CENTRO CULTURALE DI MILANO. Intervento di. Don Stefano Alberto Docente di Introduzione alla Teologia nell Università Cattolica, Milano



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CMC CENTRO CULTURALE DI MILANO MEDITAZIONI Il Figlio dell uomo non ha dove posare il capo ( Luca, 9) Intervento di Don Stefano Alberto Docente di Introduzione alla Teologia nell Università Cattolica, Milano Milano 20/02/2002 CMC CENTRO CULTURALE DI MILANO Via Zebedia, 2 20123 Milano tel. 0286455162-68 fax 0286455169 www.cmc.milano.it

Meditazioni: incontro con Don Stefano Alberto IL FIGLIO DELL UOMO NON HA DOVE POSARE IL CAPO (Luca,9) Padre Adolfo Hertzl: Un saluto da parte mia e dei padri Barnabiti della Parrocchia di S. Alessandro. Siamo molto lieti di ospitare questi incontri di meditazione e di preghiera che il Centro Culturale di Milano ha programmato in preparazione alla Pasqua. Colgo l occasione per dirvi che la nostra comunità parrocchiale celebra quest anno due eventi importanti: il primo è che ricorrono i cinquecento anni dalla nascita del nostro fondatore, S. Antonio Maria Zaccaria. Nato appunto nel 1502, nel 1533, poco prima del Concilio di Trento, ha creato l ordine dei Barnabiti a Milano. L altro evento è la celebrazione dei quattrocento anni dalla posa della prima pietra di questa chiesa dedicata a S. Alessandro, fatta erigere da Federico Borromeo, cugino di S. Carlo. Festeggeremo questi avvenimenti con la presenza dell arcivescovo, che celebrerà l undici di aprile una messa in ricordo della posa della prima pietra, mentre il 31 maggio ci sarà la celebrazione nel Duomo di Milano per tutti i Barnabiti. Non mi resta che salutare con piacere don Stefano Alberto, docente di Introduzione alla Teologia presso l Università Cattolica di Milano, augurando a tutti voi un buon ascolto e una buona quaresima. Fornasieri: Vorrei introdurre brevemente il primo dei tre momenti di meditazione proposti dal Centro Culturale di Milano sottolineando come tutti noi siamo impegnati e lavoriamo nel quotidiano, ed è necessità di tutti approfondire, rendere più chiara la speranza che sorregge ogni nostro fare, ogni nostra azione. Da questa esigenza è nata la proposta di un momento d incontro libero e personale con l esperienza di qualcuno. Che propone un paragone con la Sacra Scrittura, con dei punti liberamente tratti da essi. Don Stefano Alberto: Ringrazio padre Hertzl e Camillo Fornasieri. Non posso nascondere una certa pensosità di fronte a questo incarico: non per pigrizia o mancanza della voglia di tenere questo momento, quanto, piuttosto, proprio per il desiderio che questa meditazione non sia un insieme di parole vuote, ma sia utile alla vita di ciascuno di voi, ci aiuti a essere più consapevoli, più grati, quindi più animosi in quel cammino che col passare del tempo ci appare sempre più drammatico, affascinante. Riprendendo un espressione che il Papa ha usato nella lettera scritta a Monsignor Luigi Giussani per il ventesimo anniversario del riconoscimento pontificio della fraternità di Comunione e Liberazione: Un avventura della conoscenza, la fede come avventura della conoscenza. L andata di Gesù a Gerusalemme. L autocoscienza di Cristo. La meditazione di stasera si articola in cinque punti, e riprende una parte, uno degli ultimi versetti del capitolo IX di San Luca. E l ultima parte del capitolo, ma costituisce anche l inizio di una nuova sezione di questo Vangelo, che coglie un momento particolarissimo della vita di Gesù. E l istante della vita in cui Gesù consapevolmente si avvia verso Gerusalemme, verso quell ora per cui è venuto, verso quell ora in cui darà gloria al Padre. E l ora della prova, è l ora del sacrificio, è l ora della morte: condizione terribile e misteriosa per il manifestarsi nel mondo della potenza di Dio.

