Trento, 11 maggio ritratti da parete
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- Leopoldo Simoni
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1 PRIMI DI CORDATA
2 14 Hervé Barmasse Classe 1977, valdostano di Valtournenche, maestro di sci e di snowboard, tecnico del soccorso alpino, guida alpina e istruttore nazionale delle guide alpine, e poi anche atleta del Global Team The North Face, Hervé Barmasse è figlio d arte ed è cresciuto con impressa sulla retina la silhoutte del Cervino. Suo padre Marco è stato ed è tuttora un nome di prima grandezza tra gli alpinisti valdostani, oltre che una famosa guida alpina, ed Hervé ha avuto la possibilità di vivere e cimentarsi con l alta montagna sin da ragazzino. Sulla Gran Becca (così i valdostani chiamano il Cervino), apre vie di prestigio, anche in solitaria, e nuovi itinerari molto difficili. Ma presto il richiamo delle grandi montagne lontane si fa sentire. Hervé apre vie nuove di elevata difficoltà in Pakistan, in Patagonia, torna di nuovo in Karakorum, si sposta in Cina. Ma scopre anche che esistono nuove possibilità esplorative sulle Alpi. Nel 2011 traccia in solitaria una difficilissima via nuova sul Picco Muzio del Cervino e poi dà avvio al progetto Exploring the Alps, aprendo vie nuove nel gruppo del Monte Bianco e del Monte Rosa. Un grande alpinista, che non ha mai perso la sua semplicità e la sua voglia di scherzare. Siamo riusciti a ottenere un intervista in margine al Film Festival di Trento, sotto il grande tendone di Montagna Libri, l annuale rassegna internazionale sulla produzione di libri e di periodici. Come se non avessimo mai smesso di frequentarci. Anche per questo per Hervé nutriamo una grande simpatia. Cercando di dimostrare qualcosa a me stesso, ho scelto le tre montagne più alte e più inflazionate delle Alpi, anche le più conosciute. Se riesci ancora a trovare l avventura lì, su quelle montagne, allora è possibile che su tutte le Alpi si possano ancora trovare delle grandi avventure e delle bellissime esperienze da vivere. Ad ogni salita ho voluto esprimere un concetto differente. Il modo più classico di affrontare la montagna è quello in cordata, ma la cordata significa amicizia: così la salita sul Bianco l ho fatta con degli amici a cui tengo particolarmente, i fratelli baschi Eneco e Iker Pou. Poi c era l idea di riscoprire l alpinismo classico e così ho scelto subito, sin dall inizio, mio padre Marco come compagno di cordata sul Monte Rosa perché c era il passaggio di consegne fra generazioni che, attraverso l alpinismo classico sulle Alpi, hanno saputo trovare l avventura e divertirsi. E poi sul Cervino volevo cercare qualcosa che io, come alpinista, non
3 avevo mai fatto perché avevo ripetuto delle vie in solitaria, ma non ero mai riuscito ad aprire una via in solitaria su una montagna come il Cervino, che è la montagna di casa, e lì ho voluto esprimere le mie qualità di alpinista. Ci sono stati anche degli attimi di paura, però alla fine ho concretizzato un bel sogno, una bella storia. La montagna, se si propone solo con dei numeri, delle lettere, dei superlativi, dei gradi difficilissimo durissimo freddissimo, non porta da nessuna parte. La montagna dev essere come un bell arcobaleno con molte sfumature di colori e quindi tocca a noi, attraverso i libri, gli articoli, i servizi televisivi, i documentari, cercare di dare queste sfumature di colori a tutti quelli che si avvicinano alla montagna. La storia della mia famiglia è profondamente legata alla passione per la montagna: ben quattro generazioni, forse per caso, hanno seguito un percorso di alpinismo e di professione di guida alpina. Il primo è stato il mio bisnonno: aveva le Alpi da esplorare alla fine dell Ottocento-primi del Novecento: il suo primo Cervino è datato 1904, nel suo diario di guida. Poi mio nonno con l esperienza magica dell esplorazione della Terra del Fuoco, in Patagonia, con padre De Agostini, la salita delle Torri del Paine con Monzino E mio padre che ha seguito quel percorso confrontandosi con l Himalaya, la Groenlandia, la Patagonia Ho avuto in eredità questo messaggio: l alpinismo dev essere comunque una ricerca che può essere di noi stessi, può essere esplorativa ma soprattutto dev essere un grande piacere e una grande gioia di vivere la montagna. Qualsiasi esperienza si faccia: dalla passeggiata all arrampicata. 15 Trento, 11 maggio 2012
