Trovare la speranza da morti inutili? di Gianni Vaggi. il Ticino 18/25 Luglio 2014

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1 Trovare la speranza da morti inutili? di Gianni Vaggi il Ticino 18/25 Luglio 2014 La maggior parte dei cittadini di Israele e dei Territori Palestinesi vuole vivere in pace e lasciare una condizione migliore ai propri figli, come tutti noi. Le vittime di questi giorni, ma dovremmo dire anni e decenni, sono il risultato dell assenza della politica, intesa nel suo significato di prevenzione del conflitto attraverso la mediazione ed il compromesso. Ma la situazione non è simmetrica fra i due campi. Israele è uno stato nel senso pieno del termine, forte e tecnologicamente molto avanzato, con governi che hanno avuto linee politiche differenti sul rapporto con i Palestinesi. In campo Palestinese ci sono due schieramenti principali: l Autorità Nazionale Palestinese che rappresenterebbe tutti ma di fatto è solo nel West Bank, con Presidente Abu Mazen, ed Hamas a Gaza. Nessuno dei due ha un vero esercito ne soprattutto nel West Bank controlla il territorio. Abu Mazen è da sempre favorevole al dialogo con Israele. Hamas rifiuta il dialogo. Da molti anni i governi israeliani sono l espressione di forze che hanno di fatto rifiutato il dialogo anche con la parte palestinese più moderata. Le divisioni fra i palestinesi e l intransigenza israeliana, fanno si che nei momenti di tensione prevalgano le forze più intransigenti. La terra e la politica Israele Due date. 30 ottobre 1991, l inizio della Conferenza di Madrid che da avvio alle negoziazioni che portano agli Accordi di Oslo del 13 settembre Novembre 1995 l uccisione di Rabin da parte di Yigal Amir, ebreo israeliano. Sono stati gli unici quattro anni in cui una pace giusta e duratura è sembrata davvero possibile. Con gli accordi di Oslo Israele si impegnava a cedere all Autorità Nazionale Palestinese il controllo di Gaza e del West Bank, una parte di Palestina che corrisponde al 22% della Palestina storica. Il West Bank è compreso fra Gerusalemme ed il Giordano, ad est della cosiddetta linea verde, cioè la linea dell armistizio del 1949 che è stata anche la linea di confine fra Israele e Giordania fino al Tutto il territorio oltre questa linea è territorio occupato da Israele, ma non è riconosciuto come parte dello stato di Israele da nessuno, nemmeno dagli Stati Uniti. Esiste una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la 242 del novembre 1967, che dice per una pace giusta e duratura si fonda sul ritiro militare israeliano e sul reciproco riconoscimento tra gli stati. Di qui la formula territori in cambio di pace. Con gli accordi di Oslo il West Bank viene diviso in tre aree: area A, le città -Betlemme, Nablus, Hebron, Ramallah e così via, ma non Gerusalemme- sotto controllo palestinese; area B, con controllo congiunto Israeliano e Palestinese; area C sotto controllo Israeliano. Progressivamente l Autorità Nazionale Palestinese, o ANP, avrebbe dovuto estendere il controllo nell area C, la più grande di tutte e che comprende la valle del Giordano. I Palestinesi avrebbero avuto un territorio, ma non un esercito. Con la morte di Rabin ed il governo Netanyahu dal 1996 al 1999 si blocca il processo di restituzione delle aree B e C, l esercito israeliano non si ritira. Oggi nel West Bank la situazione è molto peggiore di come era nel 1996 perché nel frattempo il numero dei coloni israeliani è passato da poco più di 200 mila a oltre 500 mila. I coloni vivono negli insediamenti, alcuni con poche centinaia di persone, altri sono vere e proprie città di 30-

2 40mila abitanti come Maale Adumim, alto sulla collina alla destra della strada che da Gerusalemme scende a Gerico. B Tselem, una ONG israeliana con un aggiornatissimo sito web, scrive che dal 1967 al 2012 sono stati realizzati 125 insediamenti, e ricorda che secondo la legge internazionale è anche proibito allo stato occupante ricollocare i propri cittadini nel territorio occupato. La municipalità di Gerusalemme ha unilateralmente allargato i suoi confini entro il West Bank, per cui quelli che sono tecnicamente insediamenti vengono chiamati sobborghi, come Gilo e Har Homa fra Gerusalemme e Betlemme. Queste azioni non hanno una base di legalità internazionale. Il problema dei coloni è terribile perché significa favorire con incentivi monetari e fiscali importanti l insediamento di centinaia di