La Croazia e la Bosnia-Erzegovina furono pertanto sconvolte da un feroce conflitto etnico, particolarmente efferato in Bosnia, per la sua singolare

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1 Il silenzio dell indifferenza Macerie di una guerra umanitaria Valentina Urru Liceo Scientifico Ghilarza Classe 5ªC Anno Scolastico 2010/2011

2 Introduzione Arretratezza economica e civile, questioni etniche complesse, conflitti religiosi di popolazioni rimaste pressoché escluse dalle correnti culturali europee facevano sfociare nella tragedia di una guerra la transizione che si apriva in Jugoslavia. Lo stato era giovane, nato dopo la Prima guerra mondiale per decisione delle potenze vincitrici, con tutti i difetti di un operazione a tavolino. Erano state messe insieme nazionalità ed etnie che ben poco avevano in comune l una con l altra, ma erano anzi divise da rivalità secolari e da odi religiosi profondi. I segnali di un ribollire di conflitti si erano manifestati già durante la Seconda guerra mondiale, quando lo schierarsi a favore o contro l occupazione tedesca e italiana aveva spesso connotati etnici e di guerra civile tra le fazioni in lotta. In qualche misura il comunismo aveva fatto da collante e il regime dittatoriale di Tito, un leader molto popolare, era riuscito ad assicurare una coesistenza pacifica per quasi cinquant anni nello Stato federale. Il crollo del sistema comunista però riapriva il capitolo: riaffioravano le istanze nazionali della Slovenia, della Croazia, della Bosnia- Erzegovina, della Vojvodina, del Montenegro, della Macedonia, del Kosovo, mentre la Serbia, pilastro della Jugoslavia comunista, appariva determinata a mantenere la propria egemonia su tutte le regioni. La Bosnia è stata la regione che più ha sofferto le aspirazioni nazionalistiche della Serbia e i musulmani bosniaci sono stati i più colpiti dai terribili massacri e dai feroci crimini compiuti dai cetnici e, in minor parte, anche dai croati. L aspetto più sconcertante di questa guerra è stato il fatto che a pagarne maggiormente le conseguenze è stata la popolazione civile, vittima di deportazioni, soprusi, torture, stupri, maltrattamenti di ogni genere. Dopo l Olocausto si è pensato che questo genere di cose non dovesse più accadere; invece è accaduto di nuovo in Europa, solamente una ventina di anni fa. 1

3 Premesse storiche Alla fine del XIX secolo, la maggior parte delle regioni balcaniche era controllata a nord dall Impero asburgico, a sud dall Impero Ottomano. Le due grandi potenze si contendevano i territori e le popolazioni erano sottomesse. Nel 1878 il problema delle nazionalità balcaniche sottomesse si aggravò con l occupazione austro-ungarica della Bosnia-Erzegovina, regione strappata all Impero ottomano in risposta alla creazione della Bulgaria filorussa. Il nuovo territorio, a prevalenza musulmana, era oggetto anche delle mire annessioniste dei serbi, a loro volta appoggiati dai russi; nel Congresso di Berlino di quell anno venne affidato in amministrazione temporanea all Austria- Ungheria, che l avrebbe ufficialmente annesso nel Con l allargamento in direzione della Penisola balcanica, la monarchia dualista avrebbe potuto forse trasformarsi in trialista ; paradossalmente questa soluzione era caldeggiata dall arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono imperiale, che sarebbe finito assassinato proprio per mano di un nazionalista serbo (l episodio, com è noto, accese la scintilla della Prima guerra mondiale). Gli slavi del sud, o jugoslavi, cioè serbi, croati e sloveni, lavoravano ormai per la nascita di un loro Stato e creavano al vecchio Impero asburgico problemi insolubili. Agli inizi del XX secolo la Grecia, la Romania e la Serbia si erano gradualmente emancipate dall Impero ottomano. Il Congresso di Berlino aveva riconosciuto ufficialmente la loro indipendenza, insieme a quella della Bulgaria; in seguito era nato anche il piccolo Montenegro. Ma i popoli della Penisola balcanica erano intimamente mescolati tra loro, e tracciando i confini della Bulgaria il Congresso di Berlino aveva fatto un lavoro estremamente arbitrario e soggetto a contestazioni. Le rivendicazioni territoriali fra gli Stati divennero continue, e portarono alla Prima guerra balcanica nell ottobre del Una coalizione appoggiata dalla Russia e formata da Bulgaria, Serbia, Grecia e Montenegro attaccò e sconfisse la Turchia, riducendola ai confini attuali nella Penisola balcanica. Ma i russi non avevano ottenuto quello a cui miravano da due secoli: il controllo degli stretti tra il mar Nero e l Egeo. Inoltre la Bulgaria riteneva di aver avuto troppo poco in relazione allo sforzo sostenuto. Nel giugno del 1913, sopravvalutando le proprie forze, attaccò la Serbia, che ottenne il sostegno di una coalizione formata da Romania, Grecia, Montenegro e Turchia. Era la Seconda guerra balcanica, e la Bulgaria ne uscì sconfitta. Durante la Seconda guerra mondiale, gli scontri tra etnie ripresero in Jugoslavia, dove durante il conflitto i croati (gli ustascia) erano passati dalla parte dei nazisti per liquidare antichi conti con i serbi e lo stesso avevano fatto gli albanesi: 3 milioni di serbi erano stati massacrati in questa orrenda pulizia etnica che faceva da sfondo alla spietata lotta partigiana combattuta sui monti e nelle valli della Bosnia, della Croazia, del Kosovo. 2

