LO STUDIO BIOLOGICO DELLE GROTTE SOTTOMARINE DEL MEDITERRANEO: CONOSCENZE ATTUALI E PROSPETTIVE

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1 Boll. Mus. Ist. biol. Univ. Genova, 60-61: 41-69, (1996) 41 LO STUDIO BIOLOGICO DELLE GROTTE SOTTOMARINE DEL MEDITERRANEO: CONOSCENZE ATTUALI E PROSPETTIVE THE BIOLOGICAL STUDY OF THE SUBMARINE CAVES OF THE MEDITERRANEAN: PRESENT KNOWLEDGE AND PERSPECTIVES CARLO NIKE BIANCHI 1, RICCARDO CATTANEO-VIETTI 2, FRANCESCO CINELLI 3, CARLA MORRI 2, MAURIZIO PANSINI 2 1 Centro Ricerche Ambiente Marino, ENEA S. Teresa, CP 316, La Spezia 2 Istituto di Zoologia, Università di Genova, via Balbi 5, Genova 3 Dipartimento di Scienze dell'ambiente e del Territorio, Università di Pisa, via Volta 6, Pisa ABSTRACT Biological research on Mediterranean submarine caves concerns four major topics: 1) floral and faunal inventories; 2) evolutionary aspects; 3) community zonation; 4) ecosystem functioning. Submarine caves are regarded as simplified models of less easily accessible marine ecosystems, such as ocean depths. KEY WORDS Marine cave ecosystem, Community zonation, Ecological factors, Benthos, Mediterranean Sea. INTRODUZIONE L'interesse dello studio biologico delle grotte marine risiede nel fatto che esse, non solo albergano una fauna spesso peculiare, ma anche rappresentano una sorta di "laboratorio naturale" per lo studio del ruolo e dell'influenza dei fattori ambientali marini sulle comunità animali (RIEDL, 1978). In grotta, infatti, i gradienti ambientali sono estremamente netti, con condizioni al contorno "semplificate": nell'ambito di pochi metri si verificano variazioni

2 42 di luce, di idrodinamismo o di apporti trofici che nell'ambiente esterno possono interessare decine o addirittura centinaia di metri (SARÀ, 1978; BIANCHI, 1994). È negli ultimi anni, poi, che ci si è resi conto che, per una serie di caratteristiche, le grotte marine possono costituire un modello in scala ridotta, e facilmente accessibile allo studio, degli ecosistemi marini di profondità (BOURY- ESNAULT et al., 1993). Le definizioni di grotta marina sono numerose e spesso differenti, anche in relazione alla loro morfologia e genesi (COLANTONI, 1978, 1994; FORTI, 1993). In questa sede si utilizzerà il termine di grotta marina per indicare una cavità di varia origine, in tutto o in parte occupata dal mare, accessibile all'uomo. Essa deve presentare sviluppo orizzontale e volumetrico significativi: un possibile criterio prevede che il rapporto tra i numeri che esprimono il volume totale (in m 3 ) e l'area dell'ingresso (in m 2 ) debba essere superiore a 1, e che la larghezza dell'ingresso non debba superare quella media interna. Lo studio dei popolamenti vegetali ed animali presenti nelle grotte sommerse è stato possibile solo con lo sviluppo dell'immersione subacquea autonoma da parte dei ricercatori, fatto che ha permesso l'osservazione ed il campionamento diretti (LABOREL, I960; VACELET, 1967a). In Mediterraneo i primi studi si devono alla scuola francese (PÉRÈS & PICARD, 1949; CORROY et al., 1958; LABOREL & VACELET, 1958, 1959; etc.) e a quella austriaca (AA.VV., 1959; RIEDL, 1966; etc.), che già tra gli anni '50 e '60 hanno portato al consolidamento delle nostre conoscenze di base sulla biologia delle grotte: con la pubblicazione del «Biologie der Meereshöhlen» di Rupert RIEDL (1966), si realizza una prima sintesi che tutt'oggi rappresenta un riferimento irrinunciabile sull'argomento. A partire dagli anni '70 si sono avuti importanti contributi anche da parte dei ricercatori italiani (CATTANEO & PASTORINO, 1974; SARÀ, 1974, 1978; CINELLI et al., 1977; CANTONE et al., 1979; etc.) e, dagli anni '80, spagnoli (BIBILONI & GILI, 1982; GILI et al., 1982, 1986; BIBILONI et al., 1984; etc.). In linea generale le ricerche biologiche condotte nelle grotte marine mediterranee possono essere divise, a seconda delle problematiche affrontate, in quattro temi (PANSINI et al., 1994): 1) studi floro-faunistici; 2) aspetti evolutivi; 3) inquadramento biocenotico; 4) indagini più strettamente ecologiche.

