Estratto del libro di Tonino Guerra Odissea Il viaggio del poeta con Ulisse, Bracciali Editore



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Transcript:

Estratto del libro di Tonino Guerra Odissea Il viaggio del poeta con Ulisse, Bracciali Editore CANTO DEL CAVALLO Dopo dieci anni di una guerra che non finiva mai, una bella mattina i Troiani che stavano sempre con la testa penzoloni dalle mura, vedono che le barche greche hanno le vele gonfie per tornare a casa e sulla spiaggia è rimasto un cavallone di legno grande come un palazzo, con delle placche d oro sulla schiena che parevano fatte di lucciole. Portiamolo dentro che è un regalo che ci hanno lasciato! Dicevano quasi tutti senza sapere che nella pancia del cavallo c erano Ulisse con dei soldati che stavano zitti come le montagne sotto la neve. I più fanatici aprono il portone che era inchiodato dalla ruggine e i giovani e anche i vecchi si avvicinano a questo colosso che aveva le gambe come le colonne di San Pietro e la pancia come una nuvola che copriva il sole. Tira tu che tiro anch io con delle corde lunghe e delle leve per smuovere le ruote di legno che affondavano nella sabbia, l animale è arrivato sotto le mura e le donne battevano le mani e facevano festa per farlo entrare dentro la città. I bambini correvano davanti e dietro e urlavano forte: Io gli ho toccato la coda! E io la pancia!. Il cavallone aveva la testa che oscillava davanti alle finestre alte, come dondolano i bambocci del carnevale, e le ragazze si tiravano indietro perché faceva impressione però ridevano e subito allungavano le braccia per fargli una carezza. Dal portone in basso, che avevano levato dai gangheri, su su fino al tempio, hanno impiegato quattro ore e un quarto anche perché c era tanta gente allegra tra i piedi e le ruote si incastravano tra i sassi. La festa vera e propria è cominciata alle nove di sera e c erano pifferi e tamburi che facevano muovere braccia e piedi anche alle vecchie.

Bevi e bevi attorno al regalo che gli avevano lasciato i greci, gli uomini barcollavano e le donne tiravano su le sottane e mostravano tutto. Ci sono state perfino delle ammucchiate dove, magari, la moglie di uno si è trovata tra le braccia di un altro. Il sonno è arrivato di colpo e la gente stava stravaccata sul pavimento con le gambe e le braccia aggrovigliate. Subito hanno fatto un sogno tutti assieme. Pareva che dalla pancia del cavallo venissero fuori dei soldati con delle spade lunghe che s infilavano nella carne e facevano un male boia; ma non era mica un sogno!, era vero che dalla pancia del cavallo uscivano dei soldati con facce più cattive del veleno e le punte dei ferri rompevano le ossa la bocca che voleva urlare non poteva fare neanche un lamento; dai buchi della carne il sangue faceva una fioritura di tulipani rossi in mezzo a facce bianche che erano schegge di luna. Anche fuori dal tempio era pieno di morti e c era un silenzio che si tagliava col coltello. Andromaca, la moglie di Ettore, che non si era mescolata con gli altri a fare festa, accompagnata da un soldato che la portava in Grecia, camminava a testa alta, vestita con una camiciola spiegazzata e le tette dondolavano quasi fuori proprio dove si appoggiava suo figlio che stava in braccio con degli occhi come quelli di una civetta. Quando il sole si è fatto vedere su quei morti e quelle case bruciate, sono arrivati tre-quattro uccelli che sono scappati dalla paura. I soldati greci che avevano fatto quel macello, erano stanchissimi e si sono addormentati con le mani insanguinate appoggiate su quella carne senza vita. Ulisse piangeva per tutta quella gioventù che era morta, poi, uno alla volta ha svegliato i compagni e hanno tirato dentro il tempio tutti quei disgraziati per non farli stare sotto l acqua e al sole. I bambini li ha fatti sistemare dove dalle fessure alte arrivava un fascio di polvere luminosa fino al pavimento.

Subito dopo hanno lasciato la città che ancora bruciava e si sono avviati verso le navi che aspettavano col muso dentro la sabbia. E passata quell estate e alcuni anni con giornate di vento che sbatteva le porte e gli stracci e poi la pioggia, le burrasche e sciabolate di sole che facevano crepare la terra; l aria era piena di calabroni, vespe e cavallette che pareva fossero fili d erba in volo. I muri delle case erano diventati di pasta frolla e la fortezza, una montagna di sassi e cenere. L erba piano piano ha sepolto tutto e non ti veniva neanche da pensare che degli uomini e delle donne proprio lì, appena anni prima, ridevano insieme nel guardare un albero fiorito. 2007 - Associazione Culturale Tonino Guerra Via dei Fossi, 4-61016 Pennabilli (PU) tel. e fax 0541.928846 / 339.8555983 - www.toninoguerra.org