Mentre andavano per la strada un tale Gli disse: - Ti seguirò dovunque Tu vada -. Gesù gli rispose: - Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi ma il Figlio dell Uomo non ha dove posare il capo -. Questa espressione così commovente e così originale -non ha dove posare il capo- ritorna un altra volta nel Vangelo, solo un altra volta. C è un passo che riprende nell originale greco questa espressione: il capitolo XIX, versetto 30 del Vangelo di San Giovanni, versetto dove Gesù grida: - Tutto è compiuto -. E posato il capo rese lo spirito. In questo punto emerge con chiarezza l autocoscienza di Cristo, proprio come don Giussani, nell anno in cui la fraternità è stata riconosciuta, ce l ha richiamato: essere mandato significa essere un uomo che non ha dove posare il capo, significa essere un uomo senza patria. Già il prologo del Vangelo di Giovanni ce lo ricorda al versetto 11: Venne fra la Sua gente ma i suoi non l hanno accolto. Quell uomo, quando venne, non ebbe una patria. Una persona che non ha patria vive senza protezioni, senza dimora, senza sicurezze umane, continuamente attraversando il mondo, ossia andando contro, o meglio, essendo altro rispetto a ogni estabilishment, a ogni realtà e habitus consolidati e codificati dalle norme della convenzione sociale. Voi siete senza patria ci disse il Papa proprio nell anno dl riconoscimento della fraternità, vent anni fa. Capire il significato profondo di questa affermazione vuol dire davvero addentrarsi nella piena maturità del nostro cammino cristiano. Quante nostre iniziative, quanti nostri progetti, quanto nostro agire in fondo tendono all avere una patria in questo mondo, per conquistare e godere un diritto di cittadinanza nella nostra società. Un aspirazione di per sé non sbagliata, ma sintomatica della scarsa coscienza del fatto che una patria, in questo mondo, noi non potremmo mai averla. Giussani così commentava la frase del Papa: Il primo passo da compiere allora è comprendere il motivo profondo di questa impossibile assimilazione sociale. Si potrebbe dire che il motivo fondamentale è la natura stessa del cristianesimo: un fatto accaduto, un avvenimento, come ci rivela la prima pagina del Vangelo di Giovanni E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la Sua gloria. Prendere coscienza della natura del cristianesimo significa comprendere che il problema fondamentale non è il che fare, non è la nostra analisi della realtà, il nostro punto di vista sugli eventi ispirato a valori cristiani, ma la conoscenza di Cristo. Lo ricorda San Paolo nel capitolo III della lettera ai Filippesi: Se qualsiasi altro sembra avere fiducia nella carne, io ancora di più, ma tutte queste cose che per me erano guadagni, io le ho stimate invece una perdita per amore di Cristo. Anzi, considero tutto una perdita di fronte alla suprema conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore per il quale mi sono privato di tutto e tutto ho stimato come sterco allo scopo di guadagnare Cristo. Conoscere è riconoscere La parola più adeguata per esprimere questa suprema conoscenza è riconoscimento: riconoscimento di Cristo, perché una presenza non la si conosce, la si riconosce. Non ha patria l uomo che riconosce e afferma che Dio è un fatto presente, con un nome storico e un volto che coglie e tocca fisiologicamente la sua vita ora, e pretende di determinarla in ogni senso, affinché la sua vita possa determinare embrionalmente la vita della società. Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio ed accoglienza ovunque, ma quando il cristianesimo è annunciare nella realtà quotidiana, sociale, storica, la Presenza permanente di Dio diventato Uno tra noi, Gesù Cristo

