Cass. civ., Sez. VI - 2, 22 maggio 2015, n

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1 Estratto da Giurisprudenza italiana, 2015, p e ss. Cass. civ., Sez. VI - 2, 22 maggio 2015, n Svolgimento del processo. Con sentenza 10 maggio 2011, il Tribunale di Verona ha accolto l appello proposto da Norma Bravi nei confronti del comune di Lavagno, per impugnare la sentenza n del 2008 del Giudice di pace di Verona, il quale aveva rigettato l opposizione a una sanzione amministrativa irrogata per violazione del codice della strada. Il comune di Lavagno ha proposto ricorso per cassazione, notificato nel novembre 2011, facendo valere la tardività dell appello, perché proposto oltre il termine lungo rispetto alla data di deposito attestata sulla sentenza, diversa e anteriore rispetto alla data di pubblicazione della sentenza stessa. Parte opponente ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Con ordinanza resa il 21 febbraio 2014 la causa è stata differita in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione relativa alla legittimità costituzionale degli art. 133 e 327 c.p.c., come interpretati dalla Corte di cassazione nella sentenza 13794/12 (Foro it., Rep. 2013, voce Sentenza civile, n. 30). Rifissata la discussione e depositata altra memoria di parte resistente, la causa è stata assunta in decisione. Motivi della decisione La procura speciale alle liti ex art. 83, 3 comma, c.p.c., ove sottoscritta con firma illeggibile, è nulla solo quando dall intestazione o dal contesto dell atto o dalla procura stessa non emerga il nome del mandante, in quanto, se questa indicazione emerge, l atto è comunque idoneo a realizzare il suo scopo tipico, che è quello di fornire alla controparte la certezza giuridica della riferibilità dell attività svolta dal difensore al sottoscrittore, in proprio o quale rappresentante di un ente (Cass /11, id., Rep. 2011, voce Procedimento civile, n. 107). Alla luce di questo principio, infondatamente la parte resistente deduce che dal ricorso de quo non si può effettuare «il collegamento tra il soggetto sottoscrittore della procura e il soggetto che ha la rappresentanza legale dell ente». In calce alla procura rilasciata a margine del ricorso è infatti ben visibile il timbro del comune di Lavagno; nell intestazione del ricorso è inoltre chiaramente indicato con cognome e nome il sindaco pro tempore, facendo riferimento alla procura a margine e alla «delibera di incarico». Non vi era quindi neppure necessità di dichiarazioni integrative (cfr. sez. un /13, id., Rep. 2014, voce cit., n. 122) a seguito della proposizione dell eccezione, né di indicare il numero della delibera, stante il potere rappresentativo di cui è munito il sindaco Il motivo di ricorso è imperniato sulla tardività dell appello vittoriosamente proposto dall opponente. Parte ricorrente rileva che l impugnazione è stata proposta con atto passato per la notifica il 30 ottobre 2009, oltre il termine lungo per proporre appello. Sostiene che la sentenza di primo grado era stata pronunciata dal giudice di pace l 8 maggio 2008 e pubblicata il 7 agosto 2008; che il termine utile per il gravame decorreva dalla prima delle due date attestate in calce alla sentenza. La questione è pertinente, poiché l inammissibilità dell appello proposto tardivamente può essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità dalla parte interessata, ed è comunque rilevabile d ufficio dalla Corte di cassazione quando la relativa questione non sia stata dibattuta davanti al giudice di secondo grado e non abbia formato oggetto di una sua pronuncia, come ritenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità (Cass /00, id.,

2 Rep. 2001, voce Appello civile, n. 104; 10440/13, id., Rep. 2013, voce Cassazione civile, n. 196; 4774/05, id., Rep. 2005, voce cit., n. 96; 7256/03, non massimata) Parte ricorrente chiede l applicazione del principio enunciato da sez. un /12, che risulta così massimato: «A norma dell art. 133 c.p.c., la consegna al cancelliere dell originale completo del documento-sentenza dà inizio al procedimento di pubblicazione del provvedimento giurisdizionale, che si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l apposizione, in calce, della data e della firma del cancelliere, che devono essere contemporanee alla data di consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge; è pertanto da escludere che il cancelliere, preposto alla tutela della fede pubblica nell espletamento di tale attività, ex art c.c., possa attestare che la sentenza da ritenersi a tutti gli effetti già pubblicata ai sensi dell art. 133 c.p.c. alla data del suo deposito risulti pubblicata in data successiva, con la conseguenza che l eventuale apposizione, sul provvedimento originale consegnato in cancelleria, di due diverse date, una di deposito priva di espressa specificazione che il documento depositato contiene soltanto la minuta della sentenza e l altra di pubblicazione, non incide sugli effetti giuridici scaturenti dalla pubblicazione della sentenza, che deve, pertanto, ritenersi coincidere con la data del suo deposito». Tale enunciato è stato provocato da un contrasto giurisprudenziale, al quale ha fatto seguito la rimessione della questione alle sezioni unite. Esso non può trovare applicazione nel caso in esame, sia per le differenze di quel caso con la fattispecie, sia per effetto della sentenza n. 3 del 2015 della Corte costituzionale, resa a seguito dell ordinanza 26251/13 di questa corte (id., Rep. 2014, voce Impugnazioni civili, n. 40) Nell ipotesi in via generale regolata dalle sezioni unite, la sentenza di primo grado era «depositata» in forma «originale e ufficiale» (espressione usata dalle sezioni unite a pag. 12), come attestato, in quel particolare caso, con timbro-datario recante il nome del cancelliere, e dalla sua sottoscrizione; la sentenza era stata «pubblicata», secondo il sottostante timbro-datario, anch esso sottoscritto dal cancelliere, in data successiva. Non così avviene nel caso odierno, che non si basa su una scissione netta dei due adempimenti. Il cancelliere dell ufficio del Giudice di