Nove anni di follow-up con artroprotesi non cementata FIN

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1 G.I.O.T. 2000;26: Nove anni di follow-up con artroprotesi non cementata FIN Nine years of follow-up with cementless hip prosthesis R. Macchi G. Annaratone M. Gallino P. Salerno Divisione di Ortopedia e Traumatologia, Presidio Sanitario Gradenigo, C. Regina Margherita 8, Torino. Tel Fax Indirizzo per la corrispondenza: Roberto Macchi, via Casalis 8, Torino. RIASSUNTO Gli Autori riferiscono la loro esperienza nell impianto di una protesi d anca non cementata tipo FIN. Vengono presi in esame ed analizzati il materiale costruttivo, le caratteristiche strutturali sia del cotile sia dello stelo, i parametri che possono influenzare in senso positivo o negativo i risultati a medio e lungo termine di una protesizzazione d anca. Dal 1990 al 1999 sono stati trattati con questa metodica 902 pazienti applicando 928 cotili e 709 steli sia come primo impianto sia nelle revisioni. L analisi dei risultati del follow-up a nove anni permette di affermare l ottima stabilità primaria e secondaria dell impianto. Parole chiave: artroprotesi d anca non cementate, osteointegrazione, spot-welds, press-fit SUMMARY The Authors report on their experience of FIN Cementless Hip Prosthesis. The report concerns materials, structural characteristics of the acetabular cup and the stem; the parameters capability of interfering either positively or negatively with the medium-long of a total hip arthroplasty (T.H.A.). From 1990 to 1999, 902 patients have been performed with this method, implanting 928 acetabular cups and 709 stems both as first implant and revision. The analysis of the results of the follow-up after 9 years points out an excellent primary and secondary stability of the implant. Key words: cementless hip prosthesis, osteointegration, spot-welds, press-fit INTRODUZIONE Come predisse Charnley 1 2 oltre trenta anni fa l intervento di artroprotesi d anca è diventato ai giorni nostri una operazione di routine. Le indicazioni si sono ampliate, l età media dei pazienti da sottoporre ad intervento si è ridotta, le aspettative di vita notevolmente incrementate, creando al chirurgo una serie di problematiche talvolta di difficile soluzione. Gli scopi di una protesizzazione d anca sono quelli di ottenere un anca mobile, stabile, non dolente, che possa permettere al paziente di svolgere le proprie attività quotidiane senza particolari problemi; deve durare nel tempo, non andando incontro a fenomeni di usura ed intolleranza

2 Nove anni di follow-up con artroprotesi non cementata FIN Negli ultimi anni si sono avvicendate varie proposte filosofiche nella protesizzazione dell anca al fine di raggiungere questi scopi: protesi cementate, non cementate, ibride e con all interno di ogni gruppo una miriade di variabili 4 ; centinaia di modelli sono stati proposti con risultati però a volte non consoni alle aspettative. Risulta infatti ben evidente la diversità di approccio in situazioni patologiche differenti; una necrosi della testa del femore, gli esiti di una displasia d anca, una frattura di collo di femore, gli esiti di una osteotomia di bacino o di femore, un reimpianto d anca in seguito a mobilizzazione asettica di una protesi richiedono procedure che di volta in volta devono essere modificate e personalizzate. A nostro giudizio al fine di affrontare con serenità le difficoltà insite in ciascun intervento chirurgico dobbiamo poter disporre di una metodica precisa, affidabile ed estremamente adattabile alle varie situazioni patologiche a cui si dovrà cercare di porre rimedio. Lo scopo di questo lavoro è la revisione a distanza di nove anni di una serie omogenea di protesi d anca non cementate tipo FIN. MATERIALI E METODI Stelo FIN Attualmente in commercio esiste un elevato numero di modelli di steli protesici che si differenziano tra di loro per il tipo di materiale costruttivo, il disegno e la tecnica di stabilizzazione. Quest