presente nella sua Chiesa, oggetto di esperienza come la presenza di un amico, di un padre, di una madre, orizzonte totale che plasma la vita, ultimo amore, centro del modo di vedere, di concepire e di affrontare la realtà tutta, senso e scaturigine di ogni azione, allora esso non ha patria. Dove rimani, dove sei?. Così hanno domandato in quell istante, nel primo incontro, i primi due, Andrea e Giovanni, a quell Uomo. Il dove non è una patria creata da noi, non è un nostro progetto, è stare con Lui, ma stare con Lui dentro la realtà di oggi è essere senza patria. La tentazione dell utopia Qual è la tentazione che, se nella storia del nostro movimento ha avuto un particolare momento, intorno agli anni settanta, in cui è emersa con evidenza, può comunque essere considerata una tentazione ricorrente, addirittura costantemente presente? Lo ricorda ancora don Giussani in un suo intervento del 76: la tentazione è l utopia, l utopia è il voler essere noi a farci una patria. Il termine utopia, però, significa letteralmente non luogo. Intendo per utopia qualcosa ritenuto buono e giusto da realizzare nel futuro, la cui immagine e il cui schema di valori sono creati da noi. La grande tentazione è quella che Cristo stesso ha dovuto vivere, così come la riporta il Vangelo della prima Domenica di Quaresima: non dobbiamo scandalizzarci di questa ricorrente tentazione, la tentazione del progetto nostro, del potere nostro, la tentazione della chiusura. Proprio nello stesso capitolo IX abbiamo due passi tremendi: Gesù ha appena iniziato a parlare esplicitamente del senso di quel cammino verso Gerusalemme, quasi dicesse: - Mettetevi bene in mente queste parole: il figlio dell uomo sta per essere consegnato in mano agli uomini -. Essi però non comprendevano questa frase, per loro restava così misteriosa che non ne comprendevano il senso e avevano paura a rivolgergli domande su tale argomento. Allo stesso tempo sorge una discussione tra loro su chi di essi fosse il più grande; allora Gesù, conoscendo i pensieri del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: chi accoglie questo fanciullo nel mio nome accoglie me e accoglie colui che mi ha mandato, perché chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande. La grande tentazione di un immagine, di uno schema di valori creati da noi: Se sei Dio, dì che queste pietre diventino pane se sei Dio gettati da questa torre se mi adorerai tutti i regni della terra sono tuoi. S. Agostino, nel suo commento ai salmi, osserva: Così guarda questa tentazione dell uomo Gesù: Egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da satana.il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto, precisamente Cristo fu tentato dal diavolo; ma in Cristo eri tentato anche tu, perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita., da te l umiliazione, da sé la tua gloria. Dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Se siamo stati tentati in Lui sarà proprio in Lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato perché non consideri che Egli ha anche vinto, fosti tu a essere tentato in Lui, ma riconosci anche che in Lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tenere lontano da te il diavolo, ma se non si fosse lasciato tentare non ti avrebbe insegnato a vincere quando sei tentato. Che cosa porta l utopia nella nostra vita? Come gli idoli non mantengono mai ciò che promettono, così l utopia non cambia la vita, ma ne esalta le flessioni istintive, quelle che piacciono di più e da cui si trae maggior vantaggio in un certo momento. L utopia è l opposto del dramma perché il dramma, cioè il rendersi conto che l io è il rapporto con un tu, tende a unire l io, tende a far emergere dalle divisioni, dalle contraddizioni apparenti e dalle opposizioni paradossali, una unità, l unità cui l uomo è destinato. L utopia divide e dilania, perché produce sempre una risposta istintiva che cambia a seconda degli oggetti che si hanno davanti, così che uno si ritrova ridotto in brandelli.