pace di Verona appose infatti un unico timbro rettangolare con la seconda data, quella di pubblicazione, messa in risalto e a carattere stampato. La prima data risulta invece scritta a mano. La firma del cancelliere è unica, in fregio alla parte bassa del timbro. La stampigliatura reca precisamente: «Ufficio del Giudice di pace di Verona depositato il (segue la prima data manoscritta) e pubblicato in data 7 agosto Il cancelliere (segue il nome)». Già da questa descrizione può desumersi che la prima data non corrisponde all attestazione di un deposito di sentenza in forma originale e ufficiale, ma verosimilmente a un deposito in minuta (cfr., per la differenza, sez. un. n /12, sempre pag. 12), datato manualmente nel momento stesso in cui si procedeva alla pubblicazione della sentenza. Non era quindi data dalla quale poteva decorrere alcun termine per l impugnazione. Tuttavia, occorre dare atto della singolare circostanza che entrambe le parti hanno prodotto in sede di legittimità attestazioni, rilasciate dal medesimo cancelliere, che paiono incoerenti. La prima, sollecitata da parte ricorrente e datata 21 settembre 2011, «attesta che la data indicata a penna nel timbro è riferito al deposito dell originale» della sentenza in cancelleria. La seconda, datata 7 febbraio 2014, prodotta con la memoria da parte resistente, attesta che prima della data di pubblicazione della sentenza gli avvocati non potevano «conoscere o

3 consultare l originale della sentenza o le annotazioni del cancelliere contenute nel registro cronologico». Rilevato che tali documenti non potevano essere prodotti, non riguardando un vizio proprio della sentenza impugnata (Cass /06, id., Rep. 2006, voce Cassazione civile, n. 336; 2586/02, id., Rep. 2002, voce cit., n. 242) e non essendo state comunque rispettate le forme di cui all art. 372 c.p.c., va comunque esaminata, perché attiene al quadro normativo di riferimento, la ricaduta nel caso in esame dell intervento della Corte costituzionale Si è detto prima che le sezioni unite hanno risolto il conflitto tra prima o seconda data, tra quelle apposte dal cancelliere per attestare il deposito e la pubblicazione della sentenza, nel senso della prevalenza della prima, che segna il momento in cui il giudice, con il deposito, si assume la responsabilità di stabilire il momento di compimento dell attività giurisdizionale. Sez. un /12 ha quindi escluso che vi sia qualsivoglia margine di discrezionalità del cancelliere sulla data in cui dare atto di tale adempimento. Ha aggiunto che, qualora in cancelleria si voglia dar atto del deposito «in minuta» della sentenza, lo si deve «espressamente specificare», restando altrimenti rilevante esclusivamente la prima data di deposito apposta sulla sentenza. Consapevoli della possibilità che si renda difficile l esercizio del diritto di difesa, a causa della non conoscibilità in concreto della data di deposito, le sezioni unite hanno fatto salvo espressamente il potere del giudice dell impugnazione di rimettere in termini, anche d ufficio, la parte rimasta incolpevolmente ignara. Questa interpretazione rigorista è parsa «irragionevole e discriminatoria» a Cass /13, cit., perché suscettibile di sottrarre una frazione anche molto consistente del tempo utile per l impugnazione, ristretto di recente a sei mesi dalla novella dell art. 327 c.p.c. La seconda sezione ha quindi investito la Corte costituzionale per verificare «la compatibilità dell approccio ermeneutico sotteso a dette pronunce con i principî costituzionali in concreto involti dalla questione risolta». Ha opportunamente sottolineato che è il diritto vivente manifestatosi con sez. un /12 a rappresentare «l oggetto dei possibili dubbi di costituzionalità (cfr., da ultimo, Corte cost., ord. n. 253 del 2012, id., Rep. 2013, voce Lavoro e previdenza (controversie) n. 196, nonché, sulla facoltà del giudice rimettente di uniformarsi o meno al diritto vivente, Corte cost. n. 338 del 2011, id., 2012, I, 325; e n. 117 del 2012, id., Rep. 2012, voce Diritti politici e civili, n. 244)», in quanto contrastante con i parametri normativi di cui agli art. 3, 2 comma, e 24, 1 e 2 comma, Cost La Corte costituzionale con la sentenza n. 3 del 2015 ha ritenuto che la questione non è fondata, nei termini indicati in motivazione. Ha affermato che la separazione temporale dei due passaggi in cui si articola la procedura di pubblicazione della sentenza (deposito da parte del giudice e presa d atto del cancelliere), comprovata dall apposizione di date differenti, costituisce una patologia gravemente incidente sulle situazioni giuridiche degli interessati, riflettendo il tardivo adempimento delle operazioni previste dalla pertinente disciplina legislativa e regolamentare (tra le quali, l inserimento nell elenco cronologico delle sentenze, con l attribuzione del relativo numero identificativo), nonché dalle disposizioni sul processo telematico. Ha considerato che solo con il compimento delle operazioni prescritte dalla legge può dirsi realizzata quella pubblicità alla quale è subordinata la titolarità in capo ai potenziali interessati di puntuali situazioni giuridiche, come il potere di prendere visione degli atti pubblicati e di estrarne copia. Pertanto, si legge in sentenza, alla luce di un interpretazione costituzionalmente orientata del diritto vivente, «per costituire dies a quo del termine per l impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzato esclusivamente in corrispondenza di quest ultima. Il ritardato

