Uno La prima volta che ho avuto le visioni è stato al torneo di Biarritz. Ero alla nona partita ma non ero stanca, o almeno non cosí fusa da scivolare fuori dal mondo reale. L ultima cosa che ricordo è il tic del mio avversario, le gambe del francese impazzite sotto il tavolo, la vibrazione di quel saltellio che viaggiava nelle assi del parquet, dalla sua sedia alla mia, come una scossa di magnitudo prossima allo zero. Un tic, o forse l effetto di un autocontrollo esasperato, l unico piccolo cedimento di una lotta senza quartiere contro ogni possibile tic. Come biasimarlo? Non credeva ai suoi occhi: mancavano quarantun secondi e io continuavo a non muovere. Quarantun secondi, trentottesima mossa e il nero indugia. La lancetta del vecchio Roland da competizione scolpita in una specie di fermo-immagine e poi ecco sparire la scacchiera, e l avversario, e gli spettatori alle nostre spalle, e le tende damascate dell Hôtel du Palais dietro i cui finestroni il fragore lontano delle onde aveva accompagnato il gioco per tutto il pomeriggio. Per uno scacchista di professione non è strano avere le visioni, soprattutto nella disciplina del blitz chess. Regine stuprate da squadracce di pedoni, scooter che scansano una portiera con la mossa del cavallo, cari estinti nonne, zie, amati pet dell infanzia che compaiono nel bel mezzo di una partita e ti parlano con la voce paranoide di Bobby Fischer. Sogni ricorrenti che si svolgono nella veglia piú assoluta. Fantasmi, presenze, ossessioni medievali, arcieri che ti accolgono con una pioggia di dardi infuocati
6 mauro covacich mentre tenti di tornare a casa. Ero stata preparata, prima o poi poteva succedere anche a me. Percezione senza oggetto, dice la neurologia, eccesso dopaminergico delle vie mesolimbiche. Qualcosa di molto simile a una saturazione dell immaginario. Nessun cervello genera tanta dopamina quanto quello di uno scacchista: il gioco stimola uno sviluppo ipertrofico della substantia nigra, l area del mesencefalo che produce l ormone suddetto. Lo so, fa sempre impressione la scienza quando avanza spavalda col suo rullio di tamburi. Però in fondo la questione è molto semplice: poca dopamina e sei depresso, tanta dopamina e sei allegro, troppa dopamina e arrivano le visioni. Il black-out è durato diciannove secondi. Nessuno si può permettere un esitazione cosí lunga in una partita di tre minuti. Ma io non stavo esitando, ero semplicemente scivolata fuori dal mondo reale, seguivo con estrema attenzione la mia prima visione. Su Gioia, muovi! ha detto il mio maestro, quando non è piú riuscito a trattenersi. Lui almeno giura di averlo detto, anche a costo di rischiare la squalifica. Io so solo che a ventisette secondi dalla fine ho sentito di nuovo tremare il parquet. Ho ritrovato il tic, poi la faccia impassibile del francese lui, la scacchiera, gli sguardi della gente e l orologio, con la sua bella lancetta scintillante che risaliva verso nord. Con due pedoni di svantaggio sono riuscita a rifugiarmi in una patta imponderabile fino a pochi secondi prima e, sorprendendo me stessa piú ancora degli altri, ho ottenuto il mezzo punto necessario per vincere il torneo. La tensione generale si è sciolta in un applauso, è venuta giú di colpo come una vetrina colpita da un sasso. Il mio avversario ha firmato e si è allontanato tra due ali di giocatori senza trovare la forza di stringermi la mano. Che soddisfazione veder perdere un francese, per di piú in casa! Io ho raccolto le stampelle prima che qualcuno osasse anticiparmi e sono andata a consegnare il formulario.