4 16 Walter Bonatti Fino all ultimo, Walter Bonatti ha continuato a viaggiare in terre lontane, a visitare deserti e montagne. Poi, nel 2011, una malattia dal decorso velocissimo l ha portato via. Di Walter ci è rimasto un ricordo che conserviamo nell archivio in cui abbiamo riposto le nostre esperienze più belle. L ultima volta lo avevamo incontrato a Cuneo, al termine di un affollatissima conferenza del Festival della Montagna, e al solito era stato un momento bellissimo, in un atmosfera di reciproca simpatia. Anche se abbiamo dovuto vincere la sua ritrosia nel farsi intervistare: la vicenda del K2 l aveva reso diffidente nei confronti dei giornalisti. Nome di prima grandezza dell alpinismo mondiale ma anche esploratore e reporter della wilderness nelle regioni più isolate del mondo, Bonatti era un mito. Lombardo, classe 1930, aveva vissuto anche in Piemonte, in Valle d Aosta, in Liguria e, dai primi anni 80 si era sistemato in un rustico ristrutturato da lui e dalla sua compagna, Rossana Podestà, a Dubino, allo sbocco della Valtellina. Ci mancherà moltissimo. Le montagne sono un meraviglioso banco di prova per crescere, di esperienza in esperienza. Sulla montagna ci si misura, sulla montagna si lotta, si soffre, si migliora, si gioisce è fonte di tante cose bellissime ma l uomo, purtroppo, si priva sempre più di queste cose per altre cose che non offrono tanto quanto le montagne. Io mi sono ispirato ai predecessori, non ai contemporanei: perché ho creduto nel loro linguaggio, nella loro limitazione di mezzi artificiali, quindi sono andato avanti così perché misurandomi sulle pareti cosiddette impossibili con i mezzi tradizionali io potevo sapere chi ero e che cosa avevo fatto in più o in meno rispetto ai miei predecessori. Non si deve avere paura di misurarsi con la solitudine perché vuol dire misurarsi con il profondo di noi stessi. E quindi è un vero misurarsi. Lavorare per Arnoldo Mondadori, collaborare con la rivista Epoca per me è stata una cosa insperata. Poter dare materia ai sogni, alla fantasia che io ho letto sulle pagine dei miei vangeli e cioè dei miei autori preferiti, Jack London, Herman Melville è stato un incredibile allargamento della mia avventura a 360 gradi, soprattutto dopo aver concluso la grande esperienza alpinistica: l offerta di un mondo per me ancora da scoprire, conoscere. La fotografia per me non ha rappresentato un fine: la fotografia in se stessa non mi dice un granché, ma è stata il mezzo per fermare le emozioni, per fermare un momento che stavo vivendo. Quindi io devo moltissimo alla fotografia, lo stesso che devo alla mia penna: è stato il completamento
5 di uno stesso discorso. Sul Gasherbrum IV è successa una cosa incredibile. Sono arrivato in cima, stava per scoppiare il maltempo e in più mi è finita la pellicola! Due mesi di assalto alla montagna e poi non avere più la possibilità di fissare quel momento magico è stato tremendo! Avevo sì i rullini a colori ma non riuscivo ad avvolgerli, a caricare la macchina per il gran freddo: ho spezzato il primo rullino a colori, poi ho spezzato il secondo rullino e sono rimasto senza pellicola. Mi è venuto in mente che dovevo avere, da qualche parte, della pellicola in bianco e nero, che è più morbida del colore: l ho cercata, l ho trovata e poi l ho caricata in macchina. Tutto senza guanti, con le mani nude in un freddo pazzesco ed è stato incredibile che ce l abbia fatta. Ho potuto caricare la macchina e così Carlo Mauri ed io ci siamo fotografati documentando la salita del Gasherbrum IV. Qualcuno mi ha chiesto perché io non sia mai stato attratto dal film, dalla cinepresa. In realtà allora c erano i Super 8 ma li ho provati senza metterci lo stesso impegno e amore che avevo per la fotografia, e questo perché ho un sincero rigetto per il film. La fotografia, l immagine ferma, ti fa sognare mentre invece il cinema ha la presunzione di raccontare tutto, di fare lui il discorso. Il successo non viene mai perdonato. Vuoi per invidia, vuoi per altro, non viene sopportato l uomo che fa delle cose, e se inoltre le fa in un certo modo, dà fastidio perché mette l interlocutore in condizione di misurarsi con chi le fa. Quindi è meglio tagliargli le gambe. Forse è un po duro quanto affermo, ma credo che sia proprio vero Cuneo, 9 aprile 2009