4 adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende così inoperante la dichiarazione dell intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa». Qualora ciò accada, deve soccorrere l istituto della rimessione in termini per causa non imputabile, inteso come doveroso rimedio «ad uno stato di fatto contra legem che, in quanto addebitabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all impugnazione». Infatti, secondo la Corte costituzionale è parte integrante della garanzia costituzionale del diritto di difesa che «i soggetti interessati abbiano tempestiva conoscenza degli atti oggetto di una possibile impugnazione, in modo che siano utilizzabili nella loro interezza i termini di decadenza previsti per l esperimento del gravame» La sentenza 3/15 è dunque una sentenza interpretativa di rigetto, che si muove sul crinale di conflitto tra diritto vivente e interpretazione conforme, dibattuto da circa sessant anni in dottrina. Con l interpretazione adeguatrice di cui si è dato conto, la Corte costituzionale ha in sostanza completato il percorso interpretativo delle sezioni unite e ha reso di fatto vincolante quel provvedimento di rimessione in termini che le sezioni unite avevano subordinato al ricorrere di particolari circostanze. Le sezioni unite avevano ipotizzato che solo in caso di pubblicazione della sentenza a «notevole distanza di tempo» dal deposito ed in prossimità del termine di decadenza per l impugnazione la parte avrebbe potuto essere rimessa in termini. Per la Corte costituzionale è invece il ritardato adempimento delle formalità necessarie alla conoscenza del deposito, «attestato dalla diversa data di pubblicazione», a renderlo «di fatto inoperante». Il giudice pertanto deve trarne «le necessarie conseguenze»: deve cioè consentire un recupero dei termini difensivi pari al tempo che le lungaggini burocratiche hanno sottratto alle difese Non vi sono riserve ad accogliere la soluzione interpretativa prospettata dalla Corte costituzionale. È stata la stessa Corte di cassazione a sollecitare il giudizio di costituzionalità e la Corte costituzionale ha qualificato il proprio operato come interpretazione del «diritto vivente espresso nella parte ricostruttiva della sentenza delle sezioni unite». Si tratta quindi di un opera integratrice che si è limitata a precisare la portata normativa per la parte in cui, con l interpretazione prevalsa, venivano potenzialmente lesi valori costituzionalmente protetti. In sostanza la Corte costituzionale ha così esercitato «una sorta di funzione nomofilattica costituzionale». Si potrà osservare che normalmente la sfera di giudizio interpretativo riservata alla Corte costituzionale attiene al solo potere di annullare le norme di legge incompatibili con la Carta. Tuttavia, l ordinamento conosce da molto tempo la figura della sentenza costituzionale interpretativa di rigetto e vi si è adattato con laboriosi passaggi vale ricordare le sezioni unite penali Alagni del 16 dicembre 1998, id., 1999, II, 374, e Pezzella del 31 marzo 2004, id., 2004, II, 337 che le esigenze motivazionali dell odierno giudizio non impongono di ripercorrere. L insegnamento della dottrina, che ha richiamato sin dal 1966 il giudice ordinario a riconoscere l ottemperanza all interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale, ovvero a trasformarsi da giudice quidam in giudice a quo, nuovamente rimettendo la questione alla Corte costituzionale, è nel segno di cogliere al meglio, ciascuna corte nella propria sfera, il dovere di soggezione alla legge, coordinando gli sforzi interpretativi per la ricomposizione di un tessuto che è necessariamente multiforme Discende da queste riflessioni la considerazione che si deve intendere come rimessa in termini e quindi non incorsa in decadenza alcuna la parte che abbia proposto

5 l impugnazione nel termine «lungo» ex art. 327 c.p.c., decorrente non dalla data del deposito attestata dal cancelliere sulla sentenza impugnata, ma dalla data di pubblicazione della stessa, qualora emerga dagli atti, anche per implicito come nel caso di specie (cfr. supra sub 3.1.1), che dall attestazione dell avvenuto deposito non fosse derivata la conoscenza della sentenza. Consegue da quanto esposto il rigetto del ricorso. Corte cost. 22 gennaio 2015, n. 3 - Omissis - nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 133, primo e secondo comma, e 327, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo anteriore alla modifica apportata dall art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), come interpretati dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n del 1 agosto 2012, promosso dalla Corte di cassazione, seconda sezione civile, nel procedimento vertente tra P.A., M.A. ed altri, con ordinanza del 22 novembre 2013, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell anno Visto l atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell 8 ottobre 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio. Ritenuto in fatto 1. La Corte di cassazione, seconda sezione civile, con ordinanza del 22 novembre 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 133, primo e secondo comma, e 327, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), come interpretati dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n del 1 agosto 2012, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione. 2. Nella fase di appello del giudizio principale, la Corte d appello di Napoli dichiarava l inammissibilità dell impugnazione principale e la conseguente inefficacia di quella incidentale. A sostegno dell adottata pronuncia, il giudice di secondo grado ravvisava l inammissibilità dell appello poiché lo stesso (depositato il 13 luglio 2004) era stato proposto oltre il termine di cui all art. 327 cod. proc. civ., considerando che esso si sarebbe dovuto far decorrere dalla data dell 8 aprile 2003, quando era stato annotato dal cancelliere in calce alla sentenza impugnata l avvenuto deposito della sentenza stessa, e non dalla data del 28 luglio 2003, alla quale si riferiva l annotazione successivamente apposta dallo stesso cancelliere relativa all attestazione dell intervenuta pubblicazione della sentenza medesima. Avverso la suddetta sentenza di appello veniva proposto ricorso per cassazione. 3. Il rimettente, nel ripercorrere i motivi dell impugnazione di legittimità osserva che le censure prospettate ripropongono la problematica dell interpretazione del combinato disposto dei primi due commi dell art. 133 cod. proc. civ., in relazione alla previsione contenuta nell art. 327 cod. proc. civ., che attiene alla individuazione della decorrenza del cosiddetto termine lungo per l impugnazione, stabilita dalla «pubblicazione della sentenza».

