«A casa con il Signore» (2 Corinzi 5:1-10)



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Transcript:

«A casa con il Signore» (2 Corinzi 5:1-10) In 2 Corinzi 5:1-10, Paolo esprime di nuovo la speranza di essere con Cristo usando diverse metafore. Questo passo è considerato giustamente il crux interpretum, fondamentalmente perché il linguaggio metaforico è nascosto e aperto a diverse interpretazioni. Sfortunatamente, molti interpreti sono desiderosi di ricavare da questo passo, come da Filippesi 1:22,23, precise definizioni antropologiche, cronologiche o cosmologiche in merito alla vita dopo la morte. Queste preoccupazioni, tuttavia, sono lontane dal pensiero paolino, il quale usa il linguaggio della fede per esprimere le sue speranze e le sue paure in merito alla vita presente e a quella futura e non già il linguaggio logico della scienza per spiegare la vita ultraterrena. Tutto questo dovrebbe mettere in guardia il lettore in modo da evitare di far dire a Paolo cose che non ha mai inteso esprimere. Il passo inizia con la preposizione gar «infatti» e mostra che Paolo collega il suo discorso con il paragrafo precedente nel quale mette in contrasto la natura effimera e mortale della vita presente che si «va disfacendo» (2 Cor 4:16), con la natura eterna e gloriosa della vita futura che produce uno «smisurato peso eterno di gloria» (v. 17). Paolo prosegue il suo ragionamento nel capitolo 5 e sviluppa il contrasto tra le cose passeggere e quelle durature ed eterne, usando l immagine delle due dimore, simboli di queste caratteristiche. «Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d uomo, eterna, nei cieli. Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Poiché noi che siamo in questa tenda, gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita. Or colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito» (2 Cor 5:1-5). Nella prima parte del testo, Paolo usa due serie di metafore contrastanti. Nella prima, contrappone «la tenda terrena», soggetta alla distruzione, all «edificio di Dio, un abitazione non fatta da mano d uomo», che è «eterna nei cieli». Poi, Paolo sottolinea questo contrasto, differenziando lo stato d esser trovati vestiti con la dimora celeste e quello d esser trovati nudi. Nella seconda parte, i versetti da 6 al 10, è più schietto e mette in contrasto l essere nel corpo e perciò lontani dal Signore, con l esser lontani dal corpo e a casa con il Signore. L affermazione chiave appare nel versetto 8 dove Paolo dice: «Siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore». L enorme varietà di interpretazioni intorno a questo brano possono essere divise in tre maggiori raggruppamenti, ciascuno dei quali poggia direttamente su precise presupposizioni. La storia dell interpretazione di 2 Corinzi 5:1,10 mostra chiaramente quanto l esegesi e l interpretazione siano influenzate da supposizioni preconcette. È utile, anche se in maniera succinta, presentare le tre scuole di pensiero per l interpretazione di questo brano: a. Lo stato intermedio; b. La risurrezione del corpo dopo la morte; c. La risurrezione del corpo alla venuta di Cristo. a. Lo stato intermedio La maggior parte degli studiosi del passato e del presente ritengono che in questo brano Paolo descriva l esistenza del credente in cielo con Cristo durante lo stato intermedio tra la morte e la risurrezione. 1 1 Cfr, per esempio, G.C. BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1972, pp. 55-59; G. CALVINO, Second Epistle of Paul, the Apostle to the Corinthians, ad. loc.; R.V.G. TASKER, La seconda epistola di Paolo ai Corinzi, (Trad. M. Fanelli), GBU, Roma, 1978 (cfr. Il commento al capitolo 5 vv. 1-10). 1