6 18 Cristina Castagna El grio Ce la ricordiamo bene, El grio. La piccola Cristina Castagna, che intervistammo nel gennaio del 2009 al rifugio Piccole Dolomiti alla Guardia, sopra la frazione di San Quirico nel comune di Valdagno, dove abitava con la sua famiglia. Una ragazza solare, dinamicissima per questo suo papà l aveva soprannominata El grio, il grillo, per il suo continuo agitarsi che ci aveva raccontato molto di sé, delle sue passioni, dei suoi sogni. Per riprenderla con le sue montagne alle spalle l avevamo fatta salire su una cassetta per la frutta e ne aveva riso molto. Poi, davanti a punch fumanti, a un tavolino del rifugio, la chiacchierata era proseguita e ci aveva anticipato l idea della prossima salita sul Broad Peak, tra Cina e Pakistan, dodicesima vetta tra gli Ottomila del mondo. Così, la terribile notizia della sua scomparsa su quella montagna, in redazione ci ha molto rattristati: Cristina stava scendendo con il suo compagno Giampaolo Casarotto quand è scivolata finendo in un crepaccio. Era il 18 luglio del 2009, Cristina aveva 32 anni. Il suo corpo è rimasto lassù, come aveva chiesto lei. Il vicentino Tarcisio Bellò le ha dedicato una cima nell Hindu Kush. Mi chiamano El grio perché salto sempre, non sto mai ferma e quindi mio papà fin da piccola mi ha soprannominata el grio, che nel nostro dialetto significa il grillo. E continuo a non stare ferma, a muovermi sempre. La mia passione per la montagna è iniziata fin da giovane, anche perché sono nata vicino alle montagne e mio papà mi ha sempre portata in montagna. Poi ho cominciato ad andarci da sola, facevo spesso delle camminate e sono passata allo scialpinismo e via così. La montagna mi aiuta tanto perché mi rende più forte, più sicura anche nelle situazioni critiche. Io lavoro nel pronto soccorso dell ospedale di Vicenza dove ci sono spesso situazioni difficili e riesco a mantenere la calma, la lucidità, il sangue freddo grazie all allenamento in montagna. Mi alleno ogni giorno per andare in montagna, programmo i miei week end liberi per raggiungere i monti e le mie vacanze sono le spedizioni in montagna. Quindi posso dire che la montagna ha un ruolo fondamentale nella mia vita. Ultimamente ci sono più giovani di un tempo che si avvicinano alla montagna, forse perché hanno scoperto che dà delle grandi soddisfazioni e perché hanno visto che, facendo fatica, poi si è felici. Ed è una fortuna. Negli anni scorsi si era un po perso il valore della fatica, della bellezza di quello che abbiamo intorno, ed è un bene che si sia riscoperto. Forse i giovani sono
7 diventati più intelligenti, ci vedono un po di più: è una buona cosa, purché rispettino l ambiente. Per me la montagna non è assassina e non è cattiva: la montagna è la montagna. È lì. Se scendono le valanghe è perché è naturale che scendano, se succedono gli incidenti la montagna non ne ha colpa perché lei è lì da molti secoli prima di noi. Quindi ritengo che dare questi aggettivi alla montagna sia una cosa sbagliata. Capisco che a volte possa succedere: a me è capitato una volta quando sono tornata dal Dhaulagiri dopo che c era stato un incidente nel quale era morto un alpinista: così avevo detto che il Dhaulagiri era una montagna cattiva. Me l hanno fatto notare, ho riflettuto e ho detto: non è vero, la montagna non è cattiva. La montagna è la montagna. C è una frase di mio papà che mi piace tantissimo. Quando sono partita per un Ottomila mi ha detto: «Ricordati sempre che non è la montagna che deve adattarsi a te, sei tu che devi adattarti alla montagna». E quindi mai lamentarsi: felicità, dolore, vita, senza tante maschere. È questo quello che in fondo mi piace di