migliaia di persone su terre che non sono parte dello Stato di Israele e che in un ipotetico accordo dovrebbero essere restituite ai palestinesi. Ma è chiaro che nel frattempo queste persone ritengono di essere a casa loro, i loro figli nascono li e quindi qualunque accordo futuro sarà più doloroso e di fatto estremamente difficile, come dimostra l abbandono di Gaza nel 2005 dove i coloni erano solo Gli insediamenti sono la prova lampante di ostacoli alla pace e forieri di future sofferenze per i coloni, per i palestinesi e per entrambi. Il congelamento degli insediamenti è stato chiesto numerose volte dalla comunità internazionale ed è stato oggetto di numerosi scontri fra i Governi Israeliani e l Amministrazioni USA. Dal 2009 al 2010 Obama ha avuto un lungo braccio di ferro con Netanyahu esattamente su questo punto. All inizio del suo mandato Obama aveva creduto di poter risolvere il conflitto Israeliano- Palestinese e per un anno il suo negoziatore speciale Mitchell ha fatto avanti ed indietro fra Washington, Tel Aviv e Ramallah, ma alla fine l intransigenza di Netanyahu ha vinto. Clinton aveva provato nel 2000 con gli incontri di Camp David, fra l allora Primo Ministro di Israele Ehud Barack ed Arafat, incontri falliti perché preparati malissimo e soprattutto perché Clinton era ormai un presidente in scadenza, un anatra zoppa come dicono gli inglesi, che non poteva prendere impegni forti per il futuro. Obama non ci ha più riprovato all inizio del suo secondo mandato, che sarebbe il momento di maggior forza di un presidente USA perché non deve più preoccuparsi della sua rielezione. Penso che abbia capito che oggi in Israele prevalgono le forze politiche che non sono disposte a ridimensionare gli insediamenti ed a cedere all Autorità Palestinese ulteriori e significative parti del West Bank, inutile quindi dare illusioni e subire un altro fallimento politico. Terra in cambio della pace è lo slogan dell organizzazione pacifista israeliana Peace Now, senza questo passaggio non ci potrà mai essere nessun accordo definitivo. Come era noto e ora documenta Ilan Pappe storico all Università di Haifa e ora ad Oxford -A History of Modern Palestine, a Camp David Barak offri tre pezzi di West Bank non collegati fra di loro: il Nord con Nablus e Jenin, il Centro con Ramallah, il sud con Betlemme e Hebron; il cosiddetto modello dei Bantustan sudafricani. Inoltre Israele avrebbe mantenuto il controllo della valle del Giordano e di tutti i confini esterni dello Stato Palestinese con Egitto e Giordania. Non si sarebbe trattato di uno stato, ma di tre province separate in Cisgiordania più Gaza. Questo problema insieme con quelli di Gerusalemme e dei rifugiati portarono al fallimento di Camp David e a Settembre 2000 scoppiò la seconda intifada. A dire il vero i negoziati continuarono e il 23 Dicembre 2000 Clinton presentò un piano noto come i parametri di Clinton. In esso era previsto uno Stato Palestinese con continuità territoriale su quasi tutto il West Bank, salvo alcuni insediamenti israeliani maggiori. Fra West Bank e Gaza era previsto un corridoio di sicurezza, per garantire i collegamenti e lo Stato Palestinese non avrebbe avuto un esercito, ma solo polizia. Nella proposta di

3 Clinton per Gerusalemme si pensava alla sovranità palestinese sulla superficie della spianata delle moschee e di quella israeliana sul sottosuolo della stessa. Restava aperto il problema dei rifugiati palestinesi, oltre 4 milioni di persone cacciate dalle loro case nel ed i cui discendenti vivono fuori da Israele e Palestina. Questa storia si trova nel libro di Martin Indyk Innocent abroad del 2008; Indick è stato ambasciatore USA in Israele ed ha lavorato per l American Israel Public Affairs Committee, AIPAC, la potentissima organizzazione lobbistica di Israele negli USA. Ma soprattutto racconta quegli eventi Shlomo Ben-Ami, Ministro degli Esteri con Barak e capo negoziatore nel dopo Camp David, in Scars of war, wounds of peace, del I parametri di Clinton sono le basi per un qualunque accordo territoriale futuro, a meno che nel frattempo il mondo e le situazioni interne ed internazionali non cambino. Clinton stava per lasciare la Casa Bianca, in Israele erano già state indette le elezioni del Gennaio 2001 che sarebbero state vinte da Sharon, ormai la politica aveva preso un'altra direzione. Alcuni anni fa un carissimo amico israeliano mi spiegò che l unica strategia