6 4. Il giudice a quo premette di essere consapevole che sulla questione in esame è intervenuta, ai fini della risoluzione del contrasto insorto precedentemente tra le sezioni semplici della Corte di cassazione, la sentenza delle sezioni unite n del 1 agosto 2012, con la quale è stato affermato il seguente principio di diritto: «a norma dell art. 133 cod. proc. civ. la consegna dell originale completo del documento-sentenza al cancelliere nella cancelleria del giudice che l ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione della sentenza che si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l apposizione, in calce alla sentenza, della firma e della data del cancelliere che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. È pertanto da escludere che il cancelliere, nell espletamento di tale attività preposto alla tutela della fede pubblica (art cod. civ.), possa attestare che la sentenza, già pubblicata per effetto dell art. 133 cod. proc. civ., alla data del suo deposito, è pubblicata in data successiva, e se sulla sentenza sono state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento depositato contiene la minuta della sentenza, e l altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposito». Rileva, altresì, che successivamente si sono conformate a tale principio le sezioni semplici civili della Corte di cassazione (prima sezione civile, sentenza n del 29 ottobre 2012; terza sezione civile, sentenza n del 4 aprile 2013). 5. Il rimettente, dato atto che il menzionato intervento delle sezioni unite civili costituisce diritto vivente, osserva che lo stesso è suscettibile di comportare la possibile violazione degli artt. 3, secondo comma, e 24, primo e secondo comma, Cost. 6. In via preliminare, il rimettente offre argomenti a sostegno della propria legittimazione a sollevare la questione di costituzionalità, senza adire nuovamente le sezioni unite. Ricorda, inoltre, che la giurisprudenza del Giudice delle Leggi ha univocamente ritenuto ammissibili questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto una o più norme nella relativa interpretazione consolidatasi quale diritto vivente. 7. La questione sarebbe non manifestamente infondata perché la statuizione delle sezioni unite civili della Corte di cassazione tenderebbe a determinare una disparità di trattamento tra la situazione processuale in cui l attività di mero deposito della sentenza e quella di effettiva pubblicazione della stessa risultano, come dovrebbe accadere di regola, contestuali, con quella in cui le due attività si scindono ed hanno luogo in due momenti temporali diversi, spesso anche distanti tra loro. Invero, optandosi per l applicazione del principio di diritto affermato con la sentenza n del 2012, si assegnerebbe preferenza ad un attività processuale quella di mero deposito della sentenza con l apposizione di un visto del cancellerie del tipo depositata in data che, in modo irragionevole ed in virtù di un approccio ermeneutico sfavorevole, risulterebbe lesiva della pienezza e della certezza del diritto di difesa delle parti costituite in giudizio (in relazione alla portata precettiva dell art. 24, primo e secondo comma, Cost.), nei cui riguardi, invece, il termine appena indicato dovrebbe cominciare a decorrere dalla effettiva pubblicazione della sentenza. 8. La questione, espone il rimettente, è rilevante poiché la sentenza di appello impugnata, ai fini dell individuazione della decorrenza del termine di cui all art. 327, primo comma, cod. proc. civ., ha fatto riferimento proprio al momento del mero deposito della sentenza di primo grado, qualificato come idoneo a determinare la giuridica esistenza della sentenza stessa, anziché a quello della effettiva pubblicazione della medesima, attestata dal cancelliere, come verificatasi in data successiva, in tal senso pervenendo alla declaratoria di inammissibilità dell appello per rilevata intempestività della sua proposizione.

7 L impugnazione, invece, si sarebbe dovuta ritenere tempestiva (con conseguente sua ammissibilità) ove la Corte d appello di Napoli avesse fatto riferimento alla (seconda) data di attestazione dell avvenuta pubblicazione effettiva. 9. È intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile o non fondata. Considerato in diritto 1. La Corte di cassazione, seconda sezione civile, con ordinanza del 22 novembre 2013, dubita della legittimità costituzionale degli artt. 133, primo e secondo comma, e 327, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), come interpretati dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n del 1 agosto 2012, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione. 2. La questione di costituzionalità sottoposta all esame della Corte attiene alle ricadute sulla decorrenza del termine per l impugnazione, cosiddetto lungo, nel caso in cui le attività di deposito della sentenza e di effettiva pubblicazione della stessa abbiano luogo in due momenti diversi. 3. La Corte di cassazione a sezioni unite civili ha statuito che «la sentenza del giudice esiste giuridicamente e tutti ne hanno scienza legale con la pubblicazione, a cura del cancelliere», e che «la pubblicazione è effetto legale della certificazione da parte del cancelliere della consegna ufficiale della sentenza, ed in tal modo egli completa il procedimento di pubblicazione che la norma prevede senza soluzione di continuità tra la consegna ed il deposito». È dunque una irregolarità, secondo la Corte di cassazione, l inconveniente di fatto «che il cancelliere dapprima attesta, ai fini e per gli effetti di cui agli artt cod. civ. e 57 cod. proc. civ., la data di deposito della sentenza, originale, completa, non necessitante di integrazione alcuna e successiva collazione; successivamente dichiara, in altra data da egli autonomamente determinata, che la sentenza è pubblicata». Da qui, per la Corte di cassazione a sezioni unite, l esigenza di ricondurre ad unità il sistema: «se sulla sentenza sono state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento depositato contiene la minuta della sentenza, e l altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposito». Tale opzione ermeneutica, che ad avviso del rimettente deve considerarsi diritto vivente, darebbe luogo a disparità di trattamento e risulterebbe, in modo irragionevole, lesiva della pienezza e della certezza del diritto di difesa delle parti costituite in giudizio. 