8. ORGANIZZAZIONI INTERGOVERNATIVE



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8. ORGANIZZAZIONI INTERGOVERNATIVE 8.1 SOCIETÀ DELLE NAZIONI ED ONU Per comprendere appieno i motivi che stanno alla base della nascita dell ONU occorre risalire alla nascita di un altro organismo internazionale, la Società delle Nazioni. Essa nacque ufficialmente il 28 aprile 1919 a Versailles, quasi come conseguenza del Trattato di pace successivo alla Prima Guerra Mondiale. Lo scopo di tale organismo, alla luce di quanto era successo durante il conflitto, era proprio quello di creare una struttura che potesse ergersi ad organo sopranazionale e dirimere i futuri conflitti tra le varie nazioni, contribuendo così, in maniera determinante al mantenimento della pace nel mondo compiendo anche un controllo sugli armamenti e favorendo la loro riduzione. Uno dei promotori principali fu il presidente americano Wilson, già professore di scienze politiche all Università di Princeton, il quale, ancora durante il conflitto, aveva elaborato i famosi 14 Punti Fondamentali (tra cui il mantenimento della pace e sicurezza nel mondo e anche il principio dell autodeterminazione dei popoli), che avrebbero dovuto costituire la base della futura organizzazione. Una delle ragioni per cui si giunse alla creazione di un tale organismo, fu anche determinata dalle dimensioni che la Prima Guerra Mondiale aveva assunto, coinvolgendo praticamente tutte le nazioni del mondo e tutti i continenti; inoltre, per la prima volta, anche le popolazioni civili erano state coinvolte in maniera massiccia nel conflitto, subendo privazioni e sacrifici che mai prima di allora avevano subito. Senza dubbio la creazione di una simile entità, rappresentava una vera e propria rivoluzione, nel panorama politico mondiale e negli equilibri che sino ad allora avevano regolato i rapporti diplomatici tra le varie potenze. Alcuni dei Punti Fondamentali enunciati da Wilson inoltre, configgevano con le politiche estere delle grandi potenze, come, ad esempio, Gran Bretagna e Francia. Infatti, a fronte del principio di autodeterminazione dei popoli, secondo il quale ogni popolo aveva il diritto di scegliersi liberamente il tipo di governo, vi erano gli enormi imperi coloniali dove questi paesi esercitavano qualsiasi diritto sulle popolazioni indigene e sfruttavano le risorse del territorio senza sviluppare le economie locali. 115

Non mancarono i dubbi in merito alle funzioni che la Società delle Nazioni avrebbe esercitato, come la nascita della stessa venne accompagnata da molto scetticismo sulle sue reali funzioni. Si ricorda a questo proposito, l articolo apparso sul Corriere della Sera del 05.01.1918, a firma del futuro Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, dove si parlava appunto delle funzioni che una tale struttura avrebbe dovuto assumere, per poter adempiere perfettamente al compito che le veniva demandato. La prima assemblea della Società della Nazioni si tenne a Ginevra il 15 novembre 1920,alla quale parteciparono circa 42 nazioni, anche se fu vietata la partecipazione alle potenze sconfitte. Il primo presidente fu Paul Hymans ed il primo segretario l inglese Sir James Eric Drummond. Il Documento su cui poggiava la Società delle Nazioni era composta da 22 articoli, inerenti, oltre alle norme per il funzionamento e l organizzazione della struttura, anche la riduzione degli armamenti, il mantenimento della pace tra gli stati membri e la risoluzione pacifica delle controversie; il principio dell autodeterminazione dei popoli venne recepito ma non ovviamente, applicato. Sulla base di questo Documento vennero poi siglati dei trattati, quali: il trattato sui mandati (1922); il trattato contro la schiavitù (1926); il trattato tra Francia e Polonia (1925) Per quanto attiene alla sua struttura, la Società delle Nazioni era composta da: Assemblea Generale dove sedevano tutti gli stati membri e dove ciascun stato aveva diritto ad un voto; Consiglio, formato da 5 membri permanenti, le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale, ossia la Gran Bretagna, la Francia, gli USA, l Italia ed il Giappone, dove ogni membro aveva un voto; Segretariato Generale; Corte di giustizia internazionale. Vi era poi il Sistema di Amministrazione dei territori coloniali, con riferimento ai territori che erano stati delle potenze sconfitte (ad esempio per le colonie tedesche dell Africa), dove veniva dato un mandato ad uno stato per l amministrazione di tali territori, che di fatto entravano a far parte dei possedimenti coloniali di tali stati, anche se in teoria il mandato 116

doveva essere a tempo determinato e per sviluppare una forma di autogoverno nel territorio stesso. Da parte di alcuni storici si ritiene che la Società delle Nazioni sia stato un vero e proprio fallimento, tuttavia, ad un analisi più approfondita, probabilmente, la nascita dell ONU è stata determinata anche dal fatto che si era già avuta l esperienza della Società delle Nazioni. Molti possono essere indicati come i motivi del fallimento di tale organismo: ad esempio il fatto che non disponesse di proprie forze armate, la qual cosa non facilitava certo l adozione di decisioni vincolanti e la verifica che le stesse venissero rispettate. Uno dei problemi principali comunque, era dato proprio dal fatto che le decisioni dovevano essere adottate all unanimità, il che causava un ostacolo a qualsiasi forma di provvedimento. Inoltre, molti paesi si erano ritirati da tale organismo e non si sentivano più obbligati a seguire le risoluzioni che venivano adottate; gli Usa ad esempio, già dal 1919 non avevano approvato l adesione alla Società delle Nazioni, seguendo la corrente isolazionista che già durante il primo conflitto si era venuta a creare. Anche il Giappone scelse di uscire dalla stessa società nel 1932 a seguito della guerra di aggressione con la Cina, ma anche la Germania uscì dalla Società delle Nazioni nel 1933. Sul versante della concreta attività di soluzione delle controversie, vi furono alcuni episodi positivi come nel 1921 nel dirimere la questione tra la Finlandia e la Svezia a proposito delle isole Aland nel Mar Baltico e nel 1925 nel risolvere pacificamente la guerra che era scoppiata tra la Grecia e la Bulgaria. A questi però seguirono altrettanti insuccessi che minarono la credibilità della Società delle Nazioni; il più eclatante fu da collegarsi all invasione dell Etiopia da parte dell Italia fascista, nel 1935. L Etiopia si rivolse alla Società delle Nazioni che emanò alcune sanzioni e livello economico; in sostanza si trattava di un vero e proprio embargo economico nei confronti dell Italia, quale stato aggressore, riguardo a materie prime indispensabili per poter proseguire la guerra. Le sanzioni però produssero un effetto alquanto limitato, nonostante la propaganda fascista le presentò all opinione pubblica italiana come alquanto dannose per la nostra economia e 117

