Divieto di sentenze della terza via: in caso di vulnus, non c è sempre nullità

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Rivista scientifica bimestrale di Diritto Processuale Civile ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 12.5.2014 La Nuova Procedura Civile, 3, 2014 Comitato scientifico: Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) Silvio BOLOGNINI (Professore straordinario di Filosofia del diritto) - Giuseppe BUFFONE (Magistrato) Costanzo Mario CEA (Magistrato, Presidente di sezione) - Paolo CENDON (Professore ordinario di diritto privato) - Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell associazione Familiari e Vittime della strada, titolare dello Studio legale Cesari in Roma) - Bona CIACCIA (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Vittorio CORASANITI (Magistrato, ufficio studi del C.S.M.) Lorenzo DELLI PRISCOLI (Magistrato, Ufficio Massimario presso la Suprema Corte di Cassazione, Ufficio Studi presso la Corte Costituzionale) - Francesco ELEFANTE (Magistrato T.A.R.) - Annamaria FASANO (Magistrato, Ufficio massimario presso la Suprema Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) Francesco FIMMANO (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Eugenio FORGILLO (Presidente di Tribunale) Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) - Francesco LUPIA - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) - Piero SANDULLI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Stefano SCHIRO (Presidente di Corte di Appello) - Bruno SPAGNA MUSSO (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Paolo SPAZIANI (Magistrato) Antonella STILO (Consigliere Corte di Appello) - Antonio VALITUTTI (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato). Divieto di sentenze della terza via: in caso di vulnus, non c è sempre nullità In caso di violazione del disposto dell art. 101 comma 2 c.p.c., la nullità processuale non può essere, ipso facto, sempre e comunque predicata; per l'ipotesi di sentenza di primo grado appellabile, non può ritenersi sufficiente che il giudice abbia rilevato d'ufficio una questione senza sottoporla al previo contraddittorio delle parti, ma occorre che la relativa rilevazione officiosa abbia determinato ipotesi di sviluppo della res litigiosa, fino a quel momento processuale non considerati dalle parti sotto il profilo della prova, di talchè la presunta violazione del contraddittorio (rectius, del principio di difesa) risulterà denunciabile quale motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni dell'art. 345 c.p.c. (specie in materia di contro-eccezioni o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, in cui risulti realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio. Cassazione civile, sezione prima, sentenza del 17.4.2014, n. 8956 omissis

3.1 - Viene indicato il seguente quesito di diritto: "Dica la S.C. se sia corretta una sentenza che, nell'argomentare circa il comportamento che ante causam avrebbe dovuto tenere l'attore (nella specie instaurando un contraddittorio con la controparte), ometta di considerare, nell'ambito della valutazione delle prove, documenti che provino il contrario o che, addirittura, il mancato contraddittorio dedotto dal giudice fosse stato causato semmai dalla controparte (nell'ispecie smontaggio e asserita verifica della funzionalità del contatore senza la previa convocazione dell'attore)". 4 - Con il terzo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si sostiene che, non avendo la parte convenuta contestato le allegazioni dell'attore, il giudice del merito non avrebbe potuto ipotizzare fatti e cause dell'evento diverse da quelle allegate dalla parte, sulla base delle quali l'unica spiegazione possibile (differenze dei consumi idrici registrati dai contatori) era quella dedotta dall'attore (malfunzionamento del contatore generale). 4.1 - Viene formulato il seguente quesito di diritto: "Dica la S.C. se sia corretta una sentenza resa in un (doppio grado) di giudizio contumaciale che evidenzi ipotesi causali dei fatti dedotti dall'attore alternative a quella indicata dall'attore e sulle quali all'attore non sia stato, ovviamente, consentito di interloquire, nè di replicare, nè con la memoria ex art. 183 c.p.c., nè con la memoria ex art. 184 c.p.c. (vecchio rito), non promanando, siffatte ipotetiche alternative causali, dalla controparte, ma dal giudice con la sentenza (nel caso di specie sia di primo che di secondo grado)". 5- I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto presentano le medesime caratteristiche sotto il profilo della formulazione dei quesiti, sono, proprio in relazione a tale aspetto, inammissibili. 5.1 - Prescindendo dal rilievo che le censure sopra indicate, per come formulate, tendono inequivocabilmente ad ottenere una diversa e più favorevole valutazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali già considerate dal giudice del merito, va rilevato che la confusa prospettazione, nell'ambito dei motivi suddetti, di questioni relative a violazione di legge e vizi motivazionali, trattate indistintamente, si riflette nella stessa indicazione di un unico quesito. Deve invero rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel mese di aprile dell'anno 2008, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l'art. 6, che ha introdotto l'art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni - la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica - l'illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all'art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta

applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l'accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Cass., n. 16002/2007; Cass., n. 8897/2008) un momento di sintesi - omologo del quesito di diritto - che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 5.2 - Questa Corte ha altresì affermato che la formulazione del quesito di diritto di cui all'art. 366 bis cod. proc. civ., deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o cumulativi. Da ciò consegue non solo che i motivi di ricorso fondati sulla violazione di leggi e quelli fondati su vizi di motivazione debbono essere sorretti da quesiti separati, ma anche che non è consentito al ricorrente censurare con un unico motivo (e quindi con un unico quesito) sia la mancanza, sia l'insufficienza, sia la contraddittorietà della motivazione (Cass., 29 febbraio 2008, n. 5471). Più recentemente si è ribadito che è inammissibile la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3) e 5), salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonchè, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all'art. 366 bis cod. proc. civ. (Cass., 20 maggio 2013, n. 12248). 5.3 - I quesiti in esame non sono conformi a tali disposizioni, in quanto - a prescindere dalla deduzione, nell'ambito dei motivi, in violazione al principio di chiarezza dettato dal richiamato art. 366 bis c.p.c. (cfr. Cass., 29 ottobre 2010, n. 22205), di violazione di legge e di carenze motivazionali, in essi non è possibile distinguere gli aspetti riferiti alla violazione di legge ovvero ai vizi motivazionali, nè gli aspetti riferibili al primo o al secondo dei motivi avanzati (su tale aspetto, cfr. Cass., 19 dicembre 2006, n. 27130; Cass., Sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. un., 19 ottobre 2007, n. 21864; Cass., 26 febbraio 2008, n. 5073). 5.4 - La terza censura è infondata, ragion per cui al relativo quesito di diritto (che, a differenza degli altri, non è riferibile anche a vizi della motivazione), deve rispondersi negativamente. La questione - per come proposta - attiene al tema del dovere per il giudice, il quale ritenga di decidere la lite in base ad una questione rilevata di ufficio, di provocare il contraddittorio delle parti in ordine alla questione stessa, al fine di evitare una sentenza "a sorpresa", o della "terza via". Nell'attuale quadro normativo, caratterizzato dalla nuova formulazione dell'art. 384 c.p.c., introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12, nonchè dall'inserimento del comma 2 nell'art. 101 c.p.c. ad opera della L. n. 69 del 2009, ed interessato da un'evoluzione giurisprudenziale sempre più ispirata ai principi del giusto processo, della effettività dell'esercizio del diritto di difesa e della realizzazione del contraddittorio (Cass., 21 novembre 2001, n. 14637; Cass., 5 agosto 2005, n. 16577; Cass., 31 ottobre 2005, n. 21108; Cass., 9 giugno 2008, n. 15194; fino alle più recenti Cass., 7 dicembre 2011, n. 26294; Cass., 9 marzo 2012, n. 3722; Cass., 15 gennaio 2013, n. 793; Cass., 7 novembre 2013, n. 25054) il principio della nullità della sentenza fondata su questione rilevata di ufficio e non sottoposta al contraddittorio è, sia pure con talune distinzioni per lo più basate sulla natura della questione stessa,

