Vittoria Paiano. La parola, il testo. E-Book di Antologia Italiana per il biennio. Volume unico



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Vittoria Paiano La parola, il testo E-Book di Antologia Italiana per il biennio Volume unico

COPIA SAGGIO Campione gratuito fuori commercio ad esclusivo uso dei docenti Garamond 2009 Tutti i diritti riservati Via Tevere, 21 Roma Prima edizione Volume unico Cod. ISBN 978-88-86180-90-0

La Parola, il testo Indice INDICE GENERALE I testi non letterari o pragmatici... 5 unità 1.TESTI USATI PER INFORMARE... 6 I testi descrittivi... 6 I diversi tipi di testo descrittivo... 6 La descrizione oggettiva e soggettiva... 8 Le caratteristiche strutturali e linguistiche del testo descrittivo... 9 Suggerimenti per la composizione... 11 I testi... 13 Rosso Malpelo... 13 La disfatta di Adolfo Campanula... 22 La monaca di Monza... 24 I testi espositivi... 27 Il testo espositivo... 27 Le caratteristiche strutturali... 28 Le caratteristiche linguistiche... 29 I testi... 30 La vita di Giuseppe Garibaldi... 30 Italia batte Inghilterra con l Euro... 33 Equus caballus... 35 Le nubi: Classificazione delle nuvole secondo l altezza dal suolo - Le nubi basse... 38 Malattie rare, HC intervista la sen. Fumagalli Carulli (Ass. Dossetti)... 40 Il testo narrativo non letterario... 43 La relazione... 43 La relazione dal vivo... 43 La relazione su un testo... 44 La relazione scientifica... 44 I testi... 45 Relazione su un viaggio d istruzione... 46 Piero Angela: non c è futuro senza nascite... 48 Quello che gli oncologi pensano veramente sulla chemioterapia... 50 L articolo di giornale... 52 Regole e tecniche di scrittura... 53 La scaletta... 54 I testi... 54 Crisi idrica: in Puglia incentivi per l irrigazione... 55 Il reportage. L avventura in cima al mondo... 56 Stoner vince ma Rossi rimane in testa al mondiale... 59 Paura alla elementare Perotti- Bimba aggredita a scuola per rubarle gli orecchini... 60 Vittoria Paiano - 3 - Garamond 2009

La Parola, il testo Indice Unità 2. I TESTI USATI PER ESPRIMERE EMOZIONI O GIUDIZI... 63 Il testo espressivo-emotivo... 63 La lettera... 63 La lettera informale... 64 L organizzazione di una lettera informale... 64 La lettera formale... 64 L organizzazione di una lettera formale... 65 Il diario... 65 Consigli per scrivere il diario... 66 I testi... 66 Lettera d amore a Barbara... 66 Caro bambino numero sei miliardi... 68 Caro Direttore...... 71 Sicurezza e decoro... 75 Appello al Presidente della Repubblica... 76 20 novembre 2005... 77 Caro diario...... 78 Virginia Woolf: Diario di una scrittrice... 78 unità 3. I TESTI USATI PER PRESCRIVERE COMPORTAMENTI E PER PERSUADERE... 82 Il testo regolativo... 82 Caratteristiche strutturali e linguistiche del testo regolativo... 83 Scrivere un testo regolativo... 84 I testi... 85 Il codice della strada... 85 I diversi tipi di testo descrittivo... 89 Regole di gioco della pallavolo... 89 La Netiquette... 91 Come fare buoni dolci... 94 Costruiamo un aquilone... 96 Il testo argomentativo... 98 Le caratteristiche strutturali... 98 Tecniche e caratteristiche linguistiche... 99 I testi... 100 I bulli crescono tra videogiochi violenti e famiglie inesistenti... 101 I genitori devono essere contenti se i figli raccontano bugie?... 104 Cicerone: Pro Archia... 106 La crisi della scuola. Riflessioni... 111 Scrivere la guerra: Giuseppe Ungaretti... 114 Vittoria Paiano - 4 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1 I testi non letterari o pragmatici I tipi di testo, scritti e orali, che si possono produrre sono numerosissimi. Basta sfogliare un quotidiano, una rivista, o un libro di testo scolastico per entrare in contatto con diverse tipologie testuali. Pensate agli articoli di cronaca, alle lettere al direttore, alle interviste a personalità della cultura, politiche, sportive, ad una novella di Verga, ad una poesia di Giacomo Leopardi. Per orientarvi in tanta varietà di testi e, quindi, per imparare a conoscerli ed anche a produrli, è importante che sappiate distinguerli gli uni dagli altri. Cominciamo, quindi a distinguerli in base al fatto che siano stati prodotti, più o meno apertamente, per conseguire uno scopo preciso, oppure non abbiano uno scopo pratico evidente. In base a questo, possiamo fare una prima classificazione che distingue i vari testi in due grandi categorie: - testi non letterari o pragmatici: sono quelli in cui l'autore si propone dei fini pratici, come quelli di interpretare, informare, spiegare, dimostrare, convincere, prescrivere, ecc. - testi letterari: sono quelli in cui l'autore non ha scopi pratici evidenti, ma si occupa di valorizzare il contenuto manipolando la forma. Questa classificazione non ha un valore assoluto, in quanto anche i testi letterari possono, a volte, proporsi fini più o meno pratici e i testi non letterari possono essere anche molto elaborati nella forma. Pur nei suoi limiti, tuttavia, questa classificazione può permettere una prima classificazione nell'ambito dei testi che avete incontrato o che incontrerete nel vostro percorso. In questa sezione ci occuperemo dei testi non letterari o pragmatici. Unità 1. - I testi usati per informare Unità 2. - I testi usati per esprimere emozioni e giudizi Unità 3. - I testi usati per prescrivere comportamenti per persuadere Vittoria Paiano - 5 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 UNITÀ 1.TESTI USATI PER INFORMARE PREREQUISITI Competenza attiva e passiva della lingua italiana (parlare, ascoltare, leggere e scrivere) OBIETTIVI Saper individuare i caratteri essenziali delle varie tipologie testuali Saper utilizzare le corrette tipologie testuali in base alla funzione comunicativa Saper analizzare le singole tipologie testuali I testi descrittivi I testi descrittivi sono quelli con cui chi parla o scrive fa vedere con le parole come è fatta una persona, un luogo, un animale descrivendone le caratteristiche e gli aspetti più significativi. Il testo descrittivo è utilizzato molto frequentemente ogni volta che, sia in pubblico che in privato, è necessario fornire l'immagine di qualcosa fornendo il maggior numero possibile di elementi che lo compongono, in modo che chi ascolta o legge riesca a farsene un'immagine il più possibile precisa. I diversi tipi di testo descrittivo L obiettivo principale di un testo descrittivo è informare: è il caso delle descrizioni tecniche e scientifiche presenti nelle enciclopedie, nei manuali, nei dizionari, nelle guide. A questo obiettivo, però, se ne possono aggiungere altri, come influenzare il destinatario positivamente o negativamente, circa l oggetto della descrizione. In questo caso il testo viene usato a scopo prevalentemente persuasivo. Appartengono