Il sigillo di Isadora - Parte prima di Gianluigi Forte

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2 - Parte prima di 2

3 Catania, Agosto 2011 inizio Novembre 2011 fine 3

4 Tutti i diritti letterari di quest opera sono di esclusiva proprietà dell autore. 4

5 Alla mia più grande e sfegatata fan, Lucy 5

6 Prologo U na donna fissava con un'espressione triste e pensierosa un cumulo di terra che era stato scavato di recente, lo si sentiva dall odore. Il suo volto era bellissimo e terribile con gli occhi azzurri come il ghiaccio e i capelli che ondeggiavano nella brezza del mattino. «L opera è completa. E' la fine». Il ricordo di quei giorni le rimarrà impresso per sempre nella memoria. «E tempo di andare» una voce profonda come il più oscuro degli abissi, risuonò alle sue spalle. La donna non rispose, guardava ancora il tumulo. Poi dai suoi occhi scivolò una lacrima che le rigò il dolce viso bianco. Nel momento in cui la lacrima si staccò dal viso, il tempo sembrò fermarsi e per alcuni istanti non si udì alcun suono. La lacrima precipitò giù acquistando lentamente velocità avvolta nel suo globo di cristallo, quindi affondò nel terreno con un tonfo simile a un gong. Silenzio. 6

7 A un tratto la terra si scosse come colpita da un fortissimo terremoto e nel punto in cui la lacrima era penetrata nel terreno, nacque con una velocità innaturale un germoglio. Il germoglio s ingrandì fino a diventare prima una pianta e poi un piccolo albero. Il tronco dell albero diventò di legno e crebbe sempre di più. In alcuni istanti nel punto in cui prima c era un cumulo di terra, era cresciuto un gigantesco albero dal tronco enorme. La donna fissò l albero le cui foglie ondeggiavano al vento e la sua espressione non era più triste, anzi sulle sue labbra apparve un sorriso. Poi la donna si girò e se ne andò per la sua strada. 7

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9 Capitolo 1 La prova I l fuoco scoppiettava sommessamente nel silenzio della notte. I rumori della foresta si erano lentamente assopiti, segno che la notte era ormai profonda e la stanchezza della giornata accumulata dopo ore di cammino, iniziava a farsi sentire. Capitava spesso a chi faceva il turno di guardia in queste ore della notte di lasciarsi andare a colpi di sonno, cadendo addormentato per brevi periodi di tempo in cui la mente si rilassava. Sfortuna volle che proprio in quel lasso di tempo, accade qualcosa. Guglielmo prima di assopirsi, stava ripensando agli ultimi giorni trascorsi con la compagnia come per mettere in ordine le idee o solo per cercare di far passare in qualche modo quelle ore di silenzio e solitudine: la fattoria era stata attaccata tre giorni fa, avevano seguito le tracce degli assalitori verso sud lungo il fiume e poi dentro la foresta. Si trattava di almeno tre uomini e da quello che sembrava anche ben addestrati. Nessuno fino ad allora era 9

10 riuscito ad identificare gli assalitori, perché nessuno li aveva visti o era sopravvissuto abbastanza a lungo. Le tracce si erano fatte via via più fresche, ed il ragazzo era abbastanza sicuro che gli assalitori fossero molto vicini, probabilmente il giorno successivo li avrebbero presi. Il ragazzo fu risvegliato da un rumore che lo precipitò nuovamente nella realtà. Si alzò subito in piedi e afferrò un grosso ramo che era stato in precedenza sistemato vicino al fuoco, e alla cui estremità erano stati legati piccoli pezzi di legno e fili di paglia. Immerse nel fuoco l'estremità del ramo che prese subito fuoco, poi l'alzo per illuminare la parte di foresta da cui pensava di aver sentito i rumori. Strinse gli occhi per cercare di vedere chi o che cosa potesse aver prodotto quel rumore ma l'oscurità era impenetrabile. Sempre tenendo ben alta la torcia che bruciava ancora intensamente e con gli occhi fissi nel bosco si avvicinò a uno dei due corpi distesi per terra nel campo. «Teo. Teo svegliati. Ho sentito un rumore» disse scuotendo il compagno. Teodoro aprì gli occhi ancora intontito e cercò di alzarsi in piedi quando si udì un fischio secco e un dardo si conficcò nel terreno a pochi passi dai due ragazzi. Guglielmo allora sguainò velocemente la spada e corse verso il bosco gridando «Ci stanno attaccando! Svegli presto!». Teodoro si alzò, e abbassò lo sguardo verso il fuoco: non aveva il tempo di prepararsi per la battaglia indossando la sua armatura di cuoio borchiato che stava lì a pochi passi, decise allora di brandire la sua spada e corse dietro l'amico. «Aspetta Guglielmo non allontanarti da solo!» suggerì Teodoro vedendo l'impulsivo giovane compagno che si lanciava nell'oscurità, ma l'amico scomparve poco dopo alla sua vista. Il gruppo era totalmente 10

11 diviso e poco dopo Teodoro sentì rumori provenire da tutte le direzioni e le urla di Guglielmo; non appena lo raggiunse vide finalmente la creatura che aveva attaccato il loro accampamento. Non era un uomo ma ne aveva la forma: era alto poco meno di due metri e molto robusto. Il corpo era ricoperto di una folta peluria scura e indossava logori stracci sicuramente di fattura umana. Al torso era allacciata un'armatura di cuoio leggera e brandiva, con entrambe le braccia, una rozza balestra. Li stava guardando con due occhi rossi simili a quelli di un serpente e alle estremità del copricapo spuntavano due lunghe orecchie dalle estremità appuntite. Ansimava, aspettandoli con le spalle appoggiate a un grosso albero palesemente stanco per via dell inseguimento. La sua espressione non sembrava spaventata ma non fece nulla per ricaricare la sua arma. I due giovani alzarono le spade e si avvicinarono alla creatura cercando di accerchiarla. «So cos'è: è un hobgoblin» disse Guglielmo all'amico. «Si l'ho riconosciuto anch io. Stiamo attenti è una creatura pericolosa», «Cerchiamo di catturarla viva e...». Teodoro e Guglielmo non riuscirono a finire la frase irrigidendosi sentendo il freddo del metallo puntato contro le loro schiene: erano caduti in trappola. Altri due hobgoblin erano riusciti a scivolare alle loro spalle e li tenevano a tiro. «Tesha ammi!» grugnì una voce alle loro spalle mentre un'altra voce ruggì in una lingua incomprensibile. I ragazzi erano paralizzati dalla paura e la creatura con la balestra si avvicinò e strappò loro le armi dalle mani. La creatura che puntava la sciabola arrugginita contro la schiena di Guglielmo prese la torcia e grugni altri suoni incomprensibili verso l'altro hobgoblin. Quest'ultimo assestò un poderoso calcio alle gambe prima di Teodoro e poi a Guglielmo che caddero a terra, rigirandoli poi sul ventre e cominciò a legare loro le mani dietro la schiena con la grossa corda di canapa che portava legata al cinturone. 11

