Il danno da nascita indesiderata: le Sezioni Unite in tema di wrongful birth 1 e wrongful life 2 di Carlo GIORDANO *

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1 Il danno da nascita indesiderata: le Sezioni Unite in tema di wrongful birth 1 e wrongful life 2 di Carlo GIORDANO * Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 22 settembre 22 dicembre 2015, n Presidente Rovelli Relatore Spirito Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, sono chiamate a dirimere, a seguito dell ordinanza di rimessione della terza sezione civile, dei contrasti giurisprudenziali in relazione all annosa tematica del danno da nascita indesiderata (wrongful birth) e, cioè, di quel danno ricorrente quando, a causa del mancato rilievo medico di gravi malformazioni congenite al feto, la gestante perde la possibilità di interrompere la gravidanza. Nel caso di specie una gestante, per affrontare la gravidanza e il conseguente parto, si affida alle cure di un azienda ospedaliera. La donna non viene sottoposta, a causa di un omissione colposa del sanitario durante la gravidanza, ad esami approfonditi resi necessari da valori non corretti risultanti dagli stessi accertamenti e la gravidanza viene portata a termine. Dopo il parto si scopre che la figlia è affetta dalla sindrome di Down. 1 La terminologia, traducibile in nascita indesiderata, fa riferimento a quelle azioni legali, nei paesi di common law, in cui i genitori di un bambino affetto da malformazioni congenite rilevano l errore medico circa l informazione relativa al rischio di concepire o di dare alla luce un bambino con gravi anomalie genetiche o congenite. A titolo esemplificativo, si pensi al celeberrimo caso Jacobs v. Theimer (Texas, 1975) in cui il bambino era affetto da malformazioni causate dalla rosolia, non diagnosticata per errore medico, alla madre durante il primo mese di gravidanza. Nel caso di specie la Corte Suprema del Texas risarcì solo di danni patrimoniali legati alle cure e alle terapie connesse alla invalidità del bambino ma non i danni non economici come il risarcimento per il dolore e per la sofferenza patiti. 2 La terminologia, traducibile in vita indesiderata, fa riferimento a quelle azioni legali in cui è il disabile che, in genere attraverso il tutore legale, agisce in giudizio lamentando il mancato impedimento della propria nascita a seguito di omesse informazioni da parte del medico o della struttura sanitaria che avrebbero consentito alla madre del disabile di abortire. La giurisprudenza basata sul common law ha quasi sempre negato tale diritto a favore del disabile. Si segnala, tuttavia, il noto caso Curlender v. Bio Science Laboratories esaminato dalla California Court of Appeal nel 1980 in cui venne riconosciuto il suddetto diritto sulla scorta della motivazione per cui da un lato era palese a tutti la negligenza medica e dall altro, in base ad un reverenziale apprezzamento della vita il querelante era ormai venuto ad esistenza e, come tale, titolare di diritti che andavano riconosciuti e risarciti. * Specializzato in professioni legali. 1

2 I genitori agiscono allora in giudizio sia nei confronti dell azienda ospedaliera, sia nei confronti del primario di ginecologia contestando l errore diagnostico dello stesso. In particolare, all attenzione della Cassazione vi erano due questioni in rilievo: in primo luogo, quella relativa all onere probatorio a carico della gestante e, in secondo luogo quella riguardante la legittimazione attiva del nascituro affetto da malformazioni per la richiesta risarcitoria nei confronti del medico a seguito della condotta colposa di quest ultimo. Circa il riparto dell onere probatorio, questo andava esaminato sotto un duplice profilo: il primo, relativo alla correlazione causale tra l omissione di approfondimenti diagnostici da parte dei sanitari e la perdita della possibilità da parte della gestante di ricorrere all aborto; il secondo, concernente le condizioni necessarie per ricorrere all aborto oltre il novantesimo giorno di gravidanza 3. A tal guisa, si rinvenivano due orientamenti che, pur partendo entrambi dalla premessa che spettasse alla donna la prova che l accertamento delle anomalie o delle malformazioni del nascituro avrebbero indotto la stessa ad interrompere la gravidanza, differivano per il contenuto della prova richiesta alla madre. Un primo e più risalente orientamento, rilevava come corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompesse la gravidanza se informata delle malformazioni del feto 4, e di conseguenza, affermava la sufficienza della allegazione da parte della madre che la stessa si sarebbe avvalsa della facoltà di cui sopra se fosse stata informata della grave malformazione del feto 5 essendo implicitamente soddisfatte le condizioni previste ex lege per farvi ricorso compresa quella di cui all art. 6, lett. b) della legge 194/1978. La giurisprudenza di legittimità 6 aveva, inoltre, rilevato che l esigenza della prova sorgeva solo previa contestazione della controparte, nel qual caso 3 In particolare le condizioni disciplinate dall art. 6, lett. b) della legge 22 maggio 1978, n. 194 nella parte in cui prevede che l interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. 4 In tal senso Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2004, n ; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2011, n Operando, in tal guisa, una presunzione generalizzata in forza della quale era sufficiente l allegazione da parte della donna di essersi sottoposta ad analisi durante la gestazione per ritenere che la stessa si sarebbe avvalsa della facoltà di interrompere la gravidanza se informata delle malformazioni del feto. 6 Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2010, n