3 43 GLI STUDI FLORO-FAUNISTICI II primo approccio allo studio della biologia della grotte marine - così come per diversi altri ambienti - è stato senza dubbio di tipo tassonomico, passo necessario ed indispensabile per condurre qualsiasi altro tipo di indagine ecologica. I primi contributi organici di una certa completezza furono i risultati della «Österreichischen Tyrrhenia Expedition» del 1952 sulle grotte della Penisola Sorrentina. Furono indagati praticamente tutti i gruppi animali del benthos marino: poriferi (RUSS & RÜTZLER, 1959), cnidari (ABEL, 1959a; RIEDL, 1959a), turbellari (RIEDL, 1959b), nematodi (WIESER, 1954), nemertini (RIEDL, 1959c), molluschi (STARMÜHLNER, 1955), policheti (BANSE, 1959), crostacei (PESTA, 1959; RUFFO, 1959), echinodermi (CZIHAK, 1954), e pesci (ABEL, 1959b). Successivi contributi hanno riguardato numerose altre grotte in diverse aree mediterranee, ma prevalentemente nel bacino nord-occidentale (coste spagnole, francesi ed italiane). In sintesi, i principali lineamenti della composizione del popolamento delle grotte sommerse mediterranee possono essere i seguenti. I vegetali, naturalmente, penetrano in grotta molto limitatamente, e si incontrano solo nei pressi dell'ingresso (ERNST, 1959; PIGNATTI et al., 1967; FEOLI & BRESSAN, 1972; MAZZELLA et al., 1979; SALGHETTI-DRIOLI et al., 1985; ALVISI et al., 1994a). Non si ritrova nessuna specie di fanerogame, mentre le alghe sono rappresentate da diverse specie sciafile: si tratta soprattutto di rodoficee corallinacee e di alcune cloroficee. Per quanto riguarda la fauna macroscopica, i gruppi più significativi sono protozoi, poriferi, cnidari, molluschi, anellidi, artropodi, briozoi, brachiopodi, echinodermi, ascidiacei, e pesci; per completezza, si potrebbero ricordare anche i mammiferi, in quanto la foca monaca (Monachus monachus) frequenta (o purtroppo bisognerebbe forse dire frequentava) certe grotte marine (BOITANI, 1981). Ciò non toglie che anche i gruppi "minori" possano presentare notevole interesse faunistico: i chetognati, ad esempio, comprendono alcune specie caratteristiche delle grotte marine (CASANOVA, 1992). I protozoi sono rappresentati, oltre che da specie microscopiche, da una specie coloniale che raggiunge dimensioni tali da renderla ben visibile ad occhio nudo: Miniacina miniacea (BALDUZZI

4 44 & CATTANEO, 1985). I poriferi sono probabilmente il gruppo più numeroso in grotta: sono spesso assai abbondanti, e con molte specie differenti (SARÀ, 1959, 1968; POULIQUEN, 1972; PANSINI et al., 1977; VACELET, 1978, 1994; PANSINI & PRONZATO, 1982; BIBILONI et al., 1989). Le forme incrostanti sono generalmente le più frequenti. In tempi del tutto recenti, è stata addirittura scoperta, nella grotta Trois Pépés presso Marsiglia, una spugna carnivora (VACELET & BOURY-ESNAULT, 1995). Gli cnidari sono rappresentati da diverse specie appartenenti ad idrozoi, scifozoi (scifopolipi) ed antozoi (BOERO, 1985; GILI & ROS, 1985; GILI et al., 1989; GILI & BALLESTREROS, 1991). L'ordine più importante è quello dei madreporari (o sclerattinie), con specie sia coloniali sia solitarie (ZIBROWIUS, 1978; PESSANI, 1994). I molluschi (SEGRE, 1956; STARMÜHLNER, 1968; CATTANEO, 1982; IDATO et al., 1983; ROS, 1985; CATTANEO-VIETTI & RUSSO, 1987), gli anellidi (BELLAN, 1968; BELLONI & BIANCHI, 1982) e gli artropodi (MACQUART-MOULIN & PATRITI, 1966; CHIMENZ- GUSSO et al., 1978; SCIPIONE et al., 1981; DIVIACCO, 1985; RIERA et al., 1985a; GILI & MACPHERSON, 1987; PESSANI & MANCONI, 1994) comprendono soprattutto specie vagili, più o meno numerose in grotta (LEDOYER, 1965). Tra le forme sessili, sono da ricordare i policheti serpuloidei (ZIBROWIUS, 1968), che rivaleggiano per abbondanza e ricchezza con poriferi, madreporari e briozoi, ed i crostacei cirripedi: la forma cosiddetta "ipobionte" di Chthamalus stellatus è tipica delle grotte (BIANCHI et al., 1988). I briozoi sono molto spesso dominanti per abbondanza e per numero di specie, soprattutto con diverse forme incrostanti di chilostomi e di ciclostomi (HARMELIN, 1969, 1983, 1986; ZABALA e GILI, 1985). Brachiopodi (LOGAN & ZIBROWIUS, 1994) ed ascidiacei compaiono con alcune specie, per lo più di piccole dimensioni. Gli echinodermi sono raramente abbondanti (TORTONESE, 1978). I pesci, infine, comprendono diverse specie abituali frequentatrici delle grotte: tra le più caratteristiche si possono citare Apogon imberbis, Thorogobius ephippiatus e Grammomus ater. Inoltre, forme giovanili di diverse specie litorali, quali ad esempio Chromis chromis, trovano comunemente rifugio in grotta (BALDUZZI et al., 1980).