a questa categoria i testi pubblicitari, che si prefiggono lo scopo di mettere in evidenza le qualità del prodotto e omettendone i difetti, allo scopo di indurre il destinatario ad apprezzare il prodotto in questione ( e magari a comprarlo) a scapito di altri. Nel caso in cui domini invece l esigenza di esprimere, attraverso una descrizione, sentimenti, emozioni o stati d animo, prevale lo scopo espressivo. Questa tipologia di testi è molto diffusa in tutti gli ambiti della vita sociale. Spesso si trovano inseriti all interno di un testo narrativo, espositivo o argomentativo. Qualunque testo giornalistico, pubblicitario, manuale scientifico, ecc contiene, infatti, una o più parti descrittive. Questi due tipi di testo descrittivo si differenziano dalle descrizioni puramente informative per un aspetto molto importante: Le descrizioni informative infatti devono unicamente far conoscere l'oggetto della descrizione in modo chiaro e completo. Ciò significa che l'autore della descrizione deve limitarsi a presentare un oggetto in modo impersonale, senza esprimere impressioni o valutazioni personali e senza alcun coinvolgimento emotivo. Per dare un'immagine più definita possibile, questi testi sono spesso accompagnati da fotografie, schizzi e altre rappresentazioni grafiche. È il caso degli annunci economici e delle descrizioni tecniche o scientifiche presenti in dizionari, enciclopedie, ecc. Nelle descrizioni persuasive ed espressive, invece, l'autore descrive l'oggetto dal suo punto di vista: fa trasparire la sua opinione personale, fa emergere il proprio stato d'animo anche ricorrendo all'uso di espressioni figurate. A titolo di esempio, vi presentiamo tre brevi testi con la descrizione di uno stesso oggetto, il mare. Il primo testo è una descrizione espressiva di tipo letterario: il mare descritto da Gabriele D'Annunzio. Vittoria Paiano - 6 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 Ecco, e la glauca marina destasi fresca a freschissimi grecali; palpita: ella sente nèl grembo li amor verdi de l alighe. Sente: la sfiorano a torme i queruli gabbiani, simili da lunge passano le paranzelle arance pèl gran sole cullandosi. D'Annunzio, "Canto novo" Questo secondo testo, tratto da Wikipedia, è una descrizione del mare di tipo informativo, espressa con un linguaggio chiaro ed essenziale. Il mare è una vasta distesa di acqua salata a ridosso dei continenti e connessa con un oceano. Lo stesso termine è alle volte usato per indicare laghi, normalmente salati, che non hanno sbocchi sull'oceano: esempi sono il Mar Caspio, il Mar Morto e il Mar di Galilea. Il termine mare è usato anche come sinonimo di oceano quando esprime un concetto generico, per esempio quando si parla dei mari tropicali o dell'acqua marina riferendosi a quella oceanica in generale. Il terzo testo può essere un volantino pieghevole pubblicitario ed è una descrizione di tipo persuasivo: ha il chiaro scopo di esaltare le caratteristiche del mare di Gallipoli per convincere il lettore a trascorrervi le vacanze. Gallipoli...che sogno! Le splendide spiagge composte da una sabbia dorata ed il mare limpidissimo, sono l ideale per passare intere giornate al mare durante la propria vacanza. I colori e i profumi del mare incantano i turisti, che non possono più fare a meno di tornarci... Vittoria Paiano - 7 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 La descrizione oggettiva e soggettiva 1- È una famiglia composta di quattro persone: il padre, la madre e due figlie. La madre e la figlia maggiore sono sedute sulla poltrona; la figlia minore è sulle gambe della madre; il padre è inginocchiato davanti alla madre, con un foglio da disegno in mano. 2- È una bella famiglia, composta di quattro persone: il padre, la madre e due splendide figliole. Traspare dai loro volti serenità e l'atteggiamento di tutti indica una famiglia affettuosa a affiatata. Il padre mostra compiaciuto il disegno che ha fatto per loro e la moglie lo guarda con ammirazione. I due testi sono due descrizioni della stessa foto di una famiglia.. La prima descrizione è oggettiva, in quanto non vengono espresse impressioni personali, ma ci si limita a presentare la famiglia attraverso una serie di dati oggettivi. La seconda descrizione è soggettiva: viene presentata la famiglia come la vede l'autore, filtrata dalle proprie emozioni e opinioni, con lo scopo di suscitare analoghe emozioni nel destinatario. La descrizione quindi può essere: -oggettiva o impersonale; - soggettiva o personale. La descrizione oggettiva o impersonale è caratterizzata dal fatto che chi comunica ha l intenzione di presentare fedelmente la realtà. In questo caso vengono descritti dati fisici utilizzando le informazioni che ci vengono dai sensi, senza aggiungere impressioni, opinioni e sentimenti personali. Il linguaggio è ricco di termini specifici ;i verbi sono generalmente usati al tempo presente; le frasi sono brevi e semplici. Lo scopo è quello di fornire informazioni chiare, ordinate e corrette. La descrizione soggettiva o personale è caratterizzata dal fatto che chi comunica ha l intenzione di rappresentare la realtà dando particolarmente rilievo ai sentimenti, alle opinioni, alle riflessioni, alle esperienze personali. - Il linguaggio è ricco di aggettivi qualificativi, con cui i vengono espressi giudizi e valutazioni,con l'uso di paragoni e di metafore. I verbi sono per lo più usati al tempo passato e i periodi sono lunghi e complessi. - Lo scopo è quello di rappresentare la realtà creando un atmosfera particolare per suscitare emozioni e riflessioni. Vittoria Paiano - 8 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 Le caratteristiche strutturali e linguistiche del testo descrittivo La struttura La struttura dei testi narrativi presenta caratteristiche generali, nonostante i testi possano variare tra loro, a seconda dell oggetto descritto, della situazione comunicativa e dello scopo per cui sono prodotti: il referente, cioè la cosa, la persona o l animale descritto; le qualità e le parti, cioè gli elementi del referente che vengono elencati durante la descrizione. Perché la descrizione risulti chiara ed esauriente, infatti, è necessario che si facciano riferimenti precisi alle varie parti di cui è composto e alle qualità che contraddistinguono l'oggetto. Le caratteristiche linguistiche Le principali caratteristiche linguistiche che individuano il testo descrittivo sono le seguenti: l uso degli indicatori spaziali: avverbi, preposizioni, locuzioni avverbiali (davanti, dietro, in basso, in alto, a sinistra, a destra, ecc ), indispensabili per la collocazione di un oggetto nello spazio e per la definizione delle parti che lo compongono; l uso degli aggettivi, che