4 Gli anni Novanta All origine delle guerre jugoslave svoltesi tra il 1991 e il 1999 ci fu la volontà di dominio dell etnia maggioritaria, quella serba, mal disposta a tollerare che il processo di emancipazione delle diverse realtà nazionali, avviato già negli anni Settanta da Tito, portasse, dopo il crollo del Muro di Berlino, a una soluzione di tipo confederale. A differenza del vecchio maresciallo, convinto che la Jugoslavia avrebbe potuto sopravvivergli solo garantendo l uguaglianza alle sue numerose etnie, i serbi non accettavano l idea di perdere una supremazia, conquistata con la forza delle armi fin dai tempi della Prima guerra mondiale. Essi cercarono dunque di opporsi alle velleità centrifughe delle Repubbliche più evolute, la Slovenia in primo luogo, contrastandone il desiderio di agganciarsi all Europa col metodo più tradizionale: l occupazione manu militari della Repubblica ribelle e il rovesciamento del suo governo. Questo tentativo fallì per la ferma volontà degli sloveni di uscire da una compagine statale diventata col tempo una specie di camicia di forza, e per la loro capacità di opporre all Armata popolare un efficace resistenza in campo militare, diplomatico e propagandistico. Vista la mala parata, il regime di Belgrado desistette subito, abbandonando la Slovenia alla sua sorte, nella convinzione che essa, lontana com era in senso geografico e culturale, legata più alla tradizione mitteleuropea e asburgica, non fosse alla fin fine decisiva per il futuro del popolo serbo. Quel che importava era piuttosto creare una Grande Serbia (carta a destra), capace di abbracciare entro i suoi confini tutte le membra sparse della nazione, frantumatasi nei secoli, a causa di migrazioni, in una miriade di isole etniche sparse nella Bosnia- Erzegovina e nella Croazia orientale. Si trattava dei cosiddetti precani quelli al di là dei fiumi che andavano ricongiunti alla madrepatria per dar vita nei Balcani a uno Stato più piccolo della vecchia Jugoslavia, ma pur sempre abbastanza grande da costituire una solida potenza regionale. Il fatto che nei territori da conquistare vivessero, oltre ai serbi, anche altre etnie niente affatto disposte ad accettarne il dominio, non turbò il regime di Belgrado, convinto di poter risolvere il problema alla maniera antica: con la violenza, il massacro, il trasferimento forzoso di migliaia e migliaia di persone. 3

5 La Croazia e la Bosnia-Erzegovina furono pertanto sconvolte da un feroce conflitto etnico, particolarmente efferato in Bosnia, per la sua singolare miscela di etnie, religioni e culture diverse. All ortodossia dei serbi si intrecciavano infatti il cattolicesimo dei croati e l islam dei bosgnacchi, il gruppo numericamente più consistente. Appartenenti alla stessa matrice slava e tutto sommato alla stessa temperie, segnata dal culto eroico della forza, le tre fazioni si affrontarono in una guerra fratricida, complicata dalle pretese egemoniche non solo dei serbi, ma anche dei croati su una parte del paese. Per quanto riguarda la guerra in Bosnia, iniziata nel 1992, lo scopo della minoranza serbo-bosniaca (il 31%, contro il 43% dei musulmani, il 17% dei croati e una piccola minoranza d ebrei), che si era autoproclamata rappresentante dei serbi in Bosnia attraverso l istituzione della Republika Srprska, è stato fin dall inizio di occupare la capitale Sarajevo (assediata dall aprile 92 al febbraio 96) e i due terzi dell intero territorio, con il disegno neanche troppo nascosto di collegare questa zona con Belgrado, per dar vita alla Grande Serbia etnicamente pura. Quello che forse non è stato messo abbastanza in luce è che questo esercito variegato ha condotto la sua guerra di conquista soprattutto nei confronti della popolazione civile. La grande novità del conflitto di Bosnia è che l 80% delle vittime è costituito da donne, vecchi, bambini. 4

