GIURISPRUDENZA SUL D.P.R. 737/1981 Regolamento di disciplina ( Corte Costituzionale )

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1 GIURISPRUDENZA SUL D.P.R. 737/1981 Regolamento di disciplina ( Corte Costituzionale ) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, nella parte in cui consente al dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amministrazione medesima, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.. Corte cost., 30 maggio 2008, n. 182 In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui consente al dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amministrazione medesima, va disattesa l'eccezione di inammissibilità per insufficiente motivazione sulla rilevanza. Il rimettente ha, infatti, indicato in modo sufficiente le ragioni per le quali ritiene di dover fare applicazione della norma censurata nella fattispecie oggetto del giudizio principale. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui consente al dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amministrazione medesima. Premesso che il diritto di difesa non ha una applicazione piena, nell'ambito dei procedimenti amministrativi, non può essere considerata manifestamente irragionevole la decisione del legislatore di consentire che l'accusato ricorra ad un difensore, ma di limitare, in considerazione della funzione svolta (tutela dell'ordine pubblico), la sua scelta ai dipendenti della stessa amministrazione, sicché la mancata previsione, nella norma censurata, della possibilità di nominare quale difensore un avvocato, "anche se il legislatore potrebbe nella sua discrezionalità prevederla seguendo un modello di più elevata garanzia", non viola né il diritto di difesa, né il principio di ragionevolezza, considerato che la stessa norma consente all'inquisito di partecipare al procedimento e di difendere le proprie ragioni. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, censurato, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui consente al dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amministrazione medesima. Premesso che l'esercizio della funzione disciplinare nell'ambito del pubblico impiego, della magistratura e delle libere professioni si esprime con modalità diverse che caratterizzano i relativi procedimenti a volte come amministrativi, altre volte come giurisdizionali, in rispondenza a scelte del legislatore, non sussiste la denunciata disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati, in considerazione della riconosciuta natura giurisdizionale del

2 procedimento nei confronti di questi ultimi, né rispetto alla disciplina del procedimento a carico degli impiegati civili dello Stato, né con quella prevista per il personale del Corpo di polizia penitenziaria dall'art. 16 del D.Lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, attesa la disomogeneità delle categorie poste a confronto, caratterizzate da assetti ordinamentali molto diversi. Corte cost., 30 maggio 2008, n. 182 E' infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia (Sezione staccata di Catania) con l'ordinanza in epigrafe. La nuova normativa posta dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19, secondo la quale il pubblico dipendente può essere destituito, a seguito di condanna penale, soltanto all'esito del procedimento disciplinare, sostituisce integralmente quelle precedenti - molte delle quali riconosciute illegittime dalla Corte Costituzionale - sorrette dalla "ratio" dell'automatismo destitutivo. Per effetto della espressa abrogazione, dalla sua entrata in vigore, di ogni contraria disposizione di legge (art. 9, primo comma) essa si applica sia alle posizioni, già definite con il provvedimento destitutivo, per cui l'amministrazione, a seguito di domanda di riammissione in servizio, abbia provveduto, ai sensi dell'art. 10, all'apertura di un nuovo procedimento disciplinare, sia alle posizioni rispetto alle quali il procedimento disciplinare è in corso, sia a quelle, infine, caratterizzate dall'inflizione della destituzione, contro la quale sia stata esperita impugnativa e il relativo giudizio sia ancora pendente. È dunque irrilevante (vedi massima A) la questione di legittimità costituzionale che in un giudizio vertente (come nel caso di specie) su tale impugnativa, sia stata sollevata (anche se prima dell'entrata in vigore della nuova legge) nei confronti della previgente disposizione che prevedeva la destituzione di diritto dell'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della Pubblica Sicurezza a seguito di condanna penale comportante l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici. (Inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, primo comma, lett. b), sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.). è inammissibile, perché irrilevante in relazione alla nuova disciplina compiutamente dettata dagli art. 9 e 10 l. 7 febbraio 1990 n. 19, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, 1 comma, lett. b), d.p.r. 25 ottobre 1981 n. 737, nella parte in cui regola la destituzione di diritto del dipendente della polizia di stato che, a seguito di condanna penale, fosse stato interdetto dai pubblici uffici. L'art. 10, 2 e 3 comma, l. 7 febbraio 1990, n. 19 è applicabile anche nel caso in cui il provvedimento di destituzione di diritto sia stato impugnato in sede giurisdizionale e il giudizio sia pendente; pertanto, è inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, 1 comma, lett. b), d. p. r. 25 ottobre 1981, n. 737 (sanzioni disciplinari per il personale dell'amministrazione

