Gaza, morti e feriti nei raid israeliani: quali sono le origini del conflitto tra Palestina e Israele?

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1 1 Gaza, morti e feriti nei raid israeliani: quali sono le origini del conflitto tra Palestina e Israele? di Stefano Consiglio :23 CEST Una nuvola di fumo emerge a seguito dei raid israeliani che stanno colpendo la Striscia di GazaReuters Da diversi giorni i cieli che sovrastano Israele e Palestina sono invasi dagli aerei lanciati dal governo di Tel Aviv e dai razzi esplosi da Hamas. Un'escalation di violenza che ha avuto origine nel sequestro e successiva uccisione di tre giovani ebrei, a cui ha fatto seguito un'immediata ritorsione da parte di nazionalisti israeliani che hanno bruciato vivo un ragazzo palestinese di 16 anni. Negli ultimi tre giorni i raid, compiuti dall'aviazione israeliana contro la Striscia di Gaza, hanno provocato oltre 80 vittime. La risposta di Hamas è stata immediata. Il suo portavoce, Sami Abuzuhri, ha rilasciato una dichiarazione tramite il suo profilo Facebook

2 facendo sapere che: "Tutti gli israeliani sono divenuti obiettivi della resistenza palestinese. Il massacro di Khan Yunis contro le donne e i bambini è un crimine di guerra, di conseguenza tutti gli israeliani sono divenuti un obiettivo legittimo di resistenza". Appena un mese fa, esattamente l'8 giugno, in molti avevano sperato in una definitiva riconciliazione tra questi due popoli, ormai in guerra da più di sessant'anni. Papa Francesco organizzò un incontro di preghiera tra il Presidente israeliano, Shimon Perez, e il Presidente palestinese, Abu Mazen. In questa occasione Perez fece un accorato appello affermando che: "Due popoli, gli israeliani e i palestinesi, desiderano ancora ardentemente la pace. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace: pace fra eguali. L'aspirazione che tutti condividiamo è la pace". Per quale motivo, dunque, a distanza di un mese da questo storico incontro, israeliani e palestinesi hanno deciso nuovamente di muovere guerra l'uno contro l'altro? Allo scopo di comprendere le ragioni di questo conflitto, appare necessario esaminarne le origini. Anzitutto è importante sottolineare che per secoli la Palestina è stata una società multietnica senza che ciò determinasse alcun conflitto. Nel XIX secolo, infatti, i territori palestinesi erano abitati da una popolazione multiculturale composta per l'86% da musulmani, per il 10% da cristiani e per il 4% da ebrei. Verso la fine del 1800 un gruppo minoritario di ebrei estremisti, noti con il nome di Sionisti, decisero di colonizzare queste terre allo scopo di creare un nuovo Stato per tutti gli ebrei. Questa politica venne decisa nel corso del primo convegno mondiale Sionista, indetto a Basilea nel 1897 dal suo fondatore Theodor Herzl. La popolazione palestinese non reagì all'iniziale migrazione dei Sionisti, fino a quanto quest'ultimi non cercarono di impossessarsi dei territori palestinesi per costituire lo Stato di Israele. I Sionisti acquisivano nuovi territori utilizzando i fondi stanziati dal Jewish National Fund; le terre venivano occupate in nome del popolo ebraico e non potevano più essere acquistate dagli arabi. Diversi episodi di violenza si susseguirono nel corso degli anni. Nei primi dieci anni del 1900 movimenti nazionalisti vennero creati dalla popolazione arabo-palestinese, allo scopo di respingere quella che veniva percepita come una vera e propria minaccia straniera. Momenti di pace e di tensione si alternarono fino alla fine del primo conflitto mondiale e alla conseguente caduta dell'impero Ottomano, il quale aveva dominato la Palestina per quattrocento anni. La Gran Bretagna, a cui la Società delle Nazioni diede mandato di amministrare i territori palestinesi dopo la fine della prima guerra mondiale, fu anch'essa causa del