di Sharon consisteva nella logica della trincea: prendere le posizioni, tenerle e se possibile spostarle sempre un poco più in là, senza mai concedere terreno. Gli insediamenti creano dei fatti sul terreno e quindi sono funzionali a questa situazione. Ovviamente è prioritario avere un antagonista debole meglio ancora se diviso. Questo mio amico, troppo pacifista, è finito in una specie di lista di proscrizione di integralisti israeliani. In realtà anche l abbandono di Gaza nel 2005, seguì questa linea. Tutta la comunità internazionale chiedeva un ritiro concordato con l Autorità Palestinese, da Condoleeza Rice, Segretario di Stato di G.W.Bush a James Wolfenshon ex Presidente della Banca Mondiale e incaricato speciale dell ONU per Gaza. Sharon rifiutò di negoziare con Abu Mazen; le case dei 7000 coloni vennero abbandonate e le serre in cui si coltivavano primizie distrutte. Hamas che era ed è ancora molto più forte di Fatah a Gaza prese il controllo della striscia. Nel 2002 il Principe, ora Re, Abdallah dell Arabia Saudita propose ad Israele un negoziato di pace con riconoscimento da parte di tutti i paesi arabi. Ma la proposta fu rifiutata da Sharon; il dialogo non iniziò neppure. I Palestinesi Fra i palestinesi la politica è forse ancora più complessa di quella di Israele. Dal 1964 al 1988 l Organizzazione per la Liberazione della Palestina, OLP, da cui nascerà l Autorità Palestinese rifiuta di riconoscere lo stato di Israele; nel 1988 il Consiglio Nazionale Palestinese accetta le risoluzioni 181 e 242 delle Nazioni Unite che di fatto implicano il riconoscimento di Israele. Da allora Fatah, che è la parte maggioritaria dei palestinesi, accetta il negoziato, seppur con forti tensioni al suo interno. Dalla morte di Arafat Abu Mazen è Presidente dell Autorità Palestinese, per altro era già primo Ministro imposto ad Arafat dagli Stati Uniti; Abu Mazen, il leader più moderato che i Palestinesi abbiano mai avuto. Hamas fa rifermento all esperienza dei Fratelli Mussulmani che nascono in Egitto nel 1928, si forma negli anni ottanta e rifiuta di riconoscere Israele, ma si rafforza durante gli anni 90 quando si oppone agli accordi di Oslo. La sua vittoria nelle elezioni del gennaio del 2006 si spiega con il fatto che gli accordi di Oslo non hanno prodotto nulla per i palestinesi e che la politica di moderazione di

4 Abu Mazen non ha dato alcun risultato, anzi nel frattempo viene costruito il muro e le condizioni economiche sono peggiorate. Ma anche in Hamas ci sono differenti linee politiche, fra i leader di Gaza e quelli che sono stati a lungo a Damasco e dentro la stessa Gaza ci sono fazioni più radicali, come l ala militare, le brigate Ezzedim Al Kassam. Inoltre sia Hamas a Gaza che l ANP nel West Bank, nelle aree A e B, non hanno un vero e proprio controllo del territorio. Nascono così gruppi più radicali di Hamas, che chiamano alla guerra santa contro Israele e che fanno breccia facilmente fra i giovani palestinesi disperati, con la disoccupazione giovanile al 60% e senza alcuna prospettiva da ormai quasi vent anni. Questi gruppi non hanno per ora una rappresentanza politica; sono praticamente delle cellulle semi-militari, che non rispondono ne ad Abu Mazen ne ad Hamas, ma anzi sono in competizione con entrambi. I rifermenti sono semmai o al salafismo, o alla jiyad, o ad Al Quaeda, a volte si tratta di gruppi con basi praticamente famigliari e claniche. Con la caduta di Morsi in Egitto e il ritorno dei militari Hamas inizia ad avere enormi difficoltà economiche, per cui non bastano i fondi che arrivano dai paesi del Golfo e soprattutto dal Qatar. Il Governo di Unità Nazionale Fatah-Hamas di pochi mesi fa rappresenta di fatto un tentativo di una parte di Hamas, quella meno radicale, di rientrare nel gioco politico e soprattutto un tentativo di ricomporre la spaccatura fra le due Palestine e di dare una voce un po più credibile al popolo Palestinese. Attenzione si tratta di un governo di tecnici, non c è alcun uomo di Hamas fra i ministri. Questo fatto è visto in modo positivo dalla comunità internazionale inclusi gli Stati Uniti, ma è criticato da Netanyahu. I popoli Fra il Mediterraneo ed il Giordano vivono circa 12 milioni di persone. Gli ebrei israeliani sono poco più della metà; a Gaza ci sono circa 1.7 milioni di persone, 2.3 di palestinesi sono nel West Bank e circa 1.4 sono in Israele, soprattutto nel Nord in Galilea. Sono questi