come un tentativo da parte delle nazioni più ricche, in primo luogo la Francia e la Gran Bretagna, per impedire all Italia di avere il proprio impero coloniale. L effetto fu limitato proprio per il fatto che molte nazioni, che non facevano più parte della Società delle Nazioni, come ad esempio USA e Germania, non si sentivano vincolate a tale provvedimento e quindi continuavano a rifornire l Italia delle materie prime necessarie al proseguimento della guerra. L Italia venne poi espulsa dalle Società delle Nazioni, quale stato aggressore che non aveva rispettato il Patto su cui la stessa Società si fondava. Durante la Seconda Guerra Mondiale si iniziò a parlare nuovamente della possibile creazione di un organismo sopranazionale capace di dirimere le controversie tra le nazioni e mantenere la pace nel mondo. Il 14 agosto1941 tra gli USA e la Gran Bretagna, si stilò la Carta atlantica nella quale si fissavano 8 punti tra cui anche la questione dell autogoverno dei popoli e del mantenimento della pace nel futuro. Il 1 gennaio 1942, con la Dichiarazione di Washington, firmata tra 26 nazioni in guerra con i paesi dell Asse, si iniziò a parlare di Nazione Unite. Come simbolo si adottò la stella a 5 punte quale figura di riconoscimento tra i paesi impegnati nel conflitto. Il 1 maggio 1942 durante l incontro tra Molotov e Roosvelt, anche l Unione sovietica diede il proprio assenso a creare tale organismo. Il 30 ottobre 1943 si riprese tale argomento nella Dichiarazione di Mosca. Nel maggio del 1944 venne elaborato il progetto per la creazione dei membri permanenti. Tra l agosto e l ottobre del 1944 si elaborò il vero progetto della Carta dell ONU. Nel Febbraio 1945 a Yalta, durante l incontro tra Churchill, Roosevelt e Stalin, venne riconfermata questa intenzione. Tra l aprile ed il giugno del 1945 con la Conferenza di San Francisco, cui parteciparono circa 50 stati (ma non le nazioni che avevano combattuto con la Germania nazista), viene sottoscritta ufficialmente la Carta delle Nazioni Unite che di fatto crea l ONU. Il 10 gennaio 1946 entra ufficialmente in vigore la Carta di San Francisco e quindi nasce l ONU. 18 aprile 1946 viene sciolta ufficialmente la Società delle Nazioni. 118

La Carta di San Francisco è il documento con il quale si costituisce l Organizzazione delle Nazioni Unite; viene considerato sia come un trattato-istituzione, che come un trattatocostituzione. In esso sono previste non solo le funzioni e gli scopi di tale organizzazione, ma anche le norme di funzionamento e di organizzazione. Detto documento viene considerato quale una lex specialis rispetto ad altre norme anche di livello internazionale che regolano i rapporti tra due o più stati. I principi enunciati nella Carta sono di carattere universale, cioè considerati vincolanti per tutti gli stati membri; alcuni principi però, nel tempo hanno subito alcune critiche. Ad esempio il principio di uguaglianza è oggi visto in maniera differente rispetto al 1946, in quanto se è senza dubbio vero che ogni stato membro ha gli stessi diritti e gode della stessa considerazione rispetto ad un altro, si è guardato criticamente al ruolo dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza od anche al fatto che oggi alcuni paesi, definiti emergenti, come ad esempio India o Brasile, forse dovrebbero avere un peso differente rispetto a nazioni come Tonga o la Liberia. Il trattato è stato sottoscritto da tutti gli stati che sono entrati a far parte dell ONU. L Italia è entrata nel 1955 poiché le sue precedenti domande avevano sempre incontrato l opposizione dell Unione Sovietica che agiva in tal modo per tutelare altri stati che gli altri membri del Consiglio di Sicurezza non volevano entrassero a far parte delle Nazioni unite in quanto del blocco comunista. La Carta dell ONU vieta l uso della forza e viene bandita la guerra di aggressione. A questo scopo è utile richiamare la nostra Costituzione poiché anche in essa abbiamo il ripudio da parte dell Italia di utilizzare la guerra quale metodo per risolvere le dispute con altre nazioni. La stessa Carta dell ONU quindi, pone una limitazione alla sovranità dei paesi membri, nel senso che devono accettare determinate decisioni dell ONU, anche a discapito dell esercizio totale della propria sovranità, per il bene della collettività. Ancora una volta si deve richiamare la nostra Costituzione, che autorizza la limitazione della sovranità nazionale, soltanto laddove ciò sia necessario per mantenere la pace tra le nazioni. Esiste comunque il principio del dominio riservato, secondo il quale l ONU non può intromettersi nelle questioni interne di un singolo stato membro in quanto si tratterebbe di 119

materie in cui non è competente; occorre però distinguere quando una questione interna sia effettivamente tale, ossia quando uno stato, finga di risolvere una sua questione interna ed invece tenti di eliminare un gruppo etnico presente nel suo territorio o cerchi con la forza di imporre ad una minoranza tradizioni, lingua,costumi e religione diverse. In questo caso l ONU dovrebbe intervenire a tutela delle minoranze minacciate, anche se il confine per determinare quando non si sia in presenza di una pura questione interna o invece di una questione inerente etnie diverse è molto labile. 120