4. È noto che per costante giurisprudenza di questa Corte nessuna norma di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo perché è suscettibile di essere interpretata in senso contrastante con i precetti costituzionali, ma deve esserlo soltanto quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione (ex multis, sentenza n. 17 del 2010). Nella specie, la considerazione di un più articolato quadro normativo di riferimento, anche in ragione dei principi già enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, offre la possibilità di un interpretazione costituzionalmente orientata. 5. La sentenza delle sezioni unite civili n del 1 agosto 2012 è espressione di apprezzabile rigore, anche esegetico, e dello sforzo di ricondurre a legalità l azione e insieme l organizzazione degli uffici competenti. Come le sezioni unite pongono in rilievo, nella procedura di pubblicazione disciplinata dall art. 133 cod. proc. civ., che si articola nel deposito della sentenza da parte del giudice

8 (primo comma) e nella presa d atto del cancelliere (secondo comma), l atto fondamentale è il primo; e ciò appare corretto alla stregua, oltre che del dato letterale ( la sentenza è resa pubblica mediante deposito ), di quello sostanziale, essendo tale soluzione interpretativa l unica coerente con il diverso ruolo del cancelliere e del giudice: come a quest ultimo compete la chiusura del rapporto processuale con il deposito della sentenza, rendendola con ciò immodificabile, così non può non competergli un ruolo determinante nella fase di pubblicazione, ai fini dei possibili sviluppi impugnatori. La separazione temporale dei due passaggi procedimentali che viene a crearsi con l apposizione di due date, comporta al contrario il trasferimento dell effetto pubblicazione dal primo al secondo, trasferimento che giustamente le sezioni unite stigmatizzano. 6. Peraltro non si è in presenza di una mera irregolarità ma di una patologia procedimentale grave per la sua rilevante incidenza sulle situazioni giuridiche degli interessati. Essa infatti è il riflesso del tardivo adempimento delle operazioni previste dall art. 133 cod. proc. civ., nonché, in particolare, dell inserimento nell elenco cronologico delle sentenze, con l attribuzione del relativo numero identificativo (art. 13 del d.m. 27 marzo 2000, n. 264 [Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari]; lettera A, n. 16, delle Istruzioni per la tenuta dei registri in forma cartacea, contenute nel d.m. 1 dicembre 2001 [Registri che devono essere tenuti presso gli uffici giudiziari]; legge 2 dicembre 1991, n. 399 [Delegificazione delle norme concernenti i registri che devono essere tenuti presso gli uffici giudiziari e l amministrazione penitenziaria]). Né, ai fini della conoscibilità, va dimenticato il complesso di disposizioni in via di attuazione sul processo telematico, finalizzato alla creazione di un sistema automatico di accesso, per i soggetti qualificati, a tutti gli atti del giudizio e in particolare alla sentenza pubblicata. È solo con il compimento di queste operazioni che può dirsi realizzata quella pubblicità, prevista dalla norma, che rende possibile a chiunque l acquisizione della conoscenza dei dati che ne costituiscono l oggetto, possibilità che si traduce nella titolarità da parte dei potenziali interessati di puntuali situazioni giuridiche e in particolare del potere di prendere visione degli atti pubblicati e di estrarne copia. 7. Pertanto, per costituire dies a quo del termine per l impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest ultima. 8. Il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende di fatto inoperante la dichiarazione dell intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa, e di ciò il giudice non può che prendere atto traendone le necessarie conseguenze. Qualora ciò accada, il ricorso all istituto della rimessione in termini per causa non imputabile (art. 153 cod. proc. civ.), utilizzato dalle sezioni unite (e che pure in situazioni particolari può costituire un utile strumento di chiusura equitativa del sistema), va inteso come doveroso riconoscimento d ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all impugnazione, riducendone, talvolta anche in misura significativa, i relativi termini (specie nella prospettiva della sopravvenuta disciplina dell istituto e in particolare della riduzione a sei mesi del termine in questione). 9. Così interpretato il diritto vivente, espresso nella parte ricostruttiva dalla sentenza delle sezioni unite, possono superarsi e quindi dirsi infondati i dubbi di costituzionalità prospettati nell ordinanza, pur apprezzabile nelle sue preoccupazioni garantiste.

9 È parte integrante del diritto di difesa, infatti, che i soggetti interessati abbiano tempestiva conoscenza degli atti oggetto di una possibile impugnazione, in modo che siano utilizzabili nella loro interezza i termini di decadenza previsti per l esperimento del gravame (sentenza n. 223 del 1993). 10. La questione di legittimità costituzionale degli artt. 133, primo e secondo comma, e 327, primo comma, cod. proc. civ., nel testo anteriore alla modifica apportata dall art. 46, comma 17, della legge n. 69 del 2009, come interpretati dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n del 1 agosto 2012, deve essere dichiarata non fondata nei termini indicati in motivazione. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata, nei termini indicati in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 133, primo e secondo comma, e 327, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo anteriore alla modifica apportata dall art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), come interpretati dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n del 1 agosto 2012, sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, seconda sezione civile, con l ordinanza indicata in epigrafe. CLAUDIO CONSOLO Sentenza doppiamente datata e dies a quo del termine - La doppia (data di) nascita della sentenza civile fra suprema corte e consulta nomofilattica Una patologia grave quella della doppia data, per la quale viene infine chiarito che basta per far ipso facto decorrere (e tener integro) il termine di gravame ex art. 327 c.p.c. la piena pubblicazione. La questione è arcinota eppure grave e, fino al 2015, non poteva certo dirsi così ben curata quanto al rispetto della garanzia integrale del termine di gravame (quello c.d. lungo ex art. 327 c.p.c., dal 2009 neppur poi tanto lungo) e alla elaborazione di costrutti sistematici congrui rispetto a tale fine. La sentenza in epigrafe (n del 22 maggio 2015 della VI-II sezione della S.C.) spiega, e lo fa come meglio e più accuratamente non si potrebbe, l evoluzione a tratti fra le più disperanti, ma infine alquanto rasserenatasi, della questione, ad un tempo teorica e gremita di affannose implicazioni pratiche. La svolta è stata la decisione della Consulta n. 3/2015, su sollecitazione coraggiosa e indomita di una sezione semplice (sez. II, ord. interlocutoria n /2013, in Corr. Giur., 2014, 993 ss., con ampia nota di Auletta, La temporale scissione tra deposito e pubblicazione della sentenza: la parola alla Corte Costituzionale, cui si rinvia), giustamente ritrosa a compiere un reiterato interpello a breve distanza delle medesime Sezioni unite (sent. n /2012, in Giur. It., 2013, 909 e segg., con nt. adesiva di A. Vanni), il cui severo credo (se la sentenza reca due diverse date, l una di deposito e l altra di pubblicazione, gli effetti della pubblicazione, tra cui la decorrenza del termine lungo per impugnare, si producono dalla prima data) solo un poco temperato dall apertura ad una discrezionale, e su istanza di parte, ordinanza di rimessione ex art. 153 c.p.c. lasciava allo stato poco di nuovo a far presagire. Le sezioni unite partivano da una premessa dogmatica esatta, quella per cui il dovere decisorio del giudice si esaurisce, non solo quanto al rispetto dei termini disciplinarmente rilevanti e alla acquisizione della irretrattabilità deldecisum ma pure quanto alla conclusione

10 del rapporto processuale, con la propria attività di deposito in cancelleria e sottoscrizione pur quando non segua immediatamente, come dovrebbe, quella di pubblicazione ad opera del cancelliere con tutte le relative formalità, e la apposizione autenticatrice della propria firma, infine last but not least iniziando ad aversi la estraibilità di copia e quindi la piena attivazione dell onere del gravame per il soccombente. Tuttavia le Sezioni un. avevano fatto esattamente coincidere questi due momenti e così l esaurimento decisorio del grado e la nascita non solo del potere ma dell onere di gravame: esaurito il dovere dell organo partecipe del rapporto processuale, il giudice dunque e non il cancelliere, veniva ipso facto ravvisato subentrare il dies a quo dell onere di impugnazione nel termine di cui all art. 327, con il solo temperamento di quella rimessione in termini oculatamente dispensata (o negata) caso per caso, proprio quella che la riforma del 2009, all art. 153 c.p.c., aveva elevato al di sopra dei singoli gradi del giudizio e generalizzato, secondo un diffuso auspicio (ad es. emerso nella severa prassi applicativa dell art. 331). Ma, vien da chiedersi, come avrebbero impostato il caso le sezioni unite prima del 2009, senza che il loro attuale rigore potesse almeno temperarsi in grazia (è proprio il caso di dire) di codesto novellato art. 153? Senza questa way out, forse allora avrebbero più facilmente constatato un certo qual grado di paralogismo assiomatico nel far coincidere quei due momenti, concettualmente e funzionalmente ben distinguibili pur se essi, cronologicamente, dovrebbero essere consecutivi, ovvero separati neppure da un giorno. Un dover essere che la realtà, e non solo quella degli uffici del giudice di pace, sovente neglige. Sia come sia, le sezioni unite si erano in quel senso da poco espresse. La via della rimessione alla Corte costituzionale era qui necessaria, dunque. Infatti, come rimarca Auletta (spec. p. 996), perché il collegio [della sez. II] non segue direttamente l interpretazione migliore? Perché non può, dato l impedimento rappresentato dall art. 374, comma 3 c.p.c., onde se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione. Ma se, allora, la revisione interpretativa è stimata necessaria e il giudice non si riconosce poteri sufficienti per operarla, perché non si spoglia della decisione a beneficio delle Sezioni unite? Il giudice (si) dà questa risposta: perché la peculiare forza del diritto vivente può essere vinta soltanto dal Giudice delle leggi quando le ragioni del suo possibile superamento si collocano interamente sul piano della costituzionalità ; ma questo postulerebbe un esito positivo solo in termini di decisione, magari interpretativa ma minoritaria ed estrinseca rispetto al mainstream giurisprudenziale, e quindi inesorabilmente una decisione di accoglimento. E così non è esattamente stato però. Balza all occhio inoltre, aggiungiamo noi, che le chances di revisione ad opera delle Sez. Un. del loro precedente dictum dovevano apparire minime e scoraggianti, avendo esse più volte assicurato che ad ogni propria pronuncia risolutiva di conflitti su questioni processuali si sarebbe dato seguito per qualche anno almeno per non fomentare le incertezze sul modus procedendi. Per vero una terza via la sez. II l avrebbe avuta, come nota Auletta: quella di valorizzare le peculiarità del caso decidendo direttamente, e per il meglio, l impugnazione proposta, applicando la rimessione in termini discrezionale (figura che peraltro mal si addice ad un giudizio di legittimità, con limitato accesso al fatto e nessuno alla prova costituenda). Fortunatamente non è andata così: senza elevare lo sguardo al piano generale, sarebbe mancata l occasione per porre un principio generalmente valido, a prescindere dalle peculiarità del caso. La Consulta ha dato a Cesare quel che gli spettava, lodando il rigoroso approccio logico delle Sez. Un. del 2012 quanto al significato che già riveste il deposito e la sottoscrizione del giudice unico titolare della funzione decisoria e rimarcando che già alla prima delle due (non irregolari, ma gravemente patologiche) date di nascita si chiude, con un atto del giudice, che ne è partecipe a differenza del cancelliere, il c.d. rapporto giuridico processuale. Nozione che, qualsiasi cosa si dica, continua a rendere, e a molti riguardi, utili servigi argomentativi e sul

