Il Dono nell Economia del Ben-Essere: riflessioni sul Fundraising. Paolo Venturi, AICCON



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Transcript:

Il Dono nell Economia del Ben-Essere: riflessioni sul Fundraising. Paolo Venturi, AICCON

Il fundraising è un attività ch sta sempre più acquisendo peso rispetto al passato. Solitamente in Italia così come pure in altri paesi il concetto di fundraising risente fortemente dell approccio americano all attività donativa ed è, pertanto, studiato come tema che si pone tra le logiche delle organizzazioni non-profit e le tecniche aziendali. Il rischio maggiore è quello di essere interpretato quale tecnica di persuasione volta al convincimento delle persone ad erogare fondi in virtù di una predeterminata buona causa. Tuttavia, la bontà della causa alla base del fundraising non sempre si rivela essere trasparente agli occhi delle persone cui tale attività si rivolge; di conseguenza, il rischio è quello di scambiare l esito della persuasione per una legittimazione di ciò che si è fatto. L approccio da assumere, invece, è profondamente diverso e deve condurre alla sostenibilità e alla sensatezza del fundraising. È estremamente importante evitare strategie di comunicazione che rischiano di generare una caricatura del fundraising: per fare ciò è necessario ripartire da un tema che sembra irrilevante e che viene trascurato all interno di tutti gli approcci tradizionali, ovvero il senso del dono, inteso da una prospettiva di interpretazione antropologica. Partendo dal presupposto che le persone siano disposte a donare, è possibile affrontare il tema della persuasione strumentale al fine di comprendere quanto limitata possa essere tale prospettiva di coinvolgimento delle persone e quanto, invece, sia importante inserire all interno di un quadro di senso più vasto una serie di meccanismi comportamentali. Le motivazioni alla base dell azione donativa e sul senso del dono per le persone che lo realizzano sono molteplici. Nella storia economica e sociale dell umanità le risposte che si possono rilevare sono molto diverse tra loro: il senso del dono cambia in base alla società in cui ci si trova. Il punto di partenza più interessante è il testo del sociologo-economista ungherese Karl Polanyi (1974) in cui per la prima volta si parla delle cd. tre forme dello scambio. Osservando le società più semplici, che per lungo tempo abbiamo chiamato erroneamente società primitive, Polanyi nota come al loro interno la logica delle interazioni sociali fosse fondata su di un sistema di principi chiamato della reciprocità. Ognuno di noi ne conserva una piccola memoria, 1

ad esempio nel sistema dei doni di matrimoni. Se, ad esempio, siamo invitati ad un matrimonio di un parente, il primo problema che sorge è relativo alla tipologia e al valore economico del regalo da fare in tale occasione. La scelta viene determinata da una serie di variabili: più vicino è il grado di parentela, più importante si ritiene debba essere il regalo. La differenza tra uno scambio di questo tipo rispetto ad uno scambio tradizionale è la non coincidenza temporale dell azione che si verifica, bensì si tratta di uno scambio che avviene nel corso della vita e cementa o indebolisce le relazioni esistenti tra le persone. In una società semplice, uno scambio di questo tipo è molto importante come forma di assicurazione sociale addirittura al fine della sopravvivenza. Nella società sviluppata, questa forma di assicurazione sociale in parte persiste, anche se spesso i rapporti di parentela sono più deboli, le famiglie allargate tendono a disgregarsi e le forme di legame obbligazionario perdono peso 1. Esiste una forma di dono che non è legata alla gratuità e che si traduce in una forma di manipolazione persuasiva. Ad esempio, poniamo che una persona stia camminando per strada, qualcuno gli si avvicina e gli mette in mano un biglietto. Quest ultimo comincia a parlare e mentre spiega che lavora per un associazione benefica per la quale chiede un contributo ci fa un dono (un biglietto o un oggetto). Spesso la situazione ci infastidisce perché non si ha possibilità di scelta. Si cerca istintivamente di restituire il biglietto, ma le persone proponenti, essendo abituate a questa reazione, fanno di tutto per non farselo restituire. Ciò crea un conflitto motivazionale, perché l istinto culturale è che abbiamo ricevuto un dono e di conseguenza dobbiamo dare in cambio qualcosa. Molte persone elargiscono un contributo, in occasioni come questa, pur non volendo veramente. Questo metodo di manipolazione in realtà è efficace, perché viene da una storia culturale che non si è in grado di eliminare. Questo tipo di reciprocità è un atto finalizzato che, da un certo punto di vista, non possiede nessuna componente di gratuità e fa riferimento ad un sistema culturale per cui a tutti gli effetti è uno scambio e non un dono. Ciò non significa che queste azioni siano prive di senso, bensì è importante 1 Nel Sud Italia il peso è ancora forte, mentre nei paesi anglosassoni, ad esempio, relazioni di questo tipo sono ormai quasi sconosciute. 2

