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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 07/2015 Napoli 16 Febbraio 2015 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. IL DATORE DI LAVORO COMMITTENTE E' RESPONSABILE DELLA SICUREZZA DEI SOGGETTI PRESENTI IN CANTIERE ANCHE SE TRATTASI DI LAVORATORI AUTONOMI TERZI, O SUBORDINATI DI ALTRE DITTE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 5857 DEL 9 FEBBRAIO 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 5857 del 9 febbraio 2015, ha statuito che il datore di lavoro committente è responsabile della sicurezza operativa dei vari prestatori presenti in cantiere anche se gli stessi sono lavoratori autonomi oppure dipendenti di ditte esterne. Nel caso in disamina, due lavoratori restavano infortunati a seguito di una caduta, dalla piattaforma di un carroponte, a causa dell'erronea manovra effettuata da un altro prestatore. Sia i dipendenti infortunati, che il manovratore del carroponte, non dipendevano dal committente. Il datore di lavoro, soccombente in Appello, dopo l'assoluzione in I grado, ricorreva in Cassazione. Orbene, gli Ermellini, nel confermare integralmente il deliberato della Corte Territoriale, hanno evidenziato che il datore di lavoro committente è responsabile non solo dei propri dipendenti ma anche dei lavoratori autonomi o subordinati di altre ditte, eventualmente presenti in 1

cantiere. A tal fine, tutta la documentazione richiesta dalla normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ex D. Lgs. n 81/2008 - deve essere predisposta tenendo in debita considerazione anche l'eventuale presenza, in cantiere, di soggetti esterni. Pertanto, atteso che nel caso de quo il committente datore di lavoro non aveva tenuto nella giusta considerazione la partecipazione di altri soggetti alle attività di cantiere, i Giudici dell'organo di nomofilachia ne hanno confermato la condanna per l'inadeguatezza delle misure di sicurezza e delle relative documentazioni, predisposte per il cantiere. ANCHE CHI ANNOTA IN CONTABILITA FALSE FATTURE SENZA SOTTOSCRIVERE LA SUCCESSIVA DICHIARAZIONE DEI REDDITI PUO RISPONDERE DEL REATO DI DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 3931 DEL 28 GENNAIO 2015 La Corte di Cassazione - Sezione Penale -, sentenza n 3931 del 28 gennaio 2015, ha statuito che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture può essere esteso anche a chi ha materialmente registrato in contabilità i falsi documenti, traendo in inganno il rappresentante legale firmatario della successiva dichiarazione. Nella vicenda in esame, un imprenditore, socio e legale rappresentante di una S.n.c., veniva imputato del delitto di cui all art. 2 del D.Lgs. 74/2000 (id: dichiarazione fraudolenta dell IVA mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti). La Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma del giudizio di I grado, assolveva l imprenditore evidenziando che lo stesso non aveva presentato la dichiarazione IVA in oggetto, invero sottoscritta dal liquidatore della società che nel frattempo era subentrato nella gestione dell impresa. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Bologna deducendo che la Corte di merito non aveva considerato che l imputato, nel consegnare la documentazione al liquidatore, non lo aveva volutamente avvertito dell annotazione delle predette fatture. 2

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, pur affermando che l attribuibilità del reato in esame a soggetti diversi da coloro che hanno presentato la dichiarazione non può trovare diretto fondamento nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 74/2000, hanno sottolineato che la fattispecie può radicarsi in tema di autore mediato di cui all art. 48 c.p.. Tutto ciò premesso, hanno concluso i Giudici, il Collegio d Appello non ha fatto buon governo di tale principio escludendo ogni responsabilità in capo al socio amministratore; nel caso di specie, il liquidatore, sottoscrittore della dichiarazione, sarebbe stato ingannato dall imputato il quale vantava un chiaro interesse, nella sua qualità di socio, alla presentazione di una dichiarazione fraudolenta. Il ricorso della Pubblica accusa è stato perciò accolto con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per un più approfondito esame della questione. AVVALERSI DI UN DIPENDENTE PART-TIME NON SEMPRE COSTITUISCE INDICE DELLA SUSSISTENZA DEL PRESUPPOSTO IMPOSITIVO DELL AUTONOMA ORGANIZZAZIONE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 1544 DEL 27 GENNAIO 2015 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 1544 del 27 gennaio 2015, ha statuito che per un medico, la collaborazione di un inserviente part-time non può, di per se stessa, essere sufficiente, a prescindere dal concreto contenuto qualitativo e quantitativo delle relative prestazioni, ad integrare il presupposto impositivo dell autonoma organizzazione. Nel caso in specie, ad una pediatra, operante in convenzione con il servizio sanitario nazionale, veniva notificata cartella esattoriale per IRAP non versata, contro la quale provvedeva a ricorrere alla giustizia tributaria risultando vincitrice in entrambi i gradi di giudizio. L Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione sostenendo che l avvalersi di un dipendente part-time fosse presupposto sufficiente per far sussistere in capo al professionista un autonoma organizzazione. 3