8.1.1. LA CARTA DELLE NAZIONI UNITE La carta delle Nazioni Unite può venire modificata attraverso: - Emendamento, ossia un atto complesso per il quale occorre una delibera dell Assemblea Generale ma è richiesta una maggioranza qualificata (2/3 dei presenti) inclusi comunque i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. In genere l emendamento è richiesto per la modifica di un singolo articolo o la sua integrazione. - Revisione: consisterebbe in una rivisitazione di alcuni articoli della Carta, spesso inerenti determinati principi che vengono rimessi in discussione; si ha attraverso una conferenza generale che deve essere convocata dietro richiesta di almeno 2/3 dei membri dell Assemblea ed il voto favorevole di almeno 9 membri del Consiglio di Sicurezza, anche se non è necessario il voto favorevole di tutti i membri permanenti. Adozione della revisione vi deve essere sempre con una maggioranza qualificata, ossia con la ratifica di almeno i 2/3 dei membri dell Assemblea compresi però i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Vi sono però anche state delle modifiche definite de facto, cioè acquisite con il tempo e la pratica e che hanno determinato una differente modalità di procedere da parte degli organi dell ONU in materie anche importanti, senza che vi sia stata una modifica di alcuni articoli della Carta. Può essere il caso delle operazioni definite di peace keeping o dell utilizzo delle forze armate dei singoli stati membri come forza armata dell ONU (caschi blu). Accanto agli stati originari o fondatori dell ONU, esiste una procedura di ammissione che parte da una richiesta dello stato interessato, dall esame della stessa da parte del Consiglio di Sicurezza che poi propone all Assemblea l ammissione dello stato richiedente. L ammissione si avrà anche in tal caso con una maggioranza qualificata, ossia con il voto di 2/3 dei membri presenti. Gli stati sono rappresentati da persone fisiche sino ad un massimo di cinque per ogni singolo stato. Coloro che devono rappresentare uno stato determinato, come nel caso degli ambasciatori, devono presentare le credenziali che verranno vagliate dall apposito Comitato delle credenziali. Non ci sono dei criteri specifici a questo riguardo, ma ci potrebbe essere il rifiuto delle credenziali, anche se questa è una sanzione indiretta per determinati comportamenti tenuti dallo stato richiedente. Nel passato ciò è accaduto con il Sud Africa per la sua politica razzista. 121

Vi può essere la sospensione di un paese membro, totale, collegata al fatto che non vengono più garantiti determinati diritti fondamentali, oppure parziale, in genere nel caso di mancato versamento del contributo. La perdita della qualità di membro delle Nazioni Unite vi sarà per: - espulsione, dovuta a determinati motivi legati alla politica sia interna che estera perseguita dallo stato; - recesso, volontaria da parte dello stato membro; - estinzione dello Stato, anche se occorre distinguere se la stessa si è avuta per motivi pacifici oppure a seguito di atti ostili quali un occupazione militare, ma allora in tal caso non è detto che l estinzione dello stato sia stata riconosciuta dalla collettività (Es. occupazione del Kuwait da parte dell Iraq). Vi sono poi alcune nazioni che hanno uno status particolare di osservatore: partecipano alle discussioni ma non hanno diritto di voto (Svizzera e Santa Sede) o la Palestina che può votare ma solo in questioni strettamente collegate alla sua esistenza. La sede dell ONU e il suo personale godono dell immunità diplomatica alla stessa stregua di tutte le rappresentanze diplomatiche. Per quanto attiene alla sua struttura, l ONU risente di quanto era già stato concepito in seno alla Società delle Nazioni. L Assemblea Generale è formata da tutti gli stati membri, ciascuno avente diritto ad un voto; le votazioni avvengono o a maggioranza semplice o a maggioranza qualificata (in genere costituita dai 2/3 dei presenti). Spesso però è la stessa assemblea che decide se una questione debba essere votata con maggioranza semplice o qualificata. Esistono delle sessioni ordinarie che si tengono una volta all anno a partire da settembre, ma anche delle sessioni speciali, convocate entro 15 gg dal Segretario su richiesta del Consiglio di Sicurezza o di uno stato membro; di emergenza, convocate entro 24 ore dal Segretario su richiesta del Consiglio di Sicurezza con il voto di almeno 9 stati membri. Vi sono poi degli organi interni quali il Presidente dell Assemblea, eletto per acclamazione, il quale ha il compito di dirigere i lavori dell Assemblea e di condurre il dibattito, coadiuvato da 21 vice-presidenti; vi sono poi degli organi sussidiari alla stessa Assemblea quali le 6 commissioni (come ad esempio il Comitato delle credenziali), ciascuna competente nelle materie definite. 122

L Assemblea ha una funzione di studio e di informazione, di indirizzo ed operativa; dette funzioni si esplicano attraverso degli atti particolari quali: Raccomandazioni: si tratta di atti dell Assemblea definiti anche quali deliberazioni o risoluzioni. Sono prive di forza vincolante, ossia sono delle manifestazioni di desiderio che invitano ma non obbligano. Si parla di un dovere dei destinatari delle medesime di conformarsi, per quanto possibile alle stesse. Dichiarazioni di principio: sono atti di particolare solennità, inquadrati nelle soft law; si dicono anche de lege ferenda e riguardano spesso la modifica di diritto internazionale consuetudinario o patrizio. Decisioni vincolanti: si hanno in materia di contributi Il Consiglio di Sicurezza è composto da un totale di 15 membri di cui 5 permanenti (Francia, Gran Bretagna, Cina, Russia e USA) e 10 non permanenti, eletti dall Assemblea con maggioranza dei 2/3, per due anni e non rieleggibili. I membri permanenti godono del potere di veto, ossia possono opporsi alla formazione di determinati atti del Consiglio stesso e poiché per molte decisioni è prevista l unanimità dei membri permanenti, tale veto può bloccare l attività del Consiglio e l eventuale condanna o l adozione di un determinato provvedimento, nei confronti di quello stato determinato. Il Consiglio ha la responsabilità per il mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo. Nel caso delle controversie vi è l obbligo del deferimento al Consiglio, ma non per quelle che vengono definite situazioni particolari per le quali vi è la facoltà ma non l obbligo. Il Consiglio di Sicurezza gode di un ampio potere d inchiesta allo scopo di acquisire tutti gli elementi utili per comprendere appieno una determinata situazione; tale potere lo si esercita in maniera differente, con l invio di una commissione formata da rappresentanti degli stati membri o dello stesso Segretario Generale. Lo stesso Consiglio è competente nel qualificare una determinata situazione come minaccia alla pace o violazione della pace o vero e proprio atto di aggressione. Nel caso della minaccia alla pace, recentemente si è considerata anche la situazione umanitaria ed economica di uno stato. Allo scopo di far cessare una situazione di questo tipo, il Consiglio può adottare delle misure provvisorie, volte proprio ad impedire l aggravarsi di una determinata situazione; la loro caratteristica è data proprio dalla temporaneità delle stesse. Nel caso però che la 123