3 bisognava stabilire in applicazione del criterio del più probabile che non se, a seguito dell omessa informazione da parte del medico, e con valutazione correlata al momento della gravidanza, sarebbe insorto nella donna uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave pericolo per la vita fisica o psichica della donna. Un secondo e più recente orientamento 7 aveva al contrario escluso la presunzione semplice di cui sopra ponendo a carico della parte attrice l effettiva allegazione e prova che se la stessa fosse stata informata delle gravi malformazioni si sarebbe avvalsa della facoltà di interrompere la gravidanza non essendo sufficiente la mera richiesta di diagnosi perché, per il medesim o orientamento giurisprudenziale, si escludeva un automatismo tra la richiesta di diagnosi da parte della madre e la richiesta di interrompere la gravidanza nel caso di diagnosi di malformazioni 8. Circa la legittimazione attiva del nascituro affetto da malformazioni a domandare il risarcimento al medico che con il suo inadempimento ha privato la gestante della facoltà di interrompere la gravidanza, vi era in giurisprudenza un marcato contrasto. Un primo e maggioritario orientamento, dopo aver sottolineato che la tutela del concepito e della gravidanza è finalizzata alla nascita con la configurabilità del diritto a nascere e a nascere sano 9 nel senso che sussiste il divieto per chiunque di procurare malattie o lesioni al nascituro, escludeva nel nostro ordinamento giuridico un diritto a non nascere se non sano 10 con la conseguenza che con la nascita non vi era alcuna legittimazione propria del minore a domandare risarcimento per inadempimento contrattuale per esser egli affetto da malformazioni congenite e per non essere stata la madre messa nelle condizioni di ricorrere all aborto Cass. civ., Sez. III, 1 dicembre 2013, n ; Cass. civ., sez. III, 30 maggio 2014, n Cass. civ., sez, III, 30 maggio 2014, n : [ ] è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza. [ ] tale prova non può essere desunta dal solo fatto che la gestante abbia chiesto di sottoporsi ad esami volti ad accertare l esistenza di eventuali anomalie del feto, poiché tale richiesta è solo un indizio privo dei caratteri di gravità ed univocità. [ ] Il rischio della mancanza o della insufficienza del quadro probatorio acquisito andrà a suo carico. [ ] 9 Attraverso, quindi, la connotazione meramente positiva del diritto medesimo. 10 Un diritto definito adespota in quanto risulterebbe privo di titolarità fino alla nascita, al momento della quale, peraltro, esso non esisterebbe più. I giudici di legittimità, nella sentenza a S.U. in esame, superano tale concezione. 11 In tal senso Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2004, n ; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2009, n

