Il disastro di Chernobyl



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Il disastro di Chernobyl Quando è arrivata la prima notizia, un gelido e laconico comunicato sul più grande disastro dell era nucleare, l impossibile era accaduto già da un bel po, da più di due giorni. All una e 23 minuti di sabato 26 aprile 1986, al culmine di un incredibile sequenza di errori umani, il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl era esploso e, con la spinta di 1700 gradi di calore, attraverso il tetto squarciato, si era levata nel cielo notturno dell Ucraina una meravigliosa palla di fuoco. Non una casa distrutta né un ponte saltato e neppure un albero divelto: non era esploso un ordigno nucleare ma il potenziale radioattivo di quel reattore da mille megawatt elettrici, che conteneva un miliardo di curie, era pari se non superiore a quello della bomba di Hiroshima. Il reattore si era trasformato in un camino nucleare: a contatto con l aria la grafite aveva preso fuoco, la temperatura era aumentata e i vapori caldissimi avevano proiettato nell atmosfera, fino a 1200 metri di quota, una micidiale miscela di radionuclidi. Era cominciato allora il lungo viaggio senza frontiere, su tutta l Europa e oltre, della nube radioattiva che avrebbe scaricato al suolo prima le sostanze più pesanti e lentamente disperso le più leggere e gassose. La palla di fuoco e la colonna di fumo avevano segnato l inizio di un dramma il cui epilogo sarà scritto solo fra qualche decennio. A Chernobyl e dintorni, tutti furono ignari di quel che era successo, anche i pochi che avevano assistito a quel misterioso spettacolo in cielo: nessun allarme, nessun annuncio e nessun segno di mutamento. La nube aveva già cominciato a spargere il suo carico letale, il reattore continuava a emettere radioattività a dosi massicce ma attorno alla centrale tutto appariva come prima. L inferno era lì dentro, nel quarto blocco. L équipe medica, arrivata da Mosca dieci ore dopo l esplosione, tracciava immediatamente questo bilancio: 299 persone da ricoverare di cui 204 colpite da leucemia grave, tutte al di sotto di trent anni, vigili del fuoco, medici e infermieri, lavoratori della centrale, addetti alla mensa, tra i quali alcune donne. 114 feriti furono immediatamente trasportati all ospedale numero 6 di Mosca, gli altri a Kiev e in vari centri della regione. 29 di loro moriranno in capo a qualche settimana. Nessun piano di emergenza specifico era scattato a seguito dell incidente e quello normale della difesa civile scattò in ritardo. I pompieri di Chernobyl e Pripyat rimasero, Pag. 1 di 5

privi di tute adeguate, per un ora intera in mezzo al fuoco nucleare, contro tutte le normali norme di sicurezza che prescrivono la rotazione ogni dieci minuti, per il semplice fatto che vi era chi poteva sostituirli. Medici e infermieri intervennero immediatamente nell area dell incidente eseguendo centinaia di analisi del sangue in poche ore, ma nella zona fuori della centrale la gente continuava a essere tenuta all oscuro di tutto, di quanto era successo e del pericolo che correva. L inizio del giorno dopo trascorse nella tranquilla incoscienza dei cittadini ignari e delle autorità irresponsabili. Come se nulla fosse accaduto, i bambini giocavano nei prati, il bestiame veniva portato al pascolo, al mercato arrivavano i frutti della terra e tutti andavano a passeggio in quel bel giorno di festa. Tutti a contatto con la polvere contaminata dalle radiazioni, che più tardi il presidente della regione di Kiev definirà il nostro peggiore nemico. L allarme scattò domenica mattina, ma solo per i 45mila abitanti di Pripyat, la città più vicina alla centrale, dove risiedevano i dipendenti con le loro famiglie. L evacuazione cominciò alle 14. Erano passate trentasei ore dall esplosione. Gli abitanti di Chernobyl e degli altri villaggi vicini assistevano a questo esodo con un vago sentimento di inquietudine: sarebbe arrivato anche il loro turno, o erano stati miracolosamente risparmiati dalla nube? La radio dell Ucraina parlò di un guasto alla centrale ma non fu fatto alcun cenno a conseguenze sull ambiente e la popolazione. La verità si impose lunedì mattina con i segni inconfondibili dell emergenza: un traffico mai visto di camion e ambulanze; posti di blocco per il controllo della radioattività; gli studenti rimandati a casa con la raccomandazione di lavarsi i capelli, cambiarsi gli abiti e le scarpe, non uscire; strade e autostrade annaffiate dalle automobili per trattenere la polvere; la zona attorno alla centrale, per un raggio di dieci chilometri, sgombrata, inaccessibile, presidiata dai militari. Si videro gli elicotteri scaricare sul reattore sabbia e altri materiali adatti a soffocare l incendio e bloccare la fuoriuscita radioattiva, mentre si lavorava per proteggere i corsi d acqua. Un reattore nucleare ha un contenuto radioattivo pari a un miliardo di curie. C era da sperare che ne fosse uscita solo una piccola parte benché l arrivo della nube in Scandinavia facesse temere conseguenze purtroppo molto gravi. Pag. 2 di 5