3 conflitto israelo-palestinese. Formalmente il mandato concesso alla Gran Bretagna aveva lo scopo di aiutare le popolazioni locali a sviluppare i loro apparati istituzionali, onde facilitare il successivo allontanamento delle potenze coloniali. In realtà l'occupazione della Palestina trae origine dagli accordi franco-britannici di Sykes-Picot, siglati allo scopo di definire le aree del Medio Oriente che sarebbero state sottoposte al controllo delle due Nazioni. Sulla base di questi accordi la Palestina doveva essere destinata ad un'amministrazione internazionale, ma non fu così. La Gran Bretagna, infatti, amministrava di fatto i territori palestinesi sin dalla fine della prima guerra mondiale. Ciò è reso evidente dalla dichiarazione adottata nel 1917 dall'allora Ministro degli esteri britannico, Arthur Balfour. Con tale atto la Gran Bretagna espresse l'intenzione di creare all'interno dei territori palestinesi una "National home" che potesse ospitare tutti gli ebrei dispersi nelle varie nazioni, evitando tuttavia che ciò potesse pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina. Nonostante la dichiarazione di Balfour non riconoscesse espressamente agli Ebrei il diritto di costituire uno Stato nei territori palestinesi, questo è il senso che le venne dato. Negli anni immediatamente successivi all'inizio del mandato britannico, ufficializzato dalla Società delle Nazioni il 25 aprile del 1920, si fece un censimento in cui si registrò un sensibile incremento nel numero di ebrei migrati in Palestina. Nel 1922 la popolazione ebraica era composta da circa unita su un totale di persone, pari al 11,14% della popolazione totale. Negli anni 20' e 30' del 1900 vennero registrati numerosi scontri, dovuti non soltanto alla migrazione degli ebrei in Palestina ma anche alle modalità di acquisto/occupazione dei vari territori. Parte della popolazione araba, infatti, non possedeva ufficialmente i propri terreni; secondo le tradizioni locali, tuttavia, essi avevano il diritto di sfruttare le piante che vi crescevano sopra, tra cui alberi di ulivo che data la longevità venivano lasciati in eredità alle successive generazioni. Gli inglesi, ritenendo che secondo la legge questi terreni erano senza proprietario, li consegnavano immediatamente ai nuovi coloni ebrei non appena giungevano sul territorio. In aggiunta a ciò l'agenzia Ebraica si impegnò ad acquistare più territori possibile tra quelli aventi un proprietario, stabilendo che la terra doveva essere lavorata solamente da ebrei e che i terreni non potevano essere affittati agli arabi. Questa tensione esistente tra la popolazione arabo-palestinese e i coloni ebrei giunse adun punto critico con i Moti Palestinesi del Alcune centinaia di sionisti, appartenenti principalmente al movimento Betar, marciarono verso il Muro del Pianto di Gerusalemme e rivendicarono il diritto al controllo esclusivo della Città Santa. In risposta a questa provocazione il Consiglio Supremo Islamico organizzò un corteo anch'esso diretto al