In altre parole, questo pensiero potrebbe essere così riassunto: la tenda e il vestito presente sono l esistenza terrena; l essere spogliati significa morire, con il risultato d esser in uno stato di nudità che significherebbe l esistenza dell anima senza il corpo durante lo stato intermedio. L edificio che abbiamo nel cielo rappresenta, per alcuni, il corpo che sarà riunito all anima alla risurrezione, mentre per altri, è l anima stessa che dimora nel cielo. Robert Morey è di questo parere: «Dove nella Scrittura viene detto che il nostro corpo risorto è già creato e ci sta aspettando nel cielo? L unica risposta logica è che Paolo parla della dimora dell anima nel cielo». 2 Sulla base di questi versetti, Morey afferma che «la dimora (dell anima) quando la persona è in vita è la terra, mentre il luogo della dimora dopo la morte è il cielo». 3 Esistono tre grandi problemi nell interpretazione dello stato intermedio a proposito di questo passo. Primo, s ignora che il contrasto tra l edificio celeste e la tenda terrena è relativo allo spazio e non al tempo. Paolo mette in contrapposizione l esistenza celeste con quella terrena. L apostolo non vuole affatto sapere qual è lo stato dell anima tra la morte e la risurrezione. Ora, se l apostolo si fosse aspettato d essere con Cristo dopo la morte con la sua anima liberata dalla «prigione» del corpo, perché non l ha detto più chiaramente? Avrebbe potuto dire: «Sappiamo che se la tenda terrena dove abitiamo è distrutta noi saremo con le nostre anime alla presenza di Dio nel cielo». Paolo, in tutti i suoi scritti, non allude mai alla sopravvivenza e all esistenza dell anima alla presenza di Cristo. Perché? Semplicemente perché questa nozione è assente dai suoi pensieri ed estranea alla Scrittura. Secondo, se lo stato di nudità fosse l esistenza dell anima alla presenza di Cristo durante lo stato intermedio, perché Paolo è così esitante davanti al pensiero di esser «trovato nudo»? (2 Cor 5:3). Dopo tutto, questo avrebbe adempiuto il suo desiderio sincero di essere «a casa con il Signore» (2 Cor 5:8)! Il fatto è che la nozione di nudità, come stato dell anima priva di corpo, si trova negli scritti di Platone e di Filone, 4 ma non in quelli di Paolo. Terzo, se l edificio celeste fosse "la dimora dell anima nel cielo", allora i credenti dovrebbero avere due anime, una sulla terra e l altra nel cielo perché Paolo dice che "abbiamo un edificio da Dio". Il tempo presente indica un possesso presente. Come può l anima del credente essere nel cielo con Cristo e sulla terra con il corpo allo stesso momento? b. Il corpo risorto dopo la morte Un certo numero di studiosi ritiene che l «edificio celeste» sia il corpo risorto, che i credenti ricevono immediatamente dopo la morte. 5 Paolo insegna che la vita umana è rappresentata dalla «tenda terrena» (2 Cor 5:1, 4), che viene immediatamente seguita dall acquisizione del corpo risorto, rappresentato dall «edificio» che abbiamo da Dio, «una casa eterna nei cieli» (2 Cor 5:1). In questo modo si ritiene che Paolo rifiuti totalmente la condizione intermedia dell «essere nudo» o «spogliato» (2 Cor 5:3,4). Questa opinione poggia sulla premessa che durante l intervallo fra la prima e la seconda lettera ai Corinzi, Paolo abbia avuto una sorta di incontro ravvicinato con la morte e che ciò l abbia portato a rinunciare alla sua precedente speranza di risurrezione alla parusia, per giungere a credere, invece, che i credenti riceveranno i loro corpi risorti al momento della morte. 6 Questa seconda interpretazione pone un problema fondamentale: si presume che Paolo negli anni successivi abbia abbandonato la speranza nella risurrezione alla parusia in favore di una risurrezione 2 R.A. MOREY, op.cit., p. 210. 3 Ibidem. 4 Cfr. C.H. DODD, The Bible and the Greeks, New York, 1954, pp. 191-195; FILONE Alessandrino, Le allegorie delle leggi, 2, 57,59 in La creazione del mondo e le allegorie delle leggi, (a cura di G. Reale), Rusconi, Milano, 1978, pp. 229,230. 5 Per una lista esauriente di tutti gli studiosi che sostengono questa posizione cfr. M.J. HARRIS, Raised Immortal: Resurrection and Immortality in the New Testament, London, 1986, p. 255 n. 2. 6 Cfr. F.F. BRUCE, Paul: Apostle of the Heart Set Free, Grand Rapids, 1977, p. 310.