4 Un secondo orientamento, dopo aver escluso l esigenza di una soggettività giuridica del concepito al fine di affermare la titolarità del diritto in capo al nato, aveva al contrario rilevato il diritto al risarcimento del figlio malformato che si duoleva non della nascita ma della propria infermità 12 per alleviare quella condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della propria personalità non avendo alcun rilievo che la patologia fosse congenita e che la madre, nell ipotesi in cui fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire 13. Delineate le problematiche e le relative contrapposizioni giurisprudenziali occorre ora addentrarsi nella motivazione della decisione della Suprema Corte. Con riferimento alla prima questione i giudici di legittimità, muovendo dal presupposto che la donna che intenda ottenere il risarcimento del danno derivante dalla omessa diagnosi del sanitario avrà l onere di dimostrare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, la propria adesione alla pratica dell aborto 14 se adeguatamente informata delle malformazioni del feto, rilevano che i temi di prova che gravano sulla donna sono molteplici: la rilevante anomalia del nascituro, l omessa malformazione da parte del medico, il grave pericolo per la salute psicofisica della donna, la scelta abortiva di quest ultima. Data l impossibilità di dimostrare analiticamente tutti gli eventi o i comportamenti che compongono la fattispecie complessa 15, allora, continua la Corte, l oggetto della prova sarà la dimostrazione solo di alcuni degli elementi che rappresentano il variegato insieme di accadimenti e dai quali sarà possibile conoscere, per estrapolazione, l intero fatto complesso con l applicazione della concezione statistica della probabilità espressa nel granitico parametro del più probabile che non. Conclusa la necessaria analisi di cui sopra, i giudici di legittimità, sempre in relazione alla problematica dell onere probatorio della donna, passano in seguito all analisi del caso di specie rilevando che la sentenza della Corte d appello di Firenze (da cui la vicenda oggetto d esame), seppur corretta nella 12 Che sarebbe mancata se egli non fosse nato. In tal senso Cass. civ., sez. III, 3 maggio 2011, n In tal senso Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 2012, n Così come disciplinata dalla legge n. 194 del Onere probatorio reso, tra l altro, ancora più gravoso perché relativo alla dimostrazione di uno stato psicologico della donna e, cioè, un intenzione della stessa, di un atteggiamento volitivo ritenuto rilevante dalla Corte. Il suddetto onere probatorio potrà essere assolto attraverso la dimostrazione di circostanze esteriori da cui sarà possibile trarre in via presuntiva il fatto psichico interiore che si intende dimostrare. 4

5 astratta premessa 16 e cioè per il fatto che, in applicazione del principio di vicinanza della prova, i fatti allegati e contestati non potevano che esser provati dalla donna, la pronuncia doveva esser tuttavia cassata nella parte in cui non prendeva in considerazione la possibilità di una prova presuntiva desumibile dai fatti allegati. La Suprema Corte, si badi bene, chiarisce che il riferimento non è alla presunzione legale, la cui previsione appartiene al legislatore e che si concreta nell esclusione dell onere della prova di uno o più fatti significativi, ma alla praesumptio hominis rispondente ai requisiti di cui all art c.c. 17. Nel caso di specie, infatti, il legislatore non esclude l onere della prova a carico della madre circa la malattia grave, fisica o psichica, idonea a giustificare la volontà della stessa di ricorrere alla pratica abortiva e quindi, in applicazione del 2729 c.c., con la possibile inferenza del fatto ignoto da un fatto noto non solo attraverso l applicazione di correlazioni statistiche ma anche attraverso circostanze contingenti emergenti dai dati istruttori, quali, a titolo esemplificativo il ricorso al consulto medico per conoscere la condizione fisica e psichica della gestante oppure precedenti manifestazioni di pensiero della stessa circa la volontà di interrompere la gravidanza se vi fossero state informazioni sulla grave malformazione del feto. Quanto rilevato dai giudici di legittimità ha come immediata conseguenza quella del necessario accertamento del danno conseguito al mancato esercizio del diritto di scelta della gestante, nella piena esplicazione della propria autodeterminazione, a seguito della negligenza sanitaria. Viene dalla Cassazione, di conseguenza, rigettata la richiesta del risarcimento del danno in re ipsa, da lesione del diritto all autodeterminazione, occorrendo ai fini risarcitori che la situazione di grave pericolo psichico o fisico per la donna richiesta dall art. 6 lett. b) della legge n.194 del 1978 si traduca poi in un danno effettivo verificabile anche attraverso la consulenza tecnica d ufficio. La suddetta soluzione lascia, tuttavia, l amaro in bocca perché non pienamente compatibile con la tutela del diritto all autodeterminazione alle cure 16 La Corte d appello di Firenze, nella sentenza del 12 maggio 2008, aveva ritenuto che tutti i presupposti di cui all art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194 così come delineati in precedenza, dovessero essere dimostrati dalla gestante e in difetto della prova positiva non sarebbe ammessa nemmeno la consulenza tecnica d ufficio con il conseguente rigetto della domanda. 17 Art Presunzioni semplici. Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni. 5