4 Muro del Pianto. Una volta giunti sul posto, alcuni libri ebraici di preghiera vennero bruciati. Questo episodio venne ignorato dall'alto commissariato britannico mentre portò ad un'immediata reazione della comunità ebraica che diede vita ad una sommossa nel quartiere di Bukharian, a Gerusalemme. A questo punto iniziarono veri e propri scontri armati tra i gruppi ebrei e quelli arabi, che si conclusero con un bilancio finale di 116 morti tra la popolazione arabo-palestinese e 133 tra quella ebraica. Uno dei più celebri massacri è quello compiuto dagli arabi nel quartiere di Hebron, dove in poche ore circa 65 ebrei vennero uccisi. Tra la fine del 1920 e i primi anni del 1930 la situazione rimase tesissima. Gli inglesi continuarono ad appoggiare la colonizzazione dei territori palestinesi da parte degli ebrei. L'uccisione nel 1935 di Izz al-din al-qassam, fondatore della milizia terroristica mano nera, fu tra i fattori che scatenarono la grande rivolta araba del Venne istituito un Supremo Comitato Arabo che proclamò uno sciopero generale che sarebbe durato fintantoché non fosse cessata l'immigrazione ebraica in Palestina. Appena un mese dopo la proclamazione dello sciopero, il Comitato invitò tutti gli arabi a rifiutarsi di pagare le tasse, invocò l'immediata cessazione del mandato britannico e la completa indipendenza della Palestina. Diversi scontri ed episodi di violenza caratterizzarono i successivi sei mesi, fino a quando lo sciopero non venne revocato nell'ottobre del Nel 1937 la commissione britannica Peel propose di dividere in due la Palestina, allo scopo di creare due Stati distinti. Le due etnie sarebbero state separate attraverso l'istituzione di uno Stato palestinese nella parte meridionale e di uno ebraico nei territori settentrionali. Gli arabi, che rappresentavano la maggioranza della popolazione, rifiutarono sdegnosamente la proposta. La rivolta riesplose in tutto il suo vigore. Nell'autunno del 1937 l'alto commissario britannico, Andrews, venne assassinato. La Gran Bretagna reagì dichiarando illegale il Supremo Comitato Arabo e arrestandone i principali membri. La rivolta continuò fino al marzo del 1939 e si concluse senza che gli arabi avessero realizzato gli obiettivi politici che avevano determinato l'istituzione del comitato. La Gran Bretagna, che durante tutti gli anni del mandato aveva favorito la colonizzazione dei territori palestinesi da parte degli ebrei, mutò il proprio atteggiamento rispetto alla comunità sionista. Il 17 maggio 1939 il Segretario britannico alle Colonie, Malcom MacDonald, pubblicò il così detto "terzo libro bianco", allo scopo di porre un freno alla migrazione degli ebrei nei territori palestinesi. Venne stabilito che l'immigrazione ebraica sarebbe proseguita solamente per cinque anni, per un massimo di immigranti. A partire da quel momento le ulteriori immigrazioni dovevano avere il necessario consenso degli arabi. Questa decisione venne adottata mentre in Europa Hitler stava intensificando la sua politica di stermino degli ebrei. Ignorando completamente

5 quanto statuito nel suddetto libro bianco, e grazie all'appoggio dei nuovi alleati americani, molti ebrei cercarono rifugio dalla Shoah nei territori palestinesi. Alla fine della seconda guerra mondiale la popolazione ebraica rappresentava il 30% della popolazione complessiva, quando nel 1931 tale dato era fermo al 17% La proposta della commissione britannica Peel di creare nei territori palestinesi due Stati indipendenti fu ripresa dalle neonate Nazioni Unite nel 1947 attraverso la creazione dell'unscop (United Nations Special Committee on Palestine), composto da 11 nazioni "minori" (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Peru, Svezia, Uruguay, India, Iran, Repubblica di Jugoslavia, Australia). Lo scopo di questa composizione era di evitare la presenza, all'interno del comitato, di Stati direttamente interessati ai territori da dividere, garantendo in questo modo una maggiore neutralità. Anziché applicare il principio di autodeterminazione dei popoli, il quale lascia ad un popolo il diritto di costituirsi liberamente in uno Stato e di scegliere il proprio regime politico, le Nazioni Unite raccomandarono di dividere la Palestina in due parti, disponendo che il 55% dei territori fosse usato per la costituzione di uno Stato ebraico, nonostante il fatto che gli ebrei rappresentassero solamente il 30% della popolazione e possedessero appena il 7% delle terre. A favore di questa decisione votarono sette delle undici Nazioni che componevano il comitato (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Perù, Svezia, Uruguay); tre Paesi votarono per la creazione di un unico stato federale (India, Iran, Repubblica di Jugoslavia), uno Stato si astenne (Australia). Il 30 Novembre 1947, appena un giorno dopo rispetto alla decisione dell'onu di dividere i territori palestinesi, la regione era già infuocata da ripetuti atti di violenza. La guerriglia palestinese prese d'assalto gli insediamenti israeliani. Ciò che è meno noto è che anche gli ebrei ebbero la loro parte nell'esplosione del conflitto: le forze che componevano il così detto terrorismo sionista, compirono una serie di massacri a danno della popolazione palestinese. Uno dei più noti è quello di Deir Yassin, in cui oltre 100 persone, tra uomini donne e bambini, furono uccise. In quell'occasione il futuro Primo ministro di Israele, Menachem Begin, dichiarò: "Come a Deir Yassin, noi attaccheremo il nemico ovunque si trovi. Dio, tu ci hai scelto per la conquista". Questi attacchi compiuti da ambo le parti furono alla base della successiva prima guerra arabo-israeliana, combattuta tra il 1948 e il 1949 tra Israele e una lega di Stati arabi che volevano impedire la nascita dello Stato ebraico. Questo tentativo non ebbe successo; alla fine della guerra il 78% della Palestina venne occupato dalle truppe israeliane. Nuove

