentieri. Come pensa di far partire questi ragazzi?». «Abbiamo potuto procurarci due camion e benzina in quantità sufficiente. Il luogo di destinazione è a una cinquantina di chilometri dalla sua parrocchia, quindi non sarà troppo fuori strada». «Sono libero fino a giovedì» disse Philippe. «Mi sostituisce un fratello della nostra comunità».

18 «Oh, il viaggio non durerà tanto! Suo padre mi ha detto che lei conosce la casa messaci a disposizione da una delle nostre benefattrici. È un grande edificio in mezzo ai boschi; la proprietaria l ha ereditato l anno scorso e tutto l arredamento, che era magnifico, è stato venduto poco prima della guerra. I ragazzi potranno accamparsi nel parco. Con una così bella stagione per loro sarà una festa! All inizio della guerra hanno passato tre mesi in un altro castello, nel Corrèze, che ci era stato offerto gentilmente da un altra di queste dame benefiche. E là non avevamo il riscaldamento; al mattino bisognava spaccare il ghiaccio nelle brocche, ma i ragazzi non sono mai stati meglio. Non è più tempo di comodità» disse il direttore. «Dobbiamo dire addio agli agi della pace». Philippe guardò l ora. «Mi farebbe l onore di pranzare con me, signor curato?». Il giovane rifiutò. Era arrivato a Parigi quella mattina dopo aver viaggiato tutta la notte. Temeva un qualche colpo di testa da parte di Hubert ed era venuto a prenderlo, ma la famiglia si metteva in viaggio per la Nièvre quel giorno stesso. Philippe contava di assistere alla partenza: avrebbe dato una mano, e non sarebbe stato di troppo, pensò sorridendo. «Vado ad annunciare ai ragazzi che lei mi sostituirà» disse il direttore. «Forse vorrà rivolgere loro due parole per stabilire un primo contatto. Pensavo di dire qualcosa io stesso al fine di innalzare i loro animi alla consapevolezza delle guerre attraverso le quali è passata la patria, ma parto alle quattro e...». «Gli parlerò io» disse padre Péricand. Abbassò lo sguardo, si posò sulle labbra la punta delle dita Intanto seguiva il direttore nella sala dove i pupilli erano stati convocati. Nell oscurità creata dalle imposte chiuse non si accorse di un gradino, incespicò e, per non cadere, si aggrappò al braccio del direttore. Guardò i ragazzi, aspettando, sperando in uno scoppio di risa soffocato. A volte, quel buffo genere di incidente basta a rompere il ghiaccio fra allievi e maestri. Ma no! Nessuno di loro fiatò. Pallidi, le labbra serrate, gli occhi bassi, stavano in piedi in fondo alla stanza disposti a semicerchio, i più giovani in prima fila. Questi avevano dagli undici ai quindici anni ed erano quasi tutti bassi di statura per la loro età, e gracili. Dietro si trovavano gli adolescenti, ragazzi dai quindici ai diciassette anni. Alcuni avevano la fronte bassa e grosse mani da assassini. Di nuovo, non appena fu alla loro presenza, Philippe provò uno strano sentimento di avversione, quasi di paura. Doveva superarlo a ogni costo. Avanzò verso di loro, e quelli indietreggiarono impercettibilmente come se volessero sprofondarsi nel muro. «Cari ragazzi, a partire da domani e fino alla fine del nostro viaggio sostituirò il signor direttore» disse. «Sapete già che state per lasciare Parigi. Solo Dio conosce la sorte riservata ai nostri soldati, alla nostra cara patria, e Lui solo, nella sua infinita saggezza, conosce la sorte riservata a ciascuno di noi nei giorni a venire. Purtroppo è più che probabile che tutti noi patiremo una sofferenza personale, perché le disgrazie pubbliche sono fatte di una moltitudine di sofferenze private, ed è il solo caso in cui, poveri ciechi e ingrati che altro non siamo, ci rendiamo conto della solidarietà che ci lega, noi membri di uno stesso corpo. Quello che vorrei da voi è un atto di fiducia in Dio. Con le labbra ripetiamo sempre: Sia fatta la tua volontà, mentre dentro di noi gridiamo: Sia fatta la mia volontà, o Signore. Ma perché cerchiamo Dio? Perché speriamo nella felicità: è nella natura stessa dell uomo desiderare la felicità, e questa felicità, se accettiamo la volontà di Dio, se facciamo nostra la Sua volontà, Dio può darcela subito, senza aspettare la morte e la resurrezione. Miei cari ragazzi, affidatevi a Dio. Rivolgetevi a Lui come a un padre, mettete la vostra vita nelle Sue mani venerabili e la pace divina scenderà su di voi». Attese un istante, li guardò. «Ora diremo insieme una breve preghiera». Trenta voci acute, indifferenti, recitarono il Padrenostro, trenta volti magri attorniavano il sacerdote, e quando lui tracciò sopra di loro il segno della croce le fronti si chinarono con un movimento brusco e meccanico. Solo un ragazzino dalla bocca larga e imbronciata volse lo sguardo verso la finestra e il raggio di sole che filtrava tra le imposte chiuse illuminò una guancia delicata, spruzzata di lentiggini, e un piccolo naso dalle narici contratte.