situazione non migliori, il Consiglio può adottare delle misure coercitive che possono non implicare l uso della forza ma sanzioni di carattere economico, collegate al settore militare. Per verificare il rispetto di quanto disposto, il Consiglio può anche consentire l uso della forza con contingenti militari degli stati membri. Il Segretariato Generale è un ufficio complesso e permanente con al vertice il Segretario generale; questi viene nominato dall Assemblea dietro proposta del Consiglio di Sicurezza. Per essere proposto dal Consiglio di Sicurezza, deve avere la fiducia di tutti i membri permanenti. Non si dice nulla in merito alle qualifiche o requisiti che la persona deve avere per ricoprire tale carica e la durata viene in genere determinata dallo stesso Consiglio di Sicurezza, così come nulla si dice in merito alla possibilità di essere rieletto o alla proroga. Una volta eletto, il Segretario ha l obbligo di imparzialità ed indipendenza rispetto agli interessi nazionali del paese di cui è cittadino. Il Segretario Generale è il più alto funzionario amministrativo, ma ha anche un ruolo politico; rappresenta l ONU nei rapporti con altre organizzazioni internazionali e con gli stati e può concludere i trattati La Corte internazionale di giustizia con sede all Aja venne creata nel 1945 sull esempio della Corte permanente, collegata alla Società delle Nazioni. Si compone di 15 giudici che durano in carica per 9 anni e sono rieleggibili. Essi devono rappresentare i principali sistemi giuridici esistenti. La designazione avviene ad opera dei singoli stati e votazione da parte sia del Consiglio che dell Assemblea. La Corte elegge un Presidente, un Vice-presidente ed un cancelliere che durano in carica per tre anni ma sono rieleggibili. Vi sono poi le sezioni o camere quali: di tre giudici per particolari controversie; ad hoc con un numero di giudici deciso dalla stessa corte; proc. Sommaria su richiesta delle parti. Solo gli Stati possono essere parti, ma non le organizzazioni internazionali. Le sentenze possiedono i limiti della cosa giudicata e sono obbligatorie per le parti; in caso la parte non ottemperi si può ricorrere al Consiglio di Sicurezza. La Corte può anche esprimere dei pareri ma solo su determina. Vi sono poi degli organi collegati all ONU con determinati compiti in materie specifiche come la FAO, UNESCO, WTO, UNICEF ed il Consiglio Economico e Sociale. 124

8.1.2. LA RESPONSIBILITY TO PROTECT Il concetto della responsibility to protect (responsabilità a proteggere) abbreviato con l acronimo r2p è un principio di diritto internazionale umanitario elaborato e sviluppato nel corso degli anni più recenti, che ha visto un acceso dibattito proprio in sede ONU. Il principio è costituito da una norma che mira alla protezione della popolazione mondiale da eventi quali il genocidio, la pulizia etnica, i crimini di guerra e, in generale, i crimini contro l umanità. Tale responsabilità incombe, in primis, sullo Stato sovrano in riferimento ai suoi cittadini. Solo qualora lo Stato non possa o non voglia proteggere i propri cittadini, o addirittura sia lo Stato stesso a danneggiarli, la comunità internazionale è tenuta ad intervenire e provvedere a difendere i diritti umani violati. La r2p è stata enunciata in forma ufficiale, per la prima volta, nell assemblea generale dell ONU del settembre 2005, in occasione della quale un gran numero di Paesi ha riconosciuto di avere una generale responsabilità a proteggere gli esseri umani da accadimenti quali quelli sopra elencati. Concepita dagli esperti di diritto internazionale umanitario, la r2p nasce dalla volontà di impedire che disastri umanitari quali, ad esempio, i genocidi del Ruanda, gli omicidi di massa della Bosnia e crimini di tal genere possano ripetersi. Per tale ragione, è necessario sensibilizzare la comunità internazionale su questo tema, rafforzando l idea che sulle istituzioni grava la responsabilità di prevenire ed impedire tali accadimenti, approntando altresì gli strumenti che, al ricorrere di determinati presupposti, rendono necessario e consentono l intervento da parte di soggetti terzi rispetto allo Stato sovrano. Il riconoscimento e la condivisione del concetto della r2p ad oggi ottenuti sono il risultato di anni di studi, approfondimenti, riflessioni, dibattiti, discussioni da parte dei maggiori esponenti e studiosi del diritto umanitario internazionale. Ufficialmente, come si è detto, l evoluzione del riconoscimento del principio della r2p ha la sua pietra miliare nel 2005. Nel report del Segretario generale dell ONU del 21 marzo 2005, si evidenzia che la r2p rileva nell ambito del perseguimento del fine di libertà di vivere in condizioni di dignità, quale esplicitazione del più generale principio di libertà dalla paura. 125