6 Pulizia etnica Sotto l'espressione pulizia etnica rientrano diverse azioni atte a rimuovere da un territorio la popolazione di un dato gruppo o sottogruppo etnico-culturale. Le azioni di "pulizia etnica" sono il risultato di precise scelte politiche di governi e autorità, sulla base di discriminazioni etnico-linguistiche, religiose e ideologiche e su considerazioni di ordine politico e strategico. La politica della pulizia etnica è motivata dall'obiettivo di salvaguardare la stabilità delle frontiere quando la politica di assimilazione non produce risultati. Molte delle azioni di pulizia etnica hanno tratto origine dall'applicazione del principio di "autodeterminazione dei popoli". L'espressione "pulizia etnica" entra nell'uso popolare negli anni novanta attraverso i mass-media, che riprendono e internazionalizzano l'espressione serbo-croata etničko čišćenje usata dai mass-media locali per documentare la guerra civile che in quel periodo stava dividendo la Jugoslavia. È probabile che l'espressione derivi da un'analoga espressione in uso nell'ambito militare ex-jugoslavo, čišćenje terena, ovvero "pulizia del territorio", usato nella regione autonoma del Kosovo come territorio con la sola etnia Albanese. Pulizia etnica è il rifiuto radicale della convivenza tra gruppi diversi per origine e religione, è l ultima e più tragica conseguenza del nazionalismo e del razzismo in crescita un po dovunque in Europa. Utilizzando le parole di Mazowiecki l espressione pulizia etnica si riferisce all eliminazione degli appartenenti ad altri gruppi etnici da parte del gruppo etnico che esercita il controllo sul territorio. In altre parole, non ci si limita ad occupare militarmente un Paese e a sottometterne la popolazione. Non ci si dà nemmeno come obiettivo di trasformare i vecchi abitanti in cittadini con minori diritti. No, la pulizia etnica prevede che questa popolazione se ne vada, emigri, scompaia per sempre dai suoi luoghi d origine. Prevede che anche la sua memoria storica venga cancellata, con la distruzione dei luoghi che più vi fanno riferimento, chiese e cimiteri. E che la gente sia così terrorizzata dalle violenza a cui ha dovuto assistere e dai maltrattamenti che ha dovuto subire da essere spinta a cancellare l idea stessa del ritorno. C è un aspetto particolare della pulizia etnica che ritorna spesso, specie nelle testimonianze delle donne. È lo stupore per il fatto che vicini di casa e compagni di lavoro serbi, con cui fino a ieri i rapporti erano amichevoli, siano diventati i loro persecutori. E che assieme ai cetnici abbiano compiuto le peggiori violenze, spesso coprendosi la faccia con sinistri cappucci neri per non farsi riconoscere. 5

7 E anche in Occidente uno dei nodi non spiegati di quel che è successo in Bosnia è il fatto che persone che fino al giorno prima avevano convissuto pacificamente in un territorio poco più grande del Lombardo-Veneto e spesso si erano addirittura sposate fra di loro si siano trasformate di colpo in carnefici e vittime in nome dell etnia. In realtà l unica vera differenza fra gli abitanti della Bosnia, che sono tutti di origine slava e parlano tutti il serbo croato, è quella religiosa. Sono ortodossi i serbi, cattolici molto legati al Papa e al Vaticano i croati, mentre la parte che viene definita musulmana è fatta di ex cristiano-ortodossi convertiti all Islam durante la dominazione turca. Non si può certo dire che fra questi tiepidi seguaci di Allah, forse i più occidentalizzati di tutto l Islam, il fondamentalismo islamico avesse fatto molta strada, anche se questo è stato uno degli argomenti usati dai serbi per spingere alla secessione. Se i due potenti vicini, Serbia e Croazia, sia pure con aspetti diversi, si sono contraddistinti per il loro nazionalismo etnocentrico, la Bosnia Erzegovina di Alija Izetbegovic si stava sforzando di costruire uno stato multietnico, con una rotazione di cariche fra le componenti nazionali. Per capire quel che è successo e perché si è avverato tanto in fretta il cupo avvertimento fatto da Karadzic a Izetbegovic bisogna guardare all ultranazionalismo sviluppatosi a metà circa degli anni ottanta in Serbia con la teoria della cosiddetta Grande Serbia. Mentre in nome della Grande Serbia il governo di Belgrado armava i Cetnici e supportava i serbi scissionisti della Bosnia, come aveva fatto sia pure in modo meno feroce con quelli della Krajina, una regione della Croazia che era stata pulita etnicamente già nel 91, partiva anche la guerra dei media. Giornali e TV erano mobilitati a raccontare le sevizie che croati e musulmani avrebbero fatto ai loro vicini serbi. Ogni croato diventava un ustascia, una reincarnazione dei vecchi massacratori filonazisti, ogni musulmano un fanatico integralista, un agente della Turchia, la nazione storicamente più odiata. Quel che è poi successo nella ex Jugoslavia è la tragica prova, su cui tutti siamo chiamati a riflettere, di come la forza di un idea, per quanto aberrante, può trasformare gli individui, annullare in tempi brevi relazioni e affetti, se è sostenuta da una campagna di persuasione a tappeto. 6