3 di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) sollevata per preteso contrasto con l'art. 3 cost., nella parte in cui commina la destituzione di diritto del dipendente appartenente ai ruoli della pubblica sicurezza che a seguito di condanna penale fosse stato interdetto, anche temporaneamente, dai pubblici uffici, sollevata nel corso di un giudizio amministrativo avente per oggetto l'impugnativa del provvedimento di destituzione. Corte cost. (Ord.), 31 luglio 1990, n. 403 è stata sollevata, in riferimento all'art. 3 cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, lett. b), d. p. r. 25 ottobre 1981, n. 737, nella parte in cui prevede la destituzione di diritto a seguito di condanna penale che comporti l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici; ma, successivamente è stata promulgata la l. 7 febbraio 1990, n. 19, la quale all'art. 10 dispone che i pubblici dipendenti destituiti di diritto anteriormente alla sua entrata in vigore, a domanda, sono riammessi in servizio, ove ad essi non venga inflitta la sanzione della destituzione in sede di procedimento disciplinare da promuoversi entro novanta giorni dalla domanda di riammissione; si rende necessario, pertanto, il riesame della rilevanza da parte del giudice a quo, della questione promossa alla stregua dello ius superveniens. Sono illegittimi, per violazione dell'art. 3 cost., l'art. 85, lett. a), d. p. r. 10 gennaio 1957, n. 3 e l'art. 236, d. l. p. reg. sic. 29 ottobre 1955, n. 6, nella parte in cui non prevedono, in luogo della destituzione di diritto dei dipendenti dello stato e dei dipendenti degli enti locali della regione siciliana condannati per i reati ivi elencati, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare; conseguentemente, in base all'art. 27, l. 11 marzo 1953, n. 87, devono essere dichiarati illegittimi negli stessi termini: l'art. 247, r. d. 3 marzo 1934, n. 383, nel testo sostituito con l. 27 giugno 1942, n. 851, l'art. 66, lett. a), d. p. r. 15 dicembre 1959, n. 1229, l'art. 1, 2 comma, l. 13 maggio 1975, n. 157, l'art. 57, lett. a), d. p. r. 20 dicembre 1979, n. 761, l'art. 8, lett. a), d. p. r. 25 ottobre 1981, n Gli art. 247, t. u. 3 marzo 1934, n. 383, modificato, 66, lett. a), d. p. r. 15 dicembre 1959, n. 1229, 1, 2 comma, l. 13 maggio 1975, n. 157, 57, lett. a), d. p. r. 20 dicembre 1979, n. 761 e 8, lett. a), d. p. r. 25 ottobre 1981, n. 737, sono incostituzionali, per violazione degli art. 3, 4, 35 e 97 cost., nella parte in cui non prevedono, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto del condannato per taluni delitti specificamente indicati, fra cui il peculato, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare. La previsione della destituzione di diritto degli impiegati civili dello Stato e dei dipendenti degli enti locali della Sicilia a seguito di condanna per taluni delitti specificamente elencati, senza che attraverso il procedimento disciplinare sia possibile operare alcuna graduazione nella misura della sanzione in riferimento al caso concreto vulnera i principi della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), del buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.) e quelli fondamentali di ragionevolezza (art. 3 Cost.). Va, dunque, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 85 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, lettera a), e dell'art. 236 del D.P.Reg. 29 ottobre 1955, n. 6 della Regione Sicilia, nella parte in