l esperimento 7 Seimila euro esentasse per la mademoiselle italienne Gioia Husich, peraltro favorita da quattro pronostici su cinque. La visione mi ha lasciato un senso di nausea e freddo, la stessa sensazione di quando ti scappa troppo wasabi nella salsa di soia e il sapore del sushi ti assale a rasoiate dietro la fronte. Dovrai lavorarci, Gioia, mi ha detto il maestro all aeroporto di Trieste, poco prima di separarci sui taxi che ci avrebbero portato a casa. Dovrai lavorarci, solo questo. Senza nemmeno chiedermi che cosa ho visto. Ovviamente, quando i miei genitori hanno deciso di chiamarmi Gioia, stavo ancora ben nascosta nell utero di mia madre, e a nessuno era venuto in mente di proporre un amniocentesi a una donna che aveva già partorito due bambine perfette.
Due La regina entra in casa coi capelli intrisi del fresco di fuori. Io la vedo solo dal momento in cui varca la soglia con il casco in mano, ma sento bene l odore dell aria, la corsa in motorino che ha appena preceduto il suo ingresso in soggiorno col giubbotto da aviatore chiuso fino al collo, la borsa del lavoro su una spalla, la sacca della piscina sull altra. Il suo saluto squillante ciao come va?! detto con la chiave ancora nella toppa, coglie il re in contropiede nonostante l infinito ripetersi di questi ritorni. Il re sapeva bene che la regina stava per rientrare ha acceso la tv e si è disteso sul divano proprio perché conosce gli orari della regina eppure non trova di meglio che un sorriso a labbra strette, la risposta a cui solo un idiota attribuirebbe un segno positivo. Lei appoggia le borse e gli si siede accanto. Ha le gote rosse per il freddo. Anche i capelli sono rossi, con un riflesso paglierino quelli asciugati dal vento, mentre quelli rimasti bagnati sotto il casco hanno lo stesso colore dei campi da tennis dopo un acquazzone e sanno ancora di cloro. Gli depone un piccolo bacio sulla bocca e gli dice che stasera in piscina ha incontrato di nuovo Salutina. Lui piega le gambe a ponte per farle posto sul divano e lei racconta. Si era sbagliata: la bambina è piú piccola, avrà suppergiú otto anni. Ha ancora quel corpo da focona, senza fianchi, senza vita, senza niente, la carne soda delle braccia, la pancia che riempie il costume e poi un giorno là in alto si separerà in due seni ma adesso è ancora un tutt uno con la
l esperimento 9 patatina e il petto, la convessità compatta di un organismo in espansione. Salutina è sempre sola. In spogliatoio le altre bambine vengono asciugate e vestite dalle mamme. Lei si arrangia. Sciacqua le ciabatte, sistema l accappatoio nello zaino, impiega interi minuti a pareggiare i cordini del cappuccio della tuta. Esce ben dopo le sue compagne, quando ormai nello spogliatoio cominciano a entrare le donne del corso di gym-nuoto. E uscendo, saluta anche questa volta ha detto un bel Arrivederci! una bambina che saluta. Lo fa spontaneamente, non sta appiccicata al braccio della madre con lo sguardo torvo dei suoi coetanei: Salutina arriva e se ne va senza madre, nessuno le intima di salutare. Ma il suo arrivederci lo ripete anche alle impiegate della reception. La regina dice che stasera lo ha sentito tintinnare oltre la porta come un campanellino d argento. Dice che le piacerebbe sapere dove va quella bambina quando esce dalla piscina, se abita vicino, se a casa trova una famiglia, una cena calda. Dice che oggi non ha resistito e l ha inseguita fuori per vedere se era venuto a prenderla qualcuno e invece l ha vista allontanarsi tutta sola. Dice che quello zaino che si rimpiccioliva nell oscurità del controviale le ha fatto pensare che Salutina è la bambina piú coraggiosa del mondo. Il re abbraccia a lungo la regina. Poi, mentre lei mette a bollire i filetti di platessa e le verdure, va in bagno a piangere.