La radioattività non può viaggiare per migliaia di chilometri e trasmettersi su una vastissima area senza un terribile incidente, un potentissimo processo di autodistruzione del reattore. Quello che avvenne fu denominato dagli scienziati un meltdown, evento spaventoso ma non per questo fisicamente impossibile. In un reattore nucleare, anche se la reazione a catena è arrestata, il calore prodotto spontaneamente dall enorme radioattività contenuta al suo interno è sufficiente per fondere il contenitore e quindi liberare all esterno i prodotti di fissione. A meno che non entrino in azione le pompe di raffreddamento. Se il fumo radioattivo è arrivato a duemila chilometri di distanza, ciò significa che a Chernobyl vi fu un rogo colossale, che non fu possibile spegnere in breve tempo. Lo scenario fu subito sostanzialmente chiaro, noto a tutti gli uomini di scienza: la dispersione della radioattività nell aria, nel fogliame, a terra, nelle acque; la contaminazione per esposizione diretta, inalazione o catena alimentare; la gradazione del rischio in rapporto alla potenza dell esplosione, alla distanza, agli agenti atmosferici; il ciclo di assorbimento e i tempi di decadimento dei radioisotopi... tutte conseguenze che si sarebbero perpetuate nel tempo, nelle popolazioni e generazioni e nei luoghi. Solo il 21 agosto fu data ufficialmente notizia che le emanazioni radioattive non erano cessate e avrebbero cessato soltanto quando il reattore sarà completamente sepolto, avvolto cioè in un sarcofago di cemento armato e acciaio a più strati, la cui costruzione in quei giorni era appena iniziata. L incubo durò qualche settimana. Il bilancio ufficiale dell esodo dalle aree più contaminate ammontò a 135mila persone di cui 45mila bambini, che resteranno sotto controllo medico per tutta la vita. Per gli abitanti delle regioni dell Unione Sovietica investite dalla nube di Chernobyl la dose collettiva di radioattività è stata valutata in 8,6 milioni di rem X persona nel 1986 e 29 milioni di rem X persona nei successivi 50 anni, per irraggiamento esterno; 210 milioni di rem X persona in 50 anni per irraggiamento interno (attraverso l inalazione e la catena alimentare). Si è stimato che queste dosi provocheranno 40mila casi di cancro nei prossimi 70 anni, con un incidenza diversa da zona a zona ma che per i 135mila evacuati dovrebbe essere venti - trenta volte più alta della norma. Nel resto del mondo, per lo stesso periodo, saranno 20mila i tumori associabili alla nube radioattiva. La partita col reattore impazzito si è giocata nelle prime ore: da una parte, si sarebbe potuto limitare il danno se l allarme fosse scattato immediatamente, informando la popolazione, evacuando i centri più colpiti, controllando i prodotti alimentari avvisando Pag. 3 di 5