immediata dopo la morte. Se questo fosse vero, i cristiani dovrebbero sciogliere il complesso dilemma di dover scegliere a quale Paolo credere: al primo Paolo o a quello successivo? Fortunatamente un tale dilemma non ha ragione di esistere perché Paolo non ha mai modificato il proprio punto di vista intorno alla speranza della risurrezione. Questo è indicato dal contesto immediato del passo in esame, che menziona specificatamente la risurrezione al ritorno di Cristo: «Sapendo che colui che risuscitò il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù, e ci farà comparire con voi alla sua presenza» (2 Cor 4:14). Paolo difficilmente poteva affermare più chiaramente che Cristo ci risusciterà e ci porterà alla sua presenza al momento della sua venuta e non alla morte. Se Paolo avesse modificato le proprie opinioni circa la risurrezione in un momento successivo alla stesura di 1 Corinzi 15, ci chiediamo perché abbia detto «sappiamo» (2 Cor 5:1), in quel «sappiamo» è compreso un insegnamento noto a tutti. Inoltre, persino nelle sue ultime lettere, Paolo collega esplicitamente la risurrezione al ritorno glorioso di Cristo (cfr. Rm 8:22,25; Fil 3:20,21). Ci sembra molto difficile, se non impossibile, credere che Paolo possa aver alterato per ben due volte la propria escatologia. c. Il corpo risorto alla parousia Negli anni recenti, un buon numero di studiosi ha difeso l interpretazione secondo la quale l edificio celeste sia il «corpo spirituale» dato ai credenti al momento della venuta di Cristo. 7 Ci sono, in effetti, elementi in questo passo che appoggiano questo modo di comprendere. É l affermazione che quando si è rivestiti il mortale sarà assorbito dalla vita (2 Cor 5:4). Queste affermazioni sono singolarmente simili all immagine che si trova in 1 Corinzi 15:53, dove Paolo parla del cambiamento che i credenti sperimenteranno alla venuta di Cristo: «Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità». Quanti sostengono quest opinione protestano contro un escatologia del cielo che si concentri sulla beatitudine individuale ottenuta immediatamente dopo la morte. La loro argomentazione poggia su questo: «Se Paolo si aspettava di ricevere un corpo spirituale subito (alla morte) allora una risurrezione nell ultimo giorno non sarebbe più necessaria». 8 In modo più diretto possiamo dire che coloro che propongono questa opinione interpretano le metafore di Paolo in questo modo: mentre l uomo vive sulla terra è rivestito con la «tenda terrena» del corpo mortale; alla morte viene «spogliato» e i corpi sono «distrutti» nella tomba. Alla venuta di Cristo, ci «vestiremo con la dimora celeste» scambiando il nostro corpo mortale con un corpo glorioso immortale. Quest interpretazione è in armonia con il messaggio biblico, eppure anch essa presenta un punto debole. I commentatori si concentrano principalmente sul corpo, sia che si intenda il «corpo spirituale» dato individualmente ai credenti alla morte o a tutti i credenti insieme alla venuta di Cristo. Paolo, invece, non cerca di definire lo stato del corpo prima della morte, dopo la morte o alla venuta di Cristo, ma di informare intorno a due modi diversi di esistere. Vita terrena e vita celeste Dopo aver letto e riletto questo brano innumerevoli volte, mi sembra che l interesse principale di Paolo non consista nel definire lo stato del corpo prima o dopo la morte, ma piuttosto nel contrastare due diversi modi di vivere. Uno è quello celeste: «abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d uomo, 7 Cfr. J. DENNEY, Second Epistle to the Corinthians, New York, 1903, ad loc.; F. V. FILSON, The Second Epistle to the Corinthians, in The Interpreter s Bible, New York, 1952, vol. 10, ad loc.; P.E. HUGHES, Paul s Second Epistle to the Corinthians, Grand Rapids, 1976, ad loc.; B.F.C. ATKINSON, Op. cit., pp. 64-65; The Seventh-day Adventist Commentary, Washington, DC, 1957, vol. 6, pp. 861-863 8 294 K. HANHART, Op.cit., p. 156. 3

eterna, nei cieli» (2 Cor 5:1). L altro, è il modo terreno rappresentato dalla «tenda terrena» che viene «distrutta» alla morte. Il significato delle immagini del «vestirsi» o «esser rivestiti» con «la nostra dimora celeste» può aver a che fare più con l accettazione del provvedimento della salvezza di Cristo, piuttosto che con «il corpo spirituale» dato ai credenti alla parousia. È possibile giungere a questa conclusione se si accetta simbolicamente che la «dimora celeste» si riferisca a Dio e l «essere rivestiti» si riferisca all accettazione di Cristo da parte del credente. L assicurazione di Paolo che «abbiamo da Dio un edificio» (2 Cor 5:1) ricorda altri testi, come: «Dio è per noi un rifugio e una forza» (Sal 46:1), oppure «Signore, tu sei stato per noi un rifugio» (Sal 90:1). Cristo