8 Considerando che in certi casi l esercito degli invasori sia andato oltre gli ordini ricevuti, è evidente che la distruzione sistematica, l umiliazione della gente attuata anche con tecniche psicologiche (per esempio, costringendo i prigionieri a picchiarsi o a violentarsi tra di loro) facevano parte di un piano studiato a tavolino. Quasi certamente non è casuale la presenza di vari psichiatri nella dirigenza serba, a cominciare proprio da Radovan Karadzic. Le massicce violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale non sono delle semplici caratteristiche della guerra in Bosnia: questi metodi sono usati deliberatamente per creare zone etnicamente omogenee, scrive Mazowiecki nel suo terzo rapporto alle Nazioni Unite. L antica pratica dello stupro è stata vissuta nella ex Jugoslavia in modo nuovo e cioè come strumento terroristico per indurre gli abitanti ad abbandonare i territori che si volevano occupare. Premesso che tutte le parti in lotta hanno violentato le donne del nemico, va detto che sui serbi ricade la responsabilità di aver organizzato sistematicamente lo stupro delle donne musulmane e croate nei campi di concentramento e nelle loro stesse case. E anche dando vita ai campi-bordello per le élites militari ai quali sono state avviate le donne più giovani e graziose. In questo contesto, come è scritto nel quarto rapporto Mazowiecki all ONU sulle violazioni dei diritti umani la violenza sessuale non è solo un delitto commesso contro la persona della vittima, ma tende anche a umiliare, disonorare, avvilire e terrorizzare un intero gruppo sociale. Informazioni degne di fede parlano di stupri commessi in pubblico, per esempio davanti a un intero villaggio, per terrorizzare la popolazione e costringere gli altri gruppi etnici a fuggire. 7

9 Sarajevo, la città simbolo della resistenza della Bosnia, è anche il luogo dove appare con più chiarezza il tradimento che tutti, sia pure con gradi di responsabilità diversi, hanno consumato ai danni della popolazione civile, a qualunque etnia appartenesse. Nella loro premeditata volontà di massacro, per impadronirsi della capitale, gli ultranazionalisti di Karadzic non si sono preoccupati nemmeno dei sessantamila serbi che hanno resistito assieme ai musulmani. E se ai dirigenti bosniaci, a cominciare dal presidente Izetbegovic, si può rimproverare perlomeno l improvvisazione e il disorientamento che hanno contribuito a precipitare del dramma, un giudizio severo va dato anche nei confronti delle Nazioni Unite. C è da rimanere increduli di fronte all ipocrisia delle risoluzioni Onu, che vietavano ai caschi blu di intervenire anche se sotto ai loro occhi donne e bambini venivano massacrati. Caschi blu, che in nome di una ridicola equidistanza fra aggrediti e aggressori, sono arrivati a improvvisarsi poliziotti e a riportare personalmente dentro il grande lager di Sarajevo gente inerme che era riuscita a fuggire. Si è detto che l unico paragone possibile in questo secolo con l assedio di Sarajevo è quello di Stalingrado, quando le truppe di Hitler strinsero in una morsa la città per due anni. Ma rispetto ad allora c è una differenza grande. Questo assedio, durato ben quattro anni, dal 1992 al 1996, con le pratiche medievali che un assedio comporta, si è svolta in diretta, sotto gli occhi dell opinione pubblica mondiale. È diventato uno show per milioni e milioni di telespettatori, che ogni sera si sono sentiti ripetere la triste contabilità di vite umane, a cui facevano da contrappunto i balletti delle varie cancellerie dell Occidente. Per esempio, si è venuti a sapere in tempo reale che vita vivevano i bambini assediati. Dopo il primo anno ne erano morti 3000, 8000 feriti, centinaia con gambe e braccia amputate. 8

10 Le violazioni dei diritti umani Le norme del diritto internazionale umanitario istituiscono i requisiti minimi per la protezione degli individui in situazioni di conflitto armato come quello nella Bosnia- Erzegovina. In particolare l articolo 3 di tutte e quattro le Convenzioni di Ginevra del 1949 definisce gli individui nei cui confronti si applica la tutela in maniera chiara ed esaustiva: Le persone che non svolgono alcun ruolo attivo nelle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e quelli non in grado di combattere a motivo di malattie, lesioni, detenzione o qualsiasi altra causa Il paragrafo 1 dell articolo 3 richiede che in tutte le circostanze queste persone siano trattate in modo umano, senza alcuna distinzione fondata su razza, colore, religione, o fede, sesso, nascita o censo o qualsiasi altro criterio similare. L articolo quindi proibisce in qualsiasi momento e luogo in riferimento alle persone sovramenzionate azioni quali: a) La violenza contro la vita e la persona, in particolare l omicidio di ogni genere, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, la tortura; b) La cattura di ostaggi; c) L oltraggio nei confronti della dignità personale, in particolare i trattamenti umilianti e degradanti. Amnesty International ha ben documentato le violazioni dei diritti umani in Bosnia. La maggior parte delle testimonianze si riferisce a violazioni che sarebbero state commesse dalle forze serbe. Ma il rapporto fa riferimento anche a violazioni che sarebbero state compiute dal governo bosniaco e AI sta svolgendo indagini sulle accuse di abusi commessi dalle forze croate operanti in Bosnia-Erzegovina. Le responsabilità degli abusi in Bosnia-Erzegovina non si limitano, tuttavia, a coloro che all interno del paese li hanno ordinati direttamente o li hanno eseguiti. Il governo della Repubblica Federativa di Jugoslavia e il governo della Croazia hanno gravi responsabilità delle violazioni in tanto in quanto essi hanno dato appoggio politico alle diverse forze che operano in Bosnia- Erzegovina. I musulmani o i croati e in alcuni casi i serbi sono stati catturati da forze sotto il controllo della leadership serba in Bosnia-Erzegovina mentre il governo bosniaco e le forze croate in Bosnia sono responsabili in misura minore. I carcerieri hanno spesso ucciso in modo arbitrario e deliberato i prigionieri, ma è difficile stabilire la frequenza con cui si sono verificati questi episodi. 9