La novità della Sua Presenza Don Giussani, commentando la lettera del Santo Padre ricevuta una settimana fa per mano di Monsignor Rilko, ha detto: Questo è un momento grande, il momento più grande nella storia del movimento. Dopo questo messaggio il nostro compito è grande e terribile nello stesso tempo, dal momento che è il Suo disegno che passa attraverso la nostra vita, attraverso la nostra esistenza. Il nostro compito è leggero e i nostri propositi soavi, e quindi dobbiamo aiutarci in questo: è il suo disegno, il luogo è la sua presenza, la patria è il rapporto con Lui. Se la tentazione ricorrente è l utopia, la novità possibile, l inizio della vittoria è la Sua Presenza. La Presenza di Gesù che è il mandato, l obbediente, il mandato del Padre. Proprio nel capitolo IX Egli dà ai discepoli il potere di curare le malattie e l autorità su tutti i demoni: il termine potere, in greco, è un termine bellissimo, perché contiene in sé la parola essere, essere di. La coscienza che emerge all inizio del Vangelo di Giovanni ( il verbo era presso Dio, era presso il Padre); la coscienza che tutti i capitoli 5,6,7,8 di Giovanni riverberano di quest uomo ( Io sono dal Padre, Io opero quello che vedo fare dal Padre mio, E il Padre che opera attraverso di me, Quello che faccio lo faccio per il Padre ). La missione Questa coscienza, questa esperienza viene trasmessa, viene affidata, chiama a sé, per poi mandare. È la prima volta che Lui, presente, proprio all inizio del Suo cammino verso Gerusalemme, li manda a due a due nei villaggi, nei casolari più dispersi, più lontani. Per gli uomini di quelle case sparse, di quei villaggi, che volto aveva Gesù? Il suo volto e la sua Presenza coincidevano con la presenza di quei due; allora essi partirono e girarono di villaggio in villaggio annunciando dovunque la buona novella e operando guarigioni. L esperienza che la vita è la vita di un Altro nella mia, di un Altro che opera; la novità è la Presenza di un Altro. Anche noi siamo mandati e non è innanzitutto qualche cosa da fare, è un essere nuovo, è una nuova identità, è una nuova umanità che si riverbera dentro alle circostanze della nostra vita, dentro alle prove, dentro alla fatica del lavoro, dentro all impegno dello studio, dentro all affezione tra marito e moglie, dentro al rischio di tirare su i figli, dentro alla malattia, dentro al limite e al peccato. Nell inserto di Tracce di febbraio, questa novità come esperienza reale è descritta, attraverso uno dei brani più citati di tutto il Nuovo Testamento, dove San Paolo dice: Tutti voi che siete battezzati vi siete immedesimati con Cristo: non esiste più né giudeo, né greco, né schiavo, né libero, né uomo, né donna ma tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù. Questo è il luogo nuovo, questa è la creazione nuova, questa è la novità di una presenza irriducibile, originale dentro il mondo, dentro la vita. Giussani osserva: E una solidarietà non sentimentale ma reale, perché il movente, la ragione che la determina è la persona nella sua totalità, cioè la persona nel suo destino, è una coscienza di appartenenza che diventa un amicizia, come un alveo per l acqua della nostra vita, che costringa alla verità di sé, cioè che costringa al rapporto vero con Cristo. Dinamicamente questa coscienza come si chiama? Si chiama seguire: la nostra vita cresce, il nostro io diventa sempre più se stesso, quanto sempre più consapevolmente nel luogo di questo rapporto diventa Egli stesso avvenimento. Sempre nel capitolo IX, in questo inizio del coinvolgimento nella sua missione definitiva, Gesù dice le cose ultime ai suoi, ultime non come rivelazione, ma ultime come profondità di amore al destino di ciascuno: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua, perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita

per me la salverà; che giova a te guadagnare il mondo intero se poi perdi te stesso? Che cosa dai in cambio di te stesso? ( Luca, 9, 23). Nessun uomo ha mai parlato così all uomo, nessuna madre ha parlato con questa tenerezza al proprio figlio, nessun amico parla con questa intensità di passione al destino dell amico come quest uomo. L esperienza della Bellezza. Il sacrificio È innanzitutto l esperienza di una bellezza; sentirsi amati così, sentirsi posseduti così è lo stupore di una bellezza. Come osserva in un passaggio straordinario delle ultime Tischreden don Giussani, la bellezza è prima: prima non c è il sacrificio, prima c è la bellezza, prima viene l affermazione del Vero. Il sacrificio ti fa percepire la verità della cosa: se viene prima la verità, il fascino, e poi il sacrificio, vuol dire che il fascino già aveva l ordine del sacrificio. Il sacrificio è per affermare l ordine, tu non puoi percepire la bellezza se non affermando, percependo un ordine. E esattamente l esperienza, raccontata ancora nel capitolo IX, della trasfigurazione: Prima c è questa misteriosa e totalizzante anticipazione della gloria dell uomo Gesù: questi è mio figlio. Il sacrificio di scendere dal monte, di andare verso Gerusalemme, verso il sacrificio della vita è dentro questa bellezza, è dentro al trasfigurarsi della realtà, è dentro all anticipo del possesso nuovo e definitivo che ha come condizione la croce e la resurrezione. Seguire è innanzitutto cedere a questo stupore della verità, a questo stupore della bellezza, della giustizia, della verità e dell amore. È in un secondo momento l inevitabilità del sacrificio, ma questa inevitabilità ci rimanda al Tu, a Cristo, perché per amare veramente occorre un sacrificio: per vivere il lavoro con amore e obbedienza occorre un sacrificio, per accettare il perdono, la diversità, la misericordia che ricrea me e l altro occorre un sacrificio, e il sacrificio ci rimanda alla grande Presenza, al Tu. Vivo non io, ma è Cristo che vive in me : ecco la grande e definitiva espressione che delinea l utopia cristiana non come la violenza di uno schema o di un progetto mio, ma come la patria che già nella precarietà del non avere patria in questo mondo diventa l anticipo, come centuplo in questo mondo, di una definitività di verità, di bellezza, di significato del cammino. Vivo non io, ma è Cristo che vive in me, - è il famoso passaggio di Galati 2, 20 - cosi che pur vivendo nella carne io vivo nella fede del Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me. Pur vivendo come tutti gli altri uomini, con gli errori e le tentazioni di tutti gli altri uomini, non possiamo più guardare nulla se non nello sguardo che Cristo portava alle cose. Questa presenza in noi, questa intimità improvvisamente dominatrice, costituisce la sorgente ogni giorno della letizia della nostra vita. Che cosa darai in cambio di te stesso? Questa domanda, che ci introduce nel rapporto con Colui per Cui si vive, risuona dentro all evidente sproporzione, all evidente incapacità di essere fino in fondo se stessi. Ma questa evidenza non è fonte di scoraggiamento, non è fonte di delusione: sarebbe un ultimo attaccamento a sé; sarebbe un ultimo orgoglio accampare come obbiezione la propria incapacità a essere se stessi, il proprio limite. Dopo che i discepoli, mandati a due a due, ritornano (Giussani ha detto una volta: c è la prima scuola di Comunità della storia!), raccontano. E Gesù dice: Non siate contenti per quello che avete fatto, siate contenti perché i vostri nomi sono già scritti in cielo. La scelta di ciascuno di noi è definitiva già in questo mondo: beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti

profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete ma non lo videro, e udire ciò che voi udite ma non lo udirono. Signore insegnaci a pregare. Ed ecco il gesto più commovente, perché, di fronte all imponenza di questa Presenza, è il gesto più adeguato, l unico gesto adeguato alla libertà dell uomo: la domanda Signore insegnaci a pregare. Questa domanda è come il primo sorgere, ogni giorno, in ogni istante, della vittoria di Cristo, della bellezza di Cristo dentro alla nostra vita, fosse anche tribolata, piena di contraddizioni, piena di limiti. Vi sono due straordinari passaggi sulla preghiera ai capitoli XI e XVIII: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto; perché chi chiede ottiene, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Ma il figlio dell uomo, quando verrà, troverà ancora la fede su questa terra? Questa domanda non ci trovi inconsapevoli o distratti o ripiegati dentro il nostro limite. Per questo custodiamo in questa Quaresima l indicazione semplice e così potentemente esaustiva che don Giussani ci affida: siccome tutto è dato da Cristo e siccome è Cristo l origine di tutto quello che si possa fare rispetto alle aperture che si spalancano, amiamo Gesù Cristo. Non amiamo la donna, non amiamo i figli, se non per Cristo. Grazie a voi che ci giocate la vita, come del resto io.