ampia panoramica fa senz altro pensare che non sia stato ancora assolutamente raggiunto un accordo ed una coesione di vedute su quale metodica sia da prediligere in relazione ai risultati che vorremmo raggiungere per soddisfare le aspettative dei nostri pazienti. Alcune prerogative sono però universalmente accettate. La compatibilità biologica, l affidabilità meccanica, la compatibilità dimensionale, la facile impiantabilità ed eventuale espiantabilità, la compatibilità funzionale rappresentano importanti specifiche che uno stelo femorale deve rispettare. La somma di tali prerogative deve portare al successo nel tempo dello stelo protesico mediante il raggiungimento di una fissazione biologica stabile nel tempo, una riduzione al minimo delle alterate sollecitazioni meccaniche a carico del femore responsabili della progressiva atrofia ossea, un controllo della produzione dei detriti da usura e del loro effetto biologico. Lo stelo FIN è realizzato mediante stampaggio a caldo di un pezzo preforgiato in lega di TI 6AL 4V di grado 5 ELI (Extra Low Interstitial), sottoposto successivamente a trattamenti termici di solubilizzazione ed invecchiamento e trattamenti superficiali di pallinatura e lucidatura, con rivestimento a livello metafisario di titanio puro TI- PORE 300. La lega titanio-alluminio-vanadio è caratterizzata da eccellenti proprietà chimico-fisiche quali l elevata leggerezza, la notevole resistenza meccanica, al calore ed alla fatica, l ottima resistenza alla corrosione 5, la massima biocompatibilità, atossicità e stabilità nei tessuti umani. Altra caratteristica basilare è quella di possedere un basso modulo elastico rispetto ad altri materiali impiegati in campo medico, in modo da opporsi alla formazione di stress-shielding con conseguente atrofia ossea da non carico. Il rivestimento superficiale in TI-PORE 300 è caratterizzato da una bassa temperatura di applicazione sotto vuoto, da un elevato ancoraggio senza determinare variazioni della resistenza meccanica del materiale di base, una elevata rugosità con porosità aperte di microns, un elevata stabilità del rivestimento stesso. Come si evidenzia dai disegni tecnici (Fig. 1) la parte prossimale dello stelo è rivestita in TI-PORE 300, la parte centrale è caratterizzata da un trattamento superficiale al corindone, mentre la parte distale presenta una ridotta porosità grazie alla finitura superficiale ottenuta attraverso glass-bead. Tali caratteristiche del rivestimento,oltre a favorire la sta- Fig. 1. Disegno tecnico dello stelo FIN. 128

3 R. Macchi, G. Annaratone, M. Gallino, P. Salerno Fig. 2. Controllo radiologico di artroprotesi FIN. bilizzazione secondaria tramite bone-ingrowth, permettono una ottimale distribuzione dei carichi a livello metadiafisario. Lo stelo è retto per ottenere un facile inserimento ed efficace ancoraggio osseo. Presenta un angolo cervico-diafisario di 135 che permette di rispettare l OFF-SET, cioè la distanza del centro della testa femorale dall asse dello stelo in modo da consentire una corretta meccanica articolare. Presenta una simmetria geometrica nel piano frontale (Fig. 2), mentre il disegno subisce delle modificazioni in senso prossimo-distale. La parte prossimale è caratterizzata da una forma a cuneo con angoli arrotondati e lato maggiore verso il gran trocantere per ottenere, tramite un accurata preparazione con frese, una fissazione a press-fit. È inoltre dotato di una pinna dorsale ad incastro nel trocantere per aumentare la stabilità rotatoria e di un piccolo colletto di appoggio sul calcar per garantire la stabilità assiale, caricare l osso riducendo l effetto da stressshielding e prevenirne il riassorbimento con conseguente atrofia ossea. Il colletto inoltre limita la migrazione di detriti del polietilene lungo l interfaccia osso-protesi, diminuendo la comparsa di fenomeni di osteolisi periprotesici. Sono inoltre presenti linee di normalizzazione longitudinali per permettere lo scarico fisiologico degli