capire quale tipologia di motivazioni siano alla base di questo atto, così come è importante non confondere lo scambio con il dono. La seconda forma di scambio, sempre secondo Polanyi, è tipica sia degli stadi arcaici sia di quelli moderni delle grandi monarchie e delle forme democratiche e corrisponde al meccanismo della redistribuzione. L autorità centrale (Stato) ha il potere di accentrare le risorse (attraverso la tassazione e la contribuzione coattiva), che vengono autorevolmente raccolte e poi ridistribuite secondo il criterio dell equità, il quale giustifica la coazione: nessuno infatti pagherebbe spontaneamente le tasse se non sapesse che il loro impiego ha un fine socialmente benefico. La forma di gratuità si trova, in questo caso, nel trasferimento delle risorse senza contraccambio reale. Il trasferimento è dettato dal principio di equità, che, proprio per la difficoltà riscontrata nella sua definizione, ultimamente è andato in crisi in molte parti del mondo. L implosione del Welfare State, seguita da quella del pensiero neoliberalista, ha origine dalla critica profonda dell efficienza sociale della redistribuzione. Il meccanismo tale per cui esiste un punto centrale che raccoglie le risorse e le smista, per quanto d accordo con il contesto politico che legittima quest azione attraverso uno specifico mandato, funziona meno bene di altri soggetti che attuano autonomamente meccanismi simili. In realtà è la credibilità e la trasparenza di chi lo mette in atto che determina la bontà (o meno) di questo principio. Gli stessi meccanismi reputazionali in un organizzazione non profit sono molto delicati e funzionano analogamente. Se un soggetto non è efficace ed equo, ciò si estende a tutta la classe di soggetti (attraverso pericolose dinamiche di governance). La forma di scambio prevalente è però lo scambio di equivalenti. Tutto il tema del benessere nasce dal principio dello scambio; il problema è che quest ultimo deve crearsi una forma di coincidenza di bisogno. Dato che il verificarsi di ciò è difficile, abbiamo inventato la moneta come forma di scambio. Il problema è che lo scambio introduce come dimensione centrale la strumentalità (ad esempio, l andare al lavoro per ricevere una paga anche se non si è soddisfatti di quel tipo di lavoro). Il problema è che la strumentalità è una dimensione che, nel crescere a macchia d olio, ha eroso la vita relazionale delle persone, nonché il modo in cui esse costruiscono la propria identità. Le persone si sentono soffocare 3

perché continuano a rimandare la comprensione del senso delle proprie azioni. Oggi nella società il livello di possibilità di azione non strumentale è sempre più scarso; per tale ragione le persone sono alla ricerca di momenti in cui poter sottrarsi a logiche cha hanno come principio la logica strumentale. Le persone infatti sono in grado di riconoscere nella partecipazione (che è dono) un isola di significato non strumentale, ovvero qualcosa che ha valore non perché rimanda a qualcos altro, bensì perché ha valore in sé. La nostra società sta rendendo strumentali anche le emozioni e le storie personali. Le persone vendono i loro ricordi pur di ottenere un risultato; oggi si trasformano in una forma di scambio anche elementi che si pensava fossero alieni a queste dimensioni. Ciò pone oggi un nuovo problema di benessere: il benessere è direttamente proporzionale alla quantità di tempo impiegato in attività non strumentali che, clamorosamente, è sempre meno. Molto di ciò che riconduciamo al dono è legato a questo problema. Le persone che donano esprimono, infatti, un desiderio di partecipazione. Molto di ciò che riconduciamo al dono è un tentativo di attingere nuovamente a questo significato. Ciò affida grande responsabilità a chi si muove nella sollecitazione del comportamento donativo. Ciò che si vuole in cambio non si può ricondurre allo logica dello scambio, ma neanche a quella di redistribuzione, bensì ad una dimensione che si chiama condivisione a partecipare ad una comune esperienza di senso. Le forme tradizionali di sollecitazione si appellano a meccanismi che fanno leva su un istinto sociale inconsapevole ed automatico. Nel momento in cui le persone forniscono una risposta automatica si privano di senso, facendo esattamente il contrario di ciò che rende questo ambito una sfera di valore. L effetto drammatico che si ottiene è che quanto più agisco in questo modo, tanto più allontano le persone dal comprendere che all interno della donazione esistono meccanismi che potrebbero far tornare le persone a ragionare. Quando si parla di azioni strumentali, si è immediatamente portati a pensare a necessità primarie. Una volta esistevano forme di emergenza e sopravvivenza che oggi non è possibile capire, ma che allora erano la norma dato che la preoccupazione delle persone era il contrasto alla povertà. Oggi la 4

