L accertamento tributario e procedimento penale



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L accertamento tributario e procedimento penale a cura di: Rosario Fortino Avvocato Tributarista in Cosenza fortinoepartners@libero.it Riflessione critica sulla utilizzabilità degli atti di polizia tributaria, nonché l utilizzabilità fiscale di elementi probatori acquisiti in sede penale. Breve nota alle sentenze n. 8344/01-15538/ 02-20601/05-28695/05 della Suprema Corte di Cassazione. La riflessione che interessa il cortese lettore, nasce da una lunga problematica che da tempo interessa gli studiosi della materia fiscale, cercando il giusto equilibrio fra esigenze fiscali ed attività investigativa. Per effetto delle disposizioni di cui all art. 33, comma 3, del DPR n. 600/ 73, nonché all art. 63, comma 1, del DPR n. 633/72 e successive modificazioni, una prima apertura, fra l accertamento tributario ed il procedimento penale potrebbe aversi già nelle indagini preliminari. Ed invero le disposizione sopra menzionate specificano e prevedono che, previa autorizzazione dell autorità giudiziaria, concessa anche in deroga all art. 329 cpp, la Guardia di finanza utilizza e trasmette agli uffici, documenti, dati e notizie, acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre forze di polizia, proprio nell esercizio dei poteri di polizia giudiziaria. Di estrema importanza e lungamente dibattuto in giurisprudenza, in riferimento alle menzionate previsioni, è senza dubbio il ruolo fondamentale che ha assunto la questione attinente alla funzione dell autorizzazione del Magistrato, vale a dire se, la stessa autorizzazione, sia da considerare una conditio per la consequenziale e successiva legittimità dell accertamento fiscale basato esclusivamente su prove di provenienza penale, ovvero se sia prevista solo a garanzia delle

esigenze proprie del procedimento penale. È da osservare che le disposizioni non contengono preclusioni circa la natura del reato e per il quale siano stati esercitati i poteri di polizia tributaria, sicchè dalla lettera delle stesse normative, è consentito l utilizzo fiscale degli elementi rilevanti a tal fine, emersi in qualsivoglia indagine e per qualsiasi tipologia di illecito penale e non solo per i reati propriamente fiscali. La Suprema Corte, a fronte di alcune posizioni dei giudici di merito, orientate a considerare il provvedimento di autorizzazione indispensabile per la migrazione dei dati acquisiti dalla polizia giudiziaria nel processo tributario, mentre in un primo momento la stessa Corte si allineava a questo indirizzo, successivamente si è decisamente attestata su posizioni differenti. Nello specifico nella sentenza n. 3852/ 2000 la Suprema Corte in riferimento ad una segnalazione all ufficio I.V.A. di elementi di interesse fiscale, acquisiti successivamente ad attività ispettiva espletata nell esercizio dei poteri della polizia giudiziaria, in totale assenza della autorizzazione della magistratura, chiarisce che la stessa autorizzazione è prevista a salvaguardia del segreto delle indagini penali e non ha, a differenza di quella del procuratore della repubblica prevista normativamente per l accesso ai fini fiscali, alcuna finalità di tutela nei confronti del contribuente, precisando che l accertamento demandato all autorità giudiziaria penale, non può in alcun modo concernere la rilevanza degli elementi ai fini dell accertamento tributario, per cui la violazione dell art. 63, comma 1, DPR 633/72, non determina l inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l accertamento tributario. La Suprema Corte ha ribadito più volte che l autorizzazione è posta ad esclusiva tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel relativo procedimento, precisando che nessuna conseguenza

può derivare, quanto alla.utilizzabilità fiscale degli atti, dell eventuale incompetenza dell organo che ha concesso l autorizzazione stessa. Ma vi è di più. Proprio perché la mancanza di autorizzazione non tocca l efficacia probatoria dei dati trasmessi, ne implica l invalidità dell atto impositivo, si potrebbe addirittura configurare una possibilità, sottile, a parere di chi scrive, che detta mancanza potrebbe addirittura produrre riflessi anche disciplinari per il trasgressore, verosimilmente il funzionario che utilizza o trasmette i dati in assenza di autorizzazione, esprimendosi anche in merito alla forma del provvedimento autorizzatorio, nel caso specifico consistita nel semplice visto si autorizza apposto sulla richiesta, ritenendo idonea anche una motivazione sintetica. La Suprema Corte, nella sentenza 8344/01, ha affermato che l utilizzabilità in sede di accertamento della documentazione acquisita, in occasione di perquisizione domiciliare, va interpretata giuridicamente sulla base delle norme che disciplinano i modi di tale accertamento e non delle norme che disciplinano il procedimento penale, precisando, poi, che non può trarsi argomento dalmancato rispetto delle norme del codice di procedura penale, riguardanti l intervento del difensore nel corso della perquisizione per sostenere la nullità dell accertamento tributario, perché tale intervento non è disciplinato dagli artt. 52 e ss DPR 633/72, che disciplinano le modalitàdell accesso nei luoghi di abitazione da parte della polizia tributaria; l autonomia dei due procedimenti consente l esistenza di una situazione per cui una nullità afferente un atto del procedimento penale non ha rilievo in un procedimento tributario. Le decisioni formulate dalla Suprema Corte, non contrastano in sostanza con la posizione espressa dalla Corte Costituzionale la quale, con sentenza n. 51/92 specificava che I/l unico limite che occorre rispettare nella altrimenti piena possibilità della polizia giudiziaria di trasmettere agli uffici delle imposte i dati rilevati, va individuato nella