6 mappe furono disegnate, con una contestuale ridenominazione in ebraico di tutti i luoghi. Gli arabi, una volta predominanti in questa terra, non videro la nascita dello Stato palestinese. Gerusalemme fu dichiarata zona di guerra. Una nuova fase del conflitto si aprì nella seconda metà degli anni 50', con protagonista il carismatico leader egiziano Gamal Abd al-naṣer. La nazionalizzazione della compagnia franco-britannica che gestiva il Canale di Suez fu alla base della seconda guerra araboisraeliana, che si concluse con la totale vittoria di Israele che riuscì anche ad occupare il Sinari, restituito solo successivamente all'egitto grazie all'intermediazione delle Nazioni Unite. Il conflitto tra arabi e israeliani riesplose nuovamente nel 1967 con la guerra dei sei giorni, nota anche come terza guerra arabo-israeliana. Israele, con una serie di attacchi a sorpresa, conquisto quel 22% di territorio palestinese che non era riuscita ad occupare nel Cisgiordania e Striscia di Gaza divennero territori occupati, non potendo essere annessi allo Stato di Israele ai sensi del diritto internazionale. Il Governo israeliano invitò la propria popolazione ad insediarsi in questi territori, corrispondenti con le zone della Giudea e della Samaria. Nel 1973 Siria ed Egitto attaccarono a sorpresa Israele scatenando la quarta, e ultima, guerra arabo-israeliana nota più comunemente con il nome di guerra del Kippur. Le forze attaccanti riuscirono in un primo momento a conquistare il canale di Suez, ma furono successivamente sconfitte dalle truppe israeliane guidate dal generale e futuro Primo ministro di Israele Ariel Sharon. I successivi processi di pace, intermediati da una delegazione delle Nazioni Unite, posero fine al coinvolgimento di altri Stati Arabi nel conflitto tra Palestina e Israele. Da quel momento l'olp fu il principale attore di quella che divenne una partita a due. Negli anni successivi alla fine delle guerre arabo-israeliane periodi di distensione tra Israele ed i Paesi arabi limitrofi si alternarono a periodi di maggior conflitto. Si pensi all'invasione ripetuta da parte dell'esercito israeliano del Libano, in cui l'olp aveva stabilito a partire dal 1968 la sua base operativa. Nel frattempo nei territori palestinesi i continui insediamenti della popolazione ebraica nei territori occupati, congiuntamente alle pretese di Israele di controllare Gerusalemme in quanto sito in cui sorgeva l'originario tempio ebraico, furono la causa scatenante della prima Intifada palestinese del I successivi accordi siglati ad Oslo nel 1993, tra il Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e