indicano le qualità del referente; l utilizzo di frasi brevi, per una maggiore chiarezza della descrizione; l utilizzo dei tempi verbali al presente e imperfetto, cioè dei cosiddetti tempi durativi, che permettono di esprimere azioni che durano nel tempo; ricchezza, precisione e varietà nell uso dei termini, indispensabile per fornire un immagine chiara e precisa del referente e delle parti che lo compongono. Le tecniche descrittive I modi in cui si possono organizzare le parole della lingua per dare corpo alla descrizione variano a seconda del soggetto da descrivere, dello scopo e del destinatario e costituiscono vere e proprie tecniche descrittive. Un elemento discriminante è sicuramente il punto di vista da cui si sceglie di osservare e descrivere la realtà (una finestra su un cortile, l ultimo piano un palazzo, il centro di una piazza). Si può poi scegliere un criterio di ordine, spaziale o gerarchico, in base al quale impostare la descrizione. Nel primo caso si procederà dall alto verso il basso o viceversa, da sinistra a destra o da destra a sinistra; nel secondo caso si può partire da una visione d insieme per giungere all analisi dei particolari dell immagine o viceversa. Come abbiamo già detto, il testo descrittivo può trovarsi inserito all interno di altri testi. È il caso di romanzi e racconti nei quali abbondano le descrizioni di luoghi e personaggi sia nei loro tratti fisici che caratteriali. Esempio: [ ] I suoi abiti erano miseri: un vestito di tela, un vecchio velo sbiadito e sandali con le suole consunte, ma si era avvolta nel velo in modo far risaltare la figura slanciata, il sedere sporgente, il petto formoso, le gambe ben fatte e aveva lasciato scoperta la riga dei capelli neri e il volto abbronzato e grazioso. [ ] Non aveva famiglia, né mezzi, ma non perdeva mai la fiducia in se stessa. tanta sicurezza era probabilmente dovuta alla sua grande bellezza, ma non era questo l unico motivo. Era forte per natura e quella forza non l abbandonava un solo istante. Vittoria Paiano - 9 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 I suoi splendidi occhi tradivano a volte questo sentimento rendendola meno attraente per alcuni e molto più per gli altri. Era continuamente tormentata da un imperioso bisogno di dominio che si manifestava ora nel desiderio di sedurre, ora nel tentativo di spuntarla sulla madre, e che appariva nel suo aspetto peggiore quando litigava e si azzuffava con le comari del Vicolo, tanto che tutte la detestavano e la calunniavano. (Nagib Mahfuz, Vicolo del mortaio) Un altro esempio è la descrizione del paesaggio e di Don Abbondio che fa Manzoni nel primo capitolo de I Promessi Sposi: Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura dè due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci dè torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar città.[ ] [ ]Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l'aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s'eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt'e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s'era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l'altro s'era staccato dal muro; e tutt'e due gli s'avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri.[ ] In questo brano si può notare una descrizione oggettiva del paesaggio da più prospettive, prima dalla cima dei monti e poi dalle pendici. Dall oggettività si passa alla soggettività con la descrizione di Don Abbondio; la prima caratteristica che Manzoni ci svela è proprio il modo di muoversi del curato, il suo camminare, ed entra nei particolari riportando anche il movimento delle mani nella lettura del breviario. Vittoria Paiano - 10 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 Ecco uno schema riepilogativo del testo descrittivo: Le tecniche descrittive Ordine spaziale Ordine logico Ordine temporale dall'alto in basso dal basso in alto davanti dietro sotto sopra dal particolare al generale dal generale al particolare prima dopo durante Suggerimenti per la composizione Il procedimento per stendere efficacemente un testo descrittivo varia a seconda che l argomento della descrizione sia un oggetto, un animale, un persona o un luogo. Vi suggeriamo pertanto uno schema generale che può esservi utile per descrivere in modo completo e preciso un oggetto, consigliandovi di utilizzare solo i punti che hanno attinenza con l oggetto che intendete descrivere. Descrizione di un oggetto 1) Descrizione dettagliata dell oggetto, specificando in dettaglio: - il materiale di cui è fatto; - le parti di cui è costituito; - la forma; - il colore; - le dimensioni; - il suo utilizzo ed, eventualmente, la modalità di funzionamento. 2) Provenienza dell oggetto (racconta, eventualmente, anche il modo in cui ne sei venuto in possesso) 3) Valore dell oggetto in sé, sia materiale che affettivo. 4) Opinioni che gli altri (amici, familiari)hanno dell oggetto. 5) Riflessioni personali su: - ricordi; - sentimenti; - desideri; - problemi. Vittoria Paiano - 11 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 Se intendete realizzare una descrizione oggettiva, dovete limitarvi a sviluppare il primo punto; se volete, invece, realizzare una descrizione espressiva, dovrete arricchirla sensazioni, sentimenti e opinioni personali, sviluppando anche gli altri punti. Descrizione di un animale Lo schema per la descrizione di un animale può essere il seguente: 1) Specie dell animale scelto e descrizione riguardo a: - aspetto esteriore: dimensioni, voce, altri particolari; - carattere, fornendo la definizione e qualche episodio che lo illustri esemplifichi; 2) Valore dell animale,materiale e soprattutto affettivo; 3) Inizio e sviluppo del tuo interesse per lui; 4) Opinioni degli altri (familiari, amici); 5) Riflessioni personali riguardo a ricordi,emozioni e sentimenti che suscita in te, quello che la convivenza con l animale ti ha insegnato. Descrizione di una persona Per descrivere una persona bisogna tener conto di due aspetti essenziali :quello fisico e quello psicologico. Lo schema può essere il seguente: 1) Descrizione in base a: - informazioni generali: nome, età, sesso; - aspetto fisico: corporatura, capelli, espressioni del volto, atteggiamenti; - caratteristiche psicologiche: comportamenti, buone e cattive qualità, carattere; - caratteristiche socio-culturali: studi compiuti, interessi, professione, estrazione socio-culturale. 