5 45 GLI ASPETTI EVOLUTIVI Le ricerche di tipo adattativo-evoluzionistico mirano a ricostruire la storia biologica di eventuali specie tipiche delle grotte e cercano di individuare la loro origine, al fine della comprensione dei meccanismi adattativi che stanno alla base della colonizzazione di questi particolari ambienti. In linea teorica, la colonizzazione delle grotte può essersi originata in due modi differenti (BALDUZZI et al., 1989): 1) penetrazione di specie generaliste, largamente diffuse lungo i litorali rocciosi, che - a seguito di una successiva specializzazione ecologica - possono aver subito speciazione (SARÀ, 1974, 1978); 2) penetrazione di specie "preadattate", in quanto viventi in microambienti cavitari (specie criptobiotiche) o in profondità (specie batifile), cioè in situazioni per certi versi simili a quelle di grotta (POULIQUEN, 1969; ZIBROWIUS, 1971; BALDUZZI et al., 1980; BELLONI & BIANCHI, 1982). Le nostre conoscenze attuali sulla fauna delle grotte marine fanno ritenere che il secondo meccanismo sia quello più probabile (BALDUZZI et al., 1989). A causa della natura stessa del mezzo acqueo, infatti, le grotte marine non sono sufficientemente isolate dall'ambiente esterno; inoltre le grotte marine mediterranee sono ambienti di formazione geologica recente (COLANTONI, 1978): eventi di speciazione sono quindi improbabili, anche se non manca qualche esempio contrario (CASANOVA, 1992; LOGAN & ZIBROWIUS, 1994). Il fenomeno per il quale sono le specie criptobiotiche e batifile a caratterizzare la fauna delle grotte è stato definito "troglobiosi secondaria" (CATTANEO & PASTORINO, 1974): "troglobiosi" perché tali specie sono estremamente caratteristiche delle grotte sommerse, "secondaria" perché la loro origine evolutiva non è avvenuta in grotta ma va ricercata nell'ambiente esterno (Fig. 1). Infine, è da citare un terzo contingente di specie presenti nelle grotte marine: le cosiddette "specie relitte" (SARÀ, 1974, 1978). Si tratta di forme arcaiche, attualmente soppiantate nel mondo esterno da specie evolutivamente più "moderne" e più agguerrite nella competizione biologica. Un esempio famoso è il porifero Petrobiona massiliana, appartenente al gruppo dei Faretronidi, ritenuto estinto dal periodo Cretaceo (VACELET, 1964, 1967b). Da questo punto di vista, le grotte hanno funzionato da "rifugi", in quanto presen-

6 46 Fig. 1 - Rappresentazione schematica della colonizzazione delle grotte marine da parte di specie criptobiotiche e batifile (da HARMELIN, 1986, modificato). tano un popolamento più rarefatto, e quindi meno competitivo (HARMELIN et al., 1985). Nel complesso, le grotte marine si differenziano grandemente dal punto di vista evolutivo dalle grotte continentali (DELAMARE DEBOUTTEVILLE, 1960, 1971): mentre quest'ultime possiedono un popolamento povero in specie ed in individui, ma ricco in caratteri adattativi ed in endemismi, le grotte marine sono relativamente ricche di specie, rappresentate talvolta da numerosi individui, e mancano o quasi di specie esclusive o con adattamenti peculiari (RIEDL, 1966). Questo fatto è in parte dovuto alla già ricordata continuità del mezzo acqueo tra mondo esterno e grotta. Altri aspetti sono legati alle caratteristiche vitali degli invertebrati marini, nei quali, a dif-

7 47 ferenza che in quelli delle acque continentali, sono molto sviluppati i fenomeni di colonialità e di gregarismo (LARWOOD & ROSEN, 1979). Ciò non toglie, comunque, che negli organismi viventi nelle grotte marine si riscontrino alcune modificazioni (SARÀ, 1961; PESSANI-RAPPINI, 1979; HARMELIN et al., 1985; CATTANEO-VIETTI & RUSSO, 1987; BAVESTRELLO & SARÀ, 1992; CASANOVA, 1992; BAVESTRELLO et al., 1994; MORRI et al., 1995), alcune delle quali di indubbio valore adattativo: nella taglia (gigantismo o nanismo), nella morfologia (ad es. forme massive si trasformano in incrostanti), nella colorazione (ad es. depigmentazione), nel comportamento (ad es. migrazioni). La contrapposizione tra grotte marine e grotte continentali non riguarda, però, le cosiddette grotte anchialine (SKET, 1981) o marginali (RIEDL & OZRETIC, 1969): si tratta di grotte che hanno perso la connessione superficiale con il mare ma hanno acque salate o salmastre fluttuanti in sintonia con la marea; un'altra definizione le descrive come corpi di acqua salsa, solitamente con limitata esposizione all'aria aperta, provvisti di connessioni sommerse col mare, e mostranti notevoli influenze sia marine sia terrestri. Dal punto di vista evoluzionistico, tali grotte hanno caratteri più affini a quelli delle grotte continentali che a quelli delle grotte marine, pur essendo la loro fauna di inequivocabile origine marina. Le loro maggiori caratteristiche biologiche possono essere così riassunte (ILIFFE et al., 1983; ILIFFE, 1987, 1991): assenza di fauna sessile; presenza di piccola fauna vagile (soprattutto crostacei) altamente specializzata; troglobiosi ed endemismi; taxa superiori esclusivi. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, si può ricordare che le grotte anchialine, studiate soprattutto sulle isole oceaniche, hanno recentemente dato alla scienza la nuova classe Remipedia (crostacei), i nuovi ordini Mictacea (peracaridi) e Platycopioida (copepodi), e le nuove famiglie Atlantasellidae (isopodi) e Agostocaridae (decapodi caridei). INQUADRAMENTO BIOCENOTICO Una caratteristica palese del popolamento delle grotte, così come di altri ecosistemi, è che esso presenta una marcata zonazione; vale a dire: le specie che lo compongono non sono distribuite omogeneamente all'interno delle cavità, ma prediligono settori distinti (BIANCHI & MORRI, 1994).