Nonostante gli Stati membri dell ONU avessero già dichiarato di non voler risparmiare i propri sforzi per il riconoscimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali quali condizioni essenziali per la creazione di una condizione di giustizia e stabilità la ricorrenza di fenomeni quali il terrorismo e la diffusione di armi di distruzione di massa hanno dimostrato che senza azioni concrete ogni dichiarazione sarebbe rimasta fine a sé stessa, una promessa senza significato. Si è così posta la necessità di implementare, sopratutto nell ambito delle Nazioni Unite, il ruolo attivo della comunità internazionale nell istituire e rendere effettivi i principi della democrazia in tutti gli Stati del mondo, abbracciando l idea della responsabilità a proteggere ed agendo nel rispetto di essa a favore delle vittime di episodi e atti di atrocità di massa. L aspetto proattivo del principio in esame è intensificato dalla considerazione per cui è giunto per gli Stati il momento di prendere in considerazione l importanza, sia a favore dei propri cittadini che di quelli stranieri, del rispetto della dignità dell individuo, in riferimento a cui troppo spesso si appronta soltanto una tutela formale, a livello di mere enunciazioni. È, invece, necessario passare da un era della legislazione ad un era dell implementazione, condizione imprescindibile per la tutela dei popoli. Una simile impostazione diviene tanto più importante quando si tratta del ruolo della legge, che non può più limitarsi ad una mera dichiarazione, ma deve effettivamente trovare esecuzione nella realtà. Il gap tra la retorica e la realtà è particolarmente visibile in alcuni Stati, i quali, nonostante le dichiarazioni e gli impegni assunti, continuano impunemente a violare tali principi, con conseguenze spesso tragiche per le loro popolazioni. Tale gap è tanto più evidente nel campo dei diritti umani; non c è diritto sino a che la comunità internazionale assiste, quasi impotente, a violazioni tanto efferate dei più elementari diritti dell individuo. Tali considerazioni sono il prodromo delle determinazioni assunte in merito nel corso dell Assemblea Generale ONU del settembre 2005. La pubblicazione del report di tale assemblea (paragrafi 138 139) evidenzia, appunto, le fondamentali risoluzioni adottate al riguardo, laddove si dichiara che: (traduzione non ufficiale) ciascuno stato ha la responsabilità di proteggere i propri cittadini da genocidi, 126

crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l umanità. Tale responsabilità include la prevenzione di tali crimini e della loro incitazione, attraverso gli appropriati e necessari mezzi.. La comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite, ha anche la responsabilità di utilizzare gli appropriati mezzi di natura diplomatica e umanitaria, in accordo con i Capitoli VI e VIII della Carta delle Nazioni Unite, per proteggere i popoli da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l umanità. In tale contesto, siamo preparati ad intraprendere azioni collettive, in modo tempestivo e deciso, in base alle caratteristiche della fattispecie e in cooperazione con le competenti organizzazioni regionali qualora i mezzi di pace non siano adeguati e le autorità nazionali non siano in grado di proteggere le loro popolazioni. Sottolineiamo la necessità che l Assemblea Generale continui la riflessione sulla responsabilità a proteggere le popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l umanità. Inoltre ci impegniamo ad aiutare gli Stati a raggiungere la capacità di proteggere le loro popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l umanità e ad assistere quelli sottoposti a tensioni prima che le crisi ed i conflitti esplodano. Da questi presupposti è nata e deve essere sviluppata l idea che esiste una responsabilità collettiva a proteggere; tale principio deve costituire la regola che imponga alla comunità internazionale, ed all O.N.U. in primis, che il dovere primario di ciascuno Stato è quello di proteggere i suoi cittadini, e che, qualora ciò non accada, la responsabilità alla protezione di quella determinata popolazione si sposta in capo alla comunità internazionale, la quale dovrà intervenire fisicamente mettendo in atto le azioni necessarie al ripristino dell efficacia dei diritti umani violati. Il concetto della R2P, recentemente, è stato oggetto di un acceso dibattito tra i suoi sostenitori e coloro che, a prescindere dalla strumentalità di tale posizione, considerano tale idea come una possibile giustificazione ad interventi armati nei confronti di uno Stato terzo. In sostanza, gli scettici temono che la responsibility to protect possa essere utilizzata quale mezzo per giustificare indebite interferenze a livello internazionale, divenendo così un right to intervene (R2I). In tal senso, il recente intervento anglo-americano in Iraq (giustificato quale intervento umanitario ) ha costituito un argomentazione di un certo impatto. 127

Tale posizione è stata presa da diversi Paesi, tra i quali: India, Cuba, Pakistan, Egitto, Sudan, Venezuela. Il concetto della r2p è stato oggetto di dibattito anche nell Assemblea Generale dell O.N.U. del 27-28 luglio 2009. Prima di tale avvenimento, i media avevano sottolineato le contrapposizioni sopra descritte su questo tema, e vi era il timore che, proprio in considerazione di esse, l esito delle discussioni avrebbe potuto causare un indebolimento del principio, con la conseguenza di ostacolare il percorso di implementazione ed estrinsecazione pratica dello stesso, che aveva avuto inizio proprio in occasione dell Assemblea Generale O.N.U. del 2005. L esito si è invece dimostrato assolutamente positivo, con soddisfazione di coloro che cercano di diffondere e consolidare il principio. Dichiarazioni favorevoli al riconoscimento ed all applicazione della r2p sono provenute da ogni regione del pianeta, compresi gli stati del Guatemala, Costa Rica, Corea del Sud, Nigeria, Ghana, Randa, Francia, Norvegia, U.E. Ciò nonostante vi sono stati tentativi di taluni detrattori di sviare il dibattito e di far passare il concetto quale strumento a favore dello strapotere dei Paesi occidentali. 128

8.1.3. INTERVENTI UMANITARI Come si è già visto, il diritto internazionale vieta agli Stati di intervenire nelle vicende interne di altri Stati. Si può parlare di principio di non intervento anche se la carta dell ONU non sancisce espressamente questo principio in quanto si impone agli organi dell ONU l obbligo di astenersi da ogni intervento nelle materie che rientrano nella domestic jurisdiction degli stati membri, fatta eccezione per le situazioni dove il Consiglio di sicurezza può adottare misure coercitive di fronte ad una minaccia della pace e sicurezza internazionale. Il principio di non intervento viene enunciato in alcuni documenti ONU come la Dichiarazione sulle relazioni amichevoli tra gli Stati adottata con risoluzione n. 2625 del 1970. In considerazione di ciò, si può invece considerare intervento: le minacce e le azioni armate contro la sovranità, personalità o gli elementi politici, economici e culturali di uno Stato; l uso della forza al fine di privare i popoli della loro identità nazionale; l organizzazione, il finanziamento, l assistenza o la tolleranza di attività sovversive o terroristiche volte a rovesciare il regime di un altro Stato. Inoltre l intervento sarebbe realizzato per ottenere vantaggi di qualsiasi tipo e comprende non solo attività armate ma anche altre forme di interferenza. Nell intervento è comunque implicita l idea di coercizione ed è possibile una distinzione tra interventi in base al grado di coercizione: intervento leggero, con semplici discussioni e verifiche, intervento forte con l adozione di misure penetranti ed incisive ma senza l uso della forza, come ad esempio sanzioni economiche o di altra natura e l intervento armato che riguarda tutti gli atti che comportano l uso della forza. Il principio di non intervento si basa invece sul principio della sovranità assoluta degli Stati; tale principio che è una norma fondamentale del diritto internazionale venne enunciato anche prima della carta delle Nazioni Unite come ad esempio nella costituzione francese del 1793 all art. 119 dove si diceva che la Francia non sarebbe intervenuta negli affari di un altro stato né avrebbe permesso che altri stati intervenissero nei suoi. Tale principio rimase inalterato anche con la creazione della Società delle Nazioni. Come si è già visto, oggi questo divieto non è più assoluto ma relativo per l accresciuto numero di limiti che gli obblighi del diritto internazionale pongono all azione dello Stato. 129