2) Rapporti che intercorrono fra te e la persona; 3) Opinioni degli altri (familiari, amici ecc.)sulla persona; 4) Tue riflessioni personali. Descrizione di un luogo Questa descrizione può riguardare sia ambienti esterni che interni. Ecco i possibili schemi. Ambiente esterno: 1) Caratteristiche geografiche e paesaggistiche: pianura, montagna, città; 2) Segni dell intervento dell uomo: coltivazioni, fabbriche, porti; 3) Costruzioni civili e monumenti di valore artistico; 4) Personaggi che animano il luogo: abitanti, passanti Ambiente interno 6) Ricordi; 1) struttura: disposizione degli ambienti, presenza di terrazzi,scale, finestre, ecc; 2) Arredamento; 3) Persone che vi abitano; Se la descrizione è soggettiva si possono aggiungere i seguenti punti: 4) Osservazioni e riflessioni personali; 5) Sentimenti suscitati dall ambiente; Vittoria Paiano - 12 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 I testi Il testo descrittivo è molto diffuso e usato, soprattutto per l importante funzione informativa che svolge sia come testo autonomo che come parte componente di altre tipologie testuali. È difficile infatti esprimere stati d animo, pareri e opinioni senza aver descritto prima ciò di cui si parla. Vi presentiamo nelle pagine seguenti alcuni testi che esemplificano le caratteristiche linguistiche e strutturali di diversi tipi di descrizione scritte con scopo informativo, persuasivo o espressivo, descrizioni oggettive e soggettive. Rosso Malpelo Novella di Giovanni Verga da "Vita dei campi" (1880) Il protagonista della novella è Rosso Malpelo, un giovanissimo cavatore di sabbia, che trascorre la sua misera vita in miniera, nel ricordo della tragica scomparsa del padre, avvenuta a causa di un crollo nello stesso luogo dove è lui impegnato. I temi e l'ambientazione della novella sono in stretto rapporto con le pagine dedicate a "Il lavoro dei fanciulli nelle zolfare siciliane" nell'inchiesta "La Sicilia del 1876" di L. Franchetti e S. Sonnino. La novella fu pubblicata in un opuscolo nel 1880 con il sopratitolo di "Scene popolari" in una collana periodica della rassegna delle Società Operaie di Mutuo Soccorso. Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo. Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c'era anche a temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni. Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorché se lo trovavano a tiro. Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po' di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel po' di pane bigio, come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua, motteggiandolo, e gli tiravan dei sassi, finché il soprastante lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei c'ingrassava, fra i calci, e si lasciava caricare meglio dell'asino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre cencioso e sporco di rena rossa, che la sua sorella s'era fatta sposa, e aveva altro pel capo che pensare a ripulirlo la domenica. Nondimeno era conosciuto come la bettonica per tutto Monserrato e la Caverna, tanto che la cava dove lavorava la chiamavano «la cava di Malpelo», e cotesto al padrone gli seccava assai. Insomma lo tenevano addirittura per carità e perché mastro Misciu, suo padre, era morto in quella stessa cava. Era morto così, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a cottimo, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno dell'ingrottato, e dacché non serviva più, s'era calcolato, così ad occhio col padrone, per 35 o 40 carra di rena. Invece mastro Misciu sterrava da tre giorni, e ne avanzava ancora per la mezza giornata del lunedì. Era stato un magro affare e solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone; perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l'asino da basto di tutta la cava. Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio, come se quelle soperchierie cascassero sulle sue spalle, e così piccolo com'era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: - Va là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre -. Vittoria Paiano - 13 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 Invece nemmen suo padre ci morì, nel suo letto, tuttoché fosse una buona bestia. Zio Mommu lo sciancato, aveva detto che quel pilastro lì ei non l'avrebbe tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma d'altra parte tutto è pericolo nelle cave, e se si sta a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio andare a fare l'avvocato. Dunque il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l'avemaria era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se n'erano andati dicendogli di divertirsi a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte del sorcio. Ei, che c'era avvezzo alle beffe, non dava retta, e rispondeva soltanto cogli «ah! ah!» dei suoi bei colpi di zappa in pieno, e intanto borbottava: - Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata! - e così andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto, il cottimante! Fuori della cava il cielo formicolava di stelle, e laggiù la lanterna fumava e girava al pari di un arcolaio. Il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, contorcevasi e si piegava in arco, come se avesse il mal di pancia, e dicesse ohi! anch'esso. Malpelo andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, il sacco vuoto ed il fiasco del vino. Il padre, che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: - Tirati in là! - oppure: - Sta attento! Bada se cascano dall'alto dei sassolini o della rena grossa, e scappa! - Tutt'a un tratto, punf! Malpelo, che si era voltato a riporre i ferri nel corbello, udì un tonfo sordo, come fa la rena traditora allorché fa pancia e si sventra tutta in una volta, ed il lume si spense. L'ingegnere che dirigeva i lavori della cava, si trovava a teatro quella sera, e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, quando vennero a cercarlo per il babbo di Malpelo che aveva fatto la morte del sorcio. Tutte le femminucce di Monserrato, strillavano e si picchiavano il petto per annunziare la gran disgrazia ch'era toccata a comare Santa, la sola, poveretta, che non dicesse nulla, e sbatteva i denti invece, quasi avesse la terzana. L'ingegnere, quando gli ebbero detto il come e il quando, che la disgrazia era accaduta da circa tre ore, e Misciu Bestia doveva già essere bell'e arrivato in Paradiso, andò proprio per scarico di coscienza, con scale e corde, a fare il buco nella rena. Altro che quaranta carra! Lo sciancato disse che a sgomberare il sotterraneo ci voleva almeno una settimana. Della rena ne era caduta una montagna, tutta fina e ben bruciata dalla lava, che si sarebbe impastata colle mani, e dovea prendere il doppio di calce. Ce n'era da riempire delle carra per delle settimane. Il bell'affare di mastro Bestia! Nessuno badava al ragazzo che si graffiava la faccia ed urlava, come una bestia davvero. - To'! - disse infine uno. - È Malpelo! Di dove è saltato fuori, adesso? - Se