C.T. Prov. Roma 26.11.2010 n. 446/16/10. Svolgimento del processo - Motivi della decisione



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C.T. Prov. Roma 26.11.2010 n. 446/16/10 Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso spedito alla Commissione in data 12.7.08 la sig.ra (Omissis) ha impugnato la cartella esattoriale n. ( ) - avente ad oggetto le somme risultate dovute per Iva, interessi e sanzioni a seguito del controllo automatizzato della dichiarazione Mod. Unico 2005 presentata per l'anno d'imposta 2004 effettuato ai sensi dell'art. 36 bis del D.P.R. n. 600/73 e/o dell'art. 54 bis del D.P.R. n. 633/72 - ed asserisce che le somme iscritte a ruolo conseguono al mancato riconoscimento del credito Iva per Euro 4.470,00 nascente dalla dichiarazione Mod. Unico 2003 per l'anno d'imposta 2002 e non riportato nella dichiarazione Mod. Unico 2004 per l'anno d'imposta 2003 perché non trasmessa per un mero disguido del professionista. Nonostante l'omessa trasmissione della dichiarazione per l'anno 2003 la ricorrente ribadisce che il credito Iva sussiste come dichiarato nel Mod. Unico 2003 e ne va tenuto conto in ogni caso: pertanto la ricorrente chiede il riconoscimento del credito per Euro 3.965,00 - così ridottosi a seguito dell'iva a debito maturata nel 2003 - e l'annullamento dell'atto impugnato. L'Ufficio si è costituito eccependo in via pregiudiziale l'inammissibilità del ricorso perché allo stesso Ufficio pervenuto oltre il termine di 60 gg. decorrenti dalla notifica dell'atto impugnato rilevando a tal fine che, come affermato dalla sentenza Cass. n. 27067/06, nel relativo computo deve considerarsi la data di ricezione del ricorso e non quella di spedizione poiché nella fattispecie il ricorso è stato spedito in busta anziché in plico senza busta come prescrive l'art. 20 2 comma del D.Lgs. n. 546/92; nel merito comunque chiede il rigetto del ricorso contestando il presunto credito d'imposta in assenza di prova e documentazione attestante l'asserito credito. La Commissione esaminati gli atti ritiene che il ricorso debba essere accolto ed a tal fine rileva quanto segue. Il ricorso va dichiarato tempestivo