Versione in dialetto CANTO DEL CAVALLO Dòp a dis an che la guèra la n finèvva mai, una bèla matóina i Truièn ch i stévva sémpra sla tèsta spandlèun dal murai, i vaid che al bèrchi Gréchi agli à al vaili gònfi par turnè a chèsa e sla spiagia i à las un cavalòun ad lègn grand cumè un palaz sa dal patachi d ór sòura la scóina che a l parèvva fati ad lózzli. Purtémmal dróinta ch lè un reghèl ch i s à las! I gévva guèsi tótt senza savài che tla pènza de cavàl u i érra Ulisse sa di suldè ch i stévva zétt Ccumè al muntagni sòtta la nàiva. I piò fanatich i érva e purtòun ch l érra inciudéd da la rózzna e i zóvvan e pu ènca i vécc i s è avsiné ma ste sacramént ch l évva dal gambi cumè al culònni ad San Pitar e la pènza una nóvvla ch la cruvévva e soul. Tóira tè ch a tóir ènca mè sa dal córdi lònghi e di puntéll par smóv al ródi d lègn ch a l s afundévva tla sabia, l animèli l è arivàt sòtta al méuri e al dòni a l batévva al mèni e a l févva fèsta par fèl entrè dróinta la zità. I burdéll i curévva davènti e didrì E i gévva fórt: Mè a i ò tuchè la còuda! E mè la pènza. E cavalòun l évva la tèsta ch la zuclévva davènti al finestri èlti cumè ch i dòndla i bumbózz de carnevèl e al ragazi a l s tirévva indrì ch u i févva impresiòun però a l ridévva e sóbbit a l slunghévva al brazi par fèi una carèzza. Da e purtòun in bas, ch i évva cavè da i gàngar, sò sò fina la cisa i à mèss quatr òuri e un quèrt, ènca parchè u i érra tótta cla zénta aligra tra i pi e al ródi a l s incrichévva tra i sas. La fèsta vérra e propria la i à tach al nóv dla sàira e u i érra al pivi si tambéur

ch i févva móv al brazi e i pi ènca mal vèci. bai che te bai datònda e reghèl ch u i évva las i Gréch, i òmman i s févva la gambarèla e al dòni a l tiréva soò a l sutèni e a l févva avdài iniquèl: U i è stè parfina dagli amucédi indò che magari la mòi ad èun la s è tròva tal mèni un rabazài d un èlt. E sònn l è arivàt t un bòt e la zénta la stévva stravachèda sòura e sulèr sal gambi e al brazi invrucédi. Sóbbit i à fat un insógni tòtt insén: e parévva che da la pènza de cavàl l avnéss fura di suldè sa dal spèdi lònghi ch a l s infilévva tla chèrna e a l févva un mèl che mai. Mo u n éra mégga un insógni!, l érra da bón che da la pènza de cavàl l avnévva fura di suldè sa dal fazi piò catéivi de vlén e al péunti d fèr a l rumpévva agli òsi e la bòcca ch la vlévva rógg la n putévva gnénca fè un lamént; da i béus dla chèrna e sangv e févva dal fiuridéuri ad tulipèn róss tramèz al fazi biènchi ch l èrra dal schèggi d léuna. Énca fùra dla cisa l érra pin ad mórt e u i érra un silénzi ch u s taiévva se curtèl. Andròmaca, la mòi ad Ettore, ch l a n s érra mis-céda sa quéi ch i févva fèsta, acumpagnèda da un suldè ch u la purtévva in Grecia, la caminévva a tèsta èlta vstóida s una camisóla spigazéda e al tètti a l dindlévva quèsi d fura pròpri duvè ch u s apuzévva e su burdèl che stévva in braz sa di ócc cumè quéi d una zvètta. Quant é sòul u s è fat avdài sòura chi mórt e cal chèsi brusédi, l è capitè ènca tri-quatar gazótt ch i è scap véa da la paéura. I suldè Gréch ch i évva fat tótt ste mazèl i érra stràch s-cént e i s è indurment sal mèni insanguinédi puzèdi sòura cla chèrna senza vòita. Ulisse e pianzévva par tótta sta gioventò ch l érra mórta, pu, un a la volta, l à svégg i su cumpagn e u i tiràt dróinta la cisa tòtt sti sgraziéd in modi ch i n stéss sòtta l aqua e me sòul. Mi burdéll u i à fat sistemè indò che dal fiséuri èlti l arivévva una pòrbia d sòul fina e sulèr.

Sòbbit dòp i à las la zità che ancòura la brusévva e i s è invié indò che al bèrchi agli aspitévva se méus dróinta la sabia. L è pas cl instèda e un sach ad an sa dal zurnèdi d vént ch a l sbatévva al pórti e i straz e pu l aqua, al buraschi e siabulèdi d sòul ch a l févva crepè la tèra; l aria la érra pina d bugaréun, vèspri e cavalètti ch a l parévva di fóil d érba in vóul. I méur dal chèsi i è dvént ad pasta fròlla e tótta la furtèzza una muntagna d sas e zèndra. L érba pianìn pianìn la i à sploi iniquèl e un t avnévva gnénca da pensè che di oómman e dal dòni pròpri a lè un an próima i ridévva insén a guardè un èlbar fiuróid. 2007 - Associazione Culturale Tonino Guerra Via dei Fossi, 4-61016 Pennabilli (PU) tel. e fax 0541.928846 / 339.8555983 - www.toninoguerra.org