non fosse stato Malpelo non se la sarebbe passata liscia... - Malpelo non rispondeva nulla, non piangeva nemmeno, scavava colle unghie colà, nella rena, dentro la buca, sicché nessuno s'era accorto di lui; e quando si accostarono col lume, gli videro tal viso stravolto, e tali occhiacci invetrati, e la schiuma alla bocca da far paura; le unghie gli si erano strappate e gli pendevano dalle mani tutte in sangue. Poi quando vollero toglierlo di là fu un affar serio; non potendo più graffiare, mordeva come un cane arrabbiato, e dovettero afferrarlo pei capelli, per tirarlo via a viva forza. Però infine tornò alla cava dopo qualche giorno, quando sua madre piagnucolando ve lo condusse per mano; giacché, alle volte, il pane che si mangia non si può andare a cercarlo di qua e di là. Lui non volle più allontanarsi da quella galleria, e sterrava con accanimento, quasi ogni corbello di rena lo levasse di sul petto a suo padre. Spesso, mentre scavava, si fermava bruscamente, colla zappa in aria, il viso torvo e gli occhi stralunati, e sembrava che stesse ad ascoltare qualche cosa che il suo diavolo gli susurrasse nelle orecchie, dall'altra parte della montagna di rena caduta. In quei giorni era più tristo e cattivo del solito, talmente che non mangiava quasi, e il pane lo buttava al cane, quasi non fosse grazia di Dio. Il cane gli voleva bene, perché i cani non guardano altro che la mano che gli dà il pane, e le botte, magari. Ma l'asino, povera bestia, sbilenco e macilento, sopportava tutto lo sfogo della cattiveria di Malpelo; ei lo picchiava senza pietà, col manico della zappa, e borbottava: - Così creperai più presto! - Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si tengono coll'anello di ferro al naso. Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile, e se accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una gamba, o che crollava un tratto di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la Vittoria Paiano - 14 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 schiena, ma seguitano a fare a modo loro. Cogli altri ragazzi poi era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui deboli di tutto il male che s'immaginava gli avessero fatto gli altri, a lui e al suo babbo. Certo ei provava uno strano diletto a rammentare ad uno ad uno tutti i maltrattamenti ed i soprusi che avevano fatto subire a suo padre, e del modo in cui l'avevano lasciato crepare. E quando era solo borbottava: - Anche con me fanno così! e a mio padre gli dicevano Bestia, perché egli non faceva così! - E una volta che passava il padrone, accompagnandolo con un'occhiata torva: - È stato lui! per trentacinque tarì! - E un'altra volta, dietro allo Sciancato: - E anche lui! e si metteva a ridere! Io l'ho udito, quella sera! Per un raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta da un ponte s'era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. Il poveretto, quando portava il suo corbello di rena in spalla, arrancava in modo che gli avevano messo nome Ranocchio; ma lavorando sotterra, così Ranocchio com'era, il suo pane se lo buscava. Malpelo gliene dava anche del suo, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano. Infatti egli lo tormentava in cento modi. Ora lo batteva senza un motivo e senza misericordia, e se Ranocchio non si difendeva, lo picchiava più forte, con maggiore accanimento, dicendogli: - To', bestia! Bestia sei! Se non ti senti l'animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello! O se Ranocchio si asciugava il sangue che gli usciva dalla bocca e dalle narici: - Così, come ti cuocerà il dolore delle busse, imparerai a darne anche tu! - Quando cacciava un asino carico per la ripida salita del sotterraneo, e lo vedeva puntare gli zoccoli, rifinito, curvo sotto il peso, ansante e coll'occhio spento, ei lo batteva senza misericordia, col manico della zappa, e i colpi suonavano secchi sugli stinchi e sulle costole scoperte. Alle volte la bestia si piegava in due per le battiture, ma stremo di forze, non poteva fare un passo, e cadeva sui ginocchi, e ce n'era uno il quale era caduto tante volte, che ci aveva due piaghe alle gambe. Malpelo soleva dire a Ranocchio: - L'asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s'ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi -. Oppure: - Se ti accade di dar delle busse, procura di darle più forte che puoi; così gli altri ti terranno da conto, e ne avrai tanti di meno addosso -. Lavorando di piccone o di zappa poi menava le mani con accanimento, a mo' di uno che l'avesse con la rena, e batteva e ribatteva coi denti stretti, e con quegli ah! ah! che aveva suo padre. - La rena è traditora, - diceva a Ranocchio sottovoce; - somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere. Mio padre la batteva sempre, ed egli non batteva altro che la rena, perciò lo chiamavano Bestia, e la rena se lo mangiò a tradimento, perché era più forte di lui -. Ogni volta che a Ranocchio toccava un lavoro troppo pesante, e il ragazzo piagnucolava a guisa di una femminuccia, Malpelo lo picchiava sul dorso, e lo sgridava: - Taci, pulcino! - e se Ranocchio non la finiva più, ei gli dava una mano, dicendo con un certo orgoglio: - Lasciami fare; io sono più forte di te - Oppure gli dava la sua mezza cipolla, e si contentava di mangiarsi il pane asciutto, e si stringeva nelle spalle, aggiungendo: - Io ci sono avvezzo -. Era avvezzo a tutto lui, agli scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o di cinghia da basto, a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui sassi colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro; anche a digiunare era avvezzo, allorché il padrone lo puniva levandogli il pane o la minestra. Ei diceva che la razione di busse non gliel'aveva levata mai, il padrone; ma le busse non costavano nulla. Non si lamentava però, e si vendicava di soppiatto, a tradimento, con qualche tiro di quelli che sembrava ci avesse messo la coda il diavolo: perciò ei si pigliava sempre i castighi, anche quando il colpevole non era stato lui. Già se non era stato lui sarebbe stato capace di esserlo, e non si giustificava mai: per altro sarebbe stato inutile. E qualche volta, come Ranocchio spaventato lo scongiurava piangendo di dire la verità, e di scolparsi, ei ripeteva: - A che giova? Sono malpelo! - e nessuno avrebbe potuto dire se quel curvare il capo e le spalle sempre fosse effetto di fiero orgoglio o di disperata rassegnazione, e non si sapeva nemmeno se la sua fosse salvatichezza o timidità. Il certo era che nemmeno sua madre aveva avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai. Il sabato sera, appena arrivava a casa con quel suo visaccio imbrattato di