stress. La parte centrale della protesi, quella trattata al corindone, permette una uniformazione degli stress trasferiti all osso dalla zona prossimale a quella distale. La forma della parte distale dello stelo è anche qui a cuneo e rastremata in modo da evitare il contatto con le pareti corticali del femore. Questo accorgimento dovrebbe impedire la formazione di tessuto fibroso che determina un insufficiente stabilizzazione della protesi e dovrebbe inoltre limitare l ipertrofia corticale distale, causa di dolore localizzato al femore. Le scanalature presenti, simmetriche anch esse rispetto al piano frontale, riducono la rigidità della protesi in questa zona, in modo da evitare un trasferimento eccessivo dei carichi, migliorando al contempo la stabilità primaria. Per l accoppiamento con il cotile (Fig. 3) sono disponibili testine in bioceramica del diametro di 28 e 32 mm con collo corto, medio e lungo con caratteristiche di minimo attrito ed usura. Lo strumentario chirurgico appare notevolmente sicuro e semplificato, consiste in uno osteotomo a doppia lama per creare l alloggiamento della pinna nel gran trocantere, una serie di alesatori conici di diametro crescente con punta smussa per evitare false strade, una serie di raspe di dimensioni progressive, una fresetta per il collo ed un introduttore ed estrattore dello stelo. Lo stelo viene commercializzato in sette taglie crescenti da 8 a 15 mm con lunghezza proporzionale al diametro per poter ottimizzare e personalizzare l impianto alle variazioni morfologiche del femore. Dall analisi del design e delle caratteristiche costruttive dello stelo FIN, ci sembra di poter dedurre alcune considerazioni importanti sulla validità dell impianto. La forma retta dello stelo facilita la preparazione chirurgica accurata dell osso spugnoso nella regione trocanterica e metafisaria indipendentemente dalla morfologia soggettiva del canale femorale e permette inoltre l inserimento della protesi con forze dirette lungo l asse principale del femore, ottenendo un press-fit ottimale

4 Nove anni di follow-up con artroprotesi non cementata FIN Fig. 3. Accoppiamento stelo-acetabolo. La forma a cuneo con angoli smussi dello stelo permette una stabilizzazione primaria in sede metafisaria, prerogativa indispensabile per ridurre al minimo i movimenti reciproci tra osso ed impianto e favorire in tal modo i processi di osteointegrazione e conseguente stabilizzazione secondaria biologica. La presenza del colletto, della pinna dorsale e la forma a cuneo impediscono i micromovimenti in senso assiale, torsionale e medio-laterale, indirizzando la risposta endostale verso la riparazione con formazione di osso di tipo membranoso e non encondrale. Non essendo una protesi anatomica difficilmente si potrà ottenere un fill prossimale esasperato, ma questo non è indispensabile da quanto esposto precedentemente: è infatti la ricerca di un fit ottimale l obbiettivo da raggiungere utilizzando lo stelo FIN. Il rivestimento metafisario in TI-PORE oltre a contribuire a ridurre nelle prime settimane d impianto i micromovimenti, consente un ancoraggio meccanico e biologico tra osso e protesi senza interposizione di tessuto fibroso. Le caratteristiche costruttive dello stelo FIN dovrebbero inoltre proteggere l impianto da un altro fenomeno preoccupante: quello legato allo stress-shielding che può determinare la mobilizzazione secondaria dell impianto, la rottura da fatica della protesi e la perdita di bone-stock femorale, rendendo difficoltosi eventuali interventi di reimpianto. Il basso modulo elastico della lega di titanio, alluminio e vanadio, la forma particolarmente rastremata dello stelo, la stabilizzazione prevalente a livello metafisario, la presenza di scanalature per ridurre la rigidità della protesi, permettono un ottimale distribuzione dei carichi nell osso, evitando che questo vada incontro ad atrofia a causa della schermatura di carico determinata dalla differenza di rigidità tra osso e