i palestinesi che sono rimasti a est della linea verde nel 1949, sono cittadini israeliani e hanno un paio di partiti politici al parlamento di Israele. Questi partiti non sono mai stati parte di nessuna coalizione di governo, non vengono nemmeno consultati, di fatto sono irrilevanti. I Palestinesi di Israele non possono fare il servizio militare, ne di fatto sono mai arrivati a posizioni di rilievo. Da alcuni anni la destra israeliana porta avanti la richiesta di definire Israele come stato Ebraico il che ovviamente appare difficilmente conciliabile con il fatto che quasi il 20% della popolazione non è ebrea. Sergio Della Pergola si è laureato a Pavia negli anni sessanta, è Professore Emerito di Demografia all Università Ebraica di Gerusalemme e torna spesso a Pavia. Da ormai dieci anni avverte che entro pochi decenni la popolazione non-ebraica diventerà la maggioranza nella terra fra Mediterraneo e Giordano, per via del tasso di fertilità più elevato fra gli arabi. In un ideale unico stato gli ebrei sarebbero minoranza, anche tralasciando gli oltre 4 milioni di Palestinesi della diaspora. La demografia quindi complica ulteriormente la situazione. A questo si aggiunga che la società israeliana è profondamente cambiata negli ultimi trent anni, non è più la società dei kibbutzim e di Moshe Dayan, società dura ma con una ideologia laica ed egualitaria. L afflusso di molti ebrei dall Africa del Nord, ma anche dall Etiopia e poi dopo il 1989 dall ex unione sovietica, non è in realtà stato assorbito efficacemente. Esiste anche un partito dei russi, che per altro spesso parlano male l ebraico e vivono in comunità abbastanza segregate. Anni fa un taxista di origine

5 ucraina mi raccontava che tutto il gruppo di persone con cui era arrivato anni prima n Israele viveva in un villaggio vicino all aeroporto di Tel Aviv e che i ragazzi non potevano frequentare le scuole normali, ma avevano scuole speciali, in attesa che i rabbini verificassero l autenticità ebraica del gruppo. Di fatto esiste un partito dei coloni e due partiti degli ultraortodossi. All interno di Israele le differenze economiche sono cresciute tantissimo provocando forti disagi. Nell estate del 2011 ci furono proteste da parte soprattutto di giovani per il caro prezzi, a Tel Aviv ma anche sotto le mura di Gerusalemme per mesi ci furono le tende di chi protestava. Venti grandi patrimoni controllano di fatto la gran parte della ricchezza del paese e ci sono spesso scandali; a maggio scorso è stato condannato a tre anni di carcere per corruzione e riciclaggio un ex presidente della più grande banca Israeliana. Insomma anche per i giovani israeliani non è più la terra dove scorre latte e miele, e non solo per via del servizio militare di tre anni per i ragazzi e di due per le ragazze. La situazione dei giovani palestinesi è decisamente disperante. Il reddito pro capite in Israele è di poco inferiore a quello italiano, ma in Palestina è circa un settimo di quello israeliano, soprattutto i giovani non hanno prospettive e subiscono fortissime limitazioni nella mobilità. Ci sono pochissime attività economiche al di fuori dell impiego pubblico, del sistema degli aiuti internazionali e del turismo, che però lascia assai poco ai negozietti ed agli alberghi di Betlemme e di Gerusalemme. I giovani che riescono, molti i cristiani, abbandonano il paese. La Palestina vive di aiuti internazionali e di rimesse. Non ha aiutato la corruzione che ha caratterizzato i governi dell Autorità Palestinese. La nostra città è sempre stata vicina al dramma di quella terra. Il primo ministro Palestinese è Rami Hamdallah Rettore dell università di Nablus che è stato a Pavia due volte. La città di Pavia è gemellata con Betlemme ed in autunno speriamo di avere il sindaco di Betlemme Vera Baboun, donna, cristiana, vedova con cinque figli e docente di quella università. Il precedente sindaco di Betlemme è stato a Pavia ed il sindaco Cattaneo è stato a Betlemme. Nel 2010 una delegazione della nostra università guidata dal Rettore Stella ha visitato le università di Betlemme e Nablus in Palestina e la Ben Gurion University a Beersheva nel sud di Israele, una delle città più bersagliate dai razzi. L ex Rettore di quella università è stato a Pavia più volte fin dai primi anni novanta. Il tentativo è sempre stato quello di offrire speranza ai giovani palestinesi che hanno davvero poche possibilità ed occasioni di