lentiggini e di rena rossa, e quei cenci che gli piangevano addosso da ogni parte, la sorella afferrava il manico della scopa, scoprendolo sull'uscio in quell'arnese, ché avrebbe fatto scappare il suo damo se vedeva con qual gente gli toccava imparentarsi; la madre era sempre da questa o da quella vicina, e quindi egli andava a rannicchiarsi sul suo saccone come un cane malato. Per questo, la domenica, in cui tutti gli altri ragazzi del vicinato si mettevano la camicia pulita per andare a messa o per ruzzare nel cortile, ei Vittoria Paiano - 15 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 sembrava non avesse altro spasso che di andar randagio per le vie degli orti, a dar la caccia alle lucertole e alle altre povere bestie che non gli avevano fatto nulla, oppure a sforacchiare le siepi dei fichidindia. Per altro le beffe e le sassate degli altri fanciulli non gli piacevano. La vedova di mastro Misciu era disperata di aver per figlio quel malarnese, come dicevano tutti, ed egli era ridotto veramente come quei cani, che a furia di buscarsi dei calci e delle sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda fra le gambe e scappare alla prima anima viva che vedono, e diventano affamati, spelati e selvatici come lupi. Almeno sottoterra, nella cava della rena, brutto, cencioso e lercio com'era, non lo beffavano più, e sembrava fatto apposta per quel mestiere persin nel colore dei capelli, e in quegli occhiacci di gatto che ammiccavano se vedevano il sole. Così ci sono degli asini che lavorano nelle cave per anni ed anni senza uscirne mai più, ed in quei sotterranei, dove il pozzo d'ingresso è a picco, ci si calan colle funi, e ci restano finché vivono. Sono asini vecchi, è vero, comprati dodici o tredici lire, quando stanno per portarli alla Plaja, a strangolarli; ma pel lavoro che hanno da fare laggiù sono ancora buoni; e Malpelo, certo, non valeva di più; se veniva fuori dalla cava il sabato sera, era perché aveva anche le mani per aiutarsi colla fune, e doveva andare a portare a sua madre la paga della settimana. Certamente egli avrebbe preferito di fare il manovale, come Ranocchio, e lavorare cantando sui ponti, in alto, in mezzo all'azzurro del cielo, col sole sulla schiena, - o il carrettiere, come compare Gaspare, che veniva a prendersi la rena della cava, dondolandosi sonnacchioso sulle stanghe, colla pipa in bocca, e andava tutto il giorno per le belle strade di campagna; - o meglio ancora, avrebbe voluto fare il contadino, che passa la vita fra i campi, in mezzo ai verde, sotto i folti carrubbi, e il mare turchino là in fondo, e il canto degli uccelli sulla testa. Ma quello era stato il mestiere di suo padre, e in quel mestiere era nato lui. E pensando a tutto ciò, narrava a Ranocchio del pilastro che era caduto addosso al genitore, e dava ancora della rena fina e bruciata che il carrettiere veniva a caricare colla pipa in bocca, e dondolandosi sulle stanghe, e gli diceva che quando avrebbero finito di sterrare si sarebbe trovato il cadavere del babbo, il quale doveva avere dei calzoni di fustagno quasi nuovi. Ranocchio aveva paura, ma egli no. Ei pensava che era stato sempre là, da bambino, e aveva sempre visto quel buco nero, che si sprofondava sotterra, dove il padre soleva condurlo per mano. Allora stendeva le braccia a destra e a sinistra, e descriveva come l'intricato laberinto delle gallerie si stendesse sotto i loro piedi all'infinito, di qua e di là, sin dove potevano vedere la sciara nera e desolata, sporca di ginestre riarse, e come degli uomini ce n'erano rimasti tanti, o schiacciati, o smarriti nel buio, e che camminano da anni e camminano ancora, senza poter scorgere lo spiraglio del pozzo pel quale sono entrati, e senza poter udire le strida disperate dei figli, i quali li cercano inutilmente. Ma una volta in cui riempiendo i corbelli si rinvenne una delle scarpe di mastro Misciu, ei fu colto da tal tremito che dovettero tirarlo all'aria aperta colle funi, proprio come un asino che stesse per dar dei calci al vento. Però non si poterono trovare né i calzoni quasi nuovi, né il rimanente di mastro Misciu; sebbene i pratici affermarono che quello dovea essere il luogo preciso dove il pilastro gli si era rovesciato addosso; e qualche operaio, nuovo al mestiere, osservava curiosamente come fosse capricciosa la rena, che aveva sbatacchiato il Bestia di qua e di là, le scarpe da una parte e i piedi dall'altra. Dacché poi fu trovata quella scarpa, Malpelo fu colto da tal paura di veder comparire fra la rena anche il piede nudo del babbo, che non volle mai più darvi un colpo di zappa, gliela dessero a lui sul capo, la zappa. Egli andò a lavorare in un altro punto della galleria, e non volle più tornare da quelle parti. Due o tre giorni dopo scopersero infatti il cadavere di mastro Misciu, coi calzoni indosso, e steso bocconi che sembrava imbalsamato. Lo zio Mommu osservò che aveva dovuto penar molto a finire, perché il pilastro gli si era piegato proprio addosso, e l'aveva sepolto vivo: si poteva persino vedere tutt'ora che mastro Bestia avea tentato istintivamente di liberarsi scavando nella rena, e avea le mani lacerate e le unghie rotte. - Proprio come suo figlio Malpelo! - ripeteva lo sciancato - ei scavava di qua, mentre suo figlio scavava di là -. Però non dissero nulla al ragazzo, per la ragione che lo sapevano maligno e vendicativo. Il carrettiere si portò via il cadavere di mastro Misciu al modo istesso che caricava la rena caduta e gli asini morti, ché stavolta, oltre al lezzo del carcame, trattavasi di un compagno, e di carne battezzata. La vedova rimpiccolì i calzoni e la camicia, e li adattò a Malpelo, il quale così fu vestito quasi a nuovo per la prima volta. Solo le scarpe furono messe in serbo per quando ei fosse cresciuto, giacché rimpiccolire le scarpe non si potevano, e il fidanzato della sorella non le aveva volute le scarpe del morto. Malpelo se li lisciava sulle gambe, quei calzoni di fustagno quasi nuovi, gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli, quantunque fossero così ruvide e callose. Le scarpe poi, le teneva appese a un chiodo, sul saccone, quasi fossero state le pantofole del Vittoria Paiano - 16 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l'una accanto all'altra, e stava a guardarle, coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme, per delle ore intere, rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio. Ei possedeva delle idee strane, Malpelo! Siccome aveva ereditato anche il piccone e la zappa del padre, se ne serviva, quantunque fossero troppo pesanti per l'età sua; e quando gli aveano chiesto se voleva venderli, che glieli avrebbero pagati come nuovi, egli aveva risposto di