11 Tra le pratiche utilizzate nei luoghi di prigionia vi sono state la tortura e i maltrattamenti a scopo intimidatorio o per estorcere informazioni nel corso degli interrogatori e per assicurarsi l obbedienza dei prigionieri. Casi di tortura e di maltrattamenti si sono verificati in tutti gli stadi della prigionia, nel momento del prelievo delle persone dalle loro abitazioni o nella fase della raccolta prima del trasporto nei luoghi di prigionia, nel corso del trasporto, degli interrogatori o durante i periodi di imprigionamento, che vanno da ore a mesi. La forma più frequente di tortura e maltrattamento è consistita nell inflizione di percosse con oggetti quali dei fucili o con calci e pugni. Sarebbero stati impiegati anche bastoni, manici di piccone, cavi elettrici, coltelli e fili metallici. Le detenzioni vanno dalla cattura di individui, che possono essere dei bersagli in quanto tali o scontare la loro nazionalità e/o affiliazione politica, alla cattura di grandi numeri di persone, ivi compresi interi villaggi. Le forze serbe che catturano uomini musulmani o croati abili all arruolamento avrebbero in molti casi usato liste di uomini potenzialmente idonei alla mobilitazione, sostenendo che altrimenti sarebbero stati chiamati a combattere dal governo bosniaco o dalle forze croate. In altri casi si sarebbero fatti consegnare le liste di altre categorie di persone passibili di detenzione o interrogatori (i musulmani riferiscono che individui in vista quali attivisti politici, persone colte, proprietari di esercizi e altri sono stati selezionati in questo senso). La durata della prigionia varia da alcune ore fino a mesi interi, in posti assai diversi come le cantine e gli stadi. A volte i prigionieri sono stati detenuti in abitazioni, anche nelle proprie, dove sono stati rinchiusi nelle cantine. Sono state impiegate anche le cantine di altri edifici quali alberghi, uffici postali, centri culturali e stazioni di polizia; è stato fatto uso anche delle celle dei posti di polizia, di prigioni e capannoni militari, di baracche e bunker. Tra i centri di prigionia improvvisati vi sono scuole, dormitori, fattorie, fabbriche, stadi, treni e aree aperte recintate. In molti dei casi documentati da AI non era in corso alcun combattimento al momento della cattura nei luoghi in cui questa avveniva. Le forze serbe hanno fatto prigionieri nel corso di bombardamenti o sparatorie, anche se in molti casi vi è stata poca o nessuna resistenza e i bombardamenti ad opera dei serbi avevano il solo scopo di spaventare la popolazione. 10

12 Srebrenica Il più noto episodio simbolo della tragedia della pulizia etnica è stato il massacro perpetrato nella cittadina di Srebrenica. Dell assedio di Srebrenica i giornali hanno parlato molto, anche perché è che in questa città che le Nazioni Unite hanno rischiato di perdere la faccia, oltre alla battaglia per la salvezza dei musulmani e di quei serbi che con loro avevano partecipato alla difesa. Srebrenica era stata dichiarata territorio libero (zona protetta) con la risoluzione 819 del 16 aprile 1993 dal Consiglio di sicurezza, ma nonostante le ferme parole della risoluzione le milizie del capitano Arkan e del generale Mladic avevano continuato indisturbate la loro carneficina. Finalmente l arrivo di una colonna di caschi blu con in testa il generale Morillon permise di salvare i superstiti e di imporre il non rassicurante status di enclave protetta: cioè circondata da mortali nemici e difesa da soldati che non possono sparare se non in casi estremi. Nel luglio 1995 le truppe di Mladic e Arkan assediarono la città e compirono quello che è considerato uno dei più sanguinosi stermini avvenuti in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale: secondo fonti ufficiali, le vittime del massacro furono 8.372, sebbene alcune associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime affermino che furono oltre Il fatto eclatante di questo avvenimento fu il non intervento dei 600 caschi blu olandesi dell ONU per motivi e circostanze non ancora chiariti. La posizione ufficiale è che le truppe ONU fossero scarsamente armate e non potessero far fronte da sole alle forze di Mladić. Si sostiene, inoltre, che le vie di comunicazione tra Srebrenica, Sarajevo e Zagabria non fossero ottimali, causando ritardi e intoppi nelle decisioni. Nel momento in cui l esercito entrò nella città, gran parte della popolazione ed i soldati olandesi erano già fuggiti e si erano rifugiati nella base militare dell'onu di Potocari. Davanti alla minaccia ed allo spiegamento di forze di Mladić, i caschi blu decisero di collaborare alla separazione di uomini. Ma prima e dopo Srebrenica, molti villaggi sono stati assediati senza che i media ne dessero notizia: migliaia di persone sono morte di fame, i feriti sono stati operati senza anestesia o sono morti per mancanza di disinfezione o di sangue per trasfusioni, mentre il cannoneggiamento non dava tregua e qualche sortita degli assediati in cerca di cibo si risolveva in genere tragicamente. 11