unanimemente riconosciuto. 5.5 - Peraltro già nel sistema antecedente alla novella del 2009 L. n. 69 e all'espressa previsione della sanzione di nullità introdotta dall'art. 101 cod. proc. civ., comma 2, detta affermazione di principio trovava un preciso fondamento normativo nell'art. 183 cod. proc. civ., comma 3 (oggi comma 4) che, pur dettato con riferimento alla prima udienza, è espressivo di un principio operante per l'intero corso del processo, dovendosi osservare per tutto il suo sviluppo dal giudice, in posizione di terzietà, il dovere di collaborazione con le parti ed essendo intrinseco al corretto svolgimento di un giusto processo il principio del contraddittorio. 5.6 - Passando all'esame del motivo di ricorso, deve rilevarsi che con lo stesso, in maniera assolutamente iperbolica, si denuncia la realizzazione, nei medesimi termini, della violazione del principio sopra richiamato in entrambi i gradi del giudizio di merito. Tanto si desume non solo dalla integrale citazione - nel ricorso (pag. 9) - di un brano della sentenza di primo grado nel quale la tesi proposta dal P. viene confutata con le medesime ipotesi alternative poi ribadite dalla Corte d'appello, ma dalla stessa formulazione del quesito di diritto, nel quale, come sopra evidenziato, si fa riferimento a una decisione resa in un "doppio grado di giudizio", sulla base di circostanze in relazioni alle quali non si sarebbe consentito all'attore "di interloquire, nè di replicare". Orbene, prescindendo dall'ovvia constatazione che non è configurabile - con riferimento alla sentenza di secondo grado - una decisione "a sorpresa" che ribadisca quanto già affermato dai giudici del primo grado, e in disparte il problema se la mera verifica della validità sul piano logico-deduttivo di una tesi sostenuta dall'attore, anche mediante la formulazione di ipotesi alternative, costituisca questione sulla quale sollecitare una presa di posizione delle parti, deve constatarsi l'intrinseca infondatezza della censura con riferimento alla natura e alle modalità di deduzione della nullità derivante dalla violazione del dovere in esame. 5.7 - La giurisprudenza di legittimità e la dottrina concordano sul punto che "la nullità processuale non possa essere, ipso facto, sempre e comunque predicata", e che, "per l'ipotesi di sentenza di primo grado appellabile, non può ritenersi sufficiente che il giudice abbia rilevato d'ufficio una questione senza sottoporla al previo contraddittorio delle parti, ma occorre che la relativa rilevazione officiosa abbia determinato ipotesi di sviluppo della res litigiosa, fino a quel momento processuale non considerati dalle parti sotto il profilo della prova, di talchè la presunta violazione del contraddittorio (rectius, del principio di difesa) risulterà denunciabile quale motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni dell'art. 345 c.p.c. (specie in materia di controeccezioni o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, in cui risulti realmente ed irredimibilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio" (così, Cass., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20935). In altri termini, verificandosi anche in relazione a tale vizio il fenomeno della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame ai sensi dell'art. 161 c.p.c., comma 1, il P. avrebbe dovuto dedurre motivi specifici di appello in relazione alle proprie difese e deduzioni probatorie derivanti dalla denunciata omissione, e non limitarsi a una generica lamentela di violazione del principio

in esame, poi sterilmente riproposta come motivo di ricorso per cassazione. 5.8 - Per completezza di esposizione va osservato che l'assunto relativo alla decisione "a sorpresa" sembra fondarsi sulla incontrovertibilità delle circostanze dedotte nel primo grado del giudizio, in quanto non contestate, senza considerare, a tacer d'altro, che il c.d. principio di non contestazione, secondo un preciso orientamento di questa Corte, non può trovare applicazione nel giudizio contumaciale (Cass., 23 giugno 2009, n. 14623). 6 - Al rigetto del ricorso non consegue alcuna statuizione in relazione al regolamento delle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva. p.q.m. La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 novembre 2013. Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2014