sopravvivenza in senso letterale non ha a che fare direttamente con noi (società post-industriale). Per le persone nate dagli inizi degli anni 80 in poi l idea della sopravvivenza come motore dell azioni strumentali non esiste. La nostra logica di azione è mutata mentre noi, invece, continuiamo a ragionare meccanicamente come si faceva fino a due generazioni fa. Il motore delle azioni di una persona di 25 anni pienamente socializzata oggi è la costruzione di un modello di identità, motivazione inconcepibile per le società tradizionali che ci hanno preceduto. Con l avvicinamento al disfacimento del tema economico legato alla sopravvivenza e la successiva entrata nell era postindustriale i vincoli identitari si sono slegati (dal 68 in poi).è avvenuto, infatti, lo smantellamento delle distinzioni di genere e degli stigmi legati all abbigliamento tanto che ognuno può cercare di essere ciò che vuole e questo comporta sia una libertà che un peso enorme. Tuttavia, quando una persona non è in grado di costruirsi una propria identità, ciò porta a forme di criticità esistenziale molto più gravi di quelle precedenti in quanto profondamente drammatiche. Nel contesto in cui viviamo ci si deve porre il problema delle modalità di formazione dell identità. Questa si può formare o attraverso gli oggetti o attraverso l esperienza. Il primo caso riguarda il legare l identità ad una serie di oggetti che si possiedono e che trasmettono l essere della persona. Un identità di questo tipo è molto facile che sia competitiva. Con questa modalità si può produrre una minor crescita economica, perché, in tale contesto, l aumento del PIL va a beneficio di persone che sono già ricche, mentre quelle più povere percepiscono come danno il fatto che qualcun altro aumenti il proprio benessere, innescando così un circolo vizioso della povertà sociale. Le persone che costruiscono l identità per oggetto comprendono di doversi garantire reddito finalizzato a trasformarsi in potere d acquisto; di conseguenza, non coltivano relazioni sociali significative dato che dedicano la maggior parte del loro tempo al lavoro e guardano alle persone in maniera strumentale. Ciò le porta a non soddisfare i bisogni relazionali che vengono, alternativamente, colmati dall acquisto di beni con la conseguenza inevitabile di un vero e proprio deserto relazionale. 5

Le relazioni diventano dunque strumentali, perché se si costruisce la propria identità attraverso gli oggetti, automaticamente si rendono tali anche le persone. Ovviamente, non si può oggi prescindere dal costruire la propria identità senza riferimenti agli oggetti che ci circondano; tuttavia, costruirla solo con questi porta a degli effetti che possono alimentare una disgregazione del comune senso della socialità. La modalità alternativa di costruzione dell identità è l esperienza. La costruzione dell identità tramite l esperienza richiede il pagamento di un prezzo che combina l elemento monetario con un costo di accesso. Avere accesso ad un esperienza comporta un costo la cui principale caratteristica è l intangibilità. Tale costo ha una dimensione cognitiva e, pertanto, risulta necessario modificare il proprio schema di modello mentale per potere usufruire della relativa esperienza. Sviluppare un nuovo modello mentale richiede, dunque, dei costi: il primo cognitivo, come appena descritto, il secondo, invece, motivazionale. Il riferimento è esattamente al costo di attivazione di un esperienza. A tutti gli effetti la capacità individuale di avere accesso all esperienza dipende dalla propensione a pagare tali costi. Le esperienze sotto la soglia di attivazione tendiamo a percepirle come più interessanti (sono normalmente quelle che ci impegnano di meno e che spesso si polarizzano verso comportamenti massificanti), mentre quelle sopra no; gli individui infatti fanno sempre più fatica ad impiegare le proprie energie nel fare autonomamente esperienze di senso. Costruire l identità attraverso l esperienza favorisce la possibilità che le persone possano utilizzare e valorizzare il dono all interno dei propri modelli di comportamento, al fine di condividere una prospettiva comune. Ecco quindi che dentro questo contesto emerge con chiarezza l obiettivo di coloro che fanno fundraising ossia impegnarsi a rendere sempre più evidente il valore sociale del dono e offrire alle persone delle occasioni reali di coinvolgimento a tal punto che queste mettono a disposizione parte delle loro risorse affinché ciò a cui tengono esista. 6

Riferimenti bibliografici Bruni, L. e Zamagni, S. (2004), Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, Bologna. Polanyi, K. (1974), La grande trasformazione, Einaudi, Torino. Sacco, P.L. (a cura di), (2006), Il fundraising per la cultura, Meltemi, Roma. Sacco, P.L. e Zamagni, S. (2006), Teoria economica e relazioni interpersonali, Il Mulino, Bologna. Sacco, P.L e Viviani, M (2003), Scarsità, benessere, libertà nel contesto dell economia dell identità Venturi, P. e Rago, S. (2011), Verso l Economia del Ben-Essere, atti de Le Giornate di Bertinoro per l Economia Civile 2010 X ed., AICCON, Forlì. Venturi, P. (a cura di), (2009), Volontariato e felicità, Meltemi, Roma. 7