19 Nessuno di loro si mosse, nessuno rispose. Al fischio del sorvegliante si misero in fila e uscirono dalla sala.

20 5 Le vie erano deserte. I negozianti abbassavano le saracinesche. Nel silenzio si udiva soltanto il loro rumore metallico, quel suono che nelle città minacciate, all alba di una sommossa o di una guerra, colpisce con violenza l orecchio. «Allora, si parte?». I Michaud non ne sapevano niente. Quel giorno era il 10 giugno, un lunedì. Quando erano usciti dall ufficio, due giorni prima, tutto sembrava calmo. Azioni e obbligazioni erano state trasferite in provincia, ma per gli impiegati non si era preso alcun provvedimento. La loro sorte veniva decisa al primo piano, dove si trovavano gli uffici della direzione, dotati di due grandi porte imbottite dipinte di verde davanti alle quali i Michaud passarono in fretta e in silenzio. In fondo al corridoio si separarono, lui saliva al reparto contabilità e lei restava al piano nobile: era la segretaria di uno dei direttori, il signor Corbin, il vero capo di quell istituto. L altro direttore, il conte de Furières (sposato con una Salomon-Worms), si occupava soprattutto dei rapporti esterni della banca, che poteva La signora Michaud entrò con la posta in una piccola stanza attigua all ufficio del direttore. Nell aria aleggiava un profumo leggero. Segno che Corbin era occupato con la sua protetta: la signorina Arlette Corail, di professione ballerina. A quanto si sapeva, aveva sempre avuto come amanti delle ballerine. Non sembrava minimamente interessato a donne impegnate in altri campi. Nessuna dattilografa, per quanto giovane e bella, era mai riuscita a distoglierlo da quel pensiero fisso. Con tutte le sue impiegate, belle o brutte, giovani o vecchie, si mostrava ugualmente astioso, rozzo e avaro. Parlava con una strana vocina di testa che usciva da un corpaccio tarchiato e ben pasciuto. Quando perdeva le staffe, la sua voce si faceva acuta e vibrante come quella di una donna. Quel suono pungente, ben noto alla signora Michaud, filtrava ora attraverso le porte chiuse. Uno degli impiegati entrò e disse sottovoce: «Si parte». «Quando?». «Domani». Nel corridoio passavano delle ombre, ed era tutto un sussurrare. Gli impiegati si riunivano nei vani delle finestre e sulla soglia dei rispettivi uffici. Finalmente Corbin aprì la porta del suo e fece uscire la ballerina. Questa indossava un completo di tela rosa confetto e un grande cappello di paglia sui capelli tinti. Era slanciata e ben fatta, il volto duro e stanco sotto il trucco. Le guance e la fronte erano cosparse di macchie rosse: era visibilmente fuori di sé. La signora Michaud sentì dire: «Vuoi che parta a piedi?». «Dammi retta per una volta, torna subito al garage e non essere avara, promettigli quello che vogliono e ti ripareranno la macchina». «Ma se ti dico che è impossibile! Impossibile! In che lingua devo spiegartelo?». «E allora, mia cara, cosa vuoi che ti dica? I tedeschi sono alle porte di Parigi e tu vuoi metterti sulla strada di Versailles? Perché, poi? Parti con il treno». «Ti rendi conto di quello che sta succedendo nelle stazioni?». «Sulle strade non sarà meglio». «Sei... sei un incosciente, ecco! Tu, però, parti, con le tue due macchine...». «Trasporto i documenti della banca e una parte del personale. Dove cavolo vuoi che lo metta, il personale?». «Non essere così volgare, per favore! Hai la macchina di tua moglie!». «Vorresti salire nella macchina di mia moglie? Ma che bella idea!». La ballerina gli voltò le spalle e con un fischio chiamò il cane, che le balzò incontro. Lei gli allacciò il collare con mani tremanti di indignazione.