incontro fra i giovani dei due popoli. Nel 2012 abbiamo avuto a Pavia per quattro mesi 21 giovani da West Bank e Gaza per un corso di studi intensivo, non si erano mai incontrati prima e difficilmente potranno incontrarsi in futuro in Palestina. Ricordo che alcuni di anni fa un gruppo di studenti di Pavia organizzarono una serata sulla Palestina a cui parteciparono un ragazzo palestinese di Betlemme ed un refusnik, un ragazzo israeliano che aveva rifiutato il servizio militare. Un altro ragazzo palestinese prese la parola per dire una cosa sola: era la prima volta che lui parlava a tu per tu con un ragazzo israeliano della sua età. Li aveva visti solo ai check points e del resto per i giovani israeliani in divisa i loro coetanei palestinesi erano quelli che tiravano le pietre, o peggio si facevano saltare sugli autobus a Tel Aviv.

6 La fiducia è essenziale, ma come costruirla è complicato, ogni guerra ed ogni morte ne preparano altre perché allontano un possibile incontro. E qui che le colpe della cattiva politica sono terribili. Le vittime Vittime è il titolo di un libro del 1999 di Benny Morris, storico israeliano della Ben Gurion University sulle guerre del ; vittime sono appunto i profughi palestinesi di quella che chiamano la Nakba, la catastrofe. Vittime sono i tre giovani israeliani assassinati fra Betlemme ed Hebron, vittima è il ragazzo palestinese di Gerusalemme est bruciato per vendetta, vittime sono i morti di Gaza di questi giorni, ma anche quelli dell operazione Piombo fuso del 2009 sempre a Gaza e ancora a Gaza nel Vittime sono i cittadini israeliani colpiti nella stagione degli attentati fra il 2001 e il Vittime sono i giovani di entrambi le parti a cui una pessima politica sta rubando il futuro. Il rapimento e l uccisione dei tre giovani Israeliani avvengono appena all esterno di appena fuori da un grande insediamento fra Betlemme ed Hebron, in area C che è sotto controllo militare israeliano. E possibile che l uccisone dei tre giovani sia stata un azione forse neppure programmata di qualche gruppo radicale locale, alcuni parlano di un clan famigliare di Hebron. Abu Mazen offre la collaborazione della polizia palestinese per le ricerche. Nessuno rivendica il rapimento e Hamas nega di essere coinvolta, ma il governo israeliano incolpa Hamas ed inizia una serie di rastrellamenti nelle città palestinesi che portano in carcere alcune centinaia di suoi sostenitori, per altro molti di loro scarcerati da pochi mesi. A quel punto le frange militari di Hamas sparano i razzi da Gaza su Israele ed iniziano i bombardamenti su Gaza. Le colombe dei due campi sono ammutolite e i falchi hanno gioco facile. Ma le conseguenze politiche possono essere terribili: Hamas si radicalizza nuovamente, Abu Mazen viene sempre più screditato agli occhi dei palestinesi perché mentre Hamas combatte lui si limitata a dichiarazioni generiche. Le due opinioni pubbliche si allontanano ancora di più e prevalgono le letture semplici ma tragiche: i palestinesi sono tutti terroristi, gli israeliani vogliono solo ucciderci. Purtroppo le morti innocenti non fanno comprendere la follia dell uso della forza, ma anzi ne chiamano altra: la vendetta qualunque essa sia. Iron dome è il sistemata antirazzi di Israele e per fortuna funziona, ma non esiste per Gaza, dove ci sono 1.7 milioni di persone stipate in uno spazio di 360 chilometri quadrati con una densità di popolazione di quasi 5000 abitanti per chilometro quadrato. Una città, impossibile pensare di non fare vittime civili e di fatto la popolazione di Gaza è quella che paga sempre e comunque di più in ogni conflitto. Ma c è anche un Iron Wall, un bellissimo libro del 2001 dello storico israeliano Avi Shlaim che da anni lavora ad Oxford. Ci racconta la teoria per cui lo Stato di Israele deve avere una grande superiorità militare sui suoi nemici in modo da costruire la propria sicurezza grazie ad un muro di ferro. Il muro di ferro e la trincea su questo si è costruita di fatto gran parte della strategia dei falchi in Israele; teniamo le posizioni e nel corso dei decenni o secoli si riuscirà a realizzare il sogno della Grande Israele, dal Mediterraneo al Giordano. In campo arabo e palestinese i falchi ragionano nello stesso modo: adesso Israele è forte, bisogna resistere e verrà il momento in cui saremo più forti noi e potremo distruggere Israele. Entrambi pensano che si possa aspettare decenni o secoli.