protesi. Tutte queste prerogative costruttive ci hanno permesso di ottenere dei risultati statisticamente validi. In pochi casi, infatti, si sono evidenziate alterazioni ossee tali da far presumere un progressivo decadimento dell impianto. Sappiamo infatti che, sia l atrofia ossea sia l ipertrofia corticale, sono fattori che, se presenti, possono negli anni invalidare i buoni risultati iniziali. Fortunatamente nella revisione dei nostri pazienti queste situazioni sono state riscontrate in una piccola percentuale di casi. Anche in pochi casi si sono notate linee di addensamento periprotesiche o formazione di camere osteosclerotiche o lesioni tipo pedestal. Fig. 4. Formazione di spot-welds a livello meta-diafisario. 130

5 R. Macchi, G. Annaratone, M. Gallino, P. Salerno Al contrario abbiamo riscontrato in moltissimi casi la formazione di spot-welds (Fig. 4) che stanno ad indicare il raggiungimento di una stabilizzazione sia primaria sia secondaria con osteointegrazione ottimale della protesi 7 8. Un discorso a parte invece merita il riscontro di osteolisi periprotesiche. Tale fenomeno, comune peraltro ad ogni tipo di impianto, è stato da noi riscontrato in una discreta percentuale di casi ed è determinato dalla formazione di detriti da usura dei materiali. Tali lesioni, quando sono di piccole dimensioni, non hanno una rilevanza clinica essendo asintomatiche, ma con il passare del tempo ingrandendosi possono portare alla mobilizzazione dello stelo. La produzione di detriti metallici e polietilenici può verificarsi a livello dell acetabolo e dello stelo femorale per attrito tra i vari componenti della protesi. Dalle zone di formazione questi detriti per caduta raggiungono sia la zona metafisaria ove possono produrre aree di osteolisi 9 10 specialmente localizzate a livello del calcar, sia la zona diafisaria per diffusione lungo l interfaccia fibrosa osso protesi, dando origine ad osteolisi focali. La stabilizzazione primaria dello stelo con successivo bone-ingrowth, senza interposizione di tessuto fibroso tra osso e protesi, è senz altro un requisito fondamentale nella prevenzione di queste lesioni 11. Negli anni a venire il problema che dovrà esser risolto è quello legato alla prevenzione ed al controllo della produzione dei detriti da usura, che a nostro giudizio, sono la causa principale della quasi totalità dei fallimenti di impianti protesici. Cotile FIN Dall analisi dei risultati clinici da noi riportati riteniamo che al momento attuale il cotile emisferico a press-fit sia la scelta tecnica di riferimento nella protesizzazione acetabolare. Il materiale di costruzione, il metodo di fissazione, le caratteristiche costruttive, la tecnica operatoria di impianto rappresentano i fattori fondamentali che possono influenzare in senso più o meno positivo i risultati della sostituzione cotiloidea. Il cotile FIN è realizzato in una lega di TI 6AL 4V di grado 5 ELI con rivestimento sul lato convesso di titanio puro TI-PORE 300. Questo tipo di rivestimento conferisce alla superficie così ottenuta due caratteristiche importanti; la prima è quella di aumentare subito l attrito tra osso ed impianto favorendo la presa e contribuendo alla stabilità iniziale, la seconda è quella di favorire, tramite l integrazione ossea, la stabilizzazione secondaria biologica. La forma è emisferica per ottenere una fissazione primaria basata sull incastro a compressione in una cavità acetabolare perfettamente preparata con frese di diametro leggermente inferiore a quello della cup destinata ad essere accolta. Grazie all elasticità ossea il press-fit che si ottiene in questo modo è determinato da uno stato di precarico tra osso e impianto che risulta massimale sul bordo acetabolare, con scarico della parete mediale del cotile. Con l inizio della deambulazione si ottiene un ulteriore stabilizzazione del cotile a press-fit trasferendo ulteriori forze compressive radiali superiormente ed inferiormente in zona 1 e 3 di Delee e Charnley 