All uopo, si ricorda che secondo l art. 2 del decreto legislativo n. 446/97 presupposto impositivo dell IRAP è l esercizio abituale di un attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, uniformandosi a precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 22024/2013 e n. 26982/2014 e n. 26991/2014), hanno evidenziato che il fatto indice, costituito dall'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui, non può essere considerato di per sé solo manifestazione indefettibile della sussistenza del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione. In particolare, gli Ermellini, hanno osservato che, ai fini della verifica della sussistenza del presupposto impositivo ai fini IRAP occorre verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea ad integrare, in concorso con altri fattori, un contesto organizzativo esterno. Si tratta, cioè, di accertare, caso per caso, se l'apporto del lavoro altrui ecceda l'ausilio minimo indispensabile per lo svolgimento di una determinata attività professionale. Ciò non accade nel caso di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono mentre il medico visita il paziente o l'avvocato riceve il cliente, o che tenga i ferri mentre il dentista opera ; un simile apporto non può essere fatto rientrare nel minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività professionale. Compete al Giudice di merito apprezzare, con un giudizio di fatto censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, se nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni lavorative di cui il professionista si avvale, le stesse debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile secondo l'id quod plerumque accidit. Per le motivazioni suddette il ricorso dell Agenzia delle Entrate è stato respinto con compensazione delle spese. NELL ACCERTAMENTO DELLA RESPONSABILITA DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETA CHIUSE, L ONERE PROBATORIO IN ORDINE ALLA NOVITA DELL OPERAZIONE RICADE SULLE PARTI PROCESSUALI. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 2156 DEL 5 FEBBRAIO 2015 4

La Corte di Cassazione, sentenza n 2156 del 5 febbraio 2015, ha statuito che quando si chiede in giudizio l'accertamento della responsabilità degli amministratori di una società, ai sensi dell'articolo 2449 del Codice Civile (testo previgente), bisogna fornire anche la prova incontrovertibile dello status di novità dell'operazione, dimostrando pertanto il compimento di atti negoziali in epoca successiva all'accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della società. Il caso di specie riguardava una vicenda incentrata sull'accertamento della responsabilità, illimitata e solidale, degli amministratori di una società ex articolo 2449 C.C., per avere i medesimi contravvenuto al divieto di intraprendere nuove operazioni in presenza di un fatto che avrebbe determinato lo scioglimento della società; in particolare, un contratto di trasporto stipulato quando c erano già i presupposti perché quest ultima venisse sciolta. La Cassazione, con la sentenza de qua, ha accolto il ricorso del titolare della ditta di trasporti che, dopo aver incassato quanto chiedeva per il lavoro effettuato era stato condannato a restituirlo in toto. Pertanto, secondo gli Ermellini, ha dunque torto il creditore nel ritenere che l operazione, solo perché messa in atto dopo il verificarsi delle difficoltà economiche, fosse il segnale della volontà di proseguire nell attività come «se nulla fosse». Nel contempo, però, i Giudici del Palazzaccio hanno precisato che non è il creditore a dover provare la circostanza liberatoria, oltretutto riguardante fatti di dominio esclusivo dell impresa debitrice, come nel caso in esame, quest ultimo non ha l obbligo di provare che il trasporto si riferiva a una linea di produzione nuova e non a giacenze già commissionate. In nuce, chi agisce in giudizio deve provare l esistenza delle circostanze alla base della domanda stessa: il verificarsi delle condizioni per lo scioglimento della società e i successivi atti negoziali; per contro gli amministratori che negano la pretesa devono invece dimostrare che le operazioni incriminate non sono effettuate ex novo, anche se poste in essere dopo l inizio della fase di scioglimento, perché non comportano rischio di impresa e dunque pregiudizio per i creditori ma 5

sono giustificate dall attività liquidatoria o dall esigenza di onorare un precedente impegno. IN TUTTE LE IPOTESI DI CONVERSIONE DEL CONTRATTO A TERMNE SI APPLICA IL COLLEGATO LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA N. 2053 DEL 4 FEBBRAIO 2015 La Corte di Cassazione, ordinanza n 2053 del 4 febbraio 2015, con riferimento alla clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE, ha confermato la non sovrapponibilità della tutela prevista dalla Legge 300/1970 art. 18 alle conseguenze stabilite dall'art. 32, comma 5, Legge n. 183/2010 per l'illegittima interruzione del contratto a termine. Nel caso in commento, la Corte d'appello di Roma accoglieva la richiesta di nullità del termine apposto al contratto, intercorso fra le parti dal 02/06/99 al 30/10/1999, con condanna alla riammissione in servizio della lavoratrice e pagamento di un'indennità, ex art. 32 del cd collegato lavoro, pari a 4 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali. La società chiedeva la cassazione della sentenza per tre motivi: mutuo consenso delle parti; falsa applicazione delle clausole previste dal contratto collettivo di riferimento; e non corretta applicazione dei criteri previsti dall'art. 8 della Legge 604/66. Orbene, la Suprema Corte ha ritenuto il primo motivo infondato per l'ormai consolidato principio secondo cui il mutuo consenso, per configurarsi come tale, necessita un accertamento chiaro e certo circa la volontà delle parti di porre fine definitivamente al rapporto lavoro. Il secondo motivo infondato, in quanto il contratto collettivo di riferimento consentiva l'assunzione con le specifiche cause giustificatrici utilizzate solo fino al 30/04/1998 e non oltre, attesa l'ampia delega legislativa in materia a favore delle parti sociali. Il terzo motivo è stato dichiarato inammissibile, per la necessità di valutazioni di merito. Infine, ha ritenuto infondato anche il motivo proposto in via incidentale in ordine alla contrarietà ai principi previsti dalla Carta Europea dei diritti dell'uomo. 6

In conclusione, proprio in ragione della Sentenza della Corte di Giustizia, circa la Clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE, non sussiste alcuna violazione del principio di uguaglianza e non discriminazione, atteso che le tutele previste per l'illegittima interruzione dei contratti a tempo indeterminato, ex legge 300/70, non sono direttamente sovrapponibili alle norme che prevedono le conseguenze di una illegittima interruzione dei contratti a termine, non trovando quindi, il contratto a termine specifica tutela nella Clausola 4 della Direttiva Ce. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 7