massimo rizzante morago un poeta della pittura archivio di saggi 7
MORAGO, UN POETA DELLA PITTURA 2013 Massimo Rizzante
Morago è un pittore italiano? Un pittore veneziano? Certo, se stiamo ai suoi dati anagrafici. Nascere nella provincia veneta è una fatica di Sisifo: il peso della bellezza è pari a quello della desolazione. Da una parte, Venezia, la sua storia, la sua architettura, la sua arte rivolta a Occidente e a Oriente, le sue bifore, le sue fondamenta, il suo cielo, i suoi ponti, grazie ai quali un artista, se si volta, si sente sempre in compagnia di qualche nobile ombra. Dall altra, la povertà di una terra di emigranti, oggi più ricca economicamente, ma che ha dimenticato il suo passato. O che lo rivendica, solo per fondare su di esso una piccola patria. Una natura che è grembo materno, protettrice. Fate un salto nelle campagne di Oderzo, a San Polo di Piave, dove vive Morago, e avrete immediatamente un senso di sollievo e un desiderio di riconciliazione con gli elementi, vi sentirete finalmente liberi dall ingombrante sog- 3
gettività umana. Non è un idillio. Per un artista come Morago, febbrile, esuberante, è piuttosto una scuola di umiltà, di misura, un apprendimento continuo, che deve fare i conti con una società intossicata da noie borghesi, aspirazioni fin troppo materiali, improvvise esplosioni di violenza, frontiere che esistono solo nelle menti più bacate. L arte, in ogni caso, è benedizione e maledizione delle origini. Allo stesso tempo emancipazione, profanazione e nostalgia (del resto, come avere nostalgia per qualcosa che prima non abbiamo abbandonato?). Infine, è una delle poche strade per andare al di là Non è un caso che tutti gli artisti del XX secolo che si sono fatti prendere dalla smania dell identità nazionale, del mito delle radici, sono finiti per confessare i loro errori, ritrattare i passi falsi o essere giudicati dal tribunale della Storia, i cui giudici, fin troppo zelanti, è vero, non sono stati spesso all altezza dei loro imputati. Per questo, penso che l esperienza del viaggio sia stata e sia fondamentale per Morago. Parigi, gli Stati Uniti, l Estremo Oriente, l Africa, soprattutto. E per diverse ragioni. Si è liberato della camicia di forza della provincia veneta e dell eterna provincia italiana. Ha così reso cosmopolita il suo sguardo sul mondo. Si è confrontato con gli artisti di altri paesi e di altri tradizioni, consapevole che la storia dell arte è una storia sopranazionale e transtorica: Tintoretto e Tiziano incontrano, nelle sue tele, Cezanne, Rauschenberg e Kiefer. Non ho mai capito perché professori, critici e perfino artisti, soprattut- 4
to quelli appartenenti alle varie avanguardie, abbiano nel corso del XX secolo innalzato (e continuino a farlo) un muro tra la tradizione e l arte moderna, come se quest ultima fosse, nel mare dell arte, un atollo con una vegetazione e una fauna incomparabili, e perciò con valori e criteri specifici non paragonabili alle epoche artistiche precedenti. Morago, poi, conoscendo la sua inquietudine, ha cercato realtà diverse, non necessariamente sorprendenti. Ma che sorprendono chi scopre aspetti sconosciuti del mondo. Mi viene in mente Francis Bacon che entra per la prima volta in una macelleria e vede oscillare, appesi ai ganci, i quarti di alcuni vitelli. Nelle sue interviste scriverà che quell esperienza è stata indimenticabile, in quanto «per un pittore c è in quei luoghi la grande bellezza del colore della carne». Poi, si stupisce di non essere appeso lì, al posto dell animale. Da dove viene il rosso che illumina le tele in bianco e nero di Morago, diventando una sorta di firma? E quel blu annegato nel nero della notte che appare in D estate la luna, negli anni Novanta? Da choc emotivi, da traumi di incantamento simili a quello sperimentato da Bacon. Il risultato estetico è profondamente diverso, ma il processo creativo è lo stesso, perché entrambi cercano la bellezza, una parola che oggi si pronuncia di nascosto, con un senso di vergogna. Ma voglio essere più preciso perché la bellezza ha tanti volti quanti sono coloro che la cercano. Ho letto diversi pareri critici sull opera di Morago. 5
Tutti sono d accordo nel dire che «il colore è l elemento essenziale» (Erich Steingräber) della sua pittura. Mi sono chiesto: che cosa significa conoscere la realtà attraverso il colore? Che cosa si privilegia quando si compie questa scelta, che, per un artista come Morago, ha la forza di un diktat? In prima istanza significa confidare nell aisthesis, nella percezione sensibile, istintiva, intuitiva dello spazio esteriore. Vuol dire riuscire a trasportare questa percezione dallo spazio esterno in un altro spazio, quello pittorico, al fine di riprodurre in vitro, se così posso dire, lo choc o incantamento percettivo che l artista ha sperimentato all inizio del suo processo creativo. Il che comporta un gesto rapido, energico, lirico, che tende a conservare il più possibile il ricordo di quello choc o incantamento. Privandosi, poi, di ogni preinterpretazione degli oggetti, scartando cioè il loro aspetto figurativo e descrittivo, l arte di Morago si converte inevitabilmente in arte astratta, cioè, in un arte che si concentra sull essenza cromatica della realtà. Cubismo, astrattismo, spazialismo, informale, certo. Tutta la grande arte moderna è animata da una volontà di soppressione del superfluo, del decorativo, di ciò che è frutto di abitudini, al fine di confrontarsi con l essenziale, o meglio, con ciò che ogni artista ritiene tale. È il caso anche di Morago. Egli è un poeta della pittura. Ogni suo quadro è come una poesia. Non solo e non tanto perché ogni sua opera è l evocazione di uno stato dell anima, di un empatia con lo spazio esterno che ha lo scopo di produrre nello spazio interiore dell osservatore una visione altrettanto 6
empatica. Ma soprattutto perché in essa tutto è essenziale. In poesia ogni parola ha il suo valore, ogni virgola ha il suo peso, non esiste nulla che sia privo di significato. È un arte del levare, è un sacrificio in funzione dell essenziale. L aspirazione di ogni poesia è quella di racchiudere la struttura matematica della realtà. Credo sia l aspirazione anche di Morago, a partire dalla scelta che è un imposizione del suo talento di fondare tale aspirazione su pochissimi colori, due, il nero e il rosso, a cui presenzia il bianco, il colore non colore. Come se un poeta decidesse di scrivere una poesia utilizzando solo due o tre parole. Forse, se è un poeta molto esperto, potrebbe riuscirci, ma alla fine il risultato sarebbe un esercizio di stile, una sfida retorica. La pittura ha un potere di sintesi che la poesia non ha. Il colore possiede molte più declinazioni e coniugazioni. Guardate quanti bianchi nei quadri di Morago. E quanti neri. Da due o tre elementi esplorare l infinita varietà del mondo. E esplorarla nella sua bellezza poetica. E, paradosso meraviglioso in Morago, cogliere la bellezza poetica da situazioni ed eventi quotidiani, prosaici: una barca in mezzo al mare, una porta che si apre, una pozza di sangue, un gesto della sua amata Vera, la morte di un cane 7
www.massimorizzante.com