13 Le reazioni internazionali Per loro sfortuna il cosiddetto effetto CNN, cioè le immagini di guerra trasmesse dalla televisione in tutto il mondo, ebbe un enorme impatto sull audience internazionale, costringendo i politici dell Europa occidentale, degli Stati Uniti, della Russia e degli Stati musulmani a fare qualcosa. Per primi si mossero gli europei, convinti che la vicenda jugoslava, svolgendosi nel cortile di casa fosse un problema di loro competenza. Partirono però fin dall inizio col piede sbagliato, mossi dal desiderio di aiutare le popolazioni in pericolo, ma anche da quello di dimostrare finalmente agli Stati Uniti le proprie capacità diplomatiche e militari. In realtà non furono in grado di impostare una coerente azione di soccorso, anche perché condizionati dalla propria storia e da rivalità intestine che sembravano superate e che invece la crisi jugoslava fece riaffiorare. La decisione della Germania, recentemente riunita, di schierarsi con la Slovenia e la Croazia, sostenendone le richieste di riconoscimento, fece scattare a Londra, a Parigi e a Roma ancestrali timori di un egemonia tedesca sull Europa danubiano-balcanica, che condannarono in pratica la Comunità europea all inazione. Per iniziativa della Francia e dell Inghilterra si decise di considerare la tragedia jugoslava come una guerra civile, cui non era il caso di prender parte, se non cercando di fornire alle vittime della violenza aiuti umanitari. Ne furono incaricate le Nazioni Unite che inviarono nei territori sconvolti dal conflitto i caschi blu con il compito di mantenervi la pace. Non essendoci in realtà nessuna pace da mantenere, si trattava di una mission impossible, che rese ben presto le truppe dell ONU ostaggi della parte più agguerrita e più forte: i serbi, abilissimi a sfruttarne a proprio vantaggio la presenza e l opera umanitaria. Gli Stati Uniti, per parte loro, assistettero alla vicenda jugoslava mossi da due opposti impulsi, riconducibili entrambi al presidente Woodrow Wilson: l idealismo, che li spingeva a soccorrere la gente in pericolo e la paura d immischiarsi nelle complesse faide etniche dei Balcani. In un primo momento prevalse la seconda, forte soprattutto al Pentagono, contrario a lasciarsi coinvolgere in una vicenda bellica estranea agli interessi degli Stati Uniti; dopo mesi di tentennamenti, in seguito agli impegni elettorali di Bill Clinton, ebbe invece il sopravvento l idealismo wilsoniano, pur dovendo fare i conti con l opposizione dell establishment militare sostenuta dagli alleati europei. 12

14 Ne nacque una situazione di stallo, gravida di tensioni, durata sino alle soglie del 94, quando Clinton cominciò a rendersi conto che l immagine degli Stati Uniti nel mondo e il suo stesso ruolo in politica interna avrebbero sofferto, se non avesse cercato di sbrogliare la matassa balcanica. Questa duplice urgenza indusse la sua amministrazione a un elaborata manovra d intervento, basata sulla consapevolezza che bisgonava da una parte rafforzare le truppe croato-musulmane sul terreno, dall altra intervenire a loro sostegno con le forze aeree della NATO, per costringere i serbi al tavolo delle trattative. Ciò puntualmente avvenne con gli accordi di Dayton, non senza che nel frattempo l idealismo wilsoniano della prima era fosse apertamente rinnegato: la sistemazione finale della Bosnia-Erzegovina riconosceva infatti gran parte delle conquiste territoriali serbe, avallando nella realtà, se non a parole, il risultato della pulizia etnica. Nella complessa attività diplomatica, che accompagnò le guerre jugoslave, s inserì fin dall inizio anche l Unione Sovietica (più tardi la Russia), mossa non già dalla necessità di aiutare quanto dall urgenza di confermare il proprio status di grande potenza. Il governo El cin fu continuamente pungolato in questo senso da un agguerrita opposizione di nazionalisti e comunisti, nostalgici dell impero, che sfruttarono cinicamente la tragedia balcanica per fini di politica interna. Nel corso degli eventi vi entrarono anche i paesi del mondo islamico, decisi ad appoggiare i fratelli di fede europei. Nonostante le tensioni interne, scissi com erano fra moderati ed estremisti, essi seppero trovare un linguaggio comune: i primi, capeggiati dall Arabia Saudita, fornirono ai musulmani bosniaci il denaro; i secondi, guidati dall Iran le armi e i mujaheddin necessari alla loro riscossa militare. A tale operazione, svoltasi in gran parte dietro le quinte, non fu estranea la stessa Washington, in una comunione d intenti fra le più curiose della storia contemporanea. 13