12. La forma emisferica del cotile permette inoltre di ottenere un ampia zona di contatto con l osso subcondrale, requisito indispensabile per una ottimale osteointegrazione (Fig. 5) e stabilizzazione secondaria biologica. Come si evidenzia dal disegno tecnico il cotile è dotato di tre pinne sporgenti posizionate cranialmente a 0 ± 70 che garantiscono un ulteriore stabilizzazione primaria evitando possibili dislocazioni rotatorie (Fig. 6). Presenta inoltre un foro polare ed una corona sinusoidale equatoriale per il fissaggio dell inserto in polietilene, che può essere ruotato con scatti di 20 per variare il settore di copertura della testa in caso di utilizzo di spalletta. Cinque fori posizionati nello stesso settore delle pinne, permettono di stabilizzare ulteriormente il cotile con viti del diametro di 5 mm. Fig. 5. Osteointegrazione ottimale a livello acetabolare. 131

6 Nove anni di follow-up con artroprotesi non cementata FIN Fig. 6. Disegno tecnico del cotile. Sia il press-fit sia questi sistemi di stabilizzazione primaria aggiuntivi ci permettono l utilizzazione del cotile emisferico anche in situazioni di scarsa copertura dell acetabolo od in interventi di revisione cotiloidea in associazione a trapianti ossei massivi, strutturali o parcellizzati. Nel cotile in titanio viene alloggiato un inserto in polietilene di peso molecolare ultraelevato con basso coefficiente di attrito superficiale ed elevata stabilità chimica. L inserto è disponibile in tre profili con spalletta di di copertura con diametro interno di 28 o 32 mm; il centro di rotazione resta fisso indipendentemente dalla sporgenza della spalletta, mentre varia cranialmente il punto di contatto con la testina. Abitualmente noi usiamo l inserto di polietilene con spalletta +5 ed interno del diametro di 28 mm. L utilizzo della spalletta con copertura +5 ci ha permesso di ridurre il numero di lussazioni della protesi nel postoperatorio (solo dieci casi su 928 impianti) senza d altro canto crearci dei problemi di impingement con lo stelo protesico o particolari problemi legati ad una eccessiva produzione di detriti del polietilene. Il cotile FIN viene prodotto in 11 taglie con diametro interno dal 44 al 64. Lo strumentario di applicazione risulta notevolmente semplificato, consistendo in frese acetabolari emisferiche di diametro crescente, un posizionatore ed impattatore del cotile, un posizionatore ed impattatore per l inserto in polietilene. Per quanto riguarda la tecnica operatoria si richiedono alcuni passaggi essenziali, da cui dipende la qualità dei risultati. Il concetto base è quello dell inserimento a press-fit con necessità di completa esposizione del bordo della cavità acetabolare per permettere un corretto orientamento dell impianto e la scelta appropriata della taglia del cotile da inserire. L alesaggio della cavità acetabolare deve essere eseguito in modo preciso, ottenendo una superficie il più possibile regolare e speculare con quella del cotile che si dovrà impiantare. Si dovrà sotto-alesare la cavità acetabolare di 1-2 mm rispetto alla taglia definitiva dell impianto, cercando di ottimizzare ed ampliare il più possibile la superficie di contatto tra osso e protesi. Massima cura ed attenzione dovrà essere posta nell asportazione della cartilagine sino a raggiungere l osso subcondrale in modo da non intaccare il patrimonio osseo del paziente. Sicuramente il rispetto del bone-stock è il principale fattore di prevenzione di migrazioni secondarie. In caso di una displasia congenita d anca di lieve entità si procederà alla fresatura dell acetabolo in modo da scavare una cavità il più possibile regolare per accogliere il cotile emisferico. In caso di displasie gravi o di reimpianti di acetabolo ricorriamo ad innesti ossei autologhi od omologhi sia massivi o strutturali sia parcellizzati.i trapianti vengono inseriti nella cavità acetabolare e stabilizzati provvisoriamente con fili di Kirschner, cercando di ottenere la miglior congruenza