la comunità internazionale; dall altra, solo il sacrificio consapevole di un centinaio di uomini ha impedito che il più grande disastro nella breve storia dell atomo pacifico si trasformasse in un apocalisse. Dobbiamo essere profondamente riconoscenti a quegli uomini. Si è limitato il meltdown perché questi cento giovani pompieri, rimasti un ora in mezzo al fuoco nucleare, circoscrissero l incendio evitando tra l altro che si propagasse, con una terrificante catena di esplosioni, al terzo blocco della centrale che aveva in comune con il quarto reattore il circuito di raffreddamento. Fu eroismo o incoscienza?... La nube ha scaricato qua e là in Europa - soprattutto nelle regioni più vicine alla centrale e in Polonia - Iodio 131, cesio 134 e 137, cripto, rutenio 103, tellurio 132, stronzio 90, plutonio 239, cobalto, bario 140 e altri radionuclidi, prodotti della fissione nucleare con una vita a termine, anzi una semi - vita, perché quello che si calcola è il loro tempo di dimezzamento, che varia dagli otto giorni dello iodio 131 ai tredici del bario, dal ventotto anni dello stronzio 90 ai trenta del cesio 137 ai ventiquattromila anni del plutonio. Il carico radioattivo che si sprigionò dalla centrale nucleare era composto principalmente da Iodio 131 per la metà e da quantità rilevanti di Cesio 137. Il Cesio 137 resterà invece attivo ancora a lungo; così lo stronzio 90, presente però in quantità minori. Dalla cima di un albero il cesio può cadere al suolo, penetrare nel terreno, raggiungere le radici, trasmettersi ai germogli, ricadere al suolo con le foglie, mischiarsi con all erba dei pascoli, entrare nei muscoli di un animale da carne o da latte, esser trascinato con limo nelle acque di fiume, contaminare i pesci. Non c è radiazione che sia innocua, che possa essere assorbita dal nostro corpo senza lasciare traccia, senza imporci un prezzo da pagare. La morte radioattiva non è quasi mai violenta, è subdola, può presentarsi dieci, venti, trent anni dopo, con una malattia difficile da associare. I 70 anni che ci separano, secondo stime ufficiali, dall ultimo tumore di Chernobyl portano non noi, ma le generazioni al 2056. E quell ultimo tumore può toccare a qualcuno che nascerà nel prossimo secolo. Grazie a ricerche effettuate dopo l evento Chernobyl, ora sappiamo per esempio che la pelle, i reni, i polmoni, la tiroide, le ossa sono tra gli organi più esposti; che le radiazioni causano mutazioni genetiche ereditarie, leucemia e altri tumori che possono insorgere anche con un ritardo di moltissimi anni; che dosi elevate provocano l immediata caduta dei capelli, la comparsa di piaghe, la sterilità; sappiamo anche che la morte è dovuta essenzialmente a emorragia, danni gravi alle cellule nervose o intestinali, distruzione Pag. 4 di 5

del midollo osseo che presiede alla riproduzione dei globuli e delle piastrine del sangue. La morte radioattiva non è quasi mai immediata. I bambini e gli organismi giovani, i neonati e gli embrioni, sono in genere i soggetti più esposti, perché le loro cellule si riproducono a una velocità amplificata dalle necessità fisiologiche che le rende più sensibili ai cambiamenti di codice genetico. Una radiazione che colpisce una donna incinta può tradursi in alterazioni che si manifestano alla nascita del bambino e che si trasmettono alle generazioni successive. Sono estremamente vulnerabili anche gli organi riproduttivi, sia maschili che femminili, in cui sono contenute le cellule a partire dalle quali si costruirà il codice genetico della prole. Questo spiega perché il danno di Chernobyl è destinato a non finire con la generazione dei viventi di oggi ma continuerà ad agire su esseri che devono ancora nascere e persino essere concepiti. Pag. 5 di 5