15 Il TPI dell Aja Durante le guerre balcaniche, sul finire del secolo XX, le atrocità commesse dai belligeranti ai danni dei civili e prigionieri di guerra furono tali e tante da suscitare una fortissima impressione nell opinione pubblica. La dissoluzione dell ex Jugoslavia, con i suoi morti e profughi (10-25mila morti e 320mila deportati alla fine della guerra in Croazia, mila morti e 2 milioni 500mila deportati alla fine della guerra bosniaca), il perpetuarsi di crimini efferati (pulizia etnica, fosse comuni, stupri e attacchi premeditati contro persone inermi), e le relative immagini diffuse attraverso la televisione e la stampa, hanno scosso la comunità politica internazionale ma soprattutto le coscienze: era intollerabile che nel cuore dell Europa potessero ancora compiersi violazioni così gravi ed estese dei diritti umani. In seguito al rapporto di una commissione di esperti e una relazione del segretario generale dell Onu, il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 827, ha istituito il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario internazionale commesse nei territori della ex Jugoslavia a partire dal Il Tribunale, insediatosi nel Palazzo della Pace dell Aja il 17 novembre 1993, è chiamato a giudicare le gravi violazioni delle convenzioni di Ginevra del 1949 (torture e trattamenti disumani, inflizione volontaria di gravi sofferenze o gravi lesioni fisiche e mentali, distruzioni arbitrarie su vasta scala, deportazioni, ecc.), le violazioni delle leggi e degli usi di guerra, il genocidio e i crimini contro l umanità commessi nei territori della ex Jugoslavia dal 1991 in poi, con il compito di perseguire gli autori di crimini di guerra e contro l umanità perpetrati nel territorio della disciolta federazione balcanica a partire dall anno Per assicurarne la rappresentatività e garantirne l imparzialità, il Tribunale è composto da undici giudici eletti dall Assemblea generale dell Onu all interno di una lista redatta dal Consiglio di Sicurezza per un periodo di quattro anni e rieleggibili. Per evitare eventuali pressioni da parte dei singoli Stati, nel collegio non possono sedere più giudici della medesima nazionalità. Il Procuratore nominato dal Consiglio di sicurezza su proposta del Segretario generale delle Nazioni Unite, agisce in assoluta indipendenza da qualsiasi altro organismo. L attività del tribunale era finanziata dall Onu e da eventuali do- 14

16 nazioni da parte degli Stati. La giurisdizione del Tpi era molto ampia, poiché si esercitava su individui che erano resi responsabili nel territorio dell ex Jugoslavia di violazioni delle leggi e negli usi della guerra e del diritto internazionale umanitario (Convenzione di Ginevra) nonché di violenze sistematiche e pianificate contro la popolazione (genocidio, deportazione, pulizia etnica, stupro di massa). Il Tpi non era invece competente per giudicare i crimini contro la pace (l aggressione a uno Stato contro un altro). Esso poteva condannare esclusivamente a pene detentive (pena massima, l ergastolo; la pena capitale era esclusa). Il condannato cominciava a scontare la pena subito dopo la sentenza di primo grado. Per offrire maggiori garanzie processuali agli accusati, il processo non poteva svolgersi in contumacia (assenza dell imputato). Di qui l impossibilità di processare soggetti che non fossero stati consegnati al Tpi dagli Stati di appartenenza. Questi ultimi dovevano recepire nel proprio ordinamento la giurisdizione del Tpi, ma se non adeguavano la propria legislazione (per consentire la consegna degli accusati) o comunque non si comportavano in modo collaborativo, il Tribunale non aveva alcun mezzo di coercizione; esso poteva solamente informare il Consiglio di Sicurezza dell inadempienza di uno Stato, perché fossero eventualmente deliberate delle sanzioni a suo carico. L istituzione di tribunali ad hoc ha però suscitato alcune obiezioni circa il loro stesso fondamento giuridico. Tali obiezioni ripetono in sostanza critiche che erano già emerse in occasione dei processi di Norimberga e di Tokyo e degli altri tribunali militari internazionali istituiti dopo la Seconda guerra mondiale: ossia di essere nati fondamentalmente per amministrare la giustizia dei vincitori nei confronti dei vinti e per sanzionare la fine di un regime politico. L esperienza del Tpi è stata estremamente interessante e sotto alcuni punti di vista ha raggiunto indiscutibilmente risultati positivi (anche se non ha avuto lo sperato effetto deterrente: il massacro di Srebrenica, infatti, è avvenuto nel 1995, quando il tribunale era già operante). Gli accordi di Dayton Alla fine, nel 1995 gli Stati Uniti facevano intervenire la Nato con una serie di bombardamenti sulla Serbia che costringevano Milosevic ad aprire il negoziato di pace. Con gli accordi di Dayton, siglati nel novembre 1995, fu messa la parola fine alla guerra civile jugoslava. L accordo ridefiniva i confini territoriali nazionali: la Slavonia orientale tornò alla Croazia, appartenente fino alla fine della guerra alla Serbia. Per quanto riguarda la Bosnia-Erzegovina, essa venne suddivisa in due entità ben distinte: la Federazione croato-musulmana che comprende il 51% del territorio bosniaco, e la Republika Srprska, con il 49% di controllo sul territorio. Milosevic, Tudjman, Izetbegovic, parteciparono tutti all accordo promosso dal presidente USA Bill Clinton. 15