no. Suo padre li aveva resi così lisci e lucenti nel manico colle sue mani, ed ei non avrebbe potuto farsene degli altri più lisci e lucenti di quelli, se ci avesse lavorato cento e poi cento anni. In quel tempo era crepato di stenti e di vecchiaia l'asino grigio; e il carrettiere era andato a buttarlo lontano nella sciara. - Così si fa, - brontolava Malpelo; - gli arnesi che non servono più, si buttano lontano -. Egli andava a visitare il carcame del grigio in fondo al burrone, e vi conduceva a forza anche Ranocchio, il quale non avrebbe voluto andarci; e Malpelo gli diceva che a questo mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa, bella o brutta; e stava a considerare con l'avida curiosità di un monellaccio i cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni del grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, e si aggiravano ustolando sui greppi dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che Ranocchio li scacciasse a sassate. - Vedi quella cagna nera, - gli diceva, - che non ha paura delle tue sassate? Non ha paura perché ha più fame degli altri. Gliele vedi quelle costole al grigio? Adesso non soffre più -. L'asino grigio se ne stava tranquillo, colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie profonde, e a spolpargli le ossa bianche; i denti che gli laceravano le viscere non lo avrebbero fatto piegare di un pelo, come quando gli accarezzavano la schiena a badilate, per mettergli in corpo un po' di vigore nel salire la ripida viuzza. - Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche; anch'esso quando piegava sotto il peso, o gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava dicesse: «Non più! non più!». Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso se ne ride dei colpi e delle guidalesche, con quella bocca spolpata e tutta denti. Ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio -. La sciara si stendeva malinconica e deserta, fin dove giungeva la vista, e saliva e scendeva in picchi e burroni, nera e rugosa, senza un grillo che vi trillasse, o un uccello che venisse a cantarci. Non si udiva nulla, nemmeno i colpi di piccone di coloro che lavoravano sotterra. E ogni volta Malpelo ripeteva che la terra lì sotto era tutta vuota dalle gallerie, per ogni dove, verso il monte e verso la valle; tanto che una volta un minatore c'era entrato da giovane, e n'era uscito coi capelli bianchi, e un altro, cui s'era spenta la candela, aveva invano gridato aiuto per anni ed anni. - Egli solo ode le sue stesse grida! - diceva, e a quell'idea, sebbene avesse il cuore più duro della sciara, trasaliva. - Il padrone mi manda spesso lontano, dove gli altri hanno paura d'andare. Ma io sono Malpelo, e se non torno più, nessuno mi cercherà -. Pure, durante le belle notti d'estate, le stelle splendevano lucenti anche sulla sciara, e la campagna circostante era nera anch'essa, come la lava, ma Malpelo, stanco della lunga giornata di lavoro, si sdraiava sul sacco, col viso verso il cielo, a godersi quella quiete e quella luminaria dell'alto; perciò odiava le notti di luna, in cui il mare formicola di scintille, e la campagna si disegna qua e là vagamente - perché allora la sciara sembra più bella e desolata. - Per noi che siamo fatti per vivere sotterra, - pensava Malpelo, - dovrebbe essere buio sempre e da per tutto -. La civetta strideva sulla sciara, e ramingava di qua e di là; ei pensava: - Anche la civetta sente i morti che son qua sotterra, e si dispera perché non può andare a trovarli -. Ranocchio aveva paura delle civette e dei pipistrelli; ma il Rosso lo sgridava, perché chi è costretto a star solo non deve aver paura di nulla, e nemmeno l'asino grigio aveva paura dei cani che se lo spolpavano, ora che le sue carni non sentivano più il dolore di esser mangiate. - Tu eri avvezzo a lavorar sui tetti come i gatti, - gli diceva, - e allora era tutt'altra cosa. Ma adesso che ti tocca a viver sotterra, come i topi, non bisogna più aver paura dei topi, né dei pipistrelli, che son topi vecchi con le ali; quelli ci stanno volentieri in compagnia dei morti -. Ranocchio invece provava una tale compiacenza a spiegargli quel che ci stessero a far le stelle lassù in alto; e gli raccontava che lassù c'era il paradiso, dove vanno a stare i morti che sono stati buoni, e non hanno dato dispiaceri ai loro genitori. - Chi te l'ha detto? - domandava Malpelo, e Ranocchio rispondeva che glielo aveva detto la mamma. Allora Malpelo si grattava il capo, e sorridendo gli faceva un certo verso da monellaccio malizioso che la sa lunga. - Tua madre ti dice così perché, invece dei calzoni, tu dovresti portar la gonnella -. Vittoria Paiano - 17 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 E dopo averci pensato un po': - Mio padre era buono, e non faceva male a nessuno, tanto che lo chiamavano Bestia. Invece è là sotto, ed hanno persino trovato i ferri, le scarpe e questi calzoni qui che ho indosso io -. Da lì a poco, Ranocchio, il quale deperiva da qualche tempo, si ammalò in modo che la sera dovevano portarlo fuori dalla cava sull'asino, disteso fra le corbe, tremante di febbre come un pulcin bagnato. Un operaio disse che quel ragazzo non ne avrebbe fatto osso duro a quel mestiere, e che per lavorare in una miniera, senza lasciarvi la pelle, bisognava nascervi. Malpelo allora si sentiva orgoglioso di esserci nato, e di mantenersi così sano e vigoroso in quell'aria malsana, e con tutti quegli stenti. Ei si caricava Ranocchio sulle spalle, e gli faceva animo alla sua maniera, sgridandolo e picchiandolo. Ma una volta, nel picchiarlo sul dorso, Ranocchio fu colto da uno sbocco di sangue; allora Malpelo spaventato si affannò a cercargli nel naso e dentro la bocca cosa gli avesse fatto, e giurava che non avea potuto fargli poi gran male, così come l'aveva battuto, e a dimostrarglielo, si dava dei gran pugni sul petto e sulla schiena, con un sasso; anzi un operaio, lì presente, gli sferrò un gran calcio sulle spalle: un calcio che risuonò come su di un tamburo, eppure Malpelo non si mosse, e soltanto dopo che l'operaio se ne fu andato, aggiunse: - Lo vedi? Non mi ha fatto nulla! E ha picchiato più forte di me, ti giuro! - Intanto Ranocchio non guariva, e seguitava a sputar sangue, e ad aver la febbre tutti i giorni. Allora Malpelo prese dei soldi della paga della settimana, per comperargli del vino e della minestra calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi, che lo coprivano meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre, e alcune volte sembrava soffocasse; la sera poi non c'era modo di vincere il ribrezzo della febbre, né con sacchi, né coprendolo di paglia, né mettendolo dinanzi alla fiammata. Malpelo se ne stava