imprescindibile esigenza che a quella trasmissione non consegua alcun pregiudizio agli interessi protetti con il segreto istruttorio. Ed invero, in riferimento ad una presunta e lamentata violazione del comma 2 dell art. 52 DPR 633/72, il quale prevede una specifica autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l accesso ai fini fiscali in abitazioni private, rilasciabile esclusivamente in presenza di gravi indizi di violazione fiscale, nonché del comma 3 della stessa disposizione che prevede l autorizzazione dell autorità giudiziaria per procedere all apertura di casseforti o borse o mobili ecc., durante l accesso fiscale, la Suprema Corte ha ritenuto sufficiente superare la paventata violazione delle disposizioni sopra menzionate, attraverso la sola previsione che legittima la GDF, previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria, ad utilizzare e trasmettere agli uffici finanziari i documenti e le notizie acquisiti nell esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, escludendo qualsiasi rilevanza alle disposizioni che riguardino esclusivamente gli accessi ai soli fini fiscali e non gli atti di pg. In merito, nello specifico, delle dichiarazioni testimoniali acquisite da un processo penale e fatte trasmigrare nel processo tributario, la stessa Suprema Corte specifica, nella sentenza 3526/01 che le dichiarazioni di terzi raccolte dalla polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione, non hanno natura testimoniale, ossia di testimonianza, quand anche siano state rese in un processo penale, ma hanno natura di mere informazioni acquisite nell ambito di indagini amministrative, sfornite per altro di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee di per se a fondare una affermazione di responsabilità del contribuente in termini di imposta, potendo esclusivamente fornire un ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato in sede di procedimento tributario. E così, nel processo tributario è ammessa la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi nel processo penale, trovino ingresso a carico del contribuente con il valore

probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione. Orbene, gli atti polizia tributaria, se descrivono attività di indagine non riproducibile in dibattimento, mediante la mera deposizione di chi. l ha svolta, sono acquisiti al fascicolo del dibattimento quali atti irripetibili. L art. 431 cpp chiarisce la posizione che assumono gli atti c.d. irripetibili, riferiti nello specifico agli atti di polizia tributaria. Già la Suprema Corte spiegava che, il processo verbale di constatazione redatto in occasione di ispezione ai fini fiscali, deve essere considerato in due distinte, ma nello stesso modo, parti integranti. La prima relativa alla fattispecie propria tributaria, ossia rappresentata da una situazione di fatto in un determinato momento, dotata di rilevanza penale e suscettibile di modificazioni; l altra invece che documenta le attività espletate successivamente all insorgenza di indizi di reità. In questo contesto, solo il primo aspetto è suscettibile di acquisizione al fascicolo del dibattimento, mentre non lo è la seconda, dal momento che questa si riferisce ad un preciso momento a partire dal quale sono operative le regole del codice penale, secondo le quali la prova del fatto-reato va formata in dibattimento. In altre parole, ciò che interesse è il contenuto dell informazione probatoria contenuta nel processo verbale di constatazione; ove riguardi situazioni modificabili nelle more del processo penale e, quindi, non più fedelmente ricostruibili nel dibattimento, il processo verbale deve entrare a far parte del fascicolo del dibattimento quale atto irripetibile. Se invece il processo verbale di constatazione rappresenta una situazione storico fattuale, non suscettibile di variazioni, tale dato potrà confluire nel processo solo attraverso la deposizione orale, nel contraddittorio dibattimentale da parte della polizia tributaria che ha redatto il verbale. Facendo una riflessione inversa, ci si chiede: il giudice tributario è

vincolato da quanto statuito in sede penale? Interviene la Corte di Cassazione con la sentenza 14953/2006 la quale chiarisce che il giudicato penale non opera nel processo tributario poiché, in questo, da un lato vigono limitazioni della prova e, dall altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Pertanto il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell ambito specifico in cui esso è destinato ad operare. In sostanza, il giudice tributario, attraverso una sterilizzazione, anche se molto discutibile, a parere di chi scrive, della sentenza penale agli effetti tributari, si dichiara non vincolato dalla statuizione del giudice penale sulla base dei rilievi di natura tecnica e giuridica; per cui il problema andrebbe risolto non tanto sulla base dei rapporti tra giurisdizione penale e giurisdizione tributaria, quanto sulla base dei rapporti tra giurisdizione penale ed amministrazione tributaria. E così, il problema più ostico da risolvere si prospetta quando si è in presenza di elementi probatori irritualmente acquisiti, ma una energica riflessione sul punto la lasciamo agli attenti e pazienti lettori.