12 Quello che sembrava essere il capo del gruppo di umanoidi, che fino a quel momento aveva pronunciato l'unica frase comprensibile, ruggì altri ordini e l'hobgoblin con la balestra prese in consegna i due giovani ormai inermi mentre gli altri due si allontanarono in direzione del loro campo. «Troveranno Clò! Dobbiamo avvisarla!» sussurrò Guglielmo. Teodoro cercò allora di rimettersi in piedi ma fu colpito dalla creatura. Il diversivo fu efficace perché consenti a Guglielmo di gridare «Clò! Ci hanno catturato, stanno venendo a prenderti!». Il ragazzo non riuscì a completare la frase, fu colpito alla testa col calcio della balestra e perse i sensi. Guglielmo fu svegliato bruscamente da un poderoso calcio nel fianco. Non riusciva a muoversi, e capì che si trovava ancora a terra con i polsi legati dietro la schiena. Il bagliore del giorno momentaneamente lo accecò. Quando riuscì finalmente a rimettere a fuoco, vide che si trovava nei pressi dell'accampamento che aveva montato la sera prima insieme ai compagni: l'accampamento era stato saccheggiato e alcuni loro oggetti, evidentemente privi d interesse per gli aggressori, erano stati sparpagliati in giro. L'umanoide che lo aveva così gentilmente risvegliato gli grugniva addosso in una lingua incomprensibile ma dagli atteggiamenti era chiaro che voleva che Guglielmo si alzasse. Il ragazzo lo fissò alla luce del giorno: vide che la creatura era ricoperta di una peluria marrone sotto la quale si riusciva ad intuire la presenza di una possente muscolatura. «Deve essere quello che la notte precedente brandiva la balestra!»pensò Guglielmo, notando che adesso impugnava una delle loro spade e la puntava minacciosa contro il costato del ragazzo pungolandolo per stimolarlo ad alzarsi più velocemente. Guglielmo riuscì a girarsi su di un fianco e infine riuscì a mettersi seduto. In questo modo poté guardarsi meglio intorno: vide Teodoro nell'altro lato dell'accampamento, che era sollecitato ad alzarsi da un altra delle tre 12

13 creature. Guardò in giro ma non vide traccia di Clotilde, forse la ragazza era riuscita a fuggire. Il terzo umanoide era in piedi al centro del campo e stava raccogliendo intorno a sé alcuni sacchi contenenti sicuramente il bottino. Era di certo il capo, perché sembrava il più grosso del gruppo. Indossava un corpetto di maglia di ferro complementato da pezzi eterogenei di armature di pessimo gusto ma certamente efficaci come protezione. Inoltre indossava una sorta di elmo dal quale spuntavano lateralmente due corni bianchi e appuntiti. Portava due cinturoni che s incrociavano nel petto cui erano appesi diversi sacchi e dalle spalle s intravedevano le impugnature di due grosse spade. L'imponente hobgoblin impartì alcuni ordini con il solito mugugnare e gli altri due spinsero i prigionieri verso il centro del campo. «Stai bene?» sussurrò Guglielmo, quando l'amico fu scaraventato accanto a lui. «Un po' ammaccato ma intero» bofonchiò Teodoro. «Hai visto Clò?», «No. Deve averti sentito ieri notte e probabilmente è riuscita a nascondersi», «Lo spero!». La situazione non era proprio come se l'erano aspettata, da cacciatori erano diventati prede e potevano considerarsi fortunati ad essere ancora vivi. «Secondo te perché ci hanno lasciato in vita?» chiese Guglielmo. La risposta fu chiara poco dopo: le creature avevano raccolto molti oggetti in una robusta cassa che avevano avvolto in quella che sembrava la pelle di un grosso animale; con altri pezzi di corda di canapa avevano legato le estremità della pelle e avvolsero le cime alle spalle e attorno alla vita dei ragazzi. Li avrebbero usati per trasportare il bottino. Le creature si misero in marcia costringendo i ragazzi a trasportare la cassa, il sole non era ancora alto. Davanti alla carovana stava il capo gruppo, seguivano al centro i ragazzi tenuti sotto controllo dalle creature che aveva 13

14 indossato l'armatura di Teodoro, e chiudeva il corteo l'ultimo hobgoblin che aveva riposto la spada di Guglielmo nel fodero del cinturone a aveva ripreso in mano la sua balestra. Si inoltrarono nel folto della foresta, procedendo verso est, nella direzione opposta a quella in cui il gruppo dei ragazzi era arrivato. Procedere era difficoltoso perché il terreno era impervio e il sottobosco fitto di rovi: molte volte erano stati costretti a tornare sui propri passi perché la strada era bloccata da un dirupo o dalla vegetazione particolarmente fitta. Il capo hobgoblin sembrava seguire una pista e spesso si fermava per osservare il sole e altri punti di riferimento incomprensibili agli occhi dei ragazzi. Camminavano ormai da parecchie ore quando arrivarono in una radura piuttosto ampia circondata da un costone roccioso che la proteggeva su tre lati. Il grosso hobgoblin li condusse a ridosso della parete di roccia seguendo quello che sembrava un sentiero di erba calpestata che dava l'idea di essere stato battuto di recente dalle creature. Alla fine del sentiero i due ragazzi scorsero l'ingresso di una grotta. «Deve essere il loro covo» sussurrò Guglielmo con un filo di voce. I due giovani erano sfiniti, in preda alla stanchezza ed alla fame che cominciava a farsi sentire. Entrarono nella grotta e ci volle un po' di tempo per abituare gli occhi alla luminosità ridotta. L'interno della grotta si presentava spoglio e ostile, con rocce appuntite sul soffitto e nelle pareti. Il fondo della grotta era stranamente liscio e questo consentiva di procedere all'interno delle gallerie con relativa facilità. Ogni tanto nel soffitto si aprivano delle spaccature da cui entrava la luce del sole illuminando debolmente parti della caverna, consentendo ai ragazzi di poter vedere meglio l'interno della tana delle creature. Man mano che si addentravano all'interno della grotta il tanfo diventava sempre più insopportabile. «Tesha cassha!» disse il grosso 14

15 hobgoblin, una volta raggiunta un'ampia camera, in quella che era la sua più vicina espressione di una lingua umana. Fece cenno ai suoi subalterni di liberare i ragazzi dalle corde che li legavano alla cassa, poi grugnì altri ordini e i ragazzi vennero spinti in una galleria laterale. Alla fine della galleria i ragazzi sentirono dei deboli lamenti e videro altre creature palesemente denutrite incatenate al muro con rozzi pezzi di catena. Erano due uomini: un giovane e un anziano. Il giovane si muoveva e pronunciava debolmente «Acqua... acqua!», mentre il vecchio era immobile. Gli hobgoblin spinsero i ragazzi verso la parete rocciosa e li assicurarono a due robuste catene tramite due pesanti catenacci, per poi avvicinarsi agli altri due prigionieri; uno dei due hobgoblin afferrò un sacco e lo gettò verso il ragazzo. Il giovane lo afferrò e cominciò a bere avidamente, ma dopo un istante l'hobgoblin gli strappò dalle mani l'otre e scosse il vecchio. Dopo un po' grugnì qualche parola all'altro che tirò fuori da un sacchetto una grossa chiave arrugginita e liberò il collo del vecchio; sembrava che per lui con ci fosse più nulla da fare. Il giovane si mise a singhiozzare mentre i due carcerieri trascinavano via il corpo inerte del vecchio. Guglielmo e Teodoro atterriti da quello che avevano appena visto, cercarono di liberarsi dalle catene ma non riuscirono a far altro che procurarsi graffi e lividi nel punto in cui le catene gli serravano il collo. «E' inutile!! Moriremo qui come il signor Floris» singhiozzò il ragazzo, «No» ribatté Guglielmo «Riusciremo a salvarci» Ma le sue parole non riuscirono a tranquillizzare nemmeno se stesso. «Se Clò è riuscita a scappare, sicuramente in questo momento avrà raggiunto la città più vicina e vedrai che manderà qualcuno a salvarci» «Sei proprio sicuro?» sussurrò Teodoro al compagno senza farsi sentire dal giovane, «Ho fiducia in lei» fu la risposta secca di Guglielmo. «E fai bene, ma non avrei potuto raggiungere nessuna città senza di voi. Né tanto-meno avrei potuto sapere dove questi 15

16 mostri vi avrebbero nascosto, se avessi scelto di lasciarvi nelle loro mani!» I ragazzi sentirono una voce sussurrare alle loro spalle. «E inoltre non avrei potuto prendere questa!» una chiave arrugginita galleggiò a mezz'aria di fronte ai volti stupefatti dei ragazzi. «Clò. Sei grande!» urlò all'improvviso Guglielmo e il volto sorridente in una ragazza apparve insieme al resto del suo corpo. «Riesci sempre a stupirmi» farfugliò Teodoro; lei ammiccò verso Teodoro e gli sorrise poi si affrettò ad aggiungere «Presto usciamo di qui!» disse la ragazza liberando i due giovani dalle catene. L'altro prigioniero era rimasto senza parole e guardava il trio con la bocca aperta «Ma che diavolo...», «Silenzio!» gli intimò Guglielmo portando la mano davanti al naso in un gesto di silenzio, «Come ti chiami ragazzo?», «Il mio nome è Soren» «Soren se ti preme la vita fai silenzio e seguici» e Clotilde liberò anche lui. «Non hai recuperato le nostre armi?!» disse Guglielmo. Il sorriso scomparve dalle labbra della ragazza «E' già tanto che io sia riuscita a recuperare la chiave!» tuonò la ragazza ma Teodoro stese le braccia tra i due amici, «Non litigate, andiamo prima che tornino quelle bestie» disse infine. Percorsero a ritroso la galleria fino alla grande stanza dove avevano lasciato la cassa: la stanza era adesso illuminata dalla luce di due torce e all'interno le creature stavano banchettando con le provviste rubate ai ragazzi. Il capo era seduto su di una specie di scranno di legno mentre gli altri due sedevano per terra. Guglielmo valutò la situazione: non c'era possibilità di fuggire dalla caverna senza farsi vedere dagli hobgoblin quindi dovevano sfruttare il fattore sorpresa. Fece un cenno a Clotilde e Soren. «Voi due state qui» indicando vicino a se con la mano. Poi fece un cenno a Teodoro; lui si sarebbe occupato di quello grosso. 16

17 I due ragazzi scattarono contemporaneamente. Guglielmo si lanciò alle spalle del capo mentre Teodoro si scagliò contro l'umanoide che indossava la sua armatura. Guglielmo cercò di afferrare le spade appese alle spalle del capo, ma riuscì ad afferrarne solo una. L'hobgoblin reagì con inaspettata prontezza e affrontò il nemico con la seconda arma. Teodoro invece riuscì a colpire il suo avversario con un grosso sasso alla testa e l'umanoide cadde a terra privo di sensi mentre intanto Guglielmo duellava con il capo e i colpi delle due spade risuonavano rimbombando nelle viscere della caverna. Teodoro affrontò il secondo scagnozzo che aveva già sfoderato la spada. Il ragazzo estrasse la sua spada dalla fodera legata al cinturone del nemico abbattuto e cominciò a menar fendenti. L'avversario di Guglielmo era palesemente più forte e ben presto il ragazzo ebbe la peggio: fu disarmato e ferito a un braccio. Teodoro invece disarmò l'hobgoblin che corse via lungo la galleria verso l'uscita. Il ragazzo non si accorse di ciò che era accaduto all'amico e corse dietro il fuggitivo. Il grosso hobgoblin puntò la lama al collo di Guglielmo e grugni «Morri!». «Certa sagitta errans obstupuitum» una freccia luminosa baluginò nell'oscurità della grotta e si conficcò nella coscia del grosso hobgoblin che urlò di dolore e si accasciò lasciando cadere l'arma. Guglielmo non ci pensò un attimo e afferrò l'arma del mostro con entrambe le mani e urlando con tutta la forza che aveva in corpo nonostante la ferita colpì il nemico mozzandogli di netto la testa; poi lasciò cadere l'arma ansimando. In quel momento Teodoro rientrò nella caverna «Mi sono perso qualcosa?» 17

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19 Capitolo 2 L'accademia delle arti «Invisibilità?» Teodoro fissava stupefatto l'amica, «Sì. E' una delle magie più avanzate che conosco» rispose Clotilde, «Credo che sia la prima volta che mi riesce così bene» continuò. «E così hai sentito il grido di Guglielmo e sei diventata invisibile» ribadì Teodoro, «E' stata una mossa alquanto abile che denota una certa prontezza di spirito. Considerata poi la situazione, io credo che debba essere annoverata tra i punti di forza del successo della vostra missione. Tuttavia gradirei che sia Clotilde a riferirla essendone l'artefice». L'ultima frase era stata pronunciata da un uomo apparentemente piuttosto vecchio che fissava i ragazzi dietro il pesante tavolo di faggio che troneggiava al centro della sala. «Si maestro Aurelio» risposero i tre giovani seduti in una lunga panca antistante al tavolo. I ragazzi erano ormai abituati alla stranezza del suo sguardo. Il maestro aveva, infatti, due occhi di diverso colore: il destro di un azzurro limpido come il cielo della più tersa 19

20 giornata d'estate e l'altro marrone scuro. L'impressione che Aurelio incuteva con lo sguardo era piuttosto strana, ma la profondità dello sguardo faceva intuire solo in parte il potenziale che era nascosto dietro a quegli occhi di colore diverso. Nel camino scoppiettava un grosso ceppo e le fiamme si univano a quelle che danzavano dalle molte candele che costituivano la fonte d illuminazione della «sala dei ricevimenti» disegnando suggestive ombre sulle pareti ricoperte di dipinti e trofei. Alle spalle dei ragazzi un omone grosso che indossava una pesante armatura metallica andava avanti e indietro accarezzandosi l ispida e folta barba nera. La sua espressione era ancora più grave di quella di Aurelio. «Ti prego Clotilde, prosegui» le chiese con tono dolce Aurelio. Imbarazzata dallo sguardo inquisitore del maestro, la ragazza continuò il suo racconto. «Beh, credo che convenga cominciare tutto dall'inizio. Una volta assegnataci la missione, ci siamo recati nella zona in cui avvenivano le incursioni. Siamo arrivati nei pressi del paese di Monterosso proprio il giorno successivo ad un attacco ai danni di una fattoria isolata. La moglie del fattore era ancora sotto shock e non è riuscita a fornirci dettagli riguardo gli assalitori. Ci ha raccontato dell'attacco avvenuto nella notte e della scomparsa dei corpi del marito e del figlio». «Guglielmo e Teodoro sono riusciti ad individuare la direzione presa dagli assalitori in fuga analizzando le loro tacce e ci siamo messi all'inseguimento nella foresta». L'espressione compiaciuta del vecchio seduto alla scrivania la spinse a proseguire. «La seconda notte d'inseguimento, siamo stati attaccati, come ha raccontato prima Guglielmo non si trattava di uomini ma hobgoblin. Mi sono ritrovata da sola nel nostro campo ed ho sentito il suo grido di allarme. 20

21 Ho pensato che l'unica possibilità di salvezza fosse lanciare l'incantesimo che mi rende invisibile e mi sono messa a spiare le mosse del nemico». «Non hai pensato che, facendo così, i tuoi compagni avrebbero potuto rischiare la vita?» la interruppe bruscamente l'omone in armatura. «Suvvia Gustavo, cosa avrebbe potuto fare la nostra povera Clotilde? Affrontare i nemici da sola, al buio, ed inerme? Sappiamo tutti che questo è il tuo stile» il maestro rivolse un sorriso all'omone. Gustavo bofonchiò qualcosa palesemente in disaccordo. «Gli hobgoblin hanno trascinato Guglielmo e Teodoro nel nostro accampamento ed hanno cominciato a saccheggiarlo». «Le creature ci hanno fatto prigionieri» continuò Teodoro, «Probabilmente volevano portarvi nelle loro terre e farvi schiavi. Seppure disgustosi, gli hobgoblin sono creature intelligenti e hanno una complessa vita sociale in luoghi lontani da quelli che siamo abituati a conoscere. Questo gruppetto si sarà spinto nelle terre degli umani per catturare nuovi schiavi. Saccheggiare le fattorie era necessario solo per trovare cibo e manufatti che gli avrebbero consentito di perseguire il loro scopo» disse Aurelio. «La mattina seguente, vedendo che gli hobgoblin portavano via Guglielmo e Teodoro li ho seguiti fino a quella che sembrava la loro tana, sono entrati nella grotta ed io con loro» proseguì la ragazza. «Poi li hanno incatenati alla parete e hanno portato via il poveruomo», «Il povero signor Floris, purtroppo non ce l'ha fatta!» interruppe Teodoro. «Sì, quando hanno portato via il signor Floris, ho visto dove la creatura conservava la chiave e sono riuscita a prenderla e liberare i ragazzi». Poi raccontò come Guglielmo e Teodoro avessero affrontato disarmati le creature e come riuscirono ad avere la meglio su di loro. «Vedo che padroneggi molto bene anche il dardo magico» disse Aurelio 21

22 quando Clotilde ebbe finito di raccontare della battaglia nella caverna. Guglielmo ricordò il provvidenziale dardo luminoso «Con quella magia mi hai salvato ancora una volta» disse Guglielmo. «Capita spesso quando si lavora insieme di salvarsi la vita a vicenda. Ricordate ragazzi che la forza del gruppo sta proprio nella sinergia che si crea tra i loro membri e non tanto in quella di ogni singolo elemento» Aurelio non perdeva occasioni per elargire perle di saggezza. Si fermò un attimo poi continuò «Bene ragazzi potete andare, lasciateci soli». Quando i tre giovani furono usciti dalla sala, Gustavo si sedette sulla panca ormai vuota sempre accarezzandosi la lunga barba. «Non mi è piaciuto per niente il modo in cui i ragazzi hanno affrontato la prova!» esordì. «Considera, Gustavo, che non pensavamo affatto che potesse trattarsi di quel genere di creature», «Sono fortunati a essere ancora tutti interi!», «Io non la chiamerei fortuna». Aurelio si alzò e cominciò lui adesso ad andare avanti e indietro: «L'impulsività e l'inesperienza di Guglielmo e Teodoro li ha fatti cadere facilmente preda del tranello dei nemici, questo è vero, ma poi nella caverna hanno mostrato di saper agire con prontezza». «Anche in quell'occasione hanno fatto errori» proseguì Gustavo, «Teodoro ha abbandonato il campo di battaglia mettendo a rischio la vita di Guglielmo». «Ed anche in quell'occasione Clotilde ha agito bene», «Come al solito i tuoi studenti si comportano meglio dei miei, Aurelio», «No Gustavo sei tu che sei troppo esigente. Basandoci esclusivamente sui fatti, la missione è riuscita, il capo della banda è stato ucciso, un membro è stato catturato e un altro è fuggito. Il pericolo che minacciava la zona è stato sconfitto e il ragazzo prigioniero è stato liberato. Io propendo per dare la preda a tutti e tre». 22

23 Gustavo aspettò un attimo valutando ciò che l'amico aveva detto poi fece un cenno di assenso col capo. Si alzo e uscì dalla stanza. «L'accademia delle arti è un luogo in cui i ragazzi che possiedono particolari talenti vengono ad affinare le proprie arti nel campo della magia o in quello della guerra». Clotilde stava percorrendo un lungo corridoio in testa a un gruppo di tre ragazzini che si guardavano intorno con aria palesemente meravigliata. Indossava una splendida veste bianca e celeste lunga fino al pavimento, il cappuccio pendente sulla schiena e le ampie maniche cadevano giù a coprirle completamente le braccia. I ragazzi invece che indossavano comuni abiti civili avevano uno zaino a tracolla e reggevano con le braccia ognuno un abito simile a quello di Clotilde. «L accademia è stata fondata ed è diretta da due uomini: il maestro Aurelio Chiarafonte, che avete avuto modo di conoscere prima e dal maestro Gustavo Bottedacciaio che si occupa di istruire i cadetti». Il corridoio, le cui pareti erano ricoperte di quadri, stemmi, candelieri e teste impagliate di un infinità di animali diversi, si snodava sinuoso ed echeggiava il suono dei passi dei ragazzi; il gruppo stava affrontandone una curva retta sulla destra. «Come vi dicevo all interno dell accademia i ragazzi sono introdotti alla magia o all uso delle armi e approfondiscono temi come il combattimento, la sopravvivenza in luoghi ostili, la conoscenza delle creature e tutto ciò che può servire ad affrontare l'avventura. La prova di ammissione che avete sostenuto nei giorni passati è stata necessaria per verificare verso quale delle due strade i maestri vogliono indirizzarvi e, voi come me, avete certamente dimostrato una predilezione per gli arcani misteri della magia» «Diventeremo dei maghi?» chiese un ragazzino mingherlino che seguiva con difficoltà i veloci e sicuri passi di Clotilde. Clotilde si fermò e guardò con espressione grave il ragazzino. «Tu ti chiami Filadelfio?» il 23

24 ragazzino rispose esitando sotto lo sguardo inquisitore di Clotilde. «Filadelfio da Monterosso signora» rispose. «Filadelfio, anche se a prima vista potrebbe sembrare che la vita in quest accademia sia facile ti accorgerai che non lo è per niente». La ragazza aveva assunto un atteggiamento aggressivo quasi spaventoso «Se non t impegnerai al massimo nello studio, sarai escluso dall'accademia e se dimostrerai il tuo valore superando ogni esame e convincerai i maestri che sei pronto per le prove, ti troverai ad affrontare pericoli che nemmeno immagini e... «Clotilde si accorse che stava spaventando i ragazzi e si fermò. «... non chiamarmi signora». Clotilde si girò e proseguì lungo il corridoio «Sì. Alla fine dell'addestramento diventerete maghi dell'accademia e vi verrà rilasciato un titolo valido in tutte le città del regno, riconosciuto anche all'estero. A dire il vero e, come certamente saprete, il titolo dell'accademia delle arti di Aurelio e Gustavo è uno dei più prestigiosi e vi consentirà di trovare facilmente lavoro presso le corti di signori, nobili o addirittura re!», «Mia madre dice sempre che ai giorni nostri senza un titolo non sei nessuno!» disse una ragazzina. «E' vero, ma ricordate, quello che apprenderete in quest accademia vale molto più del pezzo di carta. Vi aiuterà a sopravvivere». Clotilde arrivò ad un bivio del corridoio nella cui parete era appeso un gigantesco arazzo leggermente sbiadito che mostrava un cavaliere in una scintillante armatura completa su di un cavallo nero bardato che affrontava una creatura gigantesca con sei teste alcune delle quali che sputavano fuoco. «Eccoci al bivio. Da questa parte...» indicò la destra, «c'è la zona dedicata agli apprendisti, da quella...» indicò a sinistra «c'è la zona dei cadetti. Gli apprendisti, in altre parole il vostro gruppo, si occuperanno dello studio della magia, i cadetti invece si occuperanno del combattimento». «Vuol dire che studieremo nella stessa scuola con i cadetti ma saremo 24

25 sempre separati?» «Sì. L'unica sala comune che abbiamo è quella in cui si cena. E ovviamente avrete occasione di incontrare i cadetti durante le prove». «Clotilde tu ci insegnerai la magia?» «Oh no cara. Io sono un'apprendista come voi, con solo qualche anno di esperienza in più. Adesso vi mostrerò le vostre stanze» e il gruppo proseguì imboccando il corridoio a destra. «Wow, hai ottenuto la seconda preda!» esclamò un ragazzo mentre con la spada bloccava gli attacchi dell'avversario. Il corpetto di protezione di Guglielmo gli lasciava parte delle spalle scoperta e su di una manica era stata cucita, a breve distanza da un'altra, una piccola striscia di cuoio intarsiata e istoriata finemente. Guglielmo menò un altro fendente che fu abilmente parato dal compagno. «Siamo stati fortunati, si era messa molto male!». «Non vedo l'ora di poter partire anch io» disse l'altro ragazzo. «Io penso che entro quest'anno Gustavo deciderà di assegnarti una prova». «Guglielmo! Erasmo! Che cosa avete da parlare! Concentratevi sul combattimento!» il vocione di Gustavo rimbombò nel cortile di addestramento dei cadetti. Molti ragazzi si fermarono per un attimo spaventati dal rimprovero del maestro per poi proseguire nei combattimenti. Il cortile era pieno di ragazzi vestiti con un'uniforme rossa accoppiati a due a due che duellavano sotto il sole. Gustavo vestiva una gigantesca armatura di piastre e brandiva con una mano uno spadone così grande che molti di quei ragazzi non avrebbero saputo sollevare usando entrambe le braccia. Mentre i ragazzi duellavano con le spade, il maestro passeggiava vicino a loro dispensando consigli e redarguendo aspramente chi commetteva 25

26 errori. «E poi il merito è stato tutto di Clotilde». «Clotilde l'apprendista? Eri in buona compagnia allora!» Erasmo ammiccò verso l'amico mentre tentava di colpirlo. «Racconta, com'è sotto la tunica? E' ben messa come sembra?» L'affermazione dell'amico fece scaldare Guglielmo che evitò il colpo e contrattaccò con maggiore furia. «Non ho avuto il tempo né l'occasione per pensarci! Fuori è veramente un altro mondo. Sai, con mostri che cercano di ucciderti o peggio, non è che ci si possa abbandonare a considerazioni futili. E poi ti assicuro che con lei è meglio non averci a che fare, ha un pessimo carattere». «A me invece sembra che la ragazza t interessi parecchio. Basta pronunciare il suo nome per farti scaldare!» «Ho detto...» Gustavo apparve alle spalle di Erasmo, lo afferrò per la cintura e lo sollevò a mezzo metro dal terreno. Poi lo spinse di lato e con due colpi assestati disarmò anche Guglielmo. «... di concentrarvi sul combattimento!» «Guglielmo non ti credere di essere un guerriero per quello che hai fatto nell'ultima prova. Hai preso la preda solo perché Aurelio ha deciso di estendere a tutto gruppo i meriti del successo». Poi vedendo che il ragazzo lo fronteggiava con lo sguardo e vedendo che gli altri cadetti si erano tutti fermati a guardarli aggiunse «Sei sulla buona strada ma devi percorrerne ancora tanta! Alzati Erasmo. Voi due» alzò l enorme mano indicando Guglielmo ed Erasmo «venti giri del cortile di corsa. Adesso!» I ragazzi scattarono. «E voi altri che avete da guardare? Continuate a combattere» gli altri non se lo fecero ripetere due volte. L'odore intenso di cibo e il frastuono di porcellane immerso in un vociare 26