21 «E dire che ho sacrificato tutta la mia gioventù a un...». «Su, su, poche storie. Ti telefonerò stasera, vedrò cosa si può fare...». «No, no, lascia perdere. È chiaro, non mi resta che andare a morire in un fosso sulla strada... Ah! taci, mi esasperi...». Finalmente si accorsero che la segretaria li stava ascoltando. Abbassarono la voce e Corbin, conducendo per il braccio l amante, la riaccompagnò fino alla porta. Quindi tornò e lanciò un occhiata alla signora Michaud la quale, trovandosi sul suo percorso, subì le prime manifestazioni del suo malumore. «Faccia convocare i capiservizio nella sala riunioni. Immediatamente, per favore!». La signora Michaud uscì per impartire gli ordini. Qualche istante dopo gli impiegati entravano in una grande stanza dove campeggiavano, l uno di fronte all altro, il ritratto a figura intera del presidente in carica, il signor Auguste-Jean, affetto da qualche tempo da demenza senile, e un busto in marmo del fondatore della banca. Corbin li ricevette in piedi al di là del tavolo a forma di ellisse sul quale nove sottomano segnavano i posti dei membri del consiglio d amministrazione. «Signori, domattina alle otto partiamo per la nostra succursale di Tours. Porto con me in macchina i documenti della direzione. Signora Michaud, lei e suo marito mi accompagnerete. Quanto a coloro che dispongono di un automobile, passino a prendere i colleghi che ho designato e si trovino alle sei davanti alla porta della banca. Per gli altri, vedrò di arrangiarmi, altrimenti prenderanno il treno. È tutto, signori. Grazie». Sparì, e immediatamente un brusio di voci preoccupate si diffuse nella sala. Fino a due giorni prima Corbin aveva dichiarato che non ci sarebbe stato alcun trasferimento, che le voci allarmistiche erano opera di disfattisti, che la banca sarebbe rimasta al suo posto, lei, e avrebbe fatto il proprio dovere, lei, a differenza di qualcun altro. Il fatto che il «ripiegamento», come si diceva con un certo pudore, fosse stato deciso con tanta precipitazione di sicuro significava che tutto era perduto! Alcune donne si asciugarono le lacrime. Passando tra i vari gruppi di impiegati, i Michaud si ricongiunsero. Pensavano tutti e due al figlio Jean-Marie. La sua ultima lettera era datata 2 giugno. Solo otto giorni prima. E chissà cosa poteva essere successo da allora, mio Dio! Angosciati com erano, il solo conforto possibile era quello della loro reciproca presenza. «Che fortuna non doverci separare» gli sussurrò lei.