Ciò significa che è possibile individuare delle forme lecite di intervento negli affari interni o esterni di uno Stato. Si può affermare la liceità dell ingerenza umanitaria ossia interventi condotti allo scopo di fornire assistenza umanitaria nei casi di emergenza. Si tratta di forme di intervento previste dal diritto umanitario ossia da quell insieme di norme che secondo la definizione che individua il contenuto del diritto umanitario in senso stretto sono dirette a proteggere in modo immediato tutti gli esseri umani che si trovano, senza loro colpa, in situazioni di emergenza per fatti commessi dall uomo. Se è vero che l intervento umanitario può costituire un eccezione al principio imperativo di non-intervento, nel diritto internazionale non sembra esservi una nozione di diritti umani e pertanto l intervento umanitario è discrezionale. E certo che l abuso di ciò comporterebbe ripercussioni alquanto gravi in molti paesi. Secondo alcuni studiosi pertanto, il concetto di intervento umanitario non ha alcun fondamento legale nel diritto internazionale e qualificarlo quale eccezione comporta l affermarsi di un principio contrario alle norme di diritto internazionale; infatti non si può parlare legalmente di intervento umanitario per tre ragioni: - è un diritto che non esiste nella carta dell ONU e nel diritto internazionale; - negli ultimi due secoli e ancora di più dal 1945 non si rinvengono casi veri di intervento umanitario; - l abuso di tale diritto è più pericoloso di ogni altra considerazione. L espressione intervento umanitario è stata impiegata per indicare numerose e disparate circostanze; tutte le definizioni però susseguite dal XX secolo ad oggi sono accomunate dall uso della forza. Si potrebbe quindi definire l intervento umanitario come uso della forza da parte di uno Stato o un gruppo di Stati nel territorio di un altro Stato esercitato senza il consenso del governo di quest ultimo o l autorizzazione dell ONU per le sole ragioni di tutelare i diritti fondamentali dell uomo e reprimere tutti quegli atti perpetrati dal governo dello Stato oggetto dell intervento. 130

I principi tutelati sono costituiti dai diritti fondamentali dell uomo sulla cui universalità e validità esiste un diffuso consenso all interno della comunità internazionale. L intervento umanitario è una risposta alle violazioni di tali diritti fondamentali. Un altro aspetto che deve essere considerato riguarda i soggetti coinvolti nell intervento umanitario ossia i belligeranti, mentre tutelati dall intervento umanitario sono gli individui che patiscono materialmente le violazioni dello Stato all interno del cui territorio si sviluppa l intervento, quindi non solo i cittadini di tale Stato,ma tutti coloro che sono presenti in quel momento al suo interno. Dal punto di vista della dottrina, in merito all intervento umanitario, sono sorte una varietà di posizioni, anche se la paternità di tale concetto viene attribuita al giurista olandese Ugo Grozio, con la sua teoria della guerra giusta. Lo studioso francese Rougier, facendo riferimento all intervento francese in Siria nel 1860, affermò che in un epoca nella quale gli Stati non sono più isolati e liberi di fare ogni cosa al loro interno, vige la loi de solidarité per cui gli Stati possono intervenire per reprimere crimini efferati. L americano Stowell individuò cinque situazioni in cui si può esercitare il diritto di intervento contro uno Stato terzo: la persecuzione, cioè l intolleranza di uno Stato verso le minoranze religiose; l oppressione ossia ciò che attualmente si definirebbe come il mancato rispetto del diritto all autodeterminazione; la presenza di una guerra civile; l ingiustizia ovvero la violazione di quelli che oggi sono indicati quali diritti civili e politici; infine il mancato rispetto dei diritti dell individuo, termine con il quale lo studioso indica il diritto minimo di protezione degli stranieri la cui violazione permette ad uno Stato di intervenire a tutela dei propri cittadini all estero. Tra le varie posizioni della dottrina circa la legalità dell intervento umanitario, deve essere segnalata la tesi di coloro che cercano di comprimere la portata del divieto dell uso della forza. Infatti secondo tali studiosi il divieto di cui all art. 2 della Carta non è assoluto ma sussisterebbe una deroga quando l uso della forza non è diretto contro l integrità territoriale dello Stato o l indipendenza politica o risulta compatibile con la realizzazione di un fine delle Nazioni Unite. Tale interpretazione parrebbe però smentita da alcuni documenti 131