8 48 I ricercatori che più si sono impegnati a definire la tipologia e la distribuzione delle zone biologiche che si instaurano all'interno delle grotte marine sono stati anche in questo caso gli austriaci ed i francesi. In base alla fisionomia del popolamento, e basandosi soprattutto su alghe e idroidi, RIEDL (1966) distingueva 6 zone faunistiche differenti: I) Phytal-Schattengebiet (zona del filale ombroso, sciafilo); II) Höhlen-Eingangsgebiet (zona dell'ingresso della grotta); III) vordere Bestandsgebiete (zona del contingente anteriore); IV) zentrale Bestandsgebiete (zona del contingente centrale); V) hintere Bestandsgebiete (zona del contingente posteriore); VI) das "leere Viertel" (il "quarto vuoto"). Tale zonazione si riscontra, sostanzialmente identica, in tutte le grotte a fondo cieco, indipendentemente dalla profondità a cui si trovano. I ricercatori di scuola francese hanno invece riconosciuto l'esistenza nelle grotte sottomarine di due biocenosi-tipo. Questa è infatti l'impostazione che si ritrova nel famoso «Nouveau manuel de bionomie benthique» (PÉRÈS & PICARD, 1964). Anche a causa dell'influenza che il «Manuel» ha avuto sui biologi marini del Mediterraneo, tale inquadramento è oggi quello più seguito ed accettato (CATTANEO & PASTORINO, 1974; BIBILONI et al., 1984; HARMELIN et al., 1985; BALDUZZI et al., 1989). Le due biocenosi, entrambe a composizione puramente animale, sono così denominate: biocoenose des grottes semi-obscures (GSO) (biocenosi delle grotte semi-oscure), dominata da poriferi e antozoi; biocoenose des grottes et boyaux à obscurité totale (GO) (biocenosi delle grotte e dei cunicoli ad oscurità totale), caratterizzata da serpulidi, madreporari, poriferi, e crostacei vagili. La prima (GSO) si ritrova tipicamente all'ingresso delle cavità, o anche sotto tetti e strapiombi che pur non sarebbero, topograficamente parlando, delle vere e proprie grotte. La seconda (GO) caratterizza le porzioni interne delle grotte a fondo cieco (Fig. 2). Va sottolineato che la definizione delle zone biologiche nelle grotte sottomarine è sempre basata essenzialmente sulla distribuzione dei popolamenti di fondo roccioso: le comunità di endofauna dei sedimenti che ricoprono talvolta il pavimento delle grotte sono in genere estremamente povere, dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo, e sono state comunque assai meno studiate (MONTEIRO-MARQUES, 1981).

9 49 Fig. 2 - Lineamenti biocenotici di una grotta a fondo cieco: la grotta della Cala di Mitigliano (da BALDUZZI et al., 1989, modificato). LE INDAGINI PIÙ STRETTAMENTE ECOLOGICHE Con questa dizione ci si riferisce a quella serie di ricerche, molte delle quali assai recenti, che prendono in considerazione l'organizzazione delle comunità, analizzano il ruolo dei differenti fattori ambientali e, in sintesi, mirano a descrivere il funzionamento dell'ecosistema di grotta. L'organizzazione della comunità Quasi tutti i parametri strutturali utilizzati per descrivere l'organizzazione delle comunità biologiche mostrano severi gradienti tra l'ingresso e l'interno delle grotte (HARMELIN et al., 1985; BALDUZZI et al., 1989). Uno dei parametri più evidenti è il ricoprimento degli organismi sessili, cioè la percentuale di substrato da essi occupato. Da valori attorno al 100 %, tipici dell'ambiente esterno, il ricoprimento si riduce progressivamente, come è facile constatare con rilevamenti fotografici (BALDUZZI et al., 1985); esso può diventare zero o quasi nel "leere Viertel", dove si possono incontrare solo pochi organismi vagili.