e massima superficie d appoggio tra osso ospite e trapianto. Si procede quindi alla fresatura, l interstizio eventualmente creatosi tra un trapianto e l altro viene stipato con bone-chips o pappa d osso. Si applica quindi il cotile a pressione stabilizzandolo ulteriormente con viti. L impianto della componente acetabolare dovrà rispettare o ripristinare il centro di rotazione dell anca, diminuendo in questo modo l incidenza di mobilizzazioni sia della componente femorale sia di quella acetabolare. Ai fini di una corretta distribuzione delle forze di carico la protesi acetabolare dovrà essere orientata con una inclinazione sul piano frontale di circa ed una antiversione di Nel caso di utilizzo di viti di stabilizzazione ulteriore, queste dovranno essere inserite nel quadrante superoanteriore della cavità acetabolare. È infatti questa la zona con maggior spessore osseo ove si può ottenere una sintesi stabile, minimi sono i rischi di una complicanza vascolo-nervosa e maggiori invece sono le possibilità di una osteointegrazione, in quanto i movimenti tra osso e impianto sono estremamente ridotti. 132

7 R. Macchi, G. Annaratone, M. Gallino, P. Salerno RISULTATI Dal 1990 al 1999 abbiamo trattato con il sistema FIN 902 pazienti (563 femmine, 339 maschi) di età compresa tra i 26 anni e gli 87 anni, applicando 928 cotili e 709 steli. I pazienti risultavano affetti in 774 casi da coxartrosi, in 36 da esiti di DCA, in 30 da artrite reumatoide, in 35 da osteonecrosi idiopatica della testa del femore e in 29 da fratture mediali del collo del femore. Sono stati inoltre eseguiti 46 interventi di reimpianto di protesi per mobilizzazione asettica, in 29 casi sostituendo la sola componente acetabolare, in 15 stelo e cotile, in 2 casi unicamente lo stelo femorale. Sono andati persi al follow-up 131 pazienti. I pazienti sono stati rivisti a 3 mesi dall intervento ed indi a cadenza annuale con esecuzione di RX di controllo. Il follow-up massimo risulta essere di nove anni, minimo di tre mesi, medio di quattro anni e nove mesi. I pazienti rivisti sono stati 771 e valutati secondo l hip rating di Pipino e Molfetta 13 che prende in considerazione i parametri dolore, movimento e deambulazione oltre ad una valutazione soggettiva del paziente stesso sul risultato ottenuto. Abbiamo riportato risultati ottimi e buoni nel 92% dei casi, discreti nel 7% e cattivi nel 1%. Dal punto di vista radiografico abbiamo riscontrato aree di ipertrofia corticale del femore e linee periprotesiche di addensamento rispettivamente nel 1% e 2%. Con una frequenza dell 11% abbiamo notato aree di osteolisi femorali periprotesiche specialmente in zona VII, II e VI di Gruen 14. Calcificazioni eterotopiche di grado II e III di Brooker 15 sono state riscontrate nel 10% dei casi. In nessun caso abbiamo riscontrato aree di radiolucenza a livello acetabolare, mentre nel 90% dei casi si è evidenziata la presenza di spot-welds. Per quanto riguarda le complicanze abbiamo riportato 4 fratture intraoperatorie 2 di femore e 2 di acetabolo. Nel post-operatorio si sono verificate 10 lussazioni della protesi, sempre ridotte incruentemente. In un caso si è verificata la rottura della testina in ceramica dopo un anno dal suo impianto. In 4 casi si è verificata la mobilizzazione dell acetabolo, dovuta a cattiva stabilizzazione primaria, a cui si è posto rimedio con applicazione di un cotile di diametro maggiore, stabilizzato prudenzialmente con viti. Si sono verificate 4 embolie polmonari con 2 decessi, 3 ictus cerebrali con conseguente emiparesi e 5 tromboflebiti profonde. Abbiamo avuto 5 complicazioni nervose, 3 paralisi dello sciatico popliteo esterno e 2 del nervo femorale. Abbiamo riportato 4 infezioni superficiali, 2 in pazienti diabetici, fortunatamente risolte con mirata terapia antibiotica. DISCUSSIONE Lo scopo prefissato della protesizzazione totale d anca è di abolire il dolore, recuperare la motilità e ripristinare il centro di rotazione dell anca, l impianto