Convivente muore in un incidente stradale: risarcimento ai coniugi di fatto I convenuti si erano costituiti in giudizio e il Giudice di primo grado, espletata l istruttoria, aveva respinto le domande attoree per la morte del convivente Con l ordinanza n. 18658 depositata il 13 luglio 2018 la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha stabilito quali siano i limiti perché possa legittimamente avanzarsi la richiesta di risarcimento del danno, iure proprio e iure hereditatis, per il decesso del convivente che sia estraneo al nucleo familiare. I fatti. La Corte di Appello di Firenze, nel rigettare l appello principale, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Grosseto, aveva respinto la domanda risarcitoria, proposta dai coniugi L. V. e L. M., quali eredi testamentari di M. N., con loro convivente, in conseguenza del decesso della stessa avvenuto alcune ore dopo il sinistro, occorso alla stessa. Era accaduto che, in data 29 novembre 1995, M. N., componente di fatto della famiglia dei coniugi, nel corso di un sinistro stradale, che aveva interessato l autovettura Fiat 127 condotta da M. V., nella quale la N. viaggiava da
trasportata, aveva riportato lesioni personali mortali. Il relativo processo penale, promosso nei confronti del V. e del conducente l altro veicolo coinvolto nel sinistro, si era concluso con sentenza con la quale il Tribunale di Grosseto, ritenuta la pari responsabilità degli imputati nella causazione del sinistro, aveva condannato entrambi per omicidio colposo. Detta sentenza era stata confermata dalla Corte territoriale ed era quindi passata in giudicato. A seguito di tanto i coniugi avevano convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, il conducente l altro veicolo, l Amministrazione provinciale di Grosseto e l Assitalia S.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti all intervenuto sinistro. I convenuti si erano costituiti in giudizio e il Giudice di primo grado, espletata l istruttoria, con sentenza aveva respinto le domande attoree, dichiarando compensate tra le parti le spese di giudizio. Avverso la sentenza della Corte territoriale propongono ricorso i coniugi, articolando quattro motivi. L ambito soggettivo della richiesta risarcitoria. Lamentano i ricorrenti il fatto che la Corte territoriale ha loro negato il diritto ad ottenere, iure proprio, il risarcimento del danno non patrimoniale subito a seguito della morte della N.. In particolare, si dolgono che la Corte d appello anche se ha riconosciuto che al mero convivente può essere riconosciuta tutela risarcitoria ogniqualvolta venga a crearsi quella comunanza stretta di affetti tipica dei coniugi, ha contraddittoriamente escluso rilevanza alla circostanza che la persona deceduta sia o meno trattata come un parente dagli altri componenti della famiglia. In sostanza il giudice di secondo grado ha erroneamente ristretto ai familiari di
sangue, o al più al convivente more uxorio della vittima, l ambito soggettivo dei destinatari della tutela risarcitoria. Sottolineano, però, che dall espletata istruttoria era risultata provata la circostanza che la donna era stabilmente inserita, da molti anni, nel nucleo della loro famiglia ed era trattata come vero e proprio stretto congiunto. L equiparazione per il diritto penale tra prossimi congiunti e persone legate alla stessa da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente. Ebbene secondo gli Ermellini, la censura dei ricorrenti è fondata, partendo dal fatto che il d. Igs. n. 212/2015, all art. 1, ha apportato rilevanti modifiche all art. 90 c.p.p., stabilendo in particolare che, in caso di decesso di persona offesa in conseguenza del reato, le facoltà ed i diritti previsti dalla legge possono essere esercitati e fatti valere non soltanto dai «prossimi congiunti» della stessa, ma anche «da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente». Il legislatore penale, quindi, nel disciplinare i diritti della persona offesa dal reato, ha equiparato ai prossimi congiunti quei soggetti che, pur non legati da un rapporto di parentela con la persona offesa dal reato, siano alla stessa legati da «relazione affettiva» e da «stabile convivenza». Nel campo civile, proprio la stessa Sezione della Corte, dopo aver ricordato che: «Il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare» ha significativamente aggiunto: «Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che
sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell art. 2 Cost.. (Sez. 3, Sentenza n. 4253 del 16/03/2012, Rv. 621634 01). E ancora più di recente è stato precisato che: «Integra di per sé un danno risarcibile ex art. 2059 cod. civ. giacché lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell art. 2 Cost. il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti». Ebbene, secondo i Supremi giudici, di tali principi di diritto la Corte territoriale non ha fatto buon governo nel caso de quo, poiché è risultato dalla espletata prova testimoniale che la N. era da anni stabilmente inserita nel nucleo di quella famiglia, nell ambito della quale era trattata e considerata alla stregua di uno stretto congiunto. Significativi, secondo la Corte, dello stretto legame affettivo esistente tra i componenti della suddetta famiglia e la N. e del fatto che quest ultima era socialmente percepita come un effettivo componente della famiglia sono i telegrammi di cordoglio ricevuti dagli odierni ricorrenti dopo il decesso della stessa. Ogni forma di convivenza con una persona consente il risarcimento? Il danno iure proprio La Cassazione non intende affatto affermare il principio che qualunque forma di convivenza con persona, estranea al nucleo familiare, consenta il risarcimento, ma tanto ritiene di dover affermare nel caso in esame, nel quale dalle acquisite
risultanze istruttorie è inequivocabilmente emerso che i coniugi erano legati da stretto, forte e stabile rapporto affettivo con la N., rispetto alla quale, per la comunanza di vita e per la convivenza di tipo relazionale affettivo, particolarmente intensa, risultata esservi tra loro, si ponevano come familiari di fatto. e il danno iure hereditatis. Con altro motivo i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale, richiamando la sentenza n. 15350/2015 delle Sezioni Unite, ha negato il loro diritto ad ottenere, iure hereditatis, il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla N. in conseguenza delle lesioni che ne determinarono poi il decesso. Si dolgono altresì che la Corte territoriale ha loro negato anche il diritto al risarcimento del danno morale subito dalla N., sul presupposto che detto danno sarebbe ad essi spettato iure hereditatis mentre loro lo avevano chiesto iure proprio. Anche le suddette censure sono state ritenute fondate dalla Corte, essendo jus receptum nella giurisprudenza della medesima Corte che il danno biologico terminale è configurabile in tutti i casi in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte (cfr. Cass., n. 15350/2015) e che in capo agli eredi è altresì configurabile, a titolo di danno morale, il danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, rendendosi conto della gravità del proprio stato e dell approssimarsi della morte (cfr., tra le più recenti, la Cass., n. 901/2018). Ed è proprio ciò che è avvenuto nel caso di specie, nel quale dalle risultanze processuali è emerso che: a) la N., rimasta vittima del sinistro la mattina del 29 novembre 1995, è stata ricoverata con diagnosi di ingresso di politraumatizzato in stato di shock presso l Ospedale di
Pitigliano, dove, dopo essere stata sottoposta ad intervento chirurgico e ad esami radiografici, è stata condotta nella stanza di terapia intensiva; b) la N. nelle ultime ore di vita è rimasta cosciente, lamentandosi per il dolore e riconoscendo le persone presenti intorno a lei; c) tra il momento del sinistro e il momento della morte della N. sono decorse complessivamente 6/7 ore. Secondo gli Ermellini, la N., proprio in quanto sopravvissuta al sinistro per un appezzabile lasso di tempo, nel corso del quale non ha perso la coscienza, ha acquisito al suo patrimonio il diritto al risarcimento del danno terminale subito, diritto che con la sua morte ha poi trasmesso ai ricorrenti, che, fin dall atto di citazione, introduttivo del giudizio di primo grado, avevano sostanzialmente richiesto di ottenere, iure hereditatis, il risarcimento del danno non patrimoniale, patito dalla N., unitariamente considerato ai sensi della sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite. Quindi la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, perché, riconosciuto il diritto degli odierni ricorrenti ad ottenere jure hereditatis il risarcimento per il danno biologico e morale terminale sofferto dalla N., per lesione della sua integrità psicofisica e per le sofferenze che ne sono seguite, proceda alla relativa liquidazione. Per i motivi che precedono la sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, perché la stessa proceda alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale, ad essi spettante jure proprio e del danno biologico terminale, ad essi spettante jure hereditatis. Avv. Maria Teresa De Luca Leggi anche:
L OMESSA INFORMAZIONE LEDE IL PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE