Augusto Banorri San Pellegrino in Alpe Modena 1915

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1 Augusto Banorri San Pellegrino in Alpe Modena 1915 Alle mie buone sorelle Berenice, Emma, Teresa agli amici vicini e lontani con immutabile affetto questo tenue lavoro consacro Chi sono i Santi Una moderna noncuranza di ogni qualunque religione fa sì che i nostri Santi non vengono considerati e venerati come uomini sommi e sublimi, mentre pure erano tali. Ciò nasce, per quanto a me pare, da una certa semi-filosofia ora universalmente seminata in questo secolo da alcuni scrittori leggiadri o anche eccellenti quanto allo stile, ma superficiali e non veri quanto alle cose. V. Alfieri, Del Principe e delle lettere, I. III, c. V Vivere nel mondo e disprezzarne i beni è impresa molto malagevole; veder oggetti belli e non attaccarvi il cuore, gustare cose dolci e non prenderne diletto, disprezzare e fuggire gli onori, desiderare disagi e afflizioni; in fine vivere senza assecondare i bassi stimoli della carne è vita non umana, ma angelica. Bellarmino, De Arte bene moriendi Capitolo I. Alpe di S. Pellegrino Per Alpe di S. Pellegrino qui io intendo quel tratto di Appennino tosco-emiliano, che va dall alpe di Piandelagotti sino al passo del Saltello: un estensione di sette chilometri circa. Questo tratto d Alpe, che ora porta il nome del pio anacoreta che un giorno la santificò colle sue penitenze e colla sua santità, anticamente appellavasi Monte Leto. Il Leto era il varco naturale per cui i fieri Apuani, già padroni della Garfagnana, si precipitavano sull agro di Mutina a depredare i coloni di Roma, o piombavano a fare le loro rapine nella gran selva feronia. Si può ritenere con certezza che anche nei secoli VI e VII dell era volgare il Leto era ricoperto di una foresta quasi impenetrabile. Su in alto i faggi intrecciavano i loro rami con unione perenne e tenace contro l infuriare delle tempeste; più in basso gli aceri, i frassini e i castagni godevano d una vita rigogliosa, e non ancor tocchi dalla mano dell uomo, il quale spesso coll opera sua abbellisce la natura, ma che non rare volte la deturpa. E fra il folto degli alberi gli orsi, i lupi e le volpi scorazzavano a lor bel agio, mentre animali più timidi fornivano loro un nutrimento pingue ed abbondante. Il nome di selva tenebrosa, di selva nera dato da alcuni scrittori antichi al Monte Leto e dintorni conferma assai chiaramente quanto ho detto di sopra 1. Il sole avrà baciato mille e mille volte la cima 1 Da alcuni cronisti ebbe anche il nome di selva romanesca, e ciò forse perchè almeno la parte di qua del monte apparteneva alla Chiesa romana. Dopo la soppressione del monastero di Frassinoro, fu annessa al Collegio Maronita, a cui la Comunità di Piandelagotti pagava un canone annuo di 190 scudi d oro, come risulta da rinnovazione di enfiteusi fatta in Frassinoro il 27 Agosto 1565 dal Card. Moroni Amm. dell Abazia. (Ms. Vanni). 1

2 di quelle piante più che secolari, ma i suoi raggi avranno tentato invano di penetrare sino al fondo della boscaglia. Chi è un po pratico dell Alpe ha certo sperimentato un fatto simile: anche presentemente il dorso del nostro Appennino è ricoperto da faggete sì spesse che il sole non riesce a vincerne l ombria. Sino a dodici secoli fa e anche meno l unica forza, che minacciava l esistenza delle piante sull Appennino era il tempo, il quale, compiendo lentamente ma con tenacia l opera sua distruggitrice, permetteva alle sue vittime di subire le più strane trasformazioni, fino a diventare cave a guisa di capanne, perciò atte a ricevere nella loro cavità più persone, e a difenderle dalle intemperie. Descrizioni di viaggi ci narrano che di tali alberi esistono anche nell ora presente nelle foreste vergini dell America e del centro dell Africa; e a questo proposito mi piace notare che nella mia fanciullezza ricordo di aver veduto un vecchio castagno, che comodamente poteva riparare dalle intemperie nella capacità del suo ventre una dozzina di persone. Faggi di tal fatta credo che, ora, non ne esistano più sui nostri monti, o, meglio, io non so che ne e- sistano. Con l aumento continuo della popolazione, e con l estendersi del commercio l uomo ha sentito il bisogno spesso è stata cupidigia di salire su le più alte vette dei monti per impadronirsi del loro orgoglioso indumento, gli alberi. Così parecchi anni fa il più bel lago dell Appennino tosco-emiliano, il Lagosanto, veniva privato della sua verdeggiante corona, e perdeva di conseguenza molto della sua poesia. Dal vecchio ceppo, è vero, pullulano a migliaia i novelli germogli, ma anche questi, dopo una assai breve esistenza, cadono sotto l avida scure del boscaiuolo. Nei tratti di terreno libero da alberi per natura o reso tale dalla mano dell uomo il montanaro semina marzuolo, segale e patate, risorsa certo non trascurabile per chi vive oltre mille metri sul livello del mare. Il resto è pascolo: anzi sulle vette appenniniche non vi sono che prati naturali, che alimentano i numerosi greggi dei pastori nel breve periodo di vita estiva, che questa gente passa nel paesello nativo. Per noi uomini del sec. XX è assai malagevole cosa formarci un idea esatta delle condizioni della viabilità attraverso quei luoghi, nel più remoto medio evo. Il Targioni Tozzetti opina che per il valico di S. Pellegrino passano la via militare clodia, che dal territorio modenese discendeva nella Garfagnana e di qui nella Versilia, ma il lungo abbandono e le frane ne cancellarono ogni traccia. Possiamo perciò arguire che all epoca della nostra storia quel tratto di crinale appenninico, che si chiama da molti secoli Alpe di S. Pellegrino, era quasi impraticabile, e spesso il viandante vi perdeva miseramente la vita. Altra causa che rendeva assai pericoloso il percorrere quei luoghi va ricercata nell essere essi infestati da malandrini, i quali non solo spogliavano i malcapitati viandanti, ma li martoriavano in mille guise, e qualche volta infierivano contro di loro sino a lasciarli morti nel fitto della boscaglia. Capitolo II. Un nido d aquila Fino a due secoli fa, circa, col nome di S. Pellegrino si voleva indicare la chiesa dedicata al pio solitario, e lo spedale che serviva, come vedremo più sotto, al ricovero dei viandanti e dei pellegrini. Sul principio del sec. VIII troviamo menzione anche di un osteria assai vasta, non capace però di dare ricetto insieme allo spedale ai molti forestieri che, particolarmente nel mese d Agosto, si trasferivano anche da lontane regioni a venerare quei sacri corpi. Perciò nel 1729 Rinaldo I Duca di Modena ordinò che fosse innalzata contigua alla medesima una fabbrica di proporzioni assai considerevoli, e ciò per comodo dei forestieri. L ordine ducale fu eseguito in breve tempo. Presso queste due case altre ne sorsero in seguito a scopo di osteria, e si formò così una piccola borgata. Ora quelle anguste e disadorne osterie sono state trasformate in locande spaziose e pulite, e sono provviste di tutto ciò che può desiderare un forestiero, anche se di difficile contentatura. Da parecchi anni il Comune di Castiglione di Garfagnana vi mantiene una maestra per l insegnamento elementare. Sino a pochi anni fa un procaccia portava lassù ogni giorno le corrispondenze del mondo lontano. E chi non ricorda il buon Ambrogio? Quando arrivava era una festa. Egli rispondeva a tutti cortese, ma triste. Quella vita di sacrifizio gli dava appena di che sfamarsi... eppure l amava, e, tor- 2

3 nato a Chiozza a tarda sera, non vedeva il momento di riprendere col suo somarello la via dell Alpe. Un giorno feci un buon tratto di strada in sua compagnia. Il discorso cadde da ultimo sulla sua professione; egli mi disse che aveva inoltrato domanda per un aumento di paga, e soggiunse con un sorriso fra il bonario e l ironico: Capisco, l aumento arriverà quando sarò laggiù a riposare nel cimitero!. Ho detto sino a pochi anni fa: difatti il 16 Marzo 1911 vi fu aperto un Ufficio postale di terza classe, e la distribuzione della posta è a carico del titolare. Ho chiamato nido d aquila il gruppo di case, che ora formano l alpestre borgata di S. Pellegrino, e mi pare che la frase esprima assai bene la realtà della cosa. A chi guarda infatti quell ammasso grigiastro di case dal basso in alto, e in modo particolare dalla località che porta il nome di Boccaia, ha l impressione di osservare come un colossale nido d aquila attaccato a un ronchione di roccia alpina. In quel nido abitano una trentina di persone, non perennemente però, poiché durante la stagione invernale - e lassù dura da ottobre a maggio - buona parte degli uomini emigrano giù nelle maremme toscane al taglio dei boschi. Conducono seco tutte le bestie da soma, che costituiscono per loro la migliore fonte di guadagno. Alla buona stagione rimpatriano, e, dopo alcuni giorni di riposo, ricominciano il lavoro consueto: condurre le grosse balle di carbone dalle faggette ai magazzini, che si trovano lungo le vie rotabili. Come ho già notato, altri casolari sono sparsi giù per i fianchi del monte: in tutto una popolazione di 250 anime, circa. Anche questo umile paesello alpino ha la sua storia, storia assai interessante, e che è una cosa sola con quelle del Santo da cui prende il nome. Capitolo III. S. Pellegrino nella leggenda Di S. Pellegrino dell Alpe accadde ciò che avvenne di molti altri Santi del medio-evo: la sua vita cioè fu variamente abbellita attraverso ai secoli dalla fervida fantasia popolare: ossia essa si trasformò in gran parte, per non dire tutta, in leggenda. E bene però conoscere questa leggenda, poiché una leggenda non è mai inventata di sana pianta, e contiene in germe la storia. In altre parole: è come un bagliore di luce, che mostra bensì la verità un po velata, ma la mostra. La leggenda narra così. Sulla fine del sec. VII regnava nella Scozia il Re Romano, uomo di specchiati costumi, e aveva per moglie Plantola, donna di cospicua condizione e di segnalata pietà. Alla loro felicità mancava una condizione indispensabile: un figlio a cui lasciare in eredità la corona reale e il ricco patrimonio. A questo scopo non lasciavano di elevare al cielo, ogni giorno, le più fervide preci. Non passò lungo tempo che Iddio si degnò esaudirli, avvisandoli prima in modo prodigioso. Videro in sogno un vezzoso bambino, il quale, malgrado le deboli sue forze, riuscì vincitore nella lotta, che ebbe a sostenere con uno spaventevole demonio. In capo a nove mesi la regina si sgravò di un vago figliuoletto, che con sollecitudine fu portato al fonte battesimale. Al sacerdote che aveva recitato il Pater noster il fanciullo ripose a voce chiara: Amen. Onde, estatico per lo stupore, il sacerdote ebbe ad esclamare: Se questo fanciullo avrà vita, riuscirà col tempo un gran santo!. Fino dai più teneri anni il nostro Santo disprezzò tutti gli agi e le comodità della corte paterna, e si mostrò scrupoloso osservatore non solo dei precetti ma anche dei consigli evangelici, vincendo nelle aspre penitenze i più provetti anacoreti. Contando appena quindici anni di età, in pochi giorni egli restò privo dei genitori, e i baroni del suo reame pensarono subito a porre sul capo di lui la corona reale. Per quanto insistenti fossero le preghiere di costoro, esso rimase fermo nel rifiutarla, anzi, essendogli caduto sotto occhio quel tratto dell Evangelo che dice: Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e seguimi, distribuì tutti i suoi averi ai bisognosi, e fuggì dal regno col fermo proposito di recarsi a visitare il paese di Gesù, e baciare la terra inzuppata dal suo sangue divino. Sul punto di uscire dal regno corse grave pericolo di essere ucciso da una banda di assassini, i quali, in castigo del loro delitto, perdettero la vista. Pellegrino impetrò loro dal cielo la guarigione, li con- 3

4 vertì a vita migliore, e in loro compagnia continuò il cammino verso la Palestina. Visitati i luoghi in cui il Redentore nacque, predicò la buona novella e morì per riscattare l umanità perduta, licenziò i compagni, e solo s avviò verso l Egitto colla viva speranza di convertire alla religione cristiana molti seguaci di Maometto. Il Soldano, i Sacerdoti e il popolo furono ripieni di alto stupore davanti ai prodigi operati da Pellegrino, quale quello di stare più ore in mezzo ad un rogo senz ardere, ma non si convertirono. Allora pensò a mutar luogo, e, guidato da voce celeste, diresse il suo cammino verso l Italia. Stando per affondare la nave su cui s era imbarcato, i marinai lo presero e lo gettarono in mare, ma, mercè la sua veste logora e il suo bordone, per ben sette giorni poté nuotare comodamente, e così giunse al porto di Ancona, che era desolata dal colera. Egli si fece subito apostolo di carità, dandosi tutto alla cura dei colerosi. Divulgatasi la fama della sua santità, accorse a stuolo il popolo per vedere il sant uomo, e per richiederlo di grazie. Temendo di salire in superbia per sì alte manifestazioni di stima e d affetto, lasciò la città con grande dolore di tutti gli anconitani. Lasciata Ancona, si diresse verso Roma, ove con esemplare divozione visitò tutte le chiese della città eterna, e non omise di presentare gli omaggi del suo figliale affetto al Sommo Pontefice. La sua permanenza in Roma però fu breve, e tosto partì alla volta del Montegargano per visitare il tempio ivi dedicato a S. Michele. Quivi si fermò per qualche tempo aumentando le austerità, che aveva praticate per lo passato. Accortosi il popolo della santità di lui, accorse numeroso per vedere da lui operato qualche prodigio. Ciò spiaceva molto a Pellegrino, che, temendo di nuovo per la sua umiltà, risolse di partire di là. Fatta una simile risoluzione, si prostrò un giorno davanti all altare di S. Michele, e con fervide orazioni domandò a Dio che gli indicasse un luogo adatto a terminare le sue penitenze e la sua vita. Non appena ebbe terminato simile preghiera, sentì una voce che gli disse: Vanne, o Pellegrino, alla selva tenebrosa. Consolato, rispose il Santo: Ma nota non mi è cotale selva. E la voce di nuovo: Una stella meravigliosa ti guiderà al tuo destino. Così accadde. E quando la stella meravigliosa scomparve dal suo sguardo egli si trovò sull Appennino, che divideva il modenese dal lucchese. Comprese Pellegrino che quello era il luogo stabilito dalla Provvidenza divina per la sua stabile dimora. Ivi pertanto si fermò, e scelse per sua abitazione un vecchio faggio, e suo nutrimento erano radici e frutta selvatiche. Così Pellegrino per parecchi anni abitò in questa selva covile di fiere, e infestata da demoni, i quali lo molestavano in mille differenti modi. In breve riuscì ad ammansare le fiere, che gli prestavano omaggio ed obbedienza, e a vincere tutte le arti maligne del demonio. In fine, pieno di meriti al cospetto di Dio e ignoto al mondo rese l anima al Creatore in età di 97 anni. Le fiere fecero vigile custodia al corpo di lui. Ispirato dal cielo, egli aveva lasciato scritto la sua storia su di una corteccia di faggio. In quel tempo vivevano in Modena due coniugi di specchiata vita cristiana, Pietro e Aldegrada. Avvertita costei in sogno da un angelo di recarsi nell Alpe per prestare ogni buon servizio al servo di Dio, il cui corpo era lassù a disposizione delle fiere ed esposto alla violenza delle intemperie, partì con sollecitudine per il luogo indicatole in compagni del marito. Nel cavo di un vecchio faggio trovarono il corpo del Santo gelosamente custodito dalle fiere, e, benché si fosse nel cuore dell inverno, il faggio faceva pompa di una bella chioma verdeggiante. Avvicinatisi ambedue senza che le fiere ardissero recar loro il minimo danno, trovarono fra le mani del Santo la corteccia su cui egli, per volere celeste, aveva scritto la sua vita. La lessero attentamente, e poi se ne ripartirono per rendere consapevole di quel fatto singolare il Vescovo di Modena. Intanto le fiere, non volendo che quel sacro cadavere restasse esposto alla furia dei venti e delle procelle, ingegnosamente scavarono una fossa assai profonda ed ivi lo seppellirono. Era allora Vescovo di Modena un certo Geminiano, il quale, letta la corteccia, radunò molti Vescovi lombardi, e con essi si recò alla tomba del pio anacoreta. Intanto la notizia di quello straordinario avvenimento si era sparsa con rapidità anche nella vicina Toscana, e il Vescovo di Pisa si recò lassù con molti altri vescovi della sua regione. Mentre si stava per levare dalla fossa il sacro deposito, d improvviso discese sopra di essa uno splendore sì vivo che riempì di alta meraviglia tutti i presen- 4

5 ti. Quando poi si venne alla decisione di trasportare il cadavere su quel di Modena, ne sorsero tali litigi, che si dovette sospendere il grande e solenne trasporto. Allora i Vescovi, per togliere di mezzo ogni contesa, vennero nel divisamento di porre il feretro su di un carro, a cui si sarebbero poi attaccati due tori indomiti, uno modenese e l altro lucchese, e dove quelli si fossero spontaneamente fermati ivi dovesse rimanere il corpo del Santo. La proposta incontrò la comune approvazione, e così fu fatto. I due tori, benedetti dai Vescovi, furono attaccati al carro, e quindi lasciati in balia di sé stessi. Partirono quasi di corsa, e, dopo breve giro, si fermarono sul confine del territorio modenese e lucchese, e precisamente là ove ora sorge la chiesa del Santo, e nessuna forza umana fu capace di fare loro muovere un sol passo, vuoi in questa o quella direzione. Compresero allora i Vescovi e i presenti il volere del cielo, e quindi, senza contese, se ne ritornarono alle loro sedi e famiglie col cuore ripieno del più alto stupore per il singolare avvenimento. Questa, in compendio, la leggenda più nota relativa alla vita di S. Pellegrino dell Alpe, e quale specialmente ci viene narrata da due scrittori modenesi: il Vedriani e Pell. Rossi. Ho detto la più nota o comune, perché molte altre leggende si hanno sul pio solitario dell Appennino modenese 2. Capitolo IV. S. Pellegrino nella storia Benché la leggenda, come ho già osservato, non abbia un valore assoluto di storicità, tuttavia essa non è priva di ogni elemento storico, e il critico non la può rigettare senza privarsi di un sussidio importante, o, meglio, senza estinguere il tenue lume, che, non di rado, è l unico filo di luce, che può alquanto rischiarare il buio dei tempi lontani. E risaputo che il popolo spesso stravolge la verità dei fatti storici adattandoli al proprio modo di pensare e di concepire la vita; ma è anche risaputo che stravolgere una verità non equivale a distruggerla completamente. Ciò posto, vediamo ora di trarre fuori la figura storica di S. Pellegrino da quella leggendaria, ossia vediamo quanto di veramente storico ci resti di lui e dell opera sua. Sarebbe certo fatica sprecata risollevare la questione del nome dei genitori del Santo, dell epoca precisa della sua nascita, del luogo della medesima e del suo vero nome di battesimo: sarebbe pretender troppo dal pallido lume della leggenda, e la storia non ci ha lasciato in proposito nessun documento. Se tutto questo ci è completamente ignoto, si può almeno ritenere che esso sia un rampollo di un antica famiglia reale o principesca scozzese? Il rev. D. Paolucci, Proposto di Sillano in Garfagnana lasciò scritto quanto segue: Sono io testimonio di veduta. Nell anno 1690 vi comparvero (a S. Pellegrino) dodici signori scozzesi, i quali a ginocchia ignude e ginocchioni, in distanza della chiesa circa cento passi, cantavano in un istesso tempo e piangevano dirottamente. Giunti alla porta del tempio, seguitarono ginocchioni finché giunsero al luogo del sacro deposito, baciando frequente il pavimento e bagnandolo di lagrime. Al vedere quel loro Re dentro ai cristalli diedero in un pianto sì grande, che mossero a lagrime tutti gli astanti. Fecero la mattina seguente le loro divozioni con esemplarità incomparabile: e discorrendo io seco in idioma latino, mi dissero che sospiravano di poter vivere e morire in quel luogo santificato dal loro monarca, e che ogni anno sarebbe venuta dalla Scozia una moltitudine incredibile a vederlo, ma che non avevano di che fidarsi, e che se fossero palesati, sarebbero crudelmente giustiziati 3. Io credo che questa testimonianza meriti tutta la fede di un documento storico. Ciò posto, domando: Come è possibile che dodici signori scozzesi intraprendessero un viaggio sì lungo e scabroso, se una tradizione o leggenda assai radicata nella loro terra non avesse attestato che su la cima di quel monte si venerava un discendente di un loro re o principe? E se tale tradizione esisteva, poteva essa es- 2 Di questa leggenda offre una raccolta molto ricca il Manoscritto del Tramonti, che si conserva nell Arch. di St. di Lucca, e il Raffaelli nella sua opera Descrizione etc. della Garfagnana, dove compendia le leggende già ricordate dal Franciotti, dal Mansi, dal Borsacchini e dal Pacchi. 3 Paolucci, Garfagnana illustrata... citato dal Dott. P. Rossi nel Compendio della vita di S. Pellegrino, p. 41 5

6 sere stata inventata di sana pianta? Coloro che sostengono essere un parto di fantasia popolare la discendenza di S. Pellegrino dell Alpe da una famiglia reale o principesca scozzese, obbiettano che negli elenchi dei re e principi scozzesi, e negli annali di questa nazione non si trova il nome di un tal personaggio, come non si trova quello dei suoi genitori. Questa obbiezione mi pare non abbia nessun valore: in primo luogo, perché il nome di Pellegrino dato al nostro Santo è, come ognun ben vede, accomodatizio, è un nome a lui imposto dal popolo; in secondo luogo, perché la leggenda può aver mutato il nome dei genitori, come mutò quello del figlio. D altra parte, affinché l obbiezione avesse valore, bisognerebbe provare che esiste un elenco esatto dei re e principi scozzesi dei secoli sesto e settimo, o giù di lì 4. Con ciò io non intendo giungere alla conclusione che S. Pellegrino sia veramente un rampollo dei re di Scozia o di qualche famiglia principesca di quel paese: mi pare però che non si possa assolutamente negare, almeno sino a prova contraria. Il popolo ha sempre posto ai suoi piedi e scettro e corona: può questa convinzione posare sul vuoto? Quello che, a mio avviso, si deve tenere come certo riguardo al santo anacoreta delle Garfagnana è questo: che egli è un rampollo di qualche illustre famiglia nordica. Per formarsene la convinzione è necessario dare uno sguardo, sia pur rapido, al movimento od e- spansione religiosa delle popolazioni nordiche prima del mille, perché questo fatto particolare, a mio credere, non è altro che un elemento della su accennata espansione, e ad essa subordinato. Specialmente dopo la morte di Costantino, molti cristiani cominciarono a ritirarsi nei deserti e in altri luoghi solitari per servire più liberamente a Dio. Così nacque il monachismo, il quale perciò non è, come vollero alcuni storici, un imitazione del culto di Serapide, o del buddismo, o del neoplatonismo, ma un emanazione esclusivamente cristiana, ed esercitò poi un influenza potente e salutare nella vita della Chiesa. Il monachismo, scrisse F. Ozanam, è una pianta eminentemente rampicante: ama la pace dei recessi montani. I monaci da principio conducevano vita eremitica, e sino al sec. X erano per lo più laici: più tardi presero a unirsi insieme sotto il governo di un superiore, e in tal modo nacquero i chiostri, in Oriente prima, di poi anche in Occidente 5. Uno di questi solitari fu senza dubbio S. Pellegrino dell Alpe. Né si deve credere che il nostro Santo si ritirasse lassù al solo scopo di condurre su quella vetta alpina una vita contemplativa. No: oltre questo scopo ascetico ne ebbe un altro pure nobilissimo: sacrificarsi a vantaggio del prossimo, e in modo particolare dei viandanti, che attraversavano quel luogo infestato da fiere e da malandrini. Il Leto, come ho osservato di sopra, era il valico naturale non solo dei due versanti più vicini, quello cioè della Garfagnana e del Frignano, ma anche di buona parte dell alta Italia. Anche nel più remoto medio evo non doveva mancare ogni commercio fra i popoli delle due opposte valli, poiché, lasciati anche da parte i vincoli di razza, sono inconcepibili due popoli che vivono accanto l uno dell altro, e che non hanno nessuna comunanza di vita e di interessi. Ho detto che il valico del Leto era pure il passo naturale per coloro che dall alta Italia (per Ferrara e Modena) si dirigevano nella Toscana, e a Pisa città marittima di grande importanza. Invero sarebbe stato per loro cammino troppo lungo e disagevole viaggiare attraverso ai monti della Lunigiana e del Pistoiese 6. Come è naturale pensare ad una via di transito sul Leto per gli abitanti della Garfagnana e del Frignano, e per coloro che dall alta Italia si recavano in Toscana, così è pure naturale immaginare che essa doveva essere piena di pericoli, sia, come già accennai, per le fiere che infestavano la selva nera o tenebrosa, sia per l inclemenza della stagione nei mesi invernali, sia ancora per la malvagità di 4 Fra gli scrittori che asseriscono essere una favola l origine del santo da una famiglia regale di Scozia vi è anche il Dempster, che scrisse la Storia Ecclesiastica del suo paese. Però non è coerente. Nell Etruria Reale, t. II p. 299, mette: S. Peregrinus Regis Scotorum filius etc. 5 Bruck, Manuale di St. Ecc. p. 219 e seg. 6 Cesare Sardi, S. Pellegrino dell Alpi. Uff. Rassegna Naz Da questa bella monografia ho tolto anche altre notizie. Tale dichiarazione mi dispensa dal citare altre volte il nome del dotto storico lucchese. 6

7 uomini, che si saranno appostati in quelle selve a danno dei loro fratelli, che percorrevano quei luoghi. Ecco la solitudine adatta per servire Iddio e per fare del bene al mio prossimo: così avrà esclamato il pio anacoreta al giungere su quella cima, e lassù, fra i faggi secolari e in faccia alle Alpi Apuane, stabilì la sua dimora. Lascio a penna più esperta il descrivere la maschia figura dell uomo di Dio, ed il suo genere di vita semplice e penitente: a me basta notare che ivi egli passò il resto della sua vita santificando sé stesso, e beneficando generosamente i suoi fratelli. Come non è possibile precisare l epoca della nascita di S. Pellegrino, così non è possibile determinare quella della sua morte. Qui il lume della leggenda è troppo fioco, e i documenti storici mancano affatto. Non mi pare però fuori di luogo riferire quanto è stato scritto a questo proposito: ciò servirà a scoprire l opinione più probabile dei cronisti, che si sono occupati di tale quistione. Sono sì strani gli anacronismi riguardo all epoca del nostro santo, che non possono non saltare agli occhi anche dei meno avveduti. Chi ha posto la sua morte nel 400 ed anche prima; chi nel 462; chi nel 643; chi nel 772; e chi finalmente anticipa o posticipa tale data, come meglio crede. Mancando su questo punto memorie genuine e contemporanee, sarebbe fatica sprecata volere indagare quale data si possa tenere come vera, tanto più che possono essere tutte false. Nel IV tomo p. 327 delle Memorie della R. Accademia di Lucca si trova una dissertazione su S. Pellegrino, In essa la nascita del Santo è posta nel 600, e la morte sulla fine del sec. VII. L opinione per me più probabile è quella che sostiene avere S. Pellegrino dimorato sull Appennino fra il sec. VII ed VIII, data che poco si scosta da quella del ms. Lucchese. E questa mia affermazione trae forza da documenti storici. Invero nel secolo seguente S. Pellegrino (e ciò vedremo parlando del suo culto e della chiesa) era già venerato come santo dal popolo. E logico quindi porre la morte di lui sulla fine del secolo VII: se questa canonizzazione popolare fosse avvenuta in un epoca più remota, ne dovrebbe certo esistere qualche traccia, poiché è costume del popolo tramandare ai posteri la memoria di coloro, che egli venera come santi: essi diventano parte importantissima, se non principale, della sua storia. Capitolo V. Culto di S. Pellegrino Il pio solitario era vissuto su la cima del Leto servendo fervorosamente Iddio e facendo del bene ai suoi simili. La fama delle sue virtù e delle sue benemerenze verso l umanità si era certo sparsa nei dintorni anche prima della sua morte, poiché la virtù vera e la beneficenza fatta secondo le norme evangeliche per poco tempo solo possono rimanere ignorate: sono come un raggio di luce fulgidissima, che attira subito lo sguardo del viandante. Né si deve credere che il santo anacoreta rimanesse senza interruzione alcuna nella sua alpestre dimora: a quando a quando sarà disceso nelle valli del versante toscano ed emiliano per recare conforto a qualche sventurato, e per meglio compiere le pratiche e i doveri religiosi. Avvenuta la sua morte, il popolo, mosso da quel sentimento di gratitudine che mai erra nel giudicare gli uomini veramente virtuosi, con voce unanime lo gridò santo, e si prostrò riverente davanti alla tomba di lui. La santificazione quindi di S. Pellegrino è di poco posteriore alla sua morte, ed è di quelle che si dicono popolari. E valga il vero. Fu Alessandro III che riservò il diritto di canonizzazione alla Santa Sede: sino al sec. X questo diritto l avevano anche i Vescovi 7. Ora non v è nessun documento, che provi essere stato il nostro Santo canonizzato da qualche vescovo di Modena o di Lucca, o da altro loro incaricato: è perciò manifesto che essa è anteriore al sec. X, e di origine popolare. Le regioni nelle quali si diffuse rapidamente il culto a S. Pellegrino furono il territorio lucchese, modenese e reggiano: in seguito si sparse per tutta l Emilia e la Toscana non solo, ma anche in altre provincie d Italia, come apparirà assai chiaro da quanto veniamo ora esponendo. 7 Bruck, Op. c. p

8 Una prova evidente che S. Pellegrino ha sempre riscosso un largo omaggio di divozione sono i pellegrinaggi. Essi datano da un epoca molto remota, e da principio si compivano con un entusiasmo tutto particolare. Si partivano dai paesi della Toscana, dell Emilia, e anche da più lontane contrade, numerose carovane di uomini e di donne, e, cantando laudi sacre, si recavano, spesso a piedi scalzi, a pregare presso la tomba del Santo, che rese sì celebre questa vetta appenninica. In certi giorni c era su quel monte una vera ondata di popolo. Il mese di maggior concorso era ed è Agosto, il primo giorno del qual mese pel passato aveva luogo una fiera assai celebre non solo per le persone che vi intervenivano, ma anche per gli affari, che vi erano conclusi in genere di bestiame e di mercanzie. Pei nostri nonni era una gloria poter dire: Sono stato a S. Pellegrino. E per il passato, non era raro il caso di trovare uomini, che avevano fatto quel viaggio trenta volte e più senza interruzione. La storia ecclesiastica della regione emiliana, toscana e ligure ci ha tramandato il nome di parecchie cappelle, oratori, confraternite ecc. istituite ad onore del nostro san Pellegrino. Ecco alcuni documenti a conferma di quanto ho or ora affermato. Nella vicinanza di Reggio Emilia eravi un oratorio dedicato a S. Pellegrino fin dall 857: esso fu riedificato più volte finché nel 1787 circa venne eretto in parrocchia, come è anche al presente 8. In diocesi di Reggio vi sono pure altri tre o quattro oratori dedicati al Santo. Non si sa bene quando a Reggio siasi cominciato a fare la festa di S. Pellegrino: è certo per altro che si celebrava fra il 1574 e il Da quest anno in poi fu tralasciata. La festa era segnata nel calendario il giorno 2 agosto colla dichiarazione pro heri, forse perché il 1 agosto è giorno impedito dalla festa di S. Pietro in vincoli, che è di rito doppio maggiore. L Oremus era: Deus qui nos etc.; la messa Os iusti etc.; le lezioni del 2 notturno Deridetur etc 9. Diversa da questa era l ufficiatura fatta dal numeroso convitto di Frati conversi (di cui parleremo trattando dell Ospedale), che per molti anni dimorarono in quel romitaggio. Ne fa fede il Codice che viene conservato nella Biblioteca Baroni di Lucca: è il Corale che serviva sì per l uffizio che per la messa solenne del Santo: l ufficio è quasi tutto proprio; così dicasi della messa, e vi sono i- noltre le note per il canto 10. Partiti definitivamente di lassù i Frati, cessò anche quest ufficiatura. Ora non si celebra più di S. Pellegrino né l ufficio né la messa: sì l uno che l altra cessarono quando apparve il decreto del 13 gennaio 1631 riguardante il culto dei Santi e dei Beati. Nell Archidiocesi di Modena e nella diocesi di Sarzana mai si celebrò la Messa propria né fu recitato l ufficio del Santo, come alcuni pretendono 11. In un Catalogo delle chiese modenesi scritto verso la fine del sec. XV si fa menzione di un oratorio dedicato a S. Pellegrino, situato sulla strada, che va da Modena a Carpi. A S. Pellegrino è dedicata una cappella nella chiesa parrocchiale di Semelano (Modena) ed una campana di quella Pieve porta il nome di lui. Non solo: il parroco ha l obbligo di celebrare all altare del Santo una messa privata nel lunedì di ogni settimana, e un ufficio di dodici messe il 1 Agosto, e ciò in soddisfazione del legato del fu D. Ercole Erbolani. Anche nella chiesa parrocchiale di Montecorone (Modena) vi è un altare dedicato a S. Pellegrino. Imagini del Santo esistono in varie chiese ed oratori della diocesi modenese e nonantolana, fra le quali mi piace ricordare quella murale dell Oratorio della Riva presso Maserno. Fino oltre la metà del secolo passato un antica confraternita di S. Pellegrino in Lucca ogni tre anni soleva recarsi lassù in pellegrinaggio. Questo pellegrinaggio era fatto con grande apparato di musica strumentale ed orale. Col tempo il pio pellegrinaggio prese il carattere di una lieta scampagnata, perdendo così quello spirito religioso, che ne era la forza animatrice. La confraternita è tuttora esi- 8 Can. Saccani in una lettera del 15 Ag a D. G. Lunardi. Il Saccani cita il Tiraboschi Mem. Mod. 9 Can. Giannasi, Lett. del 17 Mag a D. G. Lunardi, che pubblicamente ringrazio per il solerte e intelligente aiuto prestatomi nel raccogliere materiale per questo lavoro. 10 Pacchi, Ricerche Istoriche sulla Garfagnana, Castelnuovo Gar. Ed. Rosa Mussi, Cenni storici su S. Pellegrino, Castellamare

9 stente nell Oratorio di S. Pellegrino di detta città. Il culto a S. Pellegrino fiorì pure nel territorio ligure. Antichissimo è quello che gli presta la popolazione di S. Maria in Val di Sturla. Nella chiesa ammirasi un bell altare di marmo e una statua di legno dedicati al santo anacoreta, ed esiste una antica confraternita, che porta il suo nome. Nei terrazzani può dirsi innata la devozione verso il comune protettore, a cui ricorrono con fiducia nelle private e pubbliche calamità. Grandissimo poi fu sempre il concorso dei devoti in ogni tempo dell anno a questo altare per invocare il Santo, in modo speciale quale protettore della vista, e liberatore dal mal d occhi. I vecchi ricordano che in antico tenevasi aperta la chiesa per comodo dei devoti nella notte precedente la festa, e molti sacerdoti, durante l intera notte, ricevevano le confessioni dei medesimi. Anche presentemente nel giorno della festa, 2ª dom. di Agosto, vi accorrono numerosi devoti dai paesi vicini, specialmente da Rapallo, S. Michele di Pagana e S. Margherita Ligure 12. Il pio anacoreta è pure venerato in Porcile, in Pontegiacomo di Foce, in Semorile, in Monticelli, in Breccanecca, in Cembrano, in Pavareto di Carro, in Priosa di Scorbò, in Villafranca di Lunigiana. S. Pellegrino è qui venerato da tempo immemorabile, come da tempo immemorabile esiste una fiera, che s intitola dal suo nome. Così scriveva quel Parroco nel Fra le regioni che hanno sempre tenuto in grande venerazione S. Pellegrino va annoverata quella bolognese, la quale ha sempre dato un largo contributo di pellegrini, e a lui ha dedicato altari e oratori. A Bologna (città) v ha un Istituto con Oratorio che ha la scritta: S. Peregrino de Alpibus. A Casacalistri si festeggia il 1 Agosto in onore del Santo solitario, il quale veniva invocato in modo speciale in tempi di pestilenza. Nella primavera del 1630 si diffuse nel Frignano una terribile pestilenza. Crescendo il pericolo col moltiplicarsi dei morti nei paesi circonvicini... il 30 Giugno fu radunato in Sestola il Consiglio Generale presieduto dal Cipriani e si stabilì che per sei mesi, cominciando dal 1 Luglio, si facesse celebrare ogni giorno una messa, che s andasse processionalmente alla chiesa di S. Pellegrino e S. Bianco e si portasse loro una lampada d argento honorevole etc. 13. Questa deliberazione del Consiglio Gen. di Sestola dimostra chiaramente quanto fosse diffusa e radicata fra il popolo frignanese la devozione al Santo eremita. E tale venerazione è viva anche oggi. Anche presentemente, in modo particolare durante il mese d Agosto, alcune parocchie dei dintorni si recano processionalmente, in un giorno determinato, al santuario. Così ricordo che il primo giorno di detto mese vi si recano quelli di Piandelagotti, e la seconda domenica quelli di Riccovolto. Quello che si è detto del Frignano deve dirsi anche della Garfagnana. E poi comune nel popolo la convinzione che molti abbiano ottenute grazie singolari per intercessione di S. Pellegrino, come ne fanno fede parecchi biografi del Santo, e come viene confermato da numerosi quadri votivi, da grucce, da lampade etc. che tuttora si conservano nel santuario. E chi non conosce le molteplici immagini in cui è stato ritratto, e che poi sono largamente diffuse nelle campagne? Innumerevoli pure sono gli oggetti di devozione che i pellegrini acquistano prima di lasciare il santuario, fra cui tiene il primo posto il cosidetto fiore di S. Pellegrino, fatto di carta o di piume a vari colori; gli uomini lo portano sul cappello quasi in segno di vittoria...! Di questo culto si ha pure una chiara testimonianza nella letteratura, che attraverso i secoli si andò formando attorno al nostro Santo. E una letteratura eminentemente popolare, umile, disadorna, ma piena di sentimento: essa si ispira alle molte leggende, che via via si sono formate su la vita di lui. Ho qui sott occhio la leggenda più comune in ottava rima, ove sono dei versi di assai buona fattura. In generale però si tratta di piccole vite tutte scritte sul medesimo stampo, e di brevi stanze composte da qualche poeta mediocre. Il Dott. Rossi ha un sonetto che qui mi piace riportare come saggio di tale letteratura. 12 Can P. Castellini, San Pellegrino in Val di Sturla, Tip. A. Gemelli in Chiavari Santi V. in App. Modenese (Vicende Pol. e Civili). 9

10 In lode di San Pellegrino O veglio, o delle rare umane cose Barbaro struggitor, Tempo vorace Quai già bell opre il tuo nemico audace Braccio atterrò. quai urne preziose! Così a quante mai furo in guerra o in pace, Ne involasti il riposo, Alme famose; Sparse quinci s alzaro le nascose Ceneri al vento, e niun qual pria si giace. Tal non però contro l Eroe di Cristo, L Eroe di Scozia, quel tuo fiero ancora Antico sdegno incrudelir fu visto. Securo lì stassi, e là sull Alpi ognora V è chi divoto a far di grazie acquisto Poggia e le sacre intatte spoglie adora. Mi piace anche ricordare il Ten. Colonn. di Montefiorino Pellegrino Vanni da Cargedolo, che nella prima metà del sec. XVIII scrisse la vita, e cantò in versi latini ed italiani le gesta del Santo. La sua è opera di poco valore letterario, ma mostra un uomo assai erudito e molto amico delle muse. Da qualche tempo il concorso dei pellegrini è alquanto diminuito, e, in gran parte, dalla forma corporativa è passato alla forma individuale. Ciò però non toglie che ogni anno si prostrino davanti alla tomba, che chiude le sacre ossa dei Santi, parecchie migliaia di persone d ogni età e condizione. Io sono d avviso che quando un braccio di strada carrozzabile unirà S. Pellegrino alla nazionale delle Radici, il concorso sarà di molto aumentato. Vi è solo da augurarsi che i pellegrini sieno mossi anche in avvenire non solo dal desiderio di fare una scampagnata, ma anche, anzi in primo luogo, da spirito di religione. Capitolo VI. Due usanze singolari Mi piace raccontare due usanze singolari di quel luogo, tanto più che esse confermano e chiariscono quanto è stato detto nel precedente capitolo. Distante mezzo chilometro circa dal santuario, e proprio sulla cresta del monte, esiste un piccolo ripiano noto sotto il nome di giro di S. Pellegrino. Ciò che ivi colpisce subito l attenzione del visitatore è un enorme ammasso di pietre disposte con un cert ordine. Chi ha radunato lassù tutte quelle pietre? Specialmente nel passato i pellegrini del Frignano e dell Emilia si facevano un dovere di raccogliere lungo l erta salita una pietra più o meno voluminosa; se la caricavano sulle spalle, e la portavano fino lassù a scopo di penitenza. Secondo la leggenda un giorno il diavolo trovò in quel luogo il pio solitario assorto in orazione, e, mosso da odio infernale, gli diede uno schiaffo sì violento da farlo girare in tondo per tre volte. E tre volte appunto molti pellegrini fanno il noto giro per meritarsi la protezione di chi lo fece pel primo, mosso da violenza diabolica. Là vicino ammirasi una piccola cappella in muratura. Fu fatta costruire, non è molto, da Lunardi Ferdinando locandiere del luogo. L altra pia usanza si rinnova ogni anno il primo giorno di Agosto, ed ecco come si svolge. Tagliati due faggi nella vicina selva, si congiungono insieme in modo da formarne una croce, la quale, come è facile imaginare, è di grandi dimensioni. Benedetta dal sacerdote, viene portata processionalmente poco distante dal santuario, e collocata su di una roccia muscosa, nel sito cioè in cui la tradizione vuole sorgesse il faggio, che servì di abitazione al pio anacoreta. Alla fine del mese la rozza croce è quasi distrutta, e cade al primo soffio di vento. Perché? Chi si reca a quel pio luogo si fa un dovere di portare seco come ricordo una scheggia di quel legno benedetto, e così, a poco a poco, viene ridotta tanto esile da non potersi più reggere in piedi. 10

11 E qui mi piace cedere per un momento la penna al Conte C. Sardi, che nell opera citata ha su la Croce una pagina bellissima. Chi si reca in quel luogo porta seco come ricordo una scheggia di quei rami, talché la Croce a poco alla volta, partita in piccoli frammenti, viene quasi del tutto asportata e distrutta. Porta seco ciascuno la sua scheggia, simbolicamente appropriandosi la sua parte di dolori e di sacrifizi, prelevata da quel tronco che nel ricordo dei patimenti divini compendia e conforta tutta la sintesi dei patimenti umani. O Crux ave spes unica! E questo da diciannove secoli il grido delle generazioni umane, ed è la voce che parte dal cuor dei credenti quando si accostano a quel povero legno che dice tante cose, e il dolore e l amore dai penetrali dell anima solleva in alto... molto in alto... fino all Altissimo! Usano pure i pellegrini incidere croci grandi e piccole su la verde corteccia dei faggi, che vegetano nei pressi del santuario. Giuoco fanciullesco? No, bisogno di esternare la croce, che ognuno porta segnata nel cuore! Capitolo VII. S. Bianco La tradizione non ha mai disgiunto da S. Pellegrino un altro santo che il popolo ha sempre chiamato col nome di Bianco: S. Bianco. Nessun scrittore del primo s è occupato di proposito del secondo: il suo nome veniva registrato come di passaggio, e nulla più. Mi immagino che ogni lettore desideri di sapere chi era questo Santo. Impossibile poter rispondere con precisione, poiché non esiste a questo riguardo nessun documento: quindi voler dare un cenno, sia pure brevissimo, della sua vita sarebbe un lavorare di pura fantasia. La leggenda vuole che sia un pagano, o un maomettano convertito da S. Pellegrino, il quale poi l avrebbe condotto seco quando ritornò dal suo viaggio d Oriente; ovvero un pio solitario, che spontaneamente si era ritirato lassù per fare vita penitente, senza avere notizie dell altro anacoreta, che viveva nella stessa selva. A conferma di questa variante il popolo anche presentemente addita al forestiero, poco distante dal santuario, due fontane, una detta di S. Pellegrino, di S. Bianco l altra. Ad esse andavano a dissetarsi i due solitari, senza però che all uno fosse nota la presenza dell altro. In questa leggenda v è un filo, tenuissimo se volete, di luce, ma vi è: il quale, a mio credere, conduce a questa conclusione. S. Pellegrino, per rendere più efficace e più duratura l opera sua, avrà scelto alcuni compagni o cooperatori. Se quest ipotesi non piacesse, possiamo farne un altra: che uomini desiderosi di passare la vita nella solitudine si siano uniti spontaneamente a lui, e l abbiano eletto a loro maestro e guida. Uno di costoro fu S. Bianco. Questa conclusione mi pare l unica accettabile, anche perché conforme al genere di vita monacale ed eremitica prima del mille. La morte di lui sarà avvenuta lassù all epoca circa di quella di S. Pellegrino: la tradizione invero non ha mai disgiunto il culto dell uno da quello dell altro. Quanto poi al nome, mi pare che la ragione debba ricercarsi nell abito, che lo ricopre. Anche presentemente il corpo di S. Bianco trovasi unito a quello di S. Pellegrino nell urna di legno, che sta sotto il bel tempietto civitaliano. I sacri corpi si vedono assai chiaramente attraverso ai cristalli che chiudono la parte anteriore della cassa di cipresso. Nel sec. XVI, come si dirà più avanti, le ossa dei Santi furono tolte dell urna di marmo, furono unite in ischeletro e legate, e ricoperte di ricca veste, come appaiono anche presentemente. Il Muratori (Diss. 58 delle Ant. Ital.) chiama incorrotto il corpo di S. Pellegrino. Tale è pure l opinione del popolo anche riguardo a S. Bianco. Ciò è vero, se si intende di dire che l ossatura e gli scheletri sono interi. 11

12 Capitolo VIII. La chiesa Mancano i documenti per poter precisare a quale anno risalga la costruzione della prima chiesa, o meglio oratorio innalzato in onore del nostro santo anacoreta. A me pare però logico ritenere che si dovette dar principio ad una tale opera a brevissima scadenza dalla sua morte. Se egli fosse stato seppellito, oppure se il suo cadavere fosse rimasto esposto all azione delle intemperie, lo scheletro di lui sarebbe forse giunto intero sino a noi? Anzi io credo che questa prima chiesuola fosse edificata dallo stesso S. Pellegrino, poiché, se la leggenda pone la dimora del pio solitario nel cavo di un vecchio faggio, è naturale pensare che egli, a poco a poco, si sarà costrutta una casetta e unito a questa un oratorio: la prima per ricoverarsi dalle intemperie, che lassù sono molto violente e prolungate, ed anche per rifugio dei viandanti; il secondo allo scopo di meglio attendere a tutte quelle pratiche di religione e di pietà, che egli s era imposto, e a cui non voleva venir meno. E noto il documento dell 857 pubblicato, come s è detto, dal Tiraboschi in Mem. St. Mod. In esso è detto di una chiesa di S. Pellegrino in Reggio E. unita fino d allora alla canonica del Duomo. E pur noto il bassorilievo, che ora conservasi nella sagrestia del santuario e che per molto tempo si vide incastrato fra le pietre della facciata principale. E scolpito in pietra arenaria, e rappresenta il santo alla presenza del pontefice. Il lavoro è assai rozzo: mostra la mano di un artista locale. Secondo il giudizio concorde dei periti in materia esso è opera del sec. IX, e forse anche anteriore. Abbiamo dunque due documenti, che ci fanno fede che nel sec. IX v era una chiesa dedicata a S. Pellegrino a Reggio Emilia, e un altra su l Alpe, le quali chiese non si può supporre che siano state costruite più tardi degli albori di detto secolo. Leggesi nel Diario delle chiese di Lucca del P. Grammatica 14 che il Pontefice Alessandro III, perseguitato dall Imp. F. Barbarossa, il 1166 passò da S. Pellegrino in tempo che si fabbricava quella chiesa. Se il passaggio di Alessandro III sia vero o no, lo vedremo più avanti: quello che ora a me importa rilevare è la ricostruzione o ampliamento della chiesa di S. Pellegrino verso la metà del sec. XII. Quest asserzione del P. Grammatica viene confermata da elementi architettonici dell epoca, come la porta, che fu scoperta il 1905 nel muro di sud, nell occasione che il R. Prevosto di Piandelagotti, allora incaricato della custodia del santuario, fece fare alcuni restauri al suddetto muro. Questa chiesa però verso la metà del sec. XV doveva essere in cattive condizioni. Difatti noi troviamo che essa fu riedificata quasi ex novo nel 1462 da Leonello di Jacopo di Castiglione di Garfagnana, Preposto di S. Giorgio in Lucca, Abate di Frassinoro in quel di Modena e Rettore di S. Pellegrino, come risulta dalla lapide marmorea, che era murata nella faccia di destra entrando in chiesa, e che ora si trova entrando in chiesa nella parete di sinistra. Essa porta la seguente iscrizione: Hoc opus fecit fieri Dominus Leonellus olim D. Jacobi de Castilione Garfagnanæ Abbas de Frassinorio, et S. Georgi de Luca Præpositus, nec non Rector S. Peregrini de Alpibus. Factum die prima Augusti Salvo qualche restauro, la chiesa è anche oggi quale fu riedificata dal detto Leonello. E costruita in pietra da taglio, ed ha una sola navata con due entrate: una laterale sulla piazza, l altra, ed è la principale, sotto il voltone dell Ospizio. Il soffitto è formato da incavalcature disadorne, che ricordano l epoca di costruzione. Il coro è collocato a levante, come nel maggior numero delle chiese. Vi sono quattro altari: il maggiore è di marmo e di fattura assai recente; i due laterali sono costruiti in pietra e presentano tutti i caratteri dello stile barocco; il quarto si trova in una cappella sfondata nella parete di sud, e s intitola al SS. Sacramento. La facciata principale resta nascosta dall ammasso di case, che costituiscono l ospizio. Il primo Agosto 1906 vi fu inaugurato un organo, opera assai pregevole della rinomata fabbrica di Giosuè Battani in Frassinoro. All inaugurazione era presente S. E. Natale Bruni Arcivescovo di Modena, che di quei giorni trovavasi in visita pastorale nelle parrocchie limitrofe. Di quest orna- 14 V. Pacchi, Op. c., p. 150 e seg. 12

13 mento della chiesa va data lode speciale a D. M. Piacentini Prev. di Piandelagotti, che non risparmiò sacrifici per riuscire nel nobile intento. Un tempo la chiesa doveva possedere suppellettili di raro pregio, ma l ala distruggitrice del tempo, la rapacità ed il malgoverno degli uomini le hanno fatte scomparire quasi tutte. Così ora non restano che alcune lampade, alcuni quadri votivi, e pochi indumenti sacri. Capitolo IX. L urna e il tempietto Nel 1472 a Leonello succedeva nel Rettorato di S. Pellegrino il suo nipote Iacopo di Benedetto, il quale fece fare (non si può precisare in quale anno, giacché nessuno si curò di farcelo sapere) un urna di marmo, ove riporre più decentemente di quel che fosse in antico le ceneri ed ossa del Santo. L urna un tempo doveva riposare nel centro del tempietto; ora si trova incastonata nel coro nel posto riservato all ancona. Porta in fronte la seguente iscrizione, la quale peraltro è assai logora: Iacobus de Nobilibus Lucensis, Doctor, Eques et Comes, ac huius Hospitalis Rector, natione Tuscus, Patria Lucensis, qui ipse vivens tibi, o Beatissime Peregrine, benemerito hoc insigne marmoreum sepulcrum superis faventibus posuit. Sotto la testa del Santo vi era la data MCCCLXXV. Come è stato detto nel capitolo precedente, nel seguente secolo le ossa del Santo furono estratte da quest urna, e, composte in ischeletro, collocate nella grande cassa di cipresso in cui si trovano anche ora. La storia e il buon gusto vorrebbero che le cose ritornassero al proprio posto, ma credo che ciò non si possa più effettuare. Il giorno in cui scomparissero i due Santi per far ritorno nell urna primitiva, il popolo griderebbe allo scandalo, e guai agli autori di questa innovazione! Un accenno particolare merita pure il tempietto. E tutto di marmo e composto di tre parti principali: la base, le colonne e la cupola. Le colonnette sono quattro di marmo e scannellate. Si innalzano svelte dalla base e quasi ansiose si sostenere la cupola, in cima alla quale, ai lati, si ammirano quattro angioli in atto di vegliare a custodia del sacro deposito. Il lavoro e nel suo complesso e nelle parti mostra che è uscito dallo scalpello di eccellente artista. Alcuni, come il Ridolfi 15, lo attribuiscono senz altro a Matteo Civitali lucchese, il cui capolavoro, l altare di S. Regolo, purissimo ma freddo si trova nel Duomo di Lucca. Non si hanno però documenti per potere attribuire con certezza questo lavoro al celebre scultore lucchese. Si può però asserire senza timore di errare che è, per lo meno, opera della sua scuola. In ogni linea, in vero, appare lo stile della scuola civitaliana, stile d ordinario freddo e compassato. Come è risaputo, la famiglia De Nobili dimorava, se non sempre, gran parte dell anno a Lucca ove era conosciutissima. E quindi verosimile che Iacopo, volendo fare al Santo un monumento di valore, ne affidasse l esecuzione al Civitali, che godeva sì meritata fama di eccellente artista. Della medesima epoca del tempietto e del medesimo autore è pure l urna di marmo, di cui ho già parlato. Il giorno in cui ad essa fu sostituita la presente il tempietto restò come deturpato, e chi ha buon gusto in fatto di arte prova un senso di profonda malinconia, e pensa con dolore che certi guasti non si riparano più. Prima di chiudere questo capitolo, voglio far notare due altri oggetti, che si trovano nella cappella maggiore: una statuetta di marmo, e la cancellata che chiude la stessa cappella. La statua è di marmo di Carrara, e rappresenta il Santo col bordone da pellegrino. A mio giudizio, è opera di mano volgare. Il cancello è in ferro battuto, le spranghe hanno la punta lanceolata, formano un tutto armonico, e mostrano un artista assai esperto nel lavorare il ferro. 15 Ridolfi, Diporti Artistici. 13

14 Capitolo X. L ospedale Il pio solitario dell Alpi si era ritirato, come già dissi, su quella cima appenninica non a scopo puramente ascetico, ma anche umanitario. Servire a Dio lontano dai rumori del mondo e aiutare i viandanti, che dovevano attraversare la selva tenebrosa, ecco il suo ideale. L osservanza scrupolosa della prima parte del suo programma gli procacciò la corona della santità; l adempimento della seconda gli meritò la pubblica riconoscenza. La leggenda ha sempre collocato la dimora del Santo nel cavo di un faggio. Io non istarò qui a discutere quanto di vero possa essere in questa tradizione; ciò però che può ritenersi come cosa certa è questo, che la dimora di S. Pellegrino dovette essere molto umile. Imaginate alcuni tronchi di faggio piantati in terra, altri assicurati trasversalmente ai primi e ricoperti di lastre d ardesia o di cotiche tolte ai fianchi del monte, e attorno attorno un fitto riparo di frasche, e avrete un idea assai chiara dell abitazione del santo anacoreta. Che se a qualcuno non piacesse un abitazione di tal fatta, ne può imaginare una costruita di pietre, ma anche questa sarà angusta, umile e disadorna: una specie di quelle che anche ora vediamo su la cima degli alti monti, e che servono di ricovero ai turisti. Ora è naturale pensare che egli non solo accoglieva nella umile dimora i viandanti, che venivano a battere alla sua cella, ma ne andava in cerca, e non li abbandonava finché non li aveva messi sul cammino sicuro. Scolta sicura e vigile di quel valico alpino, egli raccolse nel suo cuore i dolori di tutti coloro, che lo avvicinarono, e per tutti ebbe parole di conforto e saggi consigli. Così la sua capanna era diventata un ospizio ben noto a tutti coloro, che passavano dal modenese nella lucchesia o viceversa. Le condizioni della viabilità certo non migliorarono subito dopo la morte del Santo. Solo nel sec. XI si ebbe un miglioramento non solo civile, ma anche in fatto di viabilità. La Contessa Matilde fu la prima a sentire il bisogno di rendere un poco più praticabili quei sentieri alpini, per unire in qualche modo i suoi domini dell Italia media con quelli dell alta. Ciò però non toglieva che il traversare quelle selve fosse senza pericolo. Allora ai bisogni dei viandanti non provvedeva né il potere pubblico, né l attività e l industria dei cittadini, come avviene ora, con osterie, locande, etc., ma la carità individuale, o, meglio ancora, collettiva delle istituzioni ospitaliere cristiane. Così sui valichi dei monti ed al passaggio dei fiumi sorsero spesso per iniziativa di un solo, ospizi di ricovero e di pubblica assistenza. E per limitarmi al solo Frignano, ne sono una chiara prova l ospedale di Val di Lamola, quello di S. Geminiano sopra Piandelagotti, e quello di S. Bartolomeo presso il Saltello. Ho detto che spesso un sol uomo nel medio evo dava vita ad istituzioni di carità o nel cuore di una solitudine alpina, o su le sponde di qualche fiume, non escluse le città. A quest uomo però, in seguito, altri se ne univano, e in tal modo il ricovero si ampliava, di modo che vi trovava luogo una chiesetta, un cenobio ed anche un ospizio. Così accadde dell opera di S. Pellegrino. La tradizione non parla che di un compagno, ma è logico pensare che fossero parecchi, i quali, morto il capo, continuarono la benefica istituzione, poiché perduravano i bisogni per cui era stata fondata: l ospedale quindi di S. Pellegrino è antico quanto il Santo, che, per lo meno, ne gettò il primo germe. Ma qui io voglio trattare dell ospedale quale risulta dai documenti: quello che interessa è vedere a quali vicende andasse soggetta un istituzione sì umanitaria. Il primo documento autentico riguardo all Ospedale di S. Pellegrino è un atto di donazione fatta al medesimo nel Dopo viene la Bolla di Alessandro III nel 1168, dove fra i possedimenti di Pieve Fosciana si nomina l Ospedale di S. Pellegrino 17. Oltre questi due documenti, dell Ospedale in parola si fa menzione nei Registri di Cencio Camerlengo (1192); ne parlano pure certi contratti di Rolandino di Castiglione (1284). 16 Sardi Op. c. 17 Pacchi Op. c. 14

15 Nessuno storico poi ha passato sotto silenzio la donazione di 12 iugeri di terreno fatta all Ospedale nell anno 1181 da Federico Barbarossa, come chiaramente appare dalla conferma che nel 1239 ne rilasciò Federico II, a istanza di Gualdo Maestro dell Ospedale 18. Ciò dimostra che il Santuario e l Ospizio erano già molto noti, e che, per il bene che facevano, meritavano di essere aiutati. Altre donazioni furono fatte in seguito all Ospedale non solo nei paesi limitrofi, ma nel piano di Lucca, nel territorio modenese e bolognese, di modo che esso giunse a possedere un patrimonio assai vistoso. Non voglio omettere un altro documento contenuto in una Descrizione delle chiese della Diocesi di Lucca fatta nel In quel Catalogo si dice che fra le molte altre chiese della Garfagnana gravate dall imposta delle Decime da fare la crociata vi è Hospitale S. Peregrini cum cellis quas habet in dicto Plebanatu, cioè di Pieve Fosciana. L Ospedale fu certo riedificato o ampliato del sec. XIII. Ciò risulta da una petizione che quei Frati Conversi (Agostiniani? 19 ) inviarono al Papa nel 1288, in cui fra l altro si legge: In domo nova ipsius hospitalis. L Ospedale era retto da una Comunità religiosa, con a capo un Rettore detto Maestro dell Ospedale. Mancano memorie sicure per poter determinare in quale anno vi fosse fondata detta Comunità. Certo essa vi fiorì nel sec. XIII, e, sotto una regola comune, noi troviamo quei Frati sino verso la fine del sec. XIV. Invero nel 1379 frate Omobuono e frate Egidio da Fabriano compaiono in un atto, in cui venne decisa una controversia che con l Ospedale aveva Lodovico de Bovi 20. Dopo le carte riguardo alla Comunità religiosa in discorso sono mute, né sappiamo con precisione le cause per cui essa venne meno. I documenti dovevano senza dubbio esistere nell Archivio, ma purtroppo andò distrutto, lasciando i posteri in un buio fittissimo riguardo alla vita che lassù si svolse nella seconda metà dell evo medio. Accadde dell Ospedale di S. Pellegrino quello che si verificò di tante altre istituzioni: venne il periodo della decadenza, e, specialmente per colpa di chi era preposto all amministrazione, le ricche donazioni, che gli erano state fatte, non sortirono tutto quel benefico effetto, che si doveva aspettare. Ciononostante col cessare di quella Comunità religiosa, non venne meno l Ospedale, la cui opera benefica durò ancora, sebbene più limitata. Se l opera ospitaliera di cui ci occupiamo non fu dopo il sec. XV sì intensa come era stato prima, non bisogna accagionarne solo chi vi era a capo, ma anche le mutate condizioni dei tempi, e i miglioramenti introdotti nella viabilità, per cui quel valico non era più così frequentato. Trattando della chiesa esposi assai diffusamente come Leonello De Nobili nel 1462 la riedificò quasi ex novo 21. In premio delle sue benemerenze Pio II, l anno 1464, concedette il Santuario con l annesso Ospedale in ius patronato perpetuo a Leonello e ai discendenti della famiglia di lui 22. A Leonello succedette Iacopo suo nipote, che si rese assai benemerito. Questi diritti di patronato furono confermati alla famiglia De Nobili dai Duchi Estensi nel 1471, nel 1482 e nel Così si 18 Doc. nella Cancell. Repp. di Lucca. 19 Che quei Frati fossero Agostiniani mi pare si possa dedurre dal fatto che l Ordine Agostiniano aveva molti ritiri nella Garfagnana. 20 Arch. di St. in Lucca, Raccolta Spec., Ospedale di S. P. 21 L ospizio era stato distrutto dagli Intelminelli alcuni anni prima. Verso il 1626 furono costrutti cinque barbacani per sostegno dell ospizio, che minacciava rovina, e nel 1728 si diede principio alla piazza e alla stalla sita a mezzogiorno. 22 La famiglia De Nobili era una delle più rinomate case feudali della Garfagnana; scese poi a Lucca e diede una bella serie di ambasciatori e di prelati. Capostipite di essa si vuole sia stato un Conemondo della terra di S. Michele (883); troviamo poi un Guido di Spinetta Conte di S. Michele (983); in seguito la famiglia fu detta De Nobili. Un ramo passò a Castiglione, e i suoi discendenti si trovarono investiti del fondo di Dallo. Cacciati da Castruccio, dopo la sua morte furono richiamati dal Comune di Lucca, e nel 1369 riconosciuti nobili e signori di Dallo (privil. del 1369 riportato dal Micotti). Ora la famiglia De Nobili vive a Lucca. Tale diritto fu confermato da Sisto IV con rescritto 12 Aprile

16 formò un benefizio laico, il quale era goduto alternativamente dal primogenito delle tre famiglie in cui, col tempo, andò divisa la discendenza del primo patrono. Il diritto perpetuo di giuspatronato concesso ai De Nobili si estendeva anche ai secolari, e in questo caso il Rettore de iure di S. Pellegrino aveva l obbligo di mantenervi un cappellano, che, almeno negli ultimi tempi, doveva ottenere l approvazione degli Estensi. Da principio i redditi del benefizio, tolte le spese di amministrazione, si erogavano dai Rettori nel mantenimento dei pellegrini, nelle funzioni, e nella manutenzione della chiesa e dell Ospizio. Ma, a poco a poco, le rendite non furono più impiegate nel loro scopo, e il patrimonio, benché fosse vistoso, andò assotigliandosi sempre più, causa vendite, e permute poco vantaggiose. Affrancate poi le vendite per le vigenti leggi, e dati i litigi per causa del giuspatronato lungamente conteso fra i discendenti della famiglia De Nobili, poco resta ancora del ricco patrimonio. E doloroso pensare a questo malgoverno, tanto più che a certi guasti nessun rimedio si può portare. Ciò è una nuova conferma di questa verità: Finché il patrimonio delle istituzioni di carità e di beneficenza resta affidato alle congregazioni religiose, tutto è conservato con vita fiorente; se queste vengono meno, viene pur meno ogni forza conservativa e progressiva alle istituzioni stesse. Ora l Ospedale di S. Pellegrino non è che un ammasso di muri sconnessi e cadenti, nei crepacci dei quali nasce l erba, e, nei giorni di sole, errano le lucertole. L edifizio ha tre piani: il più basso è adibito ad uso di stalla; quello di mezzo è formato da grandi stanze, che un tempo servivano per l alloggio dei forestieri. Alcuni anni fa era abitato da una famiglia del luogo: ricordo però che un paio di questi ambienti servivano a ricoverare i pellegrini più poveri. Il terzo, che è quello conservato meglio, serve d abitazione per il Parroco. Nel centro si apre un corridoio oscuro, che serve anche da strada. A metà circa di esso, da una parte s apre l entrata principale della chiesa, dall altra quella della canonica. A mezzogiorno della chiesa s apre una corte interna tutta piena di rottami, e a pochi passi vedesi una stalla capace di dare ricovero contemporaneamente a parecchie dozzine di cavalli, e l avrà certamente dato specialmente quando gli Estensi estendevano il loro dominio sino al Tirreno, e la via Vandelli era frequentatissima e di giorno e di notte. Quante memorie risvegliano nella mia mente quelle pietre ogni volta che la divozione, il desiderio di rivedere gli amici e il bisogno di salire in alto mi riconducono su quella sacra vetta! E una folla grandissima di pellegrini, di monaci, di dame e di cavalieri quella che passa innanzi alla mia fantasia! Dall alto della torre squilla la campana, e il suono si perde lontano fra le selve di faggio e nelle sinuosità dei torrenti, ma prima ha parlato al cuore della turba fedele, che già si prostra davanti alle sacre ossa...! Riacquisterà S. Pellegrino, in parte almeno, il suo antico splendore...? Comunque, quell ammasso di muraglie sfasciate continuerà ancora per molto tempo a narrare al visitatore una bella pagina di carità cristiana. Capitolo XI. Giurisdizione ecclesiastica La Diocesi di Lucca anticamente aveva confini molto estesi, e in essa era compreso anche S. Pellegrino: su di esso i Vescovi di Lucca quindi esercitarono la loro giurisdizione sino al principio del sec. XIX. Questa giurisdizione però non fu sempre pacifica, e ciò a causa delle ragioni che sul Santuario ed Ospedale accamparono i Vescovi di Reggio; anzi pare che qualche diritto vi avessero pure i Vescovi di Modena. Io non mi propongo di sciogliere la questione: essa è talmente intricata da sbigottire anche uno storico provetto. Mi accontenterò di elencare un buon numero di documenti, e dall esame di essi il lettore potrà vedere da che parte stia la ragione; e, se non altro merito, mi auguro di avere almeno quello d invogliare qualche valente cultore di storia a sciogliere l arruffata matassa 23. Il Pacchi nell Opera citata riporta due documenti per provare che nel sec. XII S. Pellegrino era nella Diocesi di Lucca. Il primo è la Bolla di Alessandro III del 1168 a Jacopo Parroco di Fosciana in 23 Di molto aiuto mi è stato per la trattazione di questi due capitoli il Ms. su S. Pellegrino gentilmente fornitomi dal valoroso storico frignanese Prof. Santi Venceslao, cui rendo le più sentite grazie. 16

17 Garfagnana Dioc. di Lucca, ove tra i luoghi ad essa Pieve soggetti si nota: Hospitale Sancti Peregrini de Alpibus. Il secondo è contenuto nel Registro dei censi della Chiesa Romana fatto da Cencio Camerlengo di essa l anno Ivi S. Pellegrino è segnato sotto il vescovado lucchese e tassato di tre oboli d oro (un fiorino d oro) e quattro libbre di cera: In Episcopato Luceno... Hospitale S. Peregrini de Alpibus III obulos aureos, et IV libras ceræ. Questa giurisdizione durava ancora nel secolo seguente, e il su lodato storico porta due prove, decisive a suo giudizio. In un Catalogo del 1260, in cui si enumerano le Chiese della Diocesi di Lucca che devono pagare le decime per la crociata, si trova in Plebanatu Foscianæ Hospitale S. Peregrini cum cellis quas habet... Il gravare di decima S. Pellegrino avrebbe egli mai potuto appartenere ai Lucchesi, se realmente quel luogo non fosse stato della Diocesi loro? Nell Arch. del Monastero di S. Porziano in Lucca esiste un libro dell anno 1260 in cui per ordine del Vescovo Enrico sono descritte le possessioni e gli averi della sua Diocesi. Orbene, vi è notato che sotto la Pieve Fosciana vi è l Hospedale di S. Pellegrino, il quale perciò apparteneva al Vescovo di Lucca. Sempre a Lucca, nell Archivio di S. Romano, esiste uno strumento del 1288, in cui sono notati i nomi dei Frati Conversi (in numero di venti) di S. Pellegrino dell Alpi nella Diocesi di Lucca. Dopo questa prova le carte sono mute sino verso la metà del seguente secolo, in cui troviamo parecchi documenti, i quali parlano della giurisdizione di Reggio su quel luogo. Qui cedo la penna all egregio Can. Saccani di Reggio, il quale nel 1911 così scriveva a D. G. Lunardi di Piandelagotti, che gli aveva chiesto notizie in proposito: Ella mi chiede le ragioni per le quali io credo l Ospedale e Santuario di S. Pellegrino in Diocesi di Reggio. Rispondo col dirle che ciò mi risulta da documenti, dei quali, essendo essi moltissimi, non posso che accennare qualcheduno: 1342 nomina del Rett. fatta dal Vescovo di Reggio qualiter Hospit. S. Peregrini de Alpibus est in Dioecesi Regiensi (In Brev. Bertholini Episcopi Arch. S. Prospero) altro documento nell Arch. di Stato di Simone Allegrini (Brev.) Il Vescovo Bartolomeo riscuote le decime di S. Pellegrino dell Alpi (Arch. di S. Prospero) Il Vescovo Lorenzo concede quattro privilegi all Osp. di S. Pellegrino dell Alpi Dioc. Reg Il Vescovo Serafino riscuote diritti etc. (Arch. Vesc.) Il Vescovo Tebaldo ed il popolo di Reggio ricorre al Duca perché si rispetti la giurisdizione di Reggio oltre l Ospedale (Arch. Vesc.) Papa Nicolò V concede un privilegio all Ospedale di S. Pellegrino dell Alpe in Diocesi reggense (Arch. di Stato) Marchesani visitatore della Dioc. Reg. visita anche S. Pellegrino (Arch. Vesc.) Il 13 febb. il Vescovo di Lucca viene interinalmente incaricato del governo dell Ospedale dai Vescovi di Reggio e Modena finché sta la controversia; rog. not. Franc. Livizzano (Arch. Vesc.) Il Vescovo di Reggio interviene per la nomina del cappellano di S. Pellegrino (Arch. Vesc.). E molti altri documenti. Per cui vede che la cosa non è poi così liquida come appare al Muratori ed al Tiraboschi. Per parte mia sono pronto a sostenere i diritti d allora della Diocesi, e mettere in rilievo qualunque affermazione in contrario col ribatterla. Benché il valore di questi documenti sembri decisivo, ne tengo sott occhio un altra serie dai quali risulta che, specialmente durante i sec. XVI e XVII, la giurisdizione in parola fu assai contrastata fra i Vescovi di Lucca e Reggio, non estraneo del tutto quello di Modena Il Prof. V. Santi dal 1400 al 1606 enumera ben venti documenti, in maggior parte pontifici, che parlano della giurisdizione del Vescovo di Lucca su S. Pellegrino. In tutti si legge l espressione: In diocesi Lucchese. Così nel 1464 l Ospe- 17

18 In un documento del 6 Maggio 1525 Giov. Battista De Nobili, Rett. di S. Pellegrino dell Alpe in Diocesi di Lucca permuta alcuni fondi con una casa in Castiglione di Garfagnana. Nel 1576 il Vescovo di Lucca manda precetto al cappellano di S. Pellegrino di non ammettere in modo alcuno in detta chiesa il Vescovo di Modena, né altro suo visitatore... come visitatore di detta chiesa. Il 20 Agosto 1577 Alfonso Duca scriveva al Governatore di Garfagnana che impedisse al Vescovo di Lucca di fare la visita qualora la volesse fare, perché vi sono altri, diceva la lettera, che vi pretendono... Nell anno seguente, 1578, il Vescovo di Reggio interviene nella nomina del Rettore di S. Pellegrino: questa volta era il Governo Estense che sollecitava il Vescovo a mettere avanti tutte quelle ragioni, che gli sembrassero più valevoli a provare il proprio diritto. E qui torno un passo indietro. Nel 1577 il Vescovo di Lucca aveva scritto al Papa una lettera dolendosi che gli ufficiali del Duca gli impedissero di citare alcuno di quei Preti sottoposti alla sua giurisdizione senza licenza loro, che vacando dei benefici egli non può metter fuori gli editti senza l exequatur o placet loro, et ch essi, vacati che sono i benefizi, vanno al possesso, et che non permettono ch egli vada a visitare quella sua parte di Diocesi senza l istesso placet, et che il Vescovo di Reggio contro ogni ragione ha voluto visitare la chiesa di S. Pellegrino sottoposto interamente a lui.... Si lagnava pure che in ciò il Vescovo di Reggio fosse favorito dai ministri del Duca, a cui il Papa faceva scrivere che la giurisdizione ecclesiastica fosse lasciata nelli suoi debiti termini. Laderchi e Masetti, incaricati del Duca a Roma, fecero notare a S. S. che non era intenzione del Duca di togliere i sudditi del tribunale del Vescovo di Lucca, e che medesimamente se dei benefizi si pigliava possesso non è per usurpare li frutti, né la giurisdizione ecclesiastica, ma per la pace et quiete de popoli, che quanto al visitatore non s impedisce il Ves. che non vadi o non mandi, ma si deve sapere prima che vadi o mandi, essendo ragionevole che in simili terre non entrino persone forestiere senza prima trovarne licenza da chi governa. Quanto al Vescovo di Reggio risposero che egli aveva l obbligo di conservare la propria giurisdizione come quello di Lucca la sua, che perciò faceva il suo dovere visitando S. Pellegrino, se i suoi predecessori l avevano visitato, e che il Duca aveva l obbligo di favorirlo. Il 9 Ottobre di quest anno stesso il Card. Maffei, d ordine di S. S., scrive al Vescovo di Reggio avvertendolo di mandare a Roma tutte quelle più evidenti ragioni, che aveva per sostenere che l Ospedale di S. Pellegrino sia nella sua Diocesi, perché già il Vescovo di Lucca aveva mandato le sue, ed era intenzione di S. S. determinare quale di loro le avesse migliori. Vescovo di Reggio era allora Mons. Martelli, che mandò subito a Roma le sue ragioni, come risulta da una lettera in data 8 Sett a Giammaria Crispo Cons. Duc., a cui ricorreva per consiglio. Ciononostante quello stesso anno, il 1 Agosto, D. Ippolito Dalli visitava S. Pellegrino per incarico del Vic. Gen. di Reggio, e ciò contro la volontà di quel Rettore, il quale sosteneva che S. Pellegrino era nella Diocesi di Lucca, il cui Vescovo nell anno seguente faceva divulgare la notizia che avrebbe fatta la visita pastorale anche in quel lembo estremo della sua Diocesi. Ignoro se egli eseguisse poi il suo divisamento. Ho però qui sott occhio una relazione del Podestà di Montefiorino, Andrea Manfredini, al Duca in data 2 Agosto 1580, in cui fra l altro si legge: Il Vescovo di Reggio mandò un suo delegato a visitare la chiesa ed anche per invitare il Nobili a presentarsi a Reggio onde non essere dichiarato decaduto a causa dell alienazione di beni della chiesa. Volendo detto delegato, che era il can. della Cattedrale Stefano Dall Olio 25, cominciare a fare gli atti di visita il Cappellano gli presentò una dichiarazione di Gregorio XIII, in data 16 Maggio 1580, a fadale trovavasi nella diocesi di Lucca, ed era soggetto immediatamente alla S. Sede, come emerge da Bolla 13 genn. 1464, di cui una copia, consultata dal Mussi, trovasi nell Archivio Vescovile di Massa-Carrara. E celebre pure quello del 1575 registrato nel Libro delle Visite Apostoliche. In detto anno Giovanni B. Vescovo di Rimini, per ordine di Gregorio XIII visitò la Diocesi di Lucca, e il 3 Agosto S. Pellegrino, ed ordinò al Rettore di rendere ogni anno ragione al Vescovo di Lucca dell amministrazione affidatagli, sotto minaccia di gravi pene. Se il predetto Visitatore Apostolico non fosse stato certo della giurisdizione, avrebbe egli compiuto tali atti? L orizzonte non è per questo più chiaro. 25 In alcune carte si legge Can. Stefano Oleus. 18

19 vore del Vescovo di Lucca: in essa si vietava al Vescovo di Reggio e suoi agenti sotto pena di scomunica di intromettersi in quel luogo. Avendo il can. Dall Olio veduto quel documento, non volle in modo alcuno far altro; solo fece la sua protesta che per allora desisteva per non incorrere nella pena, non intendendo però con questo pregiudicare alle ragioni del suo principale 26. Pare che il Vescovo di Lucca si chiamasse contento della suaccennata dichiarazione papale. Comunque nel Maggio 1581, gli agenti di questi visitarono pacificamente S. Pellegrino; anzi il Zinzani, Podestà di Montefiorino, offerse loro ogni sorta di favore, solo volle assicurarsi che non v intervenisse persona, che potesse apportar pregiudizio alcuno alla giurisdizione di S. A. Questo è l ultimo atto di giurisdizione compito dal Vescovo di Lucca nel sec. XVI. Il primo del secolo seguente porta la data del 1621, come risulta da una lettera scritta da Castelnovo, 10 gennaio, per mano di Mons. Ant. Ricci al Duca. Anzi, per essere più esatti, in detta lettera il Ricci dà conto della visita, che sta per fare a S. Pellegrino il Vescovo di Lucca, il quale, pregatone dal governo E- stense, la sospese. Nel 1629, non potendo il Vescovo di Lucca visitare personalmente le chiese della Garfagnana e quindi anche S. Pellegrino, ne incaricò il P. Baldiserra Guinisi e due altri Padri della Cong. della Madre di Dio. A questa notizia i Luogotenenti della Garfagnana F. Nardinelli e S. Fogliani scrissero al Guinisi cercando di distoglierlo dalla progettata visita, significandogli che il luogo era in controversia, e che, sebbene vi fosse una sentenza della Rota Romana in possessorio per il Vescovo di Lucca, tuttavia doveva prendere ancora la revisione. Il Guinisi dapprima nicchiò, ma poi si adattò. Intanto i Luogotenenti informavano il Duca, che rispose: Se il Vescovo di Lucca soprasederà, bene, ma se volesse far la visita non lo impediranno, ma faranno però in modo che mostrino non avere nessuna scienza dissimulando ogni atto che farà, et sopra tutto mostrando non haver alcun ordine di qua. Non è a mia cognizione se una tale visita seguisse o no. Trovo però che nel 1659 era progettata un altra visita. Infatti Andrea Ruggeri da Montefiorino chiede norma al Duca per visita pastorale a S. Pellegrino del Vescovo di Lucca. Dal che risulta che i Vescovi di detta città si diedero sempre premura di riaffermare su quel luogo i propri diritti di giurisdizione. Altre visite avranno fatto costoro coll usata frequenza ma sino al 1734 io non ne ho trovato memoria. Di una visita fatta il quest anno al Santuario ed Ospedale dal Vescovo di Lucca ci ha lasciato notizia Pellegrino Vanni in una lettera al Sig.... in data primo Settembre da S. Pellegrino. Il Vanni descrive minutamente il cerimoniale seguito in detta visita; ci fa sapere che l arc. era accompagnato da un largo seguito, e che giunto alle ore 14 ripartì alle 20 sotto l infuriare del vento. Di più ci dà il nome e cognome del Prelato: Mons. Fabio Collovidi di Boemia, che portava il titolo di arcivescovo. Il documento però riportato di sopra (1778) dimostra che l esercizio della giurisdizione dei Vescovi di Lucca non fu pacifico neppure dopo la nota dichiarazione romana, ché quelli di Reggio non si quietarono a questa sentenza, e la questione, più o meno viva, durò finché (sul principio del sec. XIX) la Garfagnana fu unita alla nuova Diocesi di Massa-Carrara, a cui appartiene anche presentemente, come si vedrà parlandosi della erezione di S. Pellegrino a Parrocchia. Qualunque sia il giudizio che l erudito lettore trarrà dai citati documenti, a me pare che S. Pellegrino appartenesse alla Diocesi di Lucca piuttosto che a quella di Reggio. Al principio del presente capitolo scrissi che qualche diritto di giurisdizione su S. Pellegrino dell Alpi pare l avesse anche il Vescovo di Modena. Ora mi propongo di esaminare se ciò corrisponda a verità, o, meglio, di recare quelle ragioni, che stanno in favore della Diocesi modenese. In primo luogo si presenta la questione se S. Pellegrino, anticamente, fosse entro i confini della Diocesi di Modena. In istrumenti di confini del principio del sec. XIII troviamo le seguenti espressioni: Confine di S. Pellegrino era ed è l Episcopato ed il distretto di Modena... Il modenese si estende sino all Alpe di S. Pellegrino... Il confine era l Episcopato e il distretto di Modena sino al detto Ospedale. Da queste espressioni non si può trarre la conclusione che S. Pellegrino fosse in Diocesi modenese, poten- 26 Nell Arch. di Stato di Modena vi è per esteso il mandato fatto nel 1580 de manutenendo dell Ospedale di S. Pellegrino nelle Alpi in favore del Vesc. di Lucca, e contro quello di Reggio. 19

20 dosi esse interpretare nel senso che detti confini del modenese si estendevano sino a S. Pellegrino senza che vi fosse incluso. D altra parte esistono documenti, e noi li abbiamo recati, i quali provano che in tale epoca il pio luogo apparteneva al Vescovo di Lucca. Stabilito questo punto, si avanza un altra domanda, se cioè il Vescovo di Modena v esercitasse la sua giurisdizione nei secoli posteriori. Ciò non risulta dall atto del 2 Ott. 1237, che conservasi nell Arc. Cap. di Modena, né da quello del 1585 riportato di sopra. Abbiamo un altra carta del 5 Giugno 1421 (Registro Epist. et Dec. Nicolai III Atest. Ferrariæ, Mutinæ etc. Arch. St. Modena) in cui è registrato un decreto in favore venerabilis viri Francisci Regi de Luca Rectori Ecclesiæ S. Peregrini de Alpibus dioecesis Mutinensis. Su quei monti esiste la tradizione che per il passato il Vescovo di Modena nominava due confessori pel Santuario durante il mese d Agosto; ma anche questo fatto, supposto che sia vero, non depone in favore di una giurisdizione vera e reale. Un diritto quindi di giurisdizione del Vescovo di Modena su S. Pellegrino manca di fondamento. Come si vedrà in appresso, quel luogo ora è Parrocchia. Il fatto non passò inosservato al Vescovo di Reggio, il quale nell Agosto 1913 invitava quello di Modena vidi la lettera io stesso a fare presso l autorità diocesana di Massa-Carrara tutte quelle riserve che erano necessarie per salvaguardare i loro diritto di giurisdizione su S. Pellegrino dell Alpe. Ignoro quale esito abbia sortito una simile protesta, e se persone competenti abbiano avuto l incarico di studiare a fondo la difficile questione. Capitolo XII. S. Pellegrino innalzato a Parrocchia Abbiamo veduto che Rettore di S. Pellegrino poteva essere anche un secolare, e molti secolari di fatto della famiglia De Nobili coprirono una tal carica. In questo caso però il Rettore pro tempore doveva mantenervi, a proprie spese, un cappellano. L ultimo fu D. Guazzelli, che morì nel Dicembre Allora il Vescovo di Massa Carrara incaricò della custodia del Santuario il Prevosto di Piandelagotti, D. M. Piacentini, che, riconosciuto ufficialmente anche dai De Nobili, disimpegnò con lode il suo ufficio sino al Il D. Piacentini ebbe un intelligente e solerte coadiutore nel M. R. D. Giuseppe Lunardi pure di Piandelagotti. In quest anno gli abitanti di S. Pellegrino videro adempito un loro vivo desiderio: il Vescovo di Massa Carrara innalzò a Parrocchia il loro Santuario sotto il titolo per cui da secoli è famoso. Il primo Parroco fu il M. R. D. Egidio Frati. A lui è successo D. A. Gimorri di Roccapelago, che porta il titolo di Arciprete, titolo conferito alla chiesa nel Il Parroco abita nel fabbricato, che un tempo serviva di ospizio. Il benefizio è costituito con porzione dei beni, che formavano il patrimonio dell Ospedale, e rappresentano un reddito di 1700 lire circa. La Parrocchia ha il Battistero, ma manca di Cimitero. I morti vengono sepolti, come pel passato, in quello di Chiozza, cura posta sui fianchi del monte sulla via che conduce a Pievefosciana. Da tempo si pensa a costruirne uno nei pressi del Santuario, ma la cosa non è tanto facile, perché tale lavoro spetta a due Comuni, a quello di Castiglione di Garfagnana e a quello di Frassinoro, e più a quello che a questo. Ciò per ragione dei confini civili. Gli alberghi di Lunardi Nicodemo e Lunardi Ferdinando, il piazzale, metà del voltone e della chiesa (in senso longitudinale) appartengono a Frassinoro, il resto a Castiglione. La chiesa ha tre campane, che furono fuse dalla Ditta Magni di Lucca nel 1901, essendo custode di S. Pellegrino il prelodato Prevosto di Piandelagotti, D. M. Piacentini. Capitolo XIII. Giurisdizione civile Vediamo prima di tutto se S. Pellegrino anticamente, cioè avanti il sec. XV, appartenesse alla Garfagnana o al Modenese. Tre storici si cono occupati in particolare di quest argomento: il Muratori, il Pacchi ed il Tiraboschi, ma non sono concordi nelle conclusioni. 20

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