27 di ragazzi inondavano come sempre l'enorme sala comune che era usata sia dai cadetti sia dagli apprendisti per consumare l'unico e abbondante pasto della giornata. Messi da parte armi, armature e libri, i ragazzi si precipitavano nella grande sala comune per nutrirsi e trascorrere le ore più liete e spensierate della loro vita in accademia. Anche se era l'unico momento in cui apprendisti e cadetti s incontravano, il senso di appartenenza al gruppo li manteneva coesi formando nella sala due chiazze una bianca da un lato e l'altra rossa dall'altro. Al centro della sala un enorme tavolo imbandito di pietanze di ogni tipo era riservato per i maestri e su tutti troneggiava Gustavo. Come si poteva immaginare Gustavo adorava la buona tavola e per tutto il periodo della cena, cui dava personalmente l'avvio, ingurgitava tutto ciò che gli capitava a tiro. Durante la cena il burbero maestro si trasformava completamente e, complice qualche bicchierino di vino di troppo e l'allegra atmosfera dei ragazzi, cominciava a scherzare e prendere in giro tutti. «Avresti dovuto vedere come si è ridotto il giovane Biancofiore quando è finito dentro la pozza di fango! Non ho mai riso tanto quanto quella volta che Fausto è finito in quella montagna di letame di Drago!» Gustavo a cena adorava stare al centro dell'attenzione e spesso raccontava aneddoti della sua vita avventurosa. Accanto a lui sedeva Aurelio che rideva trascinato dal suo amico di vecchia data, rimembrando le loro gesta e correggendolo ogni tanto «Beh sì, è stato molto divertente anche per via del fatto che, se ben ricordo, nella pozza di letame ci sei finito dentro anche tu!» «Probabilmente è così» disse Gustavo, «Propongo un brindisi ai tuffi nelle pozze di letame!» e tutti alzarono contenti il calice «Al letame!» Teodoro, Guglielmo ed Erasmo sedevano a un tavolo. «Io direi invece di brindare alle prede di Guglielmo e Teodoro» disse Erasmo alzandosi in 27

28 piedi. I compagni cadetti che stavano loro vicini alzarono i calici per acclamare i due ragazzi. Erasmo si sedette e disse a voce più bassa «Quando vi deciderete a raccontaci quello che avete fatto?», Guglielmo guardò Teodoro e poi si voltò per guardare dall'altra parte del salone, in mezzo alla macchia bianca di tuniche degli apprendisti per guardare la ragazza con cui avevano vissuto la prova. «Sai che non possiamo parlarne, Erasmo» disse Teodoro, «conosci le regole». Clotilde era seduta a un tavolo in compagnia di un apprendista dall'aspetto fisicamente insignificante, magro, non troppo alto, con la testa rasata e gli occhi stretti come due fessure. Il ragazzo aveva un sorrisetto stampato sulle labbra e un atteggiamento timido e rispettoso, e stava intavolando una discussione con Clotilde che però era palesemente infastidita. «Quel verme spregevole!» sussurrò Guglielmo. Erasmo capì a chi si riferiva Guglielmo. «Mi sa tanto che ci ho visto bene» sorrise. Guglielmo si riprese dai suoi pensieri e spinse l'amico rispondendo al suo sorriso «Smettila è solo un amica!». «Si almeno è così per lei!» fece l'occhiolino Teodoro. «Non capisco perché quel Joy le sta sempre appiccicato addosso!» disse Guglielmo. «Probabilmente perché anche lui pensa di esserle solo un amico!» punzecchiò Erasmo. Guglielmo lo spinse ancora ridendo. «No, dico sul serio. E' un po' di tempo che le sta addosso, per quanto ne sappia, non sono amici», «Joy non è amico di nessuno» disse Teodoro, «E' semplicemente un essere viscido che si approfitta degli altri facendogli credere di essere amici. In realtà è un approfittatore che non ci pensa due volte prima di colpirti alle spalle dopo che lo hai aiutato nel momento in cui non ha più bisogno del tuo aiuto», «Lo so Teodoro, è proprio questo il motivo per cui mi sto preoccupando per Clotilde, deve esserci sotto qualcosa 28

29 », «Guglielmo non possiamo farci niente, noi siamo cadetti e questi sono affari tra apprendisti. Comunque sai bene che Clò riesce a cavarsela benissimo da sola» Teodoro fece un occhiolino all'amico. «Voi non me la raccontate giusta» s intromise Erasmo, «Non sono affari tuoi» entrambi spinsero il compagno che questa volta finì a gambe all'aria cadendo dallo sgabello. «Fortuna che non sei finito in una pozza di letame figliolo!» la battuta di Gustavo fece scoppiare le risate degli astanti ed anche Erasmo rise e la situazione comica attirò l'attenzione degli apprendisti che si voltarono nella loro direzione e gli sguardi di Guglielmo e Clotilde s incrociarono per un istante. La mattinata era stata dura e faticosa, avevano cominciato ad allenarsi prima dell'alba; Gustavo li aveva svegliati quando era ancora buio e li aveva trascinati in cortile senza dar loro il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo. «Questo serve ad allenare il corpo e la mente! A essere sempre pronti a tutto». Dopo un innumerevole numero di giri del cortile, fatti pressoché al buio, Gustavo aveva ordinato loro di spaccare a colpi di ascia grossi ceppi di legno che erano stati raccolti nel bosco la settimana prima, e la luce del mattino aveva timidamente cominciato a far capolino da oriente; chiaramente i ragazzi non avevano la possibilità di ammirare lo spettacolo offerto dalla natura, ogni mattina, agli abitanti di Aristidea. Il sole sorgeva dal mare illuminando di rosso tutto l'orizzonte e, nelle giornate terse e prive di nubi, si poteva vederlo nascere, spicchio dopo spicchio dalle acque fino a formarsi rotondo e luminoso. Così fulgido da non poterlo guardare direttamente senza rimanere accecati. 29

30 Ora che il sole era così alto da poterlo scorgere oltre il muro del cortile dell'accademia, significava che erano passate già parecchie ore dall'alba e Gustavo fermò i ragazzi i quali dopo aver finito di spaccare la legna avevano cominciato le esercitazioni di scherma. «Basta così soldati! E' ora di ristorare il fisico con una colazione degna di un uomo d'arme!» e con il suo spadone indicò la strada verso il grosso portone di legno che conduceva all'interno dell'accademia. I ragazzi riposero nelle rastrelliere le armi da addestramento; queste erano più pesanti e meno bilanciate delle armi vere ed anche molto meno affilate e pericolose sebbene un colpo d'esse, mal dato, provocasse ugualmente parecchi danni. Attraversarono il portone e salirono la rampa dello scalone che li condusse al grosso balcone rialzato proseguendo oltre il quale avrebbero raggiunto un lungo corridoio che conduceva al salone della colazione. Da destra, assonnati, si univano a loro per raggiungere la sala, gli apprendisti, che si andavano svegliando a quell'ora, suscitando le invidie da parte dei cadetti. Guglielmo, Teodoro ed Erasmo stavano percorrendo insieme il lungo corridoio inondato dalla luce del sole che penetrava dalle molte finestre quando, affacciandosi da una di esse Teodoro vide qualcosa e attirò l'attenzione dei compagni. «Guglielmo, Erasmo. Venite a vedere!» I ragazzi si avvicinarono a e osservarono il punto che stava indicando il loro amico. «Secondo voi che cos'è quello?» Teodoro indicava un piccolo puntino sospeso nel cielo che sembrava spuntare da dietro le montagne a nord ovest. «Sembrerebbe un uccello» esclamò Erasmo stringendo gli occhi. «No. Per riuscire a vederlo a questa distanza deve essere più grande!» 30