10 50 Similmente al ricoprimento, si comportano la ricchezza specifica e la diversità ecologica (BALDUZZI et al., 1980, 1982, 1989), anche se gli andamenti sono spesso irregolari a causa della disposizione a chiazze (patchiness) degli organismi (HARMELIN, 1985; HARMELIN et al., 1985). In tempi più recenti sono state prese in considerazione misure di biomassa, ovvero della quantità in peso per unità di superficie della materia vivente presente. A causa della laboriosità di queste misure (PALMERINI & BIANCHI, 1994), i dati sono ancora pochi e riguardano un numero molto limitato di cavità. Purtuttavia, anche per la biomassa si conferma un andamento di brusca diminuzione proseguendo dall'ingresso verso l'interno (TRUE, 1970; FICHEZ, 1989, 1990a; ZABALA et al., 1989). Misure effettuate in una grotta presso Marsiglia, in particolare, hanno posto in evidenza che i valori di biomassa, sia nell infauna sia nell'epifauna, all'interno sono inferiori al 10 % di quelli all'esterno (FICHEZ, 1989). Gli studi condotti nelle grotte della Penisola Sorrentina hanno mostrato che la struttura trofica delle comunità di grotta si impernia sui filtratori (o sospensivori), che costituiscono il gruppo dominante sia per numero di specie e di individui sia per biomassa (Fig. 3). Al secondo posto si trovano i carnivori, sia predatori sia Fig. 3 - Dominanza qualitativa di gruppi trofici nei policheti di tre grotte della Penisola Sorrentina (da BIANCHI, 1985).

11 51 carognari (i cosiddetti "scavengers"). Detritivori e limivori compaiono in genere in quantità trascurabili, mentre i vegetali fotoautrotofi sono ovviamente del tutto assenti (RIEDL, 1966; BIANCHI, 1985). I fattori ambientali L'estinzione della luce gioca ovviamente un ruolo primario nel condizionare il popolamento biologico, agendo primariamente sulla componente algale (PÉRÈS & PICARD, 1949; LAUSI et al., 1967; CINELLI et al., 1977). La stessa classificazione delle due biocenosi-tipo, con la contrapposizione tra "semi-oscurità" e "oscurità" lascia sottintendere ampiamente che si ritiene sia la luce il fattore responsabile della loro distinzione (PÉRÈS & PICARD, 1964). L'attenzione dei primi ricercatori si concentrò dunque sulla misurazione di questo parametro: al di sotto dell'1 % dell'intensità luminosa di superficie, il popolamento si fa marcatamente sciafilo, a dominanza animale; nelle grotte con sufficiente sviluppo orizzontale o con topografia tortuosa, si giunge alla completa oscurità, ed il chiarore dell'ingresso non è più percepibile anche dopo che l'occhio si sia abituato al buio (BIANCHI et al., 1988). Studiando il popolamento di grotte a tunnel, tuttavia, ci si rese conto che l'estinzione della luce era condizione necessaria ma non sufficiente all'instaurarsi del popolamento di grotta. Nelle grotte a tunnel, infatti, si constatò che anche nella più completa oscurità il popolamento era ascrivibile, per fisionomia e composizione, alla biocenosi delle grotte semioscure: il ricoprimento permaneva elevato per tutta la lunghezza della grotta (Fig. 4) e mancava il "leere Viertel" (HARMELIN, 1969; HARMELIN et al., 1985). Si intuì che questo era dovuto proprio al fatto che la forma a tunnel permetteva un'efficace circolazione dell'acqua, con corrente sensibile. L'idrodinamismo era dunque un fattore chiave nel determinare la tipologia e l'organizzazione del popolamento delle grotte (BALDUZZI et al., 1989; ZABALA et al., 1989). Come osservato in particolare nella Grotta Marina di Bergeggi (Savona), all idrodinamismo sono inoltre legati una serie di fattori idrologici che definiscono la qualità del mezzo acqueo in cui gli organismi vivono (Tab. I): temperatura, salinità, tasso di sedimentazione, ph, concentrazione di ossigeno, ecc. (MORRI et al., 1994). II ruolo di questi diversi fattori è stato esplorato in tempi recenti (PASSELAIGUE & BOURDILLON, 1985a; RIERA et al., 1985b; GILI et

12 52 Fig. 4 - Ricoprimento biologico in una grotta a fondo cieco ed in una grotta a tunnel (da HARMELIN et al., 1985, modificato). al., 1986; SGORBINI et al., 1988; FICHEZ, 1991a). È stato introdotto il concetto di confinamento in relazione al rinnovamento del mezzo idrico ed al ricambio in «elementi vitali» (oligoelementi, vitamine, ecc.) di origine marina (HARMELIN, 1980; HARMELIN et al., 1985; BIANCHI & MORRI, 1994): la distribuzione dei popolamenti biologici può essa stessa fungere da scala di confinamento (Fig. 5). Contrario al concetto di confinamento è quello di vivificazione (BIANCHI & MORRI, 1994). Non devono però essere sottovalutati altri aspetti legati al ricambio idrico, ed in particolare quelli più squisitamente biotici: l'allontamento dei cataboliti, il trasporto delle larve, l'apporto di nutrimento (BALDUZZI et al., 1989). È stato calcolato che esiste una stretta relazione tra volume della cavità e riserve nutritizie: in assenza di ricambio, una grotta di 10 m 3 ha riserve per un'ora, una di 1 m 3 per soli 8 minuti (RIEDL, 1966). Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, ci si è resi conto che in assenza di produzione primaria autoctona, il popolamento dipende completamente dal cibo che gli viene dall'esterno. Poiché la comunità è dominata dai filtratori, tale cibo sarà rappresentato essenzialmente dalla sostanza organica particellata in sospensione nell'acqua. Ambienti confinati, dunque, avranno un apporto ali-