11 piano del costruttivismo interpretativo (altra volta parlammo di neo-giusrazionalismo processuale: v., si vis, il ns. commento a Sez. Un /2014, in Corr. Giur., 2014, 893 e segg., La sottoscrizione manchevole, ma non mancante ( omessa ), in una prospettiva neoprocessual-razionalista). Dal deposito, quindi, consegue l irretrattabilità del decisum, cui il successivo operare (eventualmente pigro e così dilazionato) di un soggetto terzo rispetto al rapporto processuale ma non rispetto al procedimento, cioè del cancelliere, nulla può togliere. Se però il suo agire è appunto dilazionato, allora è solo l altro momento, il secondo, che segna l inizio della decorrenza del termine ex art. 327 c.p.c. per introdurre i gradi successivi (solo dalla pubblicazione in poi si può infatti conoscere il decisum, motivarsi a proseguire o no il processo e ottenere copia autentica, sia per notificare la sentenza sia per organizzare la interposizione di un gravame, il che postula innanzitutto leggere e avere contezza ufficiale del decisum). La Consulta si è dunque impegnata in quello che la sezione semplice della Cassazione del maggio 2015 chiama tout court citando trasparentemente una espressione già emersa nel dibattito (v. ad es. A. Martinuzzi, in Forum dei Quaderni costituzionali) esercizio (peraltro, aggiungeremmo, suppletivo e quasi rimediale) di una sorta di funzione nomofilattica costituzionale, che tuttavia nella specie si sovrappone e ingloba quella precedente ordinaria di una recente, insuperata sul proprio tema, disamina delle Sezioni unite. Dalla quale disamina, sia chiaro, la sentenza della Consulta diverge non poco, salvo per le giuste e condivise premesse sistematiche sul momento di conclusione del rapporto processuale nel grado considerato (ma fino alla esaustiva pubblicazione non potrà dirsi concluso anche il procedimento che invece coinvolge il cancelliere), e non di meno consente alle sezioni semplici della S.C. (oltre a questa sent. n /2015, cfr. anche e già Sez. lav., n. 6050/2015) di approdare all esito più congruo, praticamente e sistematicamente, della decorrenza del termine impugnatorio solo, sempre e tout court dalla seconda data, cioè dal momento della piena e completa pubblicazione (anziché da quello del mero deposito che pur segna la chiusura insuperabile del rapporto processuale di primo grado e la solutio della funzione decisoria). Con qualche soavità (dalle risonanze non inopportunamente irenistiche) nota la sent. n /2015 che una sentenza interpretativa di rigetto quale è formalmente quella n. 3/2015 della Corte costituzionale, ma nomofilatticamente vissuta e quindi impulso anziché di presa di atto del diritto vivente è cosa da decenni ben nota, appagante e sufficiente se la giurisdizione ordinaria non dovesse a valle ribellarsi e ribadire le proprie vecchie propensioni, ed in questi mesi le sezioni semplici mostrano invero un allineamento pieno (proprio per ciò, e visti gli esiti di piena conformità, la sentenza della Consulta, pur peculiare, non ci pare affatto mal tarata nella forma prescelta, tutt altro che inedita o rarissima: v. invece sul punto Carrato, La Cassazione chiarisce opportunamente gli effetti della portata della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2015, nota in corso di pubblicazione in Corr. Giur., ove si evidenzia come da tempo la dottrina costituzionalista affermi che se l interpretazione supposta incostituzionale sia consolidata, risulterebbe preferibile l adozione di una sentenza di incostituzionalità, avente efficacia vincolante erga omnes. Ma questo, soggiungiamo noi, è dopotutto solo un canone tendenziale, che va calibrato nel concreto contesto). E tuttavia la vicenda denota peculiarità indubbie sul crinale di conflitto tra diritto vivente [recente, ma netto e severo] e interpretazione conforme [ancor più recente, ma mite e più equa], che fan parere un poco riduttive ed eufemiche le espressioni minimizzanti secondo cui il Giudice (della costituzionalità) delle legge avrebbe solo in sostanza completato il percorso interpretativo delle Sezioni Unite là dove ha reso di fatto vincolante quel provvedimento di rimessione in termini che le Sezioni unite avevano ancora subordinato al ricorrere di particolari circostanze (nella specie poi negate). Le Sezioni Unite avevano ipotizzato che solo in casi di pubblicazione della sentenza a notevole distanza di tempo dal deposito ed in

12 prossimità del termine di decadenza per l impugnazione, la parte avrebbe potuto essere rimessa in termini. In questa severa ricostruzione il baricentro logico-processuale a noi pare risiedere nella esigenza che il processo ed il suo eventuale trasferimento al grado successivo non debba poter pendere indefinitamente, ad libitum in sostanza di un organo meno responsabilizzato del giudice, i cui ritardi sono certo meno fuori controllo, quale il cancelliere specie poi negli uffici del giudice di pace. Ma pur nei suoi riguardi i controlli istituzionali devono pur esserci e di essi, magari rafforzandolo pur dove manchi un togato dirigente dell ufficio, ci si deve appagare senza piegare a tali preoccupazioni la linearità delle garanzie di un processo totalmente equo. Per la Corte costituzionale, infatti, sarà invece il ritardato adempimento delle facoltà necessarie alla conoscenza del deposito, attestato dalla diversa data di pubblicazione, a renderlo di fatto inoperante dal punto di vista della nascita degli oneri della parte. Si aggiunga a questo che la Corte costituzionale, parlando di doveroso riconoscimento d ufficio di uno stato di fattocontra legem (punto 8, seconda frase, sent. n. 3/2015) impone a chi giudicherà in secondo e terzo grado di conteggiare