dell ONU e dai lavori preparatori della Carta dove comunque l uso della forza è in contrasto con i fini della stessa Organizzazione delle Nazioni Unite. Altri studiosi ritengono però che questa impostazioni possa portare al paradosso che una buona norma produca un cattivo risultato in quanto il divieto dell uso unilaterale della forza in senso assoluto può produrre in determinate circostanze di gravi violazioni dei diritti il risultato appunto paradossale di lasciare al proprio destino le vittime di una tragedia umanitaria; è per questo motivo che alcuni studiosi hanno avanzato l idea che l uso della forza unilaterale in caso di emergenze umanitarie sebbene illegale dal punto di vista formale possa essere considerato legittimo e quindi giustificato sul piano morale. Lo strumento giuridico attraverso il quale sarebbe possibile colmare il gap tra ciò che impone la lettera della legge ed il senso comune della morale è tratto dall esperienza degli ordinamenti penali nazionali ed in particolare dal concetto di circostanza attenuante. Coloro che sono chiamati ad applicare ed interpretare il diritto internazionale applicabile dovrebbero considerare non solo il testo della norma ma anche il contesto specifico di una situazione che potrebbe non essere stato contemplato all epoca della sua redazione. La valutazione della validità della circostanza attenuante in relazione ad un illecito ma giustificato uso della forza spetterebbe certamente ai tribunali internazionali, ma considerata la realtà dell ordinamento giuridico internazionale, la stessa sarà di competenza degli organi politici delle Nazioni Unite, come ad esempio l Assemblea Generale dell ONU. Deve essere cioè dimostrato che l intervento armato è in grado di conseguire risultati che sono significativamente migliori rispetto a quelli conseguenti alla mancanza di intervento. Secondo altri autori, un intervento umanitario è tale solo se l unico motivo di azione è la soppressione delle violazioni dei diritti dell uomo. Si tratterebbe quindi di un intervento disinteressato ma se si dovesse considerare solo questo valore quale movente dell intervento umanitario, allora si arriverebbe alla conclusione inevitabile che l intervento umanitario è una fattispecie impossibile. Infatti poiché un qualsiasi intervento costituisce uno sforzo per ogni Stato, sia economico che militare, che può anche avere serie ripercussioni politiche interne, è utopistico ritenere che uno Stato possa agire militarmente al solo fine di rimuovere in altri Stati crisi umanitarie non relative ai propri cittadini. E 132

altrettanto chiaro che ogni Stato è mosso da ragioni inerenti gli interessi economici o strategici, che lo portano ad assumere determinate decisioni o intraprendere alcune missioni con le proprie forze armate. Si può quindi affermare che la legittimità dell intervento umanitario discende non tanto da norme giuridiche positivamente esistenti ma da scelte morali che talvolta gli Stati possono compiere. In assenza di precise norme di diritto, gli interventi umanitari vengono realizzati quando gli Stati lo ritengono opportuno, giusto e moralmente giustificato, ossia legittimo. Si è però avvertita la necessità di individuare dei parametri o criteri che regolino il ricorso all uso della forza a tutela dei diritti dell uomo, allo scopo di prevenire gli abusi ed i rischi connessi. I criteri più frequentemente menzionati in dottrina sono 4: 1) Si richiede che vi sia l evidenza della commissione ripetuta di gravi e massicce violazioni dei diritti dell uomo come il genocidio o i crimini contro l umanità; tali crimini devono generare una situazione per la quale è necessaria una soluzione immediata ed urgente allo scopo di evitare il peggioramento della condizione umanitaria. 2) si dovrebbe ricorrere all intervento umanitario solo in caso di impasse dell ONU, ossia quando l assenza di accordo tra i membri del Consiglio di Sicurezza o l esercizio del potere di veto da parte di un membro permanente impedisce al Consiglio di agire per porre termine ai massacri. In base a tale criterio si riafferma il ruolo del Consiglio di Sicurezza quale unico organo competente ad autorizzare l uso della forza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. 3) si richiede che l intervento venga realizzato da più di uno Stato affinché gli interessi specifici di uno solo Stato non prevalgano sul fine umanitario. 4) si richiede il limite della proporzionalità nell uso della forza. In considerazione di ciò, si può asserire che questi criteri pur fornendo uno strumento utile per l analisi di tutti gli interventi condotti al di fuori del sistema di sicurezza collettiva dell ONU, non consentono di comprendere se tali interventi siano leciti o meno secondo il diritto internazionale e quindi resta il problema connesso all intervento umanitario e cioè 133

che il conflitto che esso genera tra due norme imperative del diritto internazionale ossia il divieto all uso della forza e la tutela dei diritti dell uomo. Permane quindi un vuoto normativo che rende difficile stabilire se tale forma d intervento sia conforme o meno al diritto internazionale; gli Stati quindi, in occasione di emergenze umanitarie, sono chiamati ad effettuare una scelta sia giuridica che morale, tra l applicazione di norme del diritto classico che vietano l uso della forza ed impongono la sovranità territoriale degli Stati e il recente imperativo di reagire alle violazioni dei diritti dell uomo. Per colmare tale lacuna, secondo l Istituto Danese di affari internazionali, le vie percorribili sono quattro: 1. Status quo strategy: consiste nella preservazione dell ordine giuridico esistente per mezzo di una rigorosa applicazione delle norme positive vigenti. Quindi la realizzazione di interventi umanitari senza l autorizzazione del Consiglio di Sicurezza è totalmente esclusa. In caso di impasse dell ONU non sono previsti mezzi alternativi. 2. Strategia ad hoc: prevede la possibilità di realizzare interventi umanitari anche al di fuori della legalità secondo le norme dell ONU ma solo in circostanze di estrema urgenza. L intervento umanitario resterebbe quindi una fattispecie illecita ma giustificabile solamente sul piano morale e politico. Anche questa teoria tende a mantenere la situazione esistente. In effetti nel breve periodo questa strategia consente di realizzare rapide operazioni necessarie. 3. Strategia dell eccezione: riguarda l introduzione nel diritto vigente di un emendamento alla Carta dell ONU, di una norma che consenta l uso della forza a tutela dei diritti dell uomo quando il Consiglio non sia in grado di agire per reprimere le violazioni già in atto. Il fine di questa strategia è quello di creare una base giuridica alternativa nell eventualità di paralisi del sistema dell ONU, attraverso la formalizzazione di ragioni politiche e morali che sottendono l intervento umanitario. 4. Strategia della facoltà generale: riguarda la creazione di una norma che riconosca la piena facoltà degli Stati di usare la forza per la tutela dei diritti dell uomo ma al di fuori del sistema dell ONU. Si lascia però ampia discrezionalità ai singoli Stati in merito all intervento e quindi si priverebbe il Consiglio di una sua importante prerogativa, accrescendo la possibilità di abuso dell uso della forza da parte degli Stati. 134