deve inoltre offrire garanzie di una lunga durata nel tempo. La tecnica dell impianto deve consentire un intervento rapido ed il più possibile privo di variabili onde mettere il chirurgo nelle condizioni ideali per operare con sicurezza e senza imprevisti. Appare dalla nostra casistica che la protesi FIN, sia per quanto riguarda la componente acetabolare sia per quella femorale, associ caratteristiche di semplice impiantabilità legate alla geometria dello stelo e del cotile, ad una tecnica standardizzata. Lo stelo retto realizza una stabilità prevalentemente metafisaria, il basso modulo elastico ed il tipo di rivestimento consentono di evitare fenomeni di stress-shielding. Il cotile emisferico permette un appoggio su un ampia superficie ossea ed il suo impianto a press-fit consente in genere di evitare l uso di ulteriori mezzi di stabilizzazione primaria La buona fissazione immediata consente una precoce riabilitazione e ripresa del carico, che sono essenziali per il ripristino funzionale e per lo stimolo biomeccanico alla neoformazione ossea. Questi fattori hanno reso possibile un valido recupero funzionale dei pazienti operati, associato ad un buon risultato nella valutazione soggettiva ed obbiettiva. I controlli radiologici a distanza permettono di prevedere un ottima durata dell impianto, validamente incorporato nell osso in assenza di segni di mobilizzazione od intolleranza. 133

8 Nove anni di follow-up con artroprotesi non cementata FIN BIBLIOGRAFIA 1 Charnley J. The long term results of low-friction arthroplasty of the hip performed as a primary intervention. J Bone Joint Surg 1972;54B:61. 2 Charnley J, Cupiz Z. The nine and ten year results of the low friction arthroplasty of the hip. Clinical Orthopaedics 1973;95:9. 3 Rabiscong P, Bonnel P, Ooshihi H, Asceda P, Micoleff JP. Comportement biomechanique du bassin à l état normal et avec la prothese. Revue Chir Orthop 1977;63:95. 4 Wixon RL, Stulberg SD, Mehlhoff M. Total hip replacement with cemented, uncemented, and hybrid prostheses. A comparison of clinical and radiographic results at two to four years. J Bone Joint Surg 1991;73A: Rae T. The toxicity of metals used in orthopaedic prostheses. An experimental study using cultured human synovial fibroblast. J Bone Joint Surg 1981;63B: Walker PS, Schneewies D, Murphy S, Nelson P. Strains and micromotions of press-fit femoral stem prostheses. Journal of Biomechanics 1987;20: Pipino F. Interazione osso-protesi. GIOT 1994;20(Suppl. 1): Pipino F. L osteogenesi nelle protesi: introduzione. GIOT 1986;12:55. 9 Lee AJC, Salvati EA, Betts F, Di Carlo EF, Doty SB, Bullough PG. Size of metallic and polyethylene debris particles in failed cemented total hip replacements. J Bone Joint Surg 1992;74B: Schmalzried TP, Jasty M, Harris WH. Periprosthetic bone loss in total hip arthroplasty. Polyethilene wear debris and the concept of the effective joint space. J Bone Joint Surg 1992;74A: Molfetta L. La reazione dell osso ai biomateriali nelle protesi d anca. Med J Surg Med 1993;1: Delee JG, Charnley J. Radiological demarcation of cemented sockets in total hip replacement. Clinical Orthopaedics 1976;121: Pipino F, Molfetta L. Criteri di valutazione clinica dei pazienti con artroprotesi d anca. Min Ortop Traumat 1991;42: Gruen TA, McNeice GM, Amstutz HC. Modes of failure of cemented stem-type femoral components. A radiographic analysis of losening. Clinical Orthopaedics 1979;141: Brooker AF, Bowerman JW, Robinson RA, Riley LH. Ectopic ossification following total hip replacement: incidence and a method of classification. J Bone Joint Surg 1973;55A: De Palma L, Specchia N, Mannarini N, Gigante A, Greco F. Gli effetti indotti sul rimodellamento osseo dalla variazione della sollecitazione meccanica. Il punto su: il rimodellamento osseo. Firenze: O.I.C. Medical Press Galante JO, Jacobs J. Clinical performances of ingrowth surfaces. Clinical Orthopaedics 1992;276:

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