4 cui, in luogo del mero provvedimento di destituzione di diritto, non prevedono l'esperimento del procedimento disciplinare, e, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 negli stessi termini, degli art. 247 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942, n. 851; art. 66 del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, lettera a); art. 1, secondo comma, della legge 13 maggio 1975, n. 157 (in relazione all'art. 85 del D.P.R. n. 3 del 1957, lettera a); art. 57 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, lettera a); art. 8 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, lettera c). Corte cost. (Ord.), 23 dicembre 1987, n. 589 L'osservanza della legge 1 aprile 1981, n. 121 (legge di delega), che genericamente prevede all'art. 70, n. 6, la destituzione di diritto del dipendente per "gravi delitti non colposi" va verificata non soltanto con riferimento alla singola ipotesi, contenuta nel censurato art. 8 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, comma primo, lett. a), dei "delitti previsti dalla legge sul nuovo ordinamento della P.S.", bensì nel contesto delle altre e svariate ipotesi delittuose elencate dalla disposizione stessa, la cui gravità, comunque, ai fini della prevista sanzione, implica scelte e valutazioni precluse alla Corte Costituzionale. (Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all'art. 76 Cost. in relazione alla legge 1 aprile 1981, n. 121 (legge di delega )- dell'art. 8 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, comma primo, lett. a), nella parte in cui, per il pubblico dipendente condannato per i delitti contemplati dall'ordinamento della P.S., prevede la sanzione disciplinare rigida della destituzione di diritto). Corte cost. (Ord.), 23 dicembre 1987, n. 589 La questione di legittimità costituzionale identica ad altra già dichiarata inammissibile va dichiarata manifestamente inammissibile quando non si ravvisino validi motivi o argomentazioni nuove, tali da indurre la Corte a modificare il proprio orientamento. (Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. - dell'art. 8 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, comma primo, lett. a), nella parte in cui, per il pubblico dipendente condannato per i delitti contemplati dall'ordinamento della P.S., prevede la sanzione disciplinare rigida della destituzione di diritto; questione già dichiarata inammissibile con sentenza n. 270 del 1986 e manifestamente inammissibile con ord. n. 187 del 1987 e ord. n. 248 del 1987). Corte cost. (Ord.), 23 dicembre 1987, n. 604 La questione di legittimità costituzionale va dichiarata manifestamente inammissibile quando il giudice "a quo", prospettando varie soluzioni per eliminare la dedotta illegittimità costituzionale, ometta di precisare il "petitum" e, per altro verso censuri una norma il cui contenuto si riconduce a scelte demandate al legislatore ordinario in quanto non necessariamente univoche né prive di margini di discrezionalità. (Manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento all'art. 27, comma secondo, Cost., all'art. 97, comma primo, Cost., all'art. 76 Cost. e all'art. 77, comma primo, Cost. - dell'art. 9 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e dell'art. 70 della legge 1 aprile 191, n. 121, n. 8, nella parte in cui, rispettivamente, l'uno dispone che l'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento penale per uno dei delitti indicati all'art. 8, deve essere sospeso e l'altro demanda al legislatore delegato la previsione dei casi di sospensione cautelare dalle funzioni in pendenza di procedimento penale senza ulteriore precisazione di criteri direttivi).

5 Corte cost. (Ord.), 23 dicembre 1987, n. 604 Sono manifestamente inammissibili, in quanto implicanti scelte non necessariamente univoche, né prive di margini di discrezionalità, come tali demandate al legislatore ordinario, e per non avere il giudice a quo precisato con esattezza il petitum, le questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 9 d. p. r. 25 ottobre 1981 n. 737, nella parte in cui dispone che l'appartenente ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento penale ancorché allo stadio iniziale e non caratterizzato dall'acquisizione di sufficienti elementi di colpevolezza a carico dell'imputato, per uno dei delitti indicati all'art. 8 della stessa legge, deve essere sospeso, in riferimento agli art. 27, 2 comma, e 97, 1 comma, cost.: b) dell'art. 70, n. 8, l. 1 aprile 1981 n. 121, nella parte in cui demanda al legislatore delegato la previsione dei casi di sospensione cautelare dalle funzioni in pendenza di procedimento penale, senza ulteriore precisazione di criteri direttivi al riguardo e dell'art. 9 d. p. r. 25 ottobre 1981 n. 737, nella parte in cui ha dato attuazione a tale delega, in riferimento agli art. 76 e 77, 1 comma, cost. Corte cost., 19 dicembre 1986, n. 270 È inammissibile la questione di legittimità costituzionale - sollevata in relazione agli artt. 3, 24, 97, 113 Cost. ed altresì agli artt. 4 e 35 Cost. - dell'art. 85 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; dell'art. 41 della L. 5 marzo 1961, n. 90; dell'art. 8, primo comma, lett. b), del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737; nonché dell'art. 247 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942, n. 851 e dell'art. 57, lett. a), del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, i quali sanciscono la destituzione di diritto dall'impiego per il dipendente pubblico che sia stato condannato per determinati reati o che abbia subito condanna implicante l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Anche in campo amministrativo, infatti, si configura l'esigenza di adottare criteri normativi idonei alla commisurazione delle misure sanzionatorie, in dipendenza di irrevocabile condanna penale, con conseguente necessità di distinguere, da caso a caso, ma al raggiungimento di tale scopo di riequilibrio normativo e di razionalizzazione del sistema, è chiamato il solo legislatore mediante l'apprestamento di omogenei e ben identificati rimedi esaustivi, secondo principi già nei termini essenziali dettati dalla legge quadro sul pubblico impiego (n. 93 del 1983: artt. 1; 2, n. 7; artt. 4; 22), auspicandosi al riguardo, che lo stesso proceda anche all'attento riesame dei valori oggetto di tutela. Corte cost., 19 dicembre 1986, n. 270 è inammissibile, poiché travalica le competenze della corte costituzionale, comportando scelte politiche che restano affidate al parlamento, la questione di costituzionalità concernente le norme che prevedono la destituzione di diritto del pubblico dipendente condannato con sentenza passata in giudicato per uno dei reati specificati nelle norme stesse.

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