zitto ed immobile, chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci spalancati, quasi volesse fargli il ritratto, e allorché lo udiva gemere sottovoce, e gli vedeva il viso trafelato e l'occhio spento, preciso come quello dell'asino grigio allorché ansava rifinito sotto il carico nel salire la viottola, egli borbottava: - È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi! - E il padrone diceva che Malpelo era capace di schiacciargli il capo, a quel ragazzo, e bisognava sorvegliarlo. Finalmente un lunedì Ranocchio non venne più alla cava, e il padrone se ne lavò le mani, perché allo stato in cui era ridotto oramai era più di impiccio che altro. Malpelo si informò dove stesse di casa, e il sabato andò a trovarlo. Il povero Ranocchio era più di là che di qua; sua madre piangeva e si disperava come se il figliuolo fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana. Cotesto non arrivava a comprenderlo Malpelo, e domandò a Ranocchio perché sua madre strillasse a quel modo, mentre che da due mesi ei non guadagnava nemmeno quel che si mangiava. Ma il povero Ranocchio non gli dava retta; sembrava che badasse a contare quanti travicelli c'erano sul tetto. Allora il Rosso si diede ad almanaccare che la madre di Ranocchio strillasse a quel modo perché il suo figliuolo era sempre stato debole e malaticcio, e l'aveva tenuto come quei marmocchi che non si slattano mai. Egli invece era stato sano e robusto, ed era malpelo, e sua madre non aveva mai pianto per lui, perché non aveva mai avuto timore di perderlo. Poco dopo, alla cava dissero che Ranocchio era morto, ed ei pensò che la civetta adesso strideva anche per lui la notte, e tornò a visitare le ossa spolpate del grigio, nel burrone dove solevano andare insieme con Ranocchio. Ora del grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche di Ranocchio sarebbe stato così. Sua madre si sarebbe asciugati gli occhi, poiché anche la madre di Malpelo s'era asciugati i suoi, dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata un'altra volta, ed era andata a stare a Cifali colla figliuola maritata, e avevano chiusa la porta di casa. D'ora in poi, se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a lui nemmeno, ché quando sarebbe divenuto come il grigio o come Ranocchio, non avrebbe sentito più nulla. Verso quell'epoca venne a lavorare nella cava uno che non s'era mai visto, e si teneva nascosto il più che poteva. Gli altri operai dicevano fra di loro che era scappato dalla prigione, e se lo pigliavano ce lo tornavano a chiudere per anni ed anni. Malpelo seppe in quell'occasione che la prigione era un luogo dove si mettevano i ladri, e i malarnesi come lui, e si tenevano sempre chiusi là dentro e guardati a vista. Da quel momento provò una malsana curiosità per quell'uomo che aveva provata la prigione e ne era scappato. Dopo poche settimane però il fuggitivo dichiarò chiaro e tondo che era stanco di quella vitaccia da talpa, e piuttosto si contentava di stare in galera tutta la vita, ché la prigione, in confronto, era un paradiso, e preferiva tornarci coi suoi piedi. Vittoria Paiano - 18 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 - Allora perché tutti quelli che lavorano nella cava non si fanno mettere in prigione? - domandò Malpelo. - Perché non sono malpelo come te! - rispose lo Sciancato. - Ma non temere, che tu ci andrai! e ci lascerai le ossa! - Invece le ossa le lasciò nella cava, Malpelo come suo padre, ma in modo diverso. Una volta si doveva esplorare un passaggio che doveva comunicare col pozzo grande a sinistra, verso la valle, e se la cosa andava bene, si sarebbe risparmiata una buona metà di mano d'opera nel cavar fuori la rena. Ma a ogni modo, però, c'era il pericolo di smarrirsi e di non tornare mai più. Sicché nessun padre di famiglia voleva avventurarcisi, né avrebbe permesso che si arrischiasse il sangue suo, per tutto l'oro del mondo. Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Allora, nel partire, si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui. Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi. Per capire il testo Pubblicata nel 1880 nella raccolta Vita dei campi, questa novella è considerata la più rappresentativa del Verismo verghiano. In essa lo scrittore, attraverso la vicenda del protagonista Rosso Malpelo, un povero ragazzo orfano dai capelli rossi che lavora in una cava di sabbia della Sicilia, descrive la durezza delle condizioni di vita e la realtà di sfruttamento della gente siciliana. Questo è un esempio di testo descrittivo; in questo brano è molto forte la componente descrittiva, che riguarda sia i luoghi che i personaggi. 1. Riferendoti al testo, completa la seguente tabella di descrizione di Rosso Malpelo. Aspetto fisico Carattere Situazione familare Attività lavorativa Classe sociale Vittoria Paiano - 19 - Garamond 2009

La parola, il testo Sezione 1, Unità 1 2. Descrivi Rosso Malpelo seguendo lo schema di Descrizione di una persona. -------- -------- -------- -------- -------- -------- -------- -------- -------- -------- 3. Fai una descrizione soggettiva della cava in cui lavora Rosso Malpelo seguendo lo schema Descrizione di un luogo-ambiente interno. -------- -------- -------- -------- -------- -------- -------- -------- 3. Le caratteristiche linguistiche del testo -------- -------- -------- -------- -------- -------- -------- 4. Scegli tra le parole in parentesi, quella che ti sembra corretta. Verga utilizza un discorso (diretto/ indiretto libero), riferendo i discorsi e i pensieri dei personaggi (indirettamente/ direttamente), ma riportandone le stesse parole. Questa tecnica da immediatezza al racconto, conferendo (minore/maggiore) realismo. L autore adopera, inoltre, uno stile (connotativo/denotativo), riportando fatti e situazioni in modo (oggettivo/ soggettivo), nonostante la crudezza delle stesse situazioni. È possibile individuare alcune (metafore/ similitudini), volte ad assimilare il personaggio di Rosso Malpelo ad un animale o a una delle bestie da soma della cava. Verga si serve di un linguaggio risultato dalla fusione di lingua italiana ed espressioni, elementi sintattici, locuzioni, immagini e similitudini mutuati dalla parlata regionale (siciliana/ calabrese). Il lessico è costituito da vocaboli italiani o derivati dal (dialetto/ italiano colto), oltre a pochi termini veramente (italiani/ dialettali), in particolare appellativi e soprannomi, come Zio Mommu, Mastro Misciu). Nel testo prevalgono per la quasi totalità periodi piuttosto (brevi/ lunghi), composti da proposizioni verbali collegate per (coordinazione/subordinazione) e la struttura delle frasi rispecchia così la parlata popolare. Vittoria Paiano - 20 - Garamond 2009