ha proposto se stesso come tempio in maniera singolarmente simile all immagine di Paolo della dimora celeste «non fatta da mano d uomo». Gesù ha detto: «Io distruggerò questo tempio fatto da mani d uomo e in tre giorni ne ricostruirò un altro, non fatto da mani d uomo» (Mc 14:58). Se Paolo avesse pensato in questo modo, allora la dimora celeste è Cristo stesso che offre il dono della vita eterna a tutti i credenti. Come può un credente rivestirsi con «la dimora celeste»? L uso paolino della metafora del «vestire» può fornire una risposta. «Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3:27). In questo testo, il vestirsi è associato con l accettazione di Cristo al battesimo. Paolo dice anche: «Bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e questo mortale rivesta immortalità» (1 Cor 15:53). Qui il vestirsi si riferisce al ricevimento dell immortalità alla venuta di Cristo. Questi due riferimenti suggeriscono che il «vestirsi» possa indicare la nuova vita in Cristo, accettata al battesimo, rinnovata ogni giorno e compiuta alla parusia. Quanto, poi, all abbigliamento ultimo, verrà posto mediante il cambiamento dalla mortalità all immortalità. Alla luce di questa interpretazione, «essere trovati nudi» o «spogliati» (2 Cor 5:3,4), può contrastare con l essere vestiti con Cristo e con il suo Spirito. Molto probabilmente l essere «nudi» per Paolo non rappresenta tanto l anima spogliata dal corpo, quanto la colpa e il peccato che conduce alla morte. Quando Adamo ha peccato, ha scoperto d esser «nudo» (Gn 3:10). Ezechiele allegoricamente descrive il modo in cui Dio ha vestito Israele con vesti ricamate, ma poi ha esposto la sua nudità a motivo della sua disubbidienza (Ez 16:8,14). Si potrebbe ancora pensare all uomo senza «l abito» alla festa delle nozze (Mt 22:11). È possibile allora pensare che essere «nudi», per Paolo, significhi esser in una condizione mortale, peccaminosa e priva della giustizia di Cristo. Paolo chiarisce quanto vuole dire con l essere «spogliati» o «nudi» in contrasto con l essere vestiti, quando dice: «Affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita» (2 Cor 5:4). Quest affermazione, interpretata alla luce di 1 Corinzi 15:53 permette di comprendere come i nostri corpi mortali saranno trasformati in corpi spirituali. Nella prima lettera ai Corinzi, Paolo è interessato principalmente al corpo in quanto tale? Una cauta lettura di 1 Corinzi 15, suggerisce che l apostolo affronti solo incidentalmente la questione del corpo, per poter rispondere alla domanda: «Come risuscitano i morti? E con quale corpo ritornano?» (1 Cor 15:35). Dopo aver mostrato la continuità fra il corpo presente e quello futuro, Paolo passa alla questione più grande della trasformazione che l intera natura umana sperimenterà alla venuta di Cristo: «Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità» (1 Cor 15:53). Lo stesso discorso si può applicare al brano della seconda lettera ai Corinzi al capitolo 5. Paolo non è interessato allo stato del corpo o dell anima in quanto tali, prima o dopo la morte. Egli non parla mai, per esempio, dell anima o del «corpo spirituale» in 2 Corinzi 5, perché il suo interesse è di mostrare il contrasto tra il modo terreno dell esistenza rappresentato dalla «dimora terrena» e il modo celeste rappresentato dalla «dimora celeste». Il primo è mortale e l ultimo immortale («assorbito dalla vita;» 2 Cor 5:4). Il primo è vissuto «dimorando nel corpo» e «lontani dal Signore» (2 Cor 5:6). L ultimo è sperimentato «lontani dal corpo» e «abitando con il Signore» (2 Cor 5:8). Non riconoscere che Paolo stia parlando di due modi diversi dell esistenza e non dello stato del corpo o dell anima dopo la morte, ha condotto a speculazioni erronee e

inutili circa la vita ultraterrena. Un valido esempio è l affermazione di Robert Petersen: «Paolo conferma l insegnamento di Gesù quando contrappone abitare nel corpo ed essere assenti dal Signore con partire dal corpo e abitare con il Signore (2 Cor 5:6,8). Egli presuppone che la natura umana sia composta da elementi materiali e spirituali». 9 Quest interpretazione è del tutto gratuita, perché né Gesù né Paolo sono interessati a definire ontologicamente la natura umana, e cioè, relativamente ai suoi diversi componenti materiali o immateriali. Invece, il loro interesse è definire la natura umana su base etica e sulla relazione in termini di disubbidienza e ubbidienza, di peccato e giustizia, di mortalità e immortalità. In 2 Corinzi 5:1-10, Paolo parla di un modo di vivere terreno paragonato a quello celeste, in cui l uomo cerca una relazione con Dio e non si preoccupa di sapere quali sono gli elementi che compongono la sua natura umana prima e dopo la morte. 9 R.A. PETERSON, Op.cit., p. 185. 5