13 53 Tab. I - Coefficienti di correlazione (r) e relativi livelli di significatività (p; n.s. = non significativo) tra ricoprimento biologico ed alcuni parametri ambientali nella Grotta Marina di Bergeggi (da MORRI et al., 1994). Parametro r p Luce irradianza (µw cm -2 ) n.s. Idrodinamismo velocità equivalente (cm sec -1 ) < 0.05 granulo medio (mm) n.s. sedimenti fini (%) n.s. Confinamento idrologico temperatura ( C) n.s. salinità ( ) < 0.05 densità (σ) < 0.05 ossigeno (ppm) n.s. ossigeno (sat. %) n.s ph < 0.05 Deplezione trofica clorofilla a (µg 1-1 ) n.s. particellato organico (mg 1-1 ) n.s. particellato organico (%) n.s. rapporto C/N n.s. mentare sensibilmente minore: è questa, in estrema sintesi, l'ipotesi della deplezione trofica (ZABALA et al., 1989; FICHEZ, 1990a; BIANCHI & MORRI, 1994). Recenti studi condotti in una grotta presso Marsiglia (FICHEZ, 1989, 1990a, 1990b, 1990c, 1991a, 1991b, 1991c) ed in parte nella Grotta Marina di Bergeggi (BIANCHI et al., 1988; SGORBINI et al., 1988; MORRI et al., 1994) hanno pienamente confermato l'ipotesi della deplezione trofica (Fig. 6). L'impoverimento estremo dell'apporto alimentare che si osserva nelle parti più confinate delle grotte avviene attraverso meccanismi diversi che determinano ad un tempo sia la diminuzione quantitativa del nutrimento (minore quantità assoluta, riduzione del flusso) sia il suo degrado qualitativo (elevato rapporto carbonio/azoto, maggior proporzione di composti "complessi", diminuzione della percentuale di zuccheri, diminuzione del rapporto tra clorofilla e feopigmenti).

14 54 Fig. 5 - Zonazione dei popolamenti biologici nelle Grotte del Bue Marino (Isola Gorgona, Livorno) secondo il gradiente di confinamento (da BIANCHI & MORRI, 1994).

15 Fig. 6 - Deplezione trofica nella Grotta Marina di Bergeggi (Savona): diminuzione della concentrazione della clorofilla a nelle zone confinate. 55

16 56 Il funzionamento dell'ecosistema Come già accennato, le comunità di grotta si imperniano sui filtratori e dipendono completamente dall'apporto di energia dall'esterno. L'assenza di vegetali foto-autotrofi rende le grotte ambienti di pura produzione secondaria (RIEDL, 1966). Attingendo il loro nutrimento dalla colonna d'acqua, i filtratori sono i produttori secondari che si occupano di trasferire materia ed energia dall'esterno, ove sono state prodotte, all'interno, ove saranno processate e consumate. Essi si incaricano quindi di interiorizzare nell'ecosistema di grotta la produzione primaria esterna: ciò spiega bene la loro dominanza quantitativa, tipica di tutte le grotte (OTT & SVOBODA, 1978; BIBILONI et al., 1984). Un ruolo particolare si è visto che viene giocato, nel ciclo energetico dell'ecosistema di grotta, dalle popolazioni, talvolta numericamente consistenti, di una fauna vagile più o meno spiccatamente troglofila (soprattutto crostacei e pesci). La loro presenza determina infatti condizioni locali di deplezione trofica attenuata (anche se il confinamento idrologico in senso stretto rimane invariato): infatti, gli organismi vagili, grazie alle migrazioni esternointerno che essi compiono spesso con ritmo nictemerale, rappresentano un'importante via supplementare di importazione di sostanza organica dall'esterno (MACQUART-MOULIN & PASSE- LAIGUE, 1982; PASSELAIGUE & BOURDILLON, 1985b). La fauna vagile più minuta, come ad esempio i misidacei, può rappresentare la preda dei carnivori sessili, come è stato dimostrato in studi sul comportamento alimentare dell'attiniario Halcampoides purpurea nella grotta della Cala di Mitigliano (BOERO et al., 1991) e come si è visto nel caso della spugna carnivora recentemente scoperta nella grotta Trois Pépés (VACELET & BOURY-ESNAULT, 1995). I grossi carnivori vagili, che si alimentano all'esterno, con i loro prodotti metabolici aumentano il carico trofico interno, sia direttamente, sia indirettamente, sostenendo la biomassa dei batteri demolitori: diversi filtratori ciliari di grotta si nutrono di batteri e molti invertebrati possono addirittura assorbire sostanza organica disciolta (WEST et al., 1977). L'esportazione di materia organica dalle grotte verso l'esterno è invece insignificante, così come le perdite per sedimentazione (Fig. 7). Tutta la sostanza organica presente in grotta oscura viene processata e rimineralizzata per via aerobica, con la massima effi-