6 sanitarie, ex 32 della Costituzione, della gestante che viene, in conseguenza delle omissioni sanitarie, privata della libertà di aderire alle pratiche abortive legislativamente previste. L interpretazione testuale dell art.6, lett. b) della legge n.194 del 1978 appare, infatti, piuttosto limpida: la scelta di interrompere la gravidanza dopo i primi novanta giorni dal concepimento è subordinata all accertamento di un grave pericolo per la salute psico-fisica della donna e, quindi, di un rischio concreto, senza la necessità che lo stesso debba successivamente verificarsi. La conclusione dei giudici di legittimità invertirebbe implicitamente i requisiti previsti dalla legge del 1978 in relazione al tempo dell accertamento. Quanto detto deve essere inoltre necessariamente coordinato con il ragionamento delineato dalla Corte, esposto in precedenza, relativo alla possibilità di presunzioni semplici quali precedenti dichiarazioni della madre della volontà di ricorrere alla pratica abortiva se informata di gravi malformazioni del feto: questo sottolinea, ancor di più, l importanza per la gestante del proprio diritto all autodeterminazione in cui si esplica pienamente la volontà individuale in un momento antecedente all effettiva produzione di un danno alla salute fisica o psichica della donna e che viene leso proprio nel momento della omissione sanitaria. Diritto all autodeterminazione che dovrebbe, di conseguenza, prescindere dall effettivo accertamento dei successivi eventi dannosi in quanto la lesione del diritto stesso ha prodotto pregiudizi nei confronti della gestante. Appare evidente, di conseguenza, che se da un è criticabile la conclusione a cui è giunta la Suprema Corte nella sentenza in esame, dall altro deve escludersi un generalizzato diritto al risarcimento in re ipsa : case by case, infatti, se dalle risultanze probatorie emerge che per la gestante il diritto all autodeterminazione è talmente importante che la sola lesione dello stesso è idonea a procurarle un danno (indipendentemente dalla produzione dello dell evento lesivo), allora sarà risarcibile ex se. Conclusa la disamina della prima problematica i giudici di legittimità passano all esame del diritto al risarcimento, vantato da un soggetto affetto dalla sindrome di Down, ad un esistenza dignitosa, questione che, secondo la stessa Corte, ha ad oggetto riflessioni di matrice filosofico-religiosa, nonché considerazioni antropologiche e di equità. Rilevati in precedenza i contrapposti orientamenti giurisprudenziali, occorre rilevare che il punto centrale della problematica è quello relativo alla possibilità di una legittimazione ad agire del soggetto che al momento della condotta 6

7 antigiuridica da parte del sanitario non aveva ancora la capacità di agire ex art. 1 c.c. 18. I giudici di legittimità, dopo aver sottolineato l eccezionalità di quelle norme che riconoscono diritti a favore del concepito prima della nascita 19, superano il precedente orientamento giurisprudenziale in base al quale per la protezione di una certa entità quale poteva essere il concepito era necessaria la preventiva qualificazione giuridica di soggetto di diritto 20. Riaffermando, in sostanza, un proprio precedente orientamento 21 la Suprema Corte rileva almeno in astratto la legittimazione attiva del figlio disabile ad agire per il risarcimento di un danno le cui premesse di fatto siano intervenute in data anteriore alla nascita. Il diritto al risarcimento non può essere escluso per la sola ragione che il fatto colposo antigiuridico si sia verificato in data anteriore alla nascita 22 : una volta accertata, quindi, l esistenza di un nesso di causalità tra comportamento colposo anteriore alla nascita e produzione del danno gravante su un individuo che solo dopo esser venuto al mondo acquista personalità giuridica, allora deve essere riconosciuto il diritto al risarcimento per quest ultimo a prescinderne, quindi dalla soggettività giuridica 23. Delineata, almeno in astratto, la riconoscibilità del diritto e la legittimazione attiva del figlio portatore di handicap, i giudici di legittimità esaminano in 18 Art. 1. Capacità giuridica. La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita. [Le limitazioni alla capacità giuridica derivanti dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali.] - Comma abrogato dal D.lgs. 14 settembre 1944, n A titolo esemplificativo: Art. 462 c.c. Capacità delle persone fisiche. Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione. Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell'apertura della successione chi è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta. Possono inoltre ricevere per testament o i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti. 20 In tal senso, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2009, n Cass. civ., sez. III, 22 novembre 1993, n Con esclusione, inoltre, di un necessario rapporto intersoggettivo danneggiante danneggiato. 23 La nascita come momento fisiologico, ma soprattutto giuridico, in cui un entità non ancora soggetto di diritto diviene tale, assume la veste di momento fondamentale ambivalente: per il danno al concepito che diviene giuridicamente rilevante solo da tale momento e per il diritto al risarcimento nei confronti che proprio in tale istante trova il proprio exordium. Il momento fondamentale dell accertamento diviene, di conseguenza, quello relativo al nesso di causalità, a nulla rilevando, come emerso anche nel corpo del testo, che vi sia uno iato temporale tra il fatto dannoso prima della nascita e l evento del danno dopo la nascita. 7