7 il leader dell'organizzazione libera Palestina (OLP) Yasser Arafat, furono il primo reale tentativo di porre fine a questo decennale conflitto. Questi accordi prevedevano, essenzialmente, il ritiro delle forze israeliane da alcune parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, il cui autogoverno da parte della Palestina sarebbe stato garantito attraverso la creazione dell'autorità Nazionale Palestinese (ANP). Gli accordi di Oslo, sfortunatamente, non riuscirono a porre fine al conflitto. Il loro principale difetto era l'assenza di una chiara definizione rispetto allo status finale della Palestina. Lo stesso Rabin, uno dei promotori della loro sottoscrizione, temporeggiò ripetutamente sostenendo che: "non esistono scadenze sacre". Gli accordi di Oslo furono fortemente incrinati nel 1995 quando un estremista religioso ebreo assassinò il Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Negli anni successivi Israele riprese la sua politica di occupazione della Cisgiordania e espropriò molti terreni palestinesi situati intorno a Gerusalemme. Quando nel 2000 Ariel Sharon, futuro Primo ministro di Israele, marciò insieme a centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa verso il Monte del tempio, luogo sacro per i musulmani, la seconda intifada ebbe inizio. A differenza della prima, caratterizzata da lanci di sassi e brevi attacchi contro gli insediamenti israeliani, la seconda intifada è ben nota per gli attacchi terroristici suicidi. Nel 2003 gli Stati Uniti tentarono di risolvere il conflitto israelo-palestinese attraverso la creazione di una "Road map to peace", ma senza ottenere successo. Gli scontri tra Israele e Palestina continuarono ininterrottamente. Dopo la morte nel 2004 di Yasser Arafat, leader storico dell'anp, il dialogo tra Palestina e Israele riprese nuova vita. Ariel Sharon, Primo ministro israeliano, considerava infatti inaffidabile il leader palestinese. Nel gennaio del 2005, al termine delle elezioni presidenziali tenutesi in Palestina, Abu Mazen venne eletto quale successore di Arafat. Proprio in questi anni Israele abbandonò la sua politica di occupazione del territorio palestinese. I soldati presenti nella Striscia di Gaza vennero ritirati. Nel gennaio del 2006 le elezioni politiche in Palestina furono vinte da Hamas, un'organizzazione definita terroristica sia dall'unione Europea sia dagli Stati Uniti. Il nuovo governo venne immediatamente boicottato dalla comunità internazionale, che sostenne invece Abu Mazen, Presidente dell'anp e leader di Al-Fatah, principale partito rivale di Hamas arrivato secondo alle elezioni politiche con il 41% dei voti contro il 43% del gruppo vincitore. Il conflitto tra Hamas e Fatah continuò, a fasi alterne, per diversi anni in quella che viene comunemente nota come guerra civile palestinese. Nel giugno del 2007 Hamas

8 conquistò la Striscia di Gaza. Di tutta risposta Israele autorizzò, nell'estate del 2007, la costruzione di un muro della lunghezza di 730 km in Cisgiordania allo scopo di separare la Palestina dai territori israeliani. Tra il 2007 e il 2008 la situazione fu caratterizzata da una serie di tregue tra Hamas e Israele, alternate da raid mirati dell'esercito israeliano e lanci di razzi da parte dell'organizzazione palestinese. Il 27 dicembre 2008, a seguito di un lancio massiccio di razzi da parte di Hamas, che a sua volta aveva reagito ad un blitz dei corpi speciali israeliani che avevano attaccato la Striscia, Israele avvio l'operazione piombo fuso. Più che di una guerra si trattò di un massacro, terminato solamente il 18 gennaio del 2009 con la conferenza di pace di Sharm el Sheikh. Il bilancio finale fu di 1203 vittime tra i palestinesi, contro i 13 caduti tra le fila israeliane. Il 23 Aprile 2014 si registrò una svolta nella guerra civile Palestinese con la sottoscrizione di un accordo di riconciliazione tra Hamas e Fatah. Sfortunatamente l'altro grande protagonista di questo conflitto, il Governo di Israele, reagì con sdegno all'idea che venisse istituito un Governo di unità nazionale. Il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, dichiarò che Abu Mazen doveva scegliere tra la pace con Israele e la pace con Hamas. La decisione di Israele di non partecipare al colloquio tra Hamas e Fatah sembra aver peggiorato ulteriormente il conflitto esistente, la cui drammaticità è stata dimostrata degli ultimi giorni dai raid compiuti dall'aviazione israeliana. Cosa potrebbe essere fatto, dunque, per tentare di porre fine a questa guerra decennale? L'esame diacronico dei vari eventi che hanno prima determinato e poi caratterizzato il conflitto, ha evidenziato la fallimentarietà di tutte le politiche unilaterali adottate da Israele. Il problema principale in queste terre è la scarsità di risorse, in particolare idriche, che vengono attualmente controllate quasi in via esclusiva da Israele. Tutte le volte in cui c'è stata una reale prospettiva di soluzione del conflitto, il dialogo avviato o gestito da un'autorità terza, sia che si tratti del Papa o di una organizzazione internazionale, è stato lo strumento principe della pace. In questo contesto le Nazioni Unite, responsabili anch'esse per la guerra in corso, potrebbero giocare un ruolo molto importante, dimostrando che il preambolo della Carta, in cui si afferma che: "I popoli delle Nazioni Unite si impegnano a salvare le future generazioni dal flagello della guerra", non contiene solo parole ma prospettive, realizzate attraverso un impegno costante dei vari organi competenti.

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