17 57 cienza (FICHEZ, 1990a, 1991b, 1991c). Sono, queste, caratteristiche che fanno delle grotte marine un efficace esempio di ecosistema oligotrofo (FICHEZ, 1990b, 1990c) ed eterotrofo (RIEDL, 1966): ecosistemi siffatti si rinvengono negli ambienti oceanici a grande profondità (FICHEZ, 1989). Un altro importante aspetto che assimila le grotte all'ambiente profondo è la presenza di noduli metallici. È noto da diverso tempo che sulle pareti delle parti più confinate delle grotte sottomarine si rinvengono peculiari patine nerastre (LABOREL & VACELET, 1958; BIANCHI et al., 1988): analisi condotte con microscopio elettronico a scansione e con microsonda su materiale raccolto nella Grotta marina di Bergeggi, hanno dimostrato che queste patine sono composte da micronoduli di ossidi di ferro e manganese (FORTI & COCITO, 1988). La loro origine è probabilmente correlata al metabolismo batterico in presenza delle particolari condizioni fisico-chimiche che, come già accennato, caratterizzano sia l'ambiente profondo sia quello di grotta. Fig. 7 - Ciclo del carbonio organico all'interfaccia acqua-sedimento nella grotta di Trémies, presso Marsiglia (da FICHEZ, 1991, modificato).

18 58 Sempre legato al metabolismo batterico è, infine, un nuovo aspetto che è stato messo in evidenza solo in questi ultimi due o tre anni. In diverse grotte marine di Capo Palinuro (Salerno), ma soprattutto nella cosiddetta Grotta Azzurra, vi sono alcune risorgenze idrotermali all'interno della grotta (ALVISI et al., 1994 b, c). Le risorgenze convogliano acque cariche di solfuri originatesi più profondamente nella crosta terrestre: queste acque, essendo calde e non salate e quindi meno dense, "galleggiano" sull'acqua marina, rimanendo così "intrappolate" contro la volta della cavità. Sulla roccia della volta si sviluppano allora cospicui tappeti di solfobatteri che si occupano di ossidare i solfuri in solfati (Fig. 8). Da questa ossidazione essi traggono energia per il loro metabolismo, che è pertanto definibile chemio-lito-autotrofo. Esiste dunque una fonte di produzione primaria, non fotosintetica, ma autoctona della grotta. Studi attualmente in corso vogliono verificare l'ipotesi che tale produzione batterica costituisca la fonte di cibo e di energia per una comunità di consumatori che è apparsa inusualmente ricca ed abbondante (ABBIATI et al., 1992; CINELLI et al., 1994; BIANCHI et al., 1995; SOUTHWARD et al., 1996). Si tratterebbe, quindi, di una ulteriore analogia con l'ambiente profondo dove, come è noto, sono stati scoperti in questi ultimi vent'anni nuovi ecosistemi, non basati sulla fotosintesi ma bensì sul metabolismo chemio-autotrofo batterico, in prossimità di risorgenze idrotermali sulle dorsali medioceaniche (LAUBIER, 1986). CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Questa breve rassegna sulla biologia delle grotte marine non vuole certo essere una trattazione esaustiva di quanto si conosce sull'argomento, per il quale sono stati ormai versati fiumi di inchiostro, né una revisione critica delle problematiche. Più modestamente, essa si propone lo scopo di mettere a fuoco quelli che, a giudizio degli scriventi, sono i punti salienti dello studio biologico delle cavità marine sommerse. Soprattutto, come accennato in introduzione, si è voluto evidenziare come le grotte sottomarine rappresentino una "palestra" d'elezione per studiare moltissime problematiche generali dell'ecologia marina (RIEDL, 1978). In particolare esse possono costituire modelli semplificati (OTT & SVOBODA, 1978), in quanto

19 59 Fig. 8 - Schema ipotetico del metabolismo solfo-batterico nella Grotta Azzurra di Capo Palinuro (Salerno). topograficamente ben delimitati e con condizioni al contorno ben controllate, di ecosistemi marini ben più vasti ed importanti. Si è detto infatti che per molti aspetti le grotte possono permettere di studiare fenomeni caratteristici ad esempio dei grandi fondi marini, cioè di un ambiente che occupa oltre la metà della superficie del nostro pianeta e che pertanto potrebbe in qualche modo costituire in futuro una risorsa da non sottovalutare. La grande industria sta già attrezzandosi tecnologicamente, ad esempio per sfruttare commercialmente le grandi distese di noduli polimetallici delle pianure abissali oceaniche. Ma qual è la dinamica di formazione di questi noduli? Quanto tempo è necessario affin-