8 seguito il diritto di cui, a seguito della lesione, si domanda il risarcimento e il rapporto di causalità tra l omissione medica e l evento di danno. Quanto al diritto leso, nel ragionamento della Corte il punto di partenza è la definizione del danno-conseguenza, ex art del c.c. che si sostanzia nella perdita subita a seguito dell illecito o, per meglio dire, nella situazione minorata a seguito della comparazione tra la situazione in cui versava il soggetto prima l illecito e quella successiva allo stesso. Proprio tale comparazione risulta impossibile nella fattispecie in esame facendo venir meno, di tal guisa, l orientamento che riconosceva il risarcimento al figlio nato malformato dal momento che nella comparazione tra la situazione pregressa e quella successiva all illecito l alternativa per il nascituro, anche qualora il medico avesse correttamente diagnosticato la patologica consentendo alla madre di autodeterminarsi liberamente circa l esercizio del diritto all aborto, sarebbe quella della non vita e non della vita priva di malattia, e dunque danno oggetto di risarcimento. Occorre rilevare, per completezza espositiva, che i giudici di legittimità - in maniera molto sintetica - sottolineano l interruzione del nesso di causalità tra il presunto danno e la condotta del medico nel caso di malformazione genetica del nato anche a voler intendere il nesso in base ai principi della causalità giuridica e nella sua ampiezza più estesa, propria della teoria della condicio sine qua non. Parte della dottrina ha a tal proposito rilevato che il giudizio di causalità costituisce un momento successivo rispetto all individuazione degli antecedenti di un evento finale: il giudizio di causalità ha come finalità precipua, infatti, quella di verificare se tra due eventi noti vi sia un nesso di derivazione non essendo in grado di individuare gli eventi comparabili che, al contrario, dipendono dal criterio di imputazione adottato. Sempre per il medesimo orientamento, strettamente connessa è anche la tematica della responsabilità che, basandosi sui ragionamenti della dottrina 25, non è mai configurabile se fondata sul mero nesso di causalità ma richiede pur sempre una condotta censurabile oppure un azione alternativa non perseguita. 24 Art Risarcimento del danno. Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. 25 C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p

9 Nel caso di nascita di un bambino malformato la condotta medica ha come finalità quella di prevenire, se possibile, anomalie del feto oppure ridurre le stesse per salvaguardare la salute della donna consentendo alla stessa da un lato un parto che sia privo di danni fisici o psichici e, dall altro la libertà di autodeterminarsi sulla prosecuzione o meno della gravidanza. Quanto affermato è pienamente compatibile con la disciplina legislativa dell interruzione volontaria della gravidanza in cui, decorsi i primi novanta giorni, la finalità è quella di preservare la vita della gestante nel caso di esposizione della stessa ad un grave pericolo in un ottica di prevalenza della vita della donna rispetto a quella del feto essendo solo la prima già formata 26. Da quanto dette emerge, sempre per la medesima impostazione, che siccome la condotta del sanitario non era diretta ad evitare il pregiudizio derivante dalla nascita con malformazione, allora la medesima condotta non può annoverarsi tra e ipotesi di antecedente causale neanche nell ampia visione concettuale in cui assurge a rango di causa qualunque precedente che avrebbe potuto imprimere un corso differente agli eventi. Se da un lato - come rilevato nella sentenza in esame - l interesse a non nascere pone forti problemi di conciliabilità con il concetto stesso di danno, tanto più che di esso di farebbero interpreti unilaterali i genitori nell attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata da una patologia, quasi come un corollario del diritto alla felicità, dall altro il nostro ordinamento giuridico rifiuta il diritto alla non vita. Il suddetto diritto è ontologicamente diverso sia dal c.d. diritto a staccare la spina che presupporrebbe comunque il c.d. testamento biologico e, cioè, manifestazioni positive della propria volontà circa l eutanasia 27 ; sia dalla lesione del diritto di autodeterminazione della madre a seguito dell omessa diagnosi medica in una sorta di propagazione intersoggettiva della lesione dalla madre al figlio: fattispecie in cui, al contrario del risarcimento del danno a favore del bambino portatore di handicap in cui il termine di paragone è assolutamente negativo, è possibile quel giudizio di comparazione 28 il cui termine di paragone positivo è il diritto alla salute della gestante. Il giudizio di bilanciamento tra la situazione pregressa e quella successiva all illecito per il risarcimento del danno-conseguenza è alla base anche del ragionamento giuridico dei giudici di legittimità per superare quell orientamento 26 in tal senso, Corte cost., 18 febbraio Si veda, a tal proposito, Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n Per il risarcimento del danno evento di cui all art c.c. 9