31 aggiunse Guglielmo «Inoltre sembra viaggiare molto velocemente!» Il piccolo puntino, stava, man mano che il tempo passava, diventando più grande sempre più velocemente. «E pare proprio che stia puntando dritto verso di noi!» concluse Guglielmo. Dalla loro posizione rialzata i ragazzi godevano di una vista perfetta e poterono seguire tutto il percorso di quell'oggetto volante. Quando finalmente arrivò nelle vicinanze della città, i ragazzi videro l essere che volava verso di loro: era una creatura mostruosa con il corpo e la testa di leone, le ali d'aquila e una lunga coda di serpente. Sul suo dorso era seduta la figura di un uomo. La creatura raggiunse con una velocità straordinaria la città e planò verso l'accademia; sorvolò poi il castello e cominciò a seguire una serie di traiettorie circolari tutto attorno all'edificio. La sua presenza era ormai stata notata da molti ragazzi che si affannavano accalcandosi alle finestre o nei cortili indicando verso l'alto. Guglielmo e compagni videro il cavaliere nero che dopo un po' fece un cenno alla creatura; quest'ultima subito scese in picchiata e andò ad atterrare pesantemente su di una terrazza deserta posta in una posizione rialzata. L'uomo scese dalla groppa della creatura che ripiegò le ali e si accovacciò tranquilla sulle zampe posteriori al centro dello spiazzo. L'uomo indossava un mantello nero sotto il quale si poteva vedere il luccichio di un armatura nera di metallo pesante. Alle sue spalle era appeso uno spadone inquietante. Aveva i capelli corvini lunghi e scomposti e, da quella distanza non si riusciva a vedere bene, sembrava anche avere una lunga cicatrice sul volto. L'uomo incrociò le braccia e attese. Dopo qualche istante da una porta che dava sul terrazzo, si vide spuntare la sagoma del maestro Aurelio. 31

32 Clotilde, udendo il frastuono e il clamore provocato dai ragazzi, si affacciò da un finestrone della torre occidentale, dedicata allo studio delle magie avanzate, e vide la creatura che atterrava, in quel momento, nella grande terrazza. Conosceva quella creatura, una manticora, un essere magico e pericoloso. Non aveva idea che fosse possibile ammaestrarla e non aveva mai visto l'uomo che sembrava essere il suo padrone. Accanto a lei il maestro Aurelio si affacciò alla finestra e con un sospiro disse «Sembrerebbe che abbiamo visite». Lo sguardo di Aurelio era fisso sul cavaliere «Chissà cosa ha spinto Fosco a venire così lontano». Poi si rivolse alla sua giovane allieva: «Clotilde, rimani ferma qui e non intervenire qualsiasi cosa accada! Hai compreso le mie parole?» Lo sguardo della ragazza era ancora fermo sul cavaliere nero e sulla sua straordinaria cavalcatura. Si voltò verso Aurelio e con un cenno del capo rispose «Si maestro!» Aurelio usci dal salone e scese una piccola rampa di scale fino a una porticina che lo condusse fuori sulla terrazza. Clotilde da quella posizione osservò la scena. Si trovava così vicina da poter ascoltare i due uomini che parlavano. Aurelio fissava negli occhi l uomo vestito di nero che era atterrato sull ampio lastrico della sua accademia mentre avanzava con passo sicuro nella sua direzione. La creatura ruggì alle spalle del cavaliere in direzione del maestro che però sembrò non degnarla neanche di uno sguardo. Il mago sì fermò a distanza di sicurezza dal cavaliere che lo affrontò con una spietata occhiata. «Sei un po fuori rotta mio caro» disse, con parole lente e pesanti, Aurelio. «E, fino a quando sarai con Lei, non sei il benvenuto qui». 32

33 Il cavaliere non rispose subito ricambiando lo sguardo infuocato dell avversario. A Clotilde sembrò di udire una voce che sussurrava. «Voglio uno dei tesori di Abrax!» disse infine con una voce dura e terribile. «Hai già avuto la tua parte. E sei stato proprio tu a scegliere per primo!» rispose Aurelio. «Hai ragione! Ma adesso abbiamo bisogno del Riverbero!» continuò il cavaliere «Consegnamelo senza opporre resistenza e nessuno si farà male». Pronunciando queste parole il cavaliere alzò la mano inguantata sulla spalla ed estrasse lentamente lo spadone dalla sua fondina. L arma era davvero fuori dal comune. La lama era composta di un metallo nero con incisioni color oro e argento. L elsa, enorme, era impugnata con disinvoltura con una mano sola dal cavaliere e terminava con un pomolo a forma di teschio. «Traditore!» Il terribile urlo di Gustavo risuonò nei cortili e nelle sale di tutto il castello. In un attimo gli fu addosso, sopraggiungendo all improvviso da un accesso laterale, con il consueto abbigliamento da battaglia, armi in pugno e agilità inaspettata. Il cavaliere parò il poderoso colpo di spada di Gustavo e arretrò sbalzato indietro. La manticora scattò ruggendo verso l aggressore. In quel momento Aurelio alzò le braccia e pronunciò una frase in un linguaggio incomprensibile; si udì un boato e una luce accecò tutti gli spettatori. Quando Clotilde riaprì gli occhi, vide il segno di un ampia bruciatura sulla terrazza. Al centro di quest ultima il cavaliere si ergeva nella sua armatura brandendo ancora la spada. La sua espressione però era preoccupata 33

34 e gli occhi scattavano tra Aurelio e Gustavo che si stavano avvicinando minacciosi l uno a fianco dell altro. «Non finisce qui. Ci rivedremo!» urlò l'uomo in nero dopo di che si voltò di scatto, fece un cenno alla sua cavalcatura che, spaventata dal boato, si era allontanata dal centro dell azione, le salì in groppa e si allontanò in volo accompagnato dalle vittoriose urla di tripudio dei ragazzi. Guglielmo, Erasmo e Teodoro non credevano ai loro occhi: «Non è una cosa che si vede spesso!». Non avevano dubbi sul fatto che i loro maestri fossero delle persone straordinarie ma fino a quel giorno non li avevano mai visti in azione. Quella fu la più efficace dimostrazione di ciò che forza e magia erano in grado di compiere e cominciarono a volare con la fantasia immaginando il giorno in cui anche loro avrebbero potuto compiere quelle gesta. Clotilde invece restò a fissare pensierosa la figura nera che si allontanava in volo rimuginando sulle parole che aveva udito. 34