7 L obiettivo politico del governo israeliano è chiaro: far fallire l accordo Hamas- Fatah, divide et impera, niente di nuovo a cui però si aggiunge anche quello di dimostrare che i palestinesi non sono affidabili e non sono maturi per avere un loro stato, quindi come si fa a negoziare il ritiro da parte del West Bank? Che poi nel West Bank ci sia il moderato Abu Mazen e non Hamas poco importa, bisogna tenere le posizioni raggiunte. Se poi la parte moderata dei palestinesi sarà sempre più debole ed Hamas o altri estremismi ancora peggiori si affermeranno anche nel West Bank voleva dire che c era ragione di temere. E chiaro che a forza di marginalizzare le opzioni più moderate e concilianti non restano che i falchi. Per Hamas o la sua parte più intransigente l importante è prendere la rappresentanza del popolo Palestinese ed esautorare definitivamente Fatah. Si può fare con le elezioni, ma anche proponendosi come gli unici capaci di combattere per la Palestina. Abu Mazen e Fatah sono per fermare la guerra e negoziare con Israele; a questo punto la sola ragione di esistere dell Autorità Palestinese sta nell eventuale successo di questo dialogo. Certo nessuno gli da retta ed il conflitto li emarginerà ancor di più. Ovviamente la situazione sta rapidamente cambiando, e in peggio, ai confini di Israele, che potrebbe trovarsi con dei vicini assai meno disponibili degli attuali Giordania, Libano ed Egitto, davvero completamente circondata da regimi ostili. Una pace durevole non si può certo fondare soltanto sul consenso del regime militare egiziano, deve coinvolgere il sentimento popolare e non solo i governanti altrimenti Israele non sarà mai sicura. Tutto il mondo arabo vede nella condizione dei palestinesi una grande enorme ingiustizia e qualunque leader, anche un dittatore, se ne può fare paladino e chiamare le folle alla guerra, come abbiamo già visto con Saddam Hussein. Ma per ora in Israele sembrano prevalere coloro che pensano che la forza militare, il muro di ferro, sia sufficiente a garantire la sicurezza. Certamente Israele ha tutte le ragioni di essere forte militarmente, il come viene usata questa forza è un'altra questione, ma la grande tragedia della politica israeliana degli ultimi quattordici anni è l assenza di dialogo. C è solo l opzione della forza non c è di fatto quella politica, della mediazione, del negoziato. Da anni lo scrive David Grossman. Nel Novembre 2006, nel discorso per la commemorazione di Rabin, pochi mesi dopo l uccisione di suo figlio Uri in Libano, Grossman invita il primo ministro di allora Olmert al dialogo con la Siria, un discorso bellissimo da leggere. Lo scrive ancora nel Gennaio 2009 e invita il governo israeliano ad aprire il dialogo con Hamas! Il dialogo e la fiducia sono le vittime immateriali, ma terribilmente reali di tutta questa situazione. Le famiglie dei tre giovani israeliani e del ragazzo palestinese hanno mostrato grande compostezza e persino vicinanza nel dolore comune per la perdita di un figlio. Sarebbe bello vedere insieme queste quattro famiglie rivolgere un appello per la pace ed il dialogo, magari dalla Residenza di Santa Marta in Vaticano. Certamente da entrambe le parti molti li accuserebbero di tradimento, eppure solo messaggi emotivamente forti possono scuotere quei popoli e prevenire altre morti inutili in futuro.

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