10 giurisprudenziale 29 con cui si rilevava l antinomia tra l estensione del diritto risarcitorio a favore dei germani e del padre del bambino portatore di handicap e il diniego del medesimo diritto a favore del portatore di handicap. Solo nei confronti dei fratelli e del padre è infatti possibile quel giudizio di comparazione tra la qualità della vita dei medesima prima e dopo la nascita de bambino portatore di handicap. Questa soluzione non convince pienamente, prestando il fianco a spunti di riflessione. Il padre e i fratelli del bambino, infatti, non sono beneficiari del risarcimento per la violazione medica tanto quanto non lo è il nascituro: negare il diritto risarcitorio al secondo avrebbe come conseguenza logica quella di negare il medesimo diritto anche ai primi. Permangono, allora, forti dubbi sull estensione della logicità argomentativa del giudizio di comparazione fattuale a siffatte situazioni con una disparità di trattamento assolutamente ingiustificata. La legittimazione attiva del bambino non può essere neppure affermata con l applicazione degli obblighi giuridici di protezione. L istituto, di origine tedesca, nella particolare versione del contratto con effetti protettivi verso il terzo in cui rientra il contratto di prestazione sanitaria nei confronti della gestante riconosce a soggetti diversi dalla controparte (nel caso di specie si cercherebbe l estensione al nascituro) la tutela contrattuale, ontologicamente più pregnante rispetto alla tutela aquiliana. Anche tali fattispecie, tuttavia, non superano il Rubicone del giudizio di comparazione in quanto vi è l inesistenza del danno-conseguenza ex art c.c.. L estensione risarcitoria al minore è inoltre inammissibile sulla scorta di un argomentazione logica. Riconoscere il risarcimento al minore da parte del medico, aprirebbe le porte alla tutela risarcitoria del minore nei confronti della stessa madre in tutte quelle ipotesi in cui la madre, sebbene correttamente informata delle malformazioni del feto, abbia deciso comunque di portare a termine la gravidanza. Una conclusione del genere avrebbe, inoltre, come immediato ed inaccettabile corollario: il diritto a non nascere malati comporterebbe l obbligo per la madre informata delle malformazioni di abortire. 29 A titolo esemplificativo, Cass. civ., sez. III, 210 maggio 2002, n. 6735; Cass. civ., sez. iii, 2 ottobre 2012, n

11 Come rilevato in precedenza la complessità del motivo di ricorso è relativa anche ad un campo di indagine non più strettamente giuridico ma anche etico, filosofico, antropologico e sociale. Il risarcimento a favore nascituro e gravante sul medico, sebbene si muova nel senso di una giustizia sostanziale, assume una funzione impropria in quanto consentirebbe alle statuizioni risarcitorie contenute in una sentenza si sostituirsi alle misure di assistenza e di previdenza sociale attraverso l ingiustificata equiparazione tra due situazioni ontologicamente diverse: tra la situazione in cui il medico, a causa della propria omissione, non abbia evitato la nascita indesiderata a causa delle gravi malformazioni del feto e quella in cui è stato lo stesso errore medico a cagionare la malformazione. 11

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