ipso iure il termine lungo di impugnazione dalla data della pubblicazione e non da quella (ove patologicamente antecedente) del deposito, senza pretendere istanze di parte quali previste dall art. 153 c.p.c. e tanto meno senza vagliarle nel dato concreto contesto. Ope Constitutionis la legge ordinaria e quindi l art. 327 c.p.c., che pur solo di deposito parla, devono dunque leggersi in armonia completa con una (punto 9, sent. 3/2015 della Corte cost.) parte integrante del diritto di difesa, che è la interezza dei termini di decadenza, e così anche di quello che rischia di condurre ad una prematura cosa giudicata formale (v. già la sent. n. 223/1993, che sulla base di questi principi ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l art. 183, ult. co. del r.d. n. 1775/1933 sul Tribunale delle acque pubbliche che prevedeva per il contumace la notifica della sentenza anche ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione mediante inserzione nella G.U., anziché secondo la disciplina ordinaria degli artt. 138 e segg. c.p.c.). Garanzia che non ebbero, sia notato di sfuggita, le parti del giudizio conclusosi davanti alle Sezioni Unite che, ex art. 153 c.p.c. stricto sensu, si videro infatti (argomentatamente, beninteso) negare la professatamente discrezionale concessione del rimedio restitutorio. Requiescant in pace, verrebbe da dire: la dinamica del diritto nel processo da sempre fa qualche vittima, anche se, proprio per questo e per casi del genere di rapida evoluzione interpretativa, sarebbe forse maggior rispetto degli artt. 3 e 111 Cost. quello di istituire un fondo indennitario forfettario. In futuro nulla più di simile dovrà (e, a quanto pare, data la piena compliance della S.C., confidiamo del tutto irreversibile e senza più disturbare le Sezioni unite, neppure potrà) accadere senza timore che debba sopravvenire quella antica e confliggente, eppur doverosa, vicenda di stridente metamorfosi della interpretativa di rigetto in interpretativa di accoglimento che segnò in termini antagonistici epoche non rimpiante del Tale of two Courts. Dunque in casi del genere, con pronuncia di una sentenza di necessità manipolativa sul testo dell art. 327 c.p.c. di lettura avvertita tanto più da quando L. n. 69/2009 il termine c.d. lungo di un anno si è, come tante altre realtà, accorciato non poco e dimidiato (come nota anche Auletta, che evidenzia che la riduzione del termine lungo per impugnare da un anno a sei mesi seppur non applicabile al caso sottoposto alla sez. II remittente, non avrebbe potuto rimanere indifferente : v. spec. p. 999 e nt. 18). Di recente, in occasione di una commemorazione, in una Accademia di cui fu socio onorario, dei cent anni dall uscita de La prova civile di F. Carnelutti e dei cinquant anni dalla scomparsa di quell ingegno (in tutte le sue diverse stagioni) formidabile (su cui v. si vis Consolo, Le opere e i giorni nel percorso vocazionale di Carnelutti: dalla Commerciale alla Processuale, in Studi in onore di Libertini, Vol. III, 2015), il prof. Zanon ne ricordava le pagine, vergate dunque in età avanzata, sul rapporto fra poteri interpretativi del giudice

13 ordinario (e specie, come guida coerenziatrice, del suo vertice) e poteri para-normativi (negativi ma non troppo) della allora ancora neoistituita Corte costituzionale (v. infatti Carnelutti, Poteri della Corte costituzionale in tema di interpretazione della legge impugnata, in Riv. Dir. Proc., 1962, 349 e segg., in nota critica a Trib. Milano, 12 gennaio 1961, così massimato quando la Corte costituzionale rigetta il ricorso perché dà alla legge impugnata una interpretazione diversa da quella che vi ha dato il giudice a quo, questi è vincolato alla interpretazione adottata dalla Corte stessa ). In quella nota probabilmente ancor più breve della presente, e certamente ancor più incisiva, sulla sempre sua Processuale, quell ingegno che definirei dantesco avrebbe rimarcato che ciascuno ha il suo posto (al di là degli sforzi per la ricomposizione di un tessuto che è necessariamente multiforme, come nota la seconda sentenza annotata); tanto che per Carnelutti il Tribunale di Milano, anziché affermare la necessità di conformarsi alla diversa interpretazione (costituzionalmente orientata) prospettata dalla Consulta, e diversa da quella sostenuta e ritenuta incostituzionale dal remittente, avrebbe dovuto dare al caso [una soluzione che] è proprio quella che ha scartato a priori: tornare al giudice costituzionale facendogli, alla buona, questo discorso: il mio potere di interpretazione della legge è sovrano, salva la critica del giudice di appello e del giudice di cassazione; nello Stato di diritto ogni organo deve stare al suo posto; io sono soggetto al tuo giudizio quanto alla validità ma non quanto alla interpretazione della legge; secondo me la legge è così e non altrimenti; della validità della legge come io la intendo tu devi giudicare, con la conclusione che il vero è, del resto, che se la norma sia stata bene o male interpretata, può essere detto soltanto dalla Corte di cassazione, non dalla Corte costituzionale. Si avverte qui, oltre alla clarté geometrica consueta in quegli anni e cara ai nostri Maestri, un filo di gelosia nei riguardi di possibili intrudenze nella sfera interpretativa di un organo nuovo la cui giurisdizionalità, contrapposta alla politicità, non poteva ancora dirsi con sicurezza delineata. Non da oggi qualche maggiore nuance e quindi la legittimazione di una zona grigia nel territorio ove le due Corti sono compresenti va e viene comunemente ammessa, senza più quel rigido steccato funzionale. E pertanto, quando occorra, con esprit de finesse, il posto di ciascuno è quello che meglio serve e contribuisce ad attuare il giusto processo, ove sensibilità concettuale e vibrante senso del ragionevole e dell ars boni ed aequi (v., assai bene ci sembra, Caterini, Il diritto giurisprudenziale e l arte del diritto nel pensiero di Francesco Carnelutti, in Riv. Dir. Proc., 2015, 424 e segg.) danno forza ad una benvenuta sinergia, nella specie risultata (abbastanza) tempestiva.

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