Si nota quindi che attraverso l applicazione delle prime due strategie si nega la liceità dell intervento umanitario secondo il diritto internazionale. Il divieto dell uso della forza prevarrebbe sulla tutela giuridica dei diritti; al contrario le altre due strategie consentono di eliminare il confine tra legittimità intesa come valenza etica e politica e liceità dell intervento umanitario rendendo quest ultimo pienamente conforme al diritto. In considerazione di quanto riportato sopra, si può affermare che oggi l intervento umanitario sarebbe illecito, ma secondo un ordine giuridico che non si è ancora adeguato ai profondi cambiamenti storico/politici intercorsi nell ultimo decennio del ventesimo secolo. Strumenti e modalità operative degli interventi ONU Dalla mancata attuazione delle disposizioni della Carta si è sviluppata una prassi di interventi ONU sostanzialmente articolata in due tipologie quali: 1) Peace-keeping operations: Queste sono costituite da operazioni decise dal Consiglio di Sicurezza con il consenso dello Stato dove le forze devono andare ad operare. Le forze, sia militari che civili, vengono fornite volontariamente dagli Stati membri e controllate dal Consiglio attraverso una catena di comando che fa capo al Segretario Generale dell ONU. Sul piano operativo tali forze devono agire con imparzialità ed utilizzare le armi per la difesa personale o per fronteggiare azioni militari dirette ad impedire la realizzazione del loro mandato. La Carta dell ONU non menziona questo genere di attività ed infatti sono sorte teorie differenti ai fini di un loro inquadramento giuridico. Per alcuni studiosi sarebbero da ricondurre all art. 36 della Carta e quindi relative alle raccomandazioni del Consiglio per la soluzione pacifica delle controversie; tuttavia l esistenza di un corpo militare armato che partecipa alle operazioni, fa propendere per gli artt. 39 40 42 e quindi alle azioni previste dalla Carta per il ristabilimento della pace. Tale modello d intervento è oggi diffusamente accettato dagli Stati; in effetti si deve sottolineare come la decisione del Consiglio nasca dal consenso sempre espresso dello Stato dove tali forze andranno ad operare e quindi l operazione non viene mai percepita come coercitiva Dall atra parte le modalità di costituzione dell operazione, la gestione ed il controllo della stessa da parte dell ONU, sono tutti elementi che contribuiscono a 135

valorizzare il carattere collettivo di questo tipo di intervento che è certamente molto vicino a quello immaginato dalla Carta dell ONU. Lo stesso Segretario dell ONU Boutros-Ghali, nel 1992 definì tali operazioni come quell invenzione delle Nazioni Unite che ha portato stabilità in numerose aree di tensione nel mondo. In effetti dare una definizione esatta delle operazioni di peace-keeping è difficile anche perchè si vuole evitare di cristallizzare un concetto che segue un evoluzione imprevedibile. Storicamente queste operazioni ebbero origine negli anni cinquanta come una risposta improvvisata a determinate situazioni di crisi, ma si svilupparono successivamente adattandosi di volta in volta a tutte quelle circostanze che l ONU non ha mai potuto gestire direttamente proprio per la mancanza di una forza armata dell Organizzazione. Alle prime operazioni volte al mantenimento delle frontiere e loro controllo ed al monitoraggio degli accordi di armistizio o di cessate il fuoco, si è passati ad operazioni sempre più complesse ed anche per questo motivo è difficile dare una definizione unica ed esaustiva di peace-keeping. Le operazioni di peace-keeping sono realizzate sotto la direzione del Segretario Generale dell ONU previa delega del Consiglio sempre per un tempo determinato. E il Segretario che deve costituire la forza militare ed individuare gli Stati che possono fornire volontariamente i contingenti armati. Il Segretario nomina poi un comando sul territorio. Un aspetto problematico riguarda la responsabilità dei vari contingenti rispetto ai loro paesi d origine e nei confronti dell ONU. Infatti le truppe sono sottoposte all autorità del Segretario Generale, ma dal punto di vista amministrativo e logistico dipendono dal loro paese e quindi non cessano di appartenere alle forze armate nazionali. Ciò diventa importante nell eventualità che si siano verificati atti illeciti e quindi in tema di responsabilità giuridica. 2) Autorizzazioni Diverso è il discorso per ciò che concerne le autorizzazioni in quanto si tratta di operazioni coercitive in senso proprio e ciò infatti ha creato non pochi problemi in merito al loro inquadramento giuridico. Alcuni autori ritengono tali interventi illegali dal punto di vista del diritto dell ONU, mentre altri ricavano la legalità ricorrendo o a sviluppi del diritto 136

internazionale generale o ad interpretazioni estensive di norme del Cap. VII della Carta e ferma restando la necessità del rispetto dei principi e delle condizioni generali di operatività del sistema di sicurezza stabilito dalla Carta. Secondo l art. 53 della Carta, il Consiglio di Sicurezza può utilizzare accordi o organizzazioni regionali sotto la sua direzione, ma nessuna azione coercitiva può essere intrapresa da tali organizzazioni regionali. Secondo una corretta interpretazione dell articolo citato, non è possibile che si svolga un intervento dell ente regionale senza la preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza; in effetti nella prassi vi sono stati dei casi dove l autorizzazione è stata successiva all intervento dell organizzazione regionale. Le operazioni che sottendono ad una autorizzazione sono di natura militare-coercitiva e condotte da uno Stato o da una coalizione di Stati membri, contro un altro Stato in situazioni di grave emergenza dove non è possibile ottenere il consenso dello Stato sovrano perché o questo viene negato o non esiste un autorità che può concederlo. Inoltre queste operazioni si differenziano da quelle di peace-keeping proprio perché comportano un uso della forza di carattere sanzionatorio che non può essere svolto solo da forze di pace ma da un vero e proprio esercito. E evidente che tale uso della forza si allontana dalla difesa legittima. Alcuni interventi ONU nel mondo dal 1945 ad oggi E interessante analizzare alcuni interventi che vi sono stati dal 1945 sino ad oggi. Certamente dopo la caduta del sistema bipolare si sono avuti più interventi proprio per le mutate condizioni politiche e la possibilità da parte dell ONU e quindi del Consiglio di Sicurezza, di agire più liberamente, anche se non sono mancati esempi di interventi di carattere umanitario, pur sussistendo il bipolarismo tra le due superpotenze. Corea 1950 In effetti a fronte dell attacco della Corea del Nord contro la Corea del Sud, il Consiglio, in assenza del delegato sovietico, riuscì ad autorizzare l utilizzo della bandiera ONU da parte della coalizione di Stati che intervenne a fianco della Corea del Sud. 137