più: con la montagna non puoi fingere, devi essere quello che sei. Quando sei lassù non è che si pensa tanto al paesaggio o ad altro: si pensa subito alla discesa perché è in discesa che succedono gli incidenti e quindi bisogna fare più attenzione. Succede così che quando arrivo a casa dalle spedizioni guardo i filmati, le fotografie e così mi rendo conto dei paesaggi, di quello che c era intorno alla vetta del Makalu e di altre montagne. Quando sono là proprio non mi accorgo di nulla perché l unico pensiero, in sostanza, è di riuscire ad arrivare in fondo. Lo diceva anche Kurt Diemberger: la cima non è tua finché non sei sceso a valle. Per me arrivare in cima al Makalu è stata una grande impresa: avevo provato il Lhotse, che è alto come il Makalu, ma non mi era andata bene e allora avevo il dubbio di non riuscire a oltrepassare la famosa soglia degli ottomila metri. Quindi per me arrivare in vetta, senza l uso dell ossigeno, è stata una sfida e una conquista tutta mia, personale. Nella spedizione eravamo in due, io e Giampaolo Casarotto, con il quale ho fatto il Dhaulagiri e sempre con lui farò la prossima spedizione. Diciamo che ci siamo trovati: è importante andare d accordo in montagna, trovare la giusta sintonia. Però lungo l anno non vado quasi mai in montagna con Giampaolo: ci ritroviamo solamente per le spedizioni e le organizziamo in due sere, a cena. C è davvero un feeling particolare. 19 Rifugio Piccole Dolomiti alla Guardia, 30 gennaio 2009
8 20 Fausto De Stefani Capelli lunghi e barba da profeta. Come un tempo, quando scalava con una bandana colorata sulla fronte. Solo qualche filo bianco tra la barba denuncia il passare degli anni. Per il resto Fausto De Stefani è rimasto uguale a vent anni fa. Nato ad Asola, in provincia di Mantova, nel 1952, vive a Castiglione delle Stiviere, dove lo abbiamo incontrato. Ha sognato le montagne fin da bambino, ascoltando i racconti di un vecchio barbone che girava tra le cascine della bassa mantovana. Tra il 1983 e il 1998 De Stefani ha scalato tutti i quattordici Ottomila della Terra, sempre senza ossigeno. Curiosamente, però, il suo nome non compare nei siti che riportano le classifiche ufficiali dei record himalayani. Colpa della poca voglia di venire a patti con i contabili degli Ottomila. In ogni caso Fausto non si è mai occupato della propria posizione in classifica. E preferisce definirsi ambientalista (è stato presidente dell associazione Mountain Wilderness, di cui fa tuttora parte) e naturalista, più che alpinista. Dedica tutto il proprio tempo libero all educazione ambientale dei bambini, tiene conferenze nelle scuole e, da anni, con l associazione Senza Frontiere, cura un complesso scolastico per ragazzi indigenti a Kirtipur, alla periferia orientale di Kahtmandu, in Nepal. Molte volte dico che, purtroppo, abbiamo quello che ci meritiamo. È triste dire questo, ma se noi abituiamo i bambini a mettere il gancio dello ski-lift sotto il sedere e farsi trasportare, senza fatica, convinti di aver risolto il problema, allora davvero abbiamo capito molto poco. Attraverso la fatica, una bella camminata in un bosco, una bella salita, usciamo più ricchi dentro. La montagna è l ultimo regno del silenzio, è un gran bel luogo per avventure, ma non intese banalmente come esperienze del no limits. No, è un avventura interiore. Noi dobbiamo crescere prima dentro di noi e poi possiamo anche aggrapparci ad una parete in montagna. Tutto quello che è natura il bosco, le rocce, le crode, i prati, ogni forma vivente fa parte del patrimonio dell intera umanità. I parchi non dovrebbero esistere se tutti quanti noi fossimo educati, responsabili: purtroppo non lo siamo e quindi è fondamentale che ci siano. Ma io vorrei che si creasse un armonia oltre il parco: non possiamo solamente proteggere una zona delimitata, ma tutto ciò che è ambiente. Dalla montagna arriva tutto, tutto quello che avviene in montagna si ripercuote inevitabilmente nella pianura, per cui basterebbe che scendesse dai ghiacciai un 10% di acqua in meno e noi della pianura saremmo tutti
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