20 60 che si formino? Sono domande importanti per la gestione di una risorsa naturale, e forse lo studio delle grotte potrà aiutare a trovare le risposte. Similmente, le grotte marine di Capo Palinuro potrebbero permettere di mettere meglio a fuoco ipotesi sul funzionamento degli ecosistemi a base non-fotosintetica, dei quali si conosce ancora assai poco e che stanno invece rivelandosi una realtà significativamente importante del nostro pianeta. Un interesse maggiore delle grotte è dunque quello di poter studiare ad una scala spazio-temporale facilmente accessibile all'uomo (FICHEZ, 1989; BOURY-ESNAULT et al., 1993; VACELET et al., 1994) ciò che altrimenti richiederebbe sommergibili, navi oceanografiche, satelliti, ed altre tecnologie molto avanzate che, solo in termini di costi e di tempo, sarebbero improponibili per una sperimentazione che preveda inevitabilmente errori e tentativi reiterati. RIASSUNTO Le ricerche condotte negli ultimi decenni sulla biologia delle grotte marine mediterranee possono essere divise, a seconda delle problematiche affrontate, in quattro aree tematiche: 1) gli studi floristici e faunistici, tesi essenzialmente a delineare la composizione del popolamento delle grotte sommerse; 2) le ricerche sugli aspetti evolutivi, finalizzate alla definizione dell'originalità del popolamento ed alla comprensione dei meccanismi adattativi che permettono la colonizzazione delle grotte; 3) l'inquadramento biocenotico, per definire la tipologia e la distribuzione dei vari popolamenti che si instaurano all'interno delle grotte marine; 4) le indagini più strettamente ecologiche che, analizzando il variare dei parametri ambientali, cercano di definirne il ruolo nel condizionare la struttura dei popolamenti. Le grotte sottomarine possono rappresentare modelli semplificati di ecosistemi marini, quali ad esempio quelli profondi, vasti ma più difficilmente accessibili. SUMMARY The systematic study of the biota living in submarine caves started a few decades ago thanks to the diffusion of SCUBA diving techniques among scientists. In the Mediterranean, the first investigations were carried out by French and Austrian scientists, to which Italian and Spanish scientists added since the 1970s. Biological research concerned four major topics: 1) floral and faunal inventories; 2) evolutionary aspects; 3) community zonation; 4) ecosystem studies. No seagrass species enters marine caves, and algae disappear soon after the entrance.

21 61 Major animal groups are sponges, scleractinians, bryozoans and serpuloidean polychaetes. Only few species, if any, may be defined as exclusive of marine caves (on the contrary, anchialine caves exhibit several exclusive taxa); colonisation of marine caves is mainly operated by pre-adapted species, such as cryptic or bathyphilic species ('secondary troglobiosis'). Though several faunal zones can be described within marine caves, it is customary to recognise two major biocoenoses: the biocoenosis of semi-dark caves (GSO), and the biocoenosis of dark caves (GO). Ecosystem studies took into account community structure, the role of environmental factors, and ecosystem functioning. Biomass, abundance and biotic cover strongly decrease along the outside-inside gradient. This decrease has been correlated to hydrological confinement and trophic depletion. Trophic structure in submarine caves is essentially based on filter-feeders, which always constitute the vast majority of the species. Carnivorous vagile fauna plays a role in the import of organic matter from outside. Bacterial metabolism may be important in certain caves. Submarine caves are simplified models of less easily accessed marine ecosystems, such as ocean depths, that cover most of the planet surface. BIBLIOGRAFIA AA. VV., Ergebnisse der Österreichischen Tyrrhenia Expedition, Pubbl. Staz. zool. Napoli, 30 (suppl.): ABBIATI M., AIROLDI L., ALVISI M., BIANCHI C. N., CINELLI F., COLANTONI P., MORRI C., Preliminary observations on benthic communities in a submarine cave influenced by hydrothermal springs. Rapp. Comm. int. Mer Médit, 33: 25. Abel E. F., 1959a - Zur Kenntnis der marinen Höhlen fauna unter besonderer Berücksichtigung der Anthozoen. Pubbl. Staz. zool. Napoli, 30 suppl.: ABEL E. F., 1959b - Zur Kenntnis der Beziehungen der Fische zu Höhlen im Mittelmeer. Pubbl. Staz. zool. Napoli, 30 suppl.: ALVISI M., BARBIERI F., BRUNI R., CINELLI F., COLANTONI P., GRANDI G. F., MALTONI P., 1994b - La Grotta Azzurra di Capo Palinuro (Salerno). Mem. Ist. ital. Speleol., Bologna, ser. 2, 6: ALVISI M., BARBIERI F., COLANTONI P., 1994c - Le grotte marine di Capo Palinuro. Mem. Ist. ital. Speleol., Bologna, ser. 2, 6: ALVISI M., BIANCHI C. N., COLANTONI P., 1994a - Le grotte sommerse dello Scoglio della Cappa (Isola del Giglio). Mem. Ist. ital. Speleol., Bologna, ser. 2, 6: BALDUZZI A., BIANCHI C. N., BOERO F., CATTANEO-VIETTI R., PANSINI M., SARÀ M., The suspension-feeder communities of a Mediterranean sea cave. In: J. D. Ros (ed.), Topics in marine biology. Scient. Mar., 53 (2-3): BALDUZZI A., BOERO F., CATTANEO R., PANSINI M., PESSANI D., PRONZATO R., SARÀ M., Ricerche sull'insediamento dello zoobenthos in alcune grotte marine della Penisola Sorrentina. Mem. Biol. mar. Oceanogr., 10 (suppl.):

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