17 Conclusioni Non abbiamo potuto o non abbiamo voluto fermare la carneficina? I pareri sono discordi. Gli stati maggiori d Europa hanno concordemente risposto: non si poteva. A meno di non voler rischiare un altissimo numero di vite e pagare costi astronomici. Troppi i fronti, troppi i nemici, troppo coinvolta nella guerra la popolazione civile, troppo montuoso il territorio, troppo esperte nella guerriglia le bande armate agli ordini di questo o quel capitano, indipendente da qualsiasi autorità centrale. Una forza di interposizione credibile avrebbe dovuto essere composta da alcune centinaia di migliaia di uomini e restare sul posto chissà quanto tempo per impedire alla guerra di riaccendersi alla prima occasione. Il mancato intervento dell Europa e della NATO ci viene continuamente rimproverato dai musulmani e, in parte, dai croati che ci accusano di cinismo, di pilatismo: o che semplicemente si meravigliano che il mondo occidentale con i suoi potenti mezzi non sia intervenuto subito a salvare gli innocenti e a ristabilire l ordine internazionale. La diplomazia degli stati ha certamente molti errori da rimproverarsi: la sottovalutazione della politica aggressiva di Milosevic, l imposizione di un embargo delle armi che in pratica ha danneggiato solo i musulmani, l affrettato riconoscimento delle repubbliche nate dalla dissoluzione della Jugoslavia, ciò che ha dato alla propaganda serba l alibi per montare il complesso degli assediati. A prescindere dagli errori effettivamente compiuti e dalla reale difficoltà di intervenire, politicamente e militarmente, la diplomazia occidentale ha dato la sensazione di essere incerta, contraddittoria, impotente e ha creato delusione e rancore. Tutte le parti in confitto hanno compiuto massacri, torture, stupri e saccheggi, ma i serbi ne hanno commessi in numero certo molto maggiore e li hanno razionalmente preordinati per impossessarsi di una regione e cacciarne i suoi abitanti. L innovazione terribile di questa guerra è stato l uso scientemente finalizzato a fini terroristici di atti di ferocia, tra cui lo stupro di gruppo in pubblico, che erano nella memoria storica dei serbi. Queste azioni organizzate e sistematiche sono state commesse dalle forze di polizia, dalle forze militari e paramilitari e facevano parte evidentemente di un modello di conflitto in cui le intimidazioni erano volte a far fuggire musulmani e croati dalle loro zone di residenza. 16

18 Bibliografia La memoria e il tempo 3 volume SIMONA COLARIZI, GUIDO MARTINOTTI Einaudi Scuola (2006) Corso di storia Il secolo XX ADRIANO PROSPERI, PAOLO VIOLA Einaudi Scuola (2000) Le guerre Jugoslave ( ) JOZE PIRJEVEC Giulio Einaudi Editore (2001) L arma dello stupro: voci di donne della Bosnia ELENA DONI, CHIARA VALENTINI Ed. La Luna (1993) Bosnia: rapporto sulle violazioni dei diritti umani AMNESTY INTERNATIONAL Ed. Sonda (1993) I quaderni speciali di Limes: LA GUERRA IN EUROPA (1993) IL RICHIAMO DEI BALCANI (1995) I BALCANI SENZA MILOŠEVIC (2000) Gruppo editoriale L Espresso 17

19 Indice Introduzione pag. 1 Premesse storiche pag. 2 Gli anni Novanta.. pag. 3 Pulizia etnica.. pag. 5 Le violazioni dei diritti umani.. pag. 9 Srebrenica pag. 11 Le reazioni internazionali. pag. 12 Il TPI dell Aja pag. 14 Gli accordi di Dayton pag. 15 Conclusioni. pag. 16 Bibliografia.. pag. 17 Indice. pag

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