35 Capitolo 3 La chiamata dell'angelo L 'aria era ferma nella valle inondata dal sole, e non si udiva nessun suono. Era come se tutto andasse a una velocità ridotta. Angelica stava camminando lentamente e senza produrre alcun rumore in un sentiero lastricato di foglie di una valle, stretta tra due catene di monti, e immersa in un bosco antico. Era certa di non essere mai stata in quel luogo prima d ora e la cosa strana era che non aveva la minima idea di come fosse arrivata laggiù. Il sentiero era lungo e tortuoso e ci volle un po' di tempo per percorrerlo tutto fino a raggiungere un punto in cui la visuale si poteva allargare su un'ampia veduta della valle. Fu allora che lo vide! Al centro della valle si ergeva, come una torre, un gigantesco albero. Il suo enorme tronco superava le cime più alte di ogni albero della foresta e i suoi rami, che sembravano sfidare il cielo, riflettevano i colorati raggi luminosi su tutta la valle. 35

36 A un tratto vide il cielo aprirsi e, in un fragore di lampi, una figura gigantesca, provvista di bianche ali, che scendeva planando verso di lei. Quando le fu più vicino, vide che, a parte le ali, aveva sembianze umane. Onde di capelli biondi gli cadevano sulle spalle. Gli occhi azzurri emettevano lampi di luce e tutto il corpo sembrava irradiare una luminosità irreale. Angelica s inginocchiò e chinò il capo per non guardare direttamente quella figura che era scesa dal cielo e si era fermata a pochi passi da lei. «Angelica alzati in piedi e ascolta le mie parole.» La ragazza si alzò e timidamente volse lo sguardo in alto verso quel volto meraviglioso. «Sono Flaminius, messaggero di nostra Signora Gloriana.» Angelica si accorse che colui che si era proclamato il messaggero non proferiva parole con la bocca ma era come se parlasse direttamente dentro la sua testa. «Mio signore non mi sarei mai immaginata di avere l'onore di stare al suo cospetto» disse Angelica in bilico tra l'estasi e il pianto. «Ascoltami bene Angelica. Le forze dell oscurità sono in movimento e tramano per liberare il nemico», il terrore si dipinse nel volto della ragazza. L'angelo indico il gigantesco albero che si ergeva al centro della valle. «Il sigillo posto da Isadora non deve essere violato». Flaminius fece un gesto con la mano e davanti agli occhi di Angelica apparve una grande città le cui strade brulicavano di gente affaccendata nei propri affari. La visione si spostò sopra le case volando come un uccello fino a giungere all'interno di un grande castello dove un uomo era chino dietro una pesante scrivania di legno posta al centro di una sala adornata di cimeli di ogni sorta. «Le nostre speranze sono riposte in quest'uomo il cui nome è Aurelio. Trovalo e riferisci il nostro messaggio!». 36

37 L'uomo alzò lo sguardo verso Angelica come se percepisse la sua presenza e lei restò stupida dal vedere quello sguardo così intenso e quegli occhi così diversi che la fissavano. Poi tutto si dissolse in una nube di fumo. Angelica si svegliò nella sua stanza tutta sudata, con lo sguardo inquisitore di Aurelio ancora davanti agli occhi. Il sogno era stato così reale che ancora tremava tutta e ci mise qualche secondo prima di capire di trovarsi ancora a Colonnarotta. Si alzò e come ogni mattina si preparò indossando la sua lunga tunica grigio perla e la casacca porpora delle novizie. Con il simbolo della colomba coronata in bella evidenza ricamato sul petto e lo strano foulard nero che le avvolgeva, ricoprendola completamente, la lunga treccia di capelli biondi, Angelica osservò la luce del mattino che illuminava la stanza attraverso una piccola finestra provvista di pesanti sbarre verticali di metallo. Si affacciò alla piccola finestra e guardo il solito tratto di strada e le piccole case che vedeva sempre dall'angolo di visuale che le era offerto da quella posizione. Vide qualche contadino che attraversava la strada immerso nei suoi pensieri, un paio di ragazzini che giocavano, qualche colombina in cerca di briciole per colazione. Era il suo solito paese: Colonnarotta, in cui il giorno scorreva lento e sempre uguale al precedente. Gli argomenti che facevano più scalpore erano per esempio che quella birba del figlio del fattore che era entrato nel frutteto del signor Terranova per rubare qualche mela o la visita delle carovane di mercanti che con periodicità passavano da quelle parti a vendere beni introvabili. Come ogni paesino lontano dalla civiltà aveva creato un habitat chiuso in cui tutti gli abitanti interagivano sempre e solo tra di loro e raramente s interfacciavano con altri. Angelica vide che il giaciglio accanto al suo era già vuoto. Uscì dall umile stanza e attraverso un piccolo corridoio debolmente illuminato da 37

38 strette feritoie nella parete fino a raggiungere un'ampia sala illuminata da variopinte finestre colorate. Al centro della sala si trovavano diverse file d inginocchiatoi di legno rivolti verso una zona rialzata sulla quale era posta una statua di marmo bianco raffigurante una giovane donna accovacciata su di un ginocchio con le braccia allargate protese verso l'alto. Da un piccolo lucernario posto in alto scendeva un fascio di luce che colpiva direttamente la statua conferendole un alone di sacralità. China in prima fila si trovava una donna intenta nella preghiera. La donna indossava la tunica e la casacca ma a differenza di Angelica la sua era di colore viola. Angelica si avvicinò e s inginocchiò accanto a lei. Dopo svariati minuti immersi nella preghiera, la donna con la casacca viola si voltò verso Angelica e le sorrise. «La luce del mattino riempia il tuo cuore sorella!». «Con la grazia di nostra signora!» le rispose Angelica. Si alzarono e camminarono insieme fuori dalla sala. Uscendo dalla piccola chiesetta incontrarono una coppia di contadini dall'espressione sconvolta che, appena le videro, s inginocchiarono «Sorella Celeste, imploro il tuo aiuto!» disse l'uomo stringendo tra le mani il sudicio cappello di paglia. La donna con la casacca viola si avvicinò e lo fece alzare in piedi «Signor Colleverde che cosa è successo?» chiese. «Sorella Celeste! Si tratta di Eusebio. Questa mattina è andato a caccia nel bosco ed è stato ferito!». La donna si mise a piangere: «Salvi mio figlio la situazione è critica! Se non facciamo nulla, morirà. La prego!». Sorella Celeste fece un cenno col capo e i contadini la condussero correndo verso casa. Le donne seguirono con passo veloce l'uomo e sua moglie fino alla fattoria situata al limitare del villaggio. Entrando in casa videro il giovane disteso su di un letto inzuppato di sangue. Il ragazzo aveva molte fasce strette su buona parte del corpo; sua 38

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