22 6 Era quasi notte ma la macchina dei Péricand era ancora ferma davanti alla porta: sul tetto era stato sistemato il morbido e alto materasso che da ventotto anni guarniva il letto coniugale. Una carrozzina e una bicicletta erano assicurate al bagagliaio. All interno dell abitacolo i Péricand cercavano invano di sistemare tutte le borse, le valigie e i bauletti della famiglia, nonché i cestini che contenevano i panini e il thermos per la merenda, il latte dei bambini, il pollo freddo, il prosciutto, il pane, le scatole di farina lattea del vecchio Péricand e la cesta del gatto. Il ritardo era dovuto Qua e là, davanti ai palazzi di boulevard Delessert si vedeva un gruppo gesticolante di donne, vecchi e bambini che si sforzavano, dapprima con calma, poi febbrilmente, quindi con un eccitazione morbosa e folle, di far entrare familiari e bagagli in una Renault, in una berlina, in una spider. Nessuna luce alle finestre. Cominciavano a spuntare le stelle stelle di primavera dal riflesso argentato. Parigi aveva il suo profumo più dolce, quello degli ippocastani in fiore e delle essenze volatili miste a granelli di polvere che scricchiolano sotto i denti come grani di pepe. Nell ombra, il pericolo cresceva. Nell aria, nel silenzio, si respirava l angoscia. Neanche le persone più fredde, quelle generalmente più tranquille, potevano evitare quella confusa e mortale apprensione. Ciascuno guardava la sua casa con una stretta al cuore e pensava: «Domani sarà distrutta, domani non avrò più niente. Non abbiamo fatto del male a nessuno. Perché?». E contemporaneamente si sentiva sopraffatto da un ondata di indifferenza: «Che importa! Sono solo pietre, legno, materia inerte! L essenziale è salvare la pelle!». Chi pensava alla tragedia della Tendendo l orecchio, si riusciva a cogliere il rombo degli aerei che passavano nel cielo. Francesi o nemici? Chissà. «Più svelti, più svelti» diceva il signor Péricand. Ma ora ci si accorgeva di aver dimenticato il cofanetto dei pizzi, ora mancava l asse da stiro. Impossibile far intendere ragione ai domestici. Erano terrorizzati, volevano partire, ma la forza dell abitudine superava la paura, e tenevano a che tutto si svolgesse secondo i riti che regolavano le partenze per la villeggiatura. Tutto doveva essere messo nelle valigie nell ordine consueto. Non avevano capito realmente quello che stava succedendo. Era come se agissero in due tempi, metà nel presente e metà nel passato, quasi che gli eventi fossero penetrati solo in una piccola zona della loro coscienza, la più superficiale, lasciando addormentata e in pace tutta un area profonda. La balia, con i capelli grigi scarmigliati, le labbra strette, le palpebre arrossate dalle lacrime, piegava con gesti straordinariamente vivaci e precisi i fazzoletti di Jacqueline appena stirati. La signora Péricand, già seduta in macchina, la chiamava ma l anziana donna non rispondeva, non la sentiva neppure. Alla fine, Philippe dovette salire a cercarla. «Vieni, Tata, che cos hai? Dobbiamo partire. Che cos hai?» ripeté dolcemente prendendole la mano. «Ah, lasciami, piccolo mio!» gemette lei, dimenticando all improvviso che ormai lo chiamava solo «signor Philippe» o «signor curato», e ritrovando istintivamente il tu di un tempo: «Lasciami stare, va. Tu sei buono ma noi siamo perduti!». «No, non disperarti così, mia povera vecchia, non badare ai fazzoletti, vèstiti e scendi subito, la mamma ti aspetta». «Non rivedrò più i miei ragazzi, Philippe!». «Ma sì, ma sì» diceva lui mentre le sistemava le ciocche disfatte e le calcava sulla testa un cappello di paglia nero. «Pregherai la santa Vergine per i miei ragazzi, vero?». Le diede un bacio leggero sulla guancia. «Sì, sì, te lo prometto. Va, adesso». Sulla scala incrociarono l autista e il portiere che salivano a prendere il vecchio Péricand. Lo avevano lasciato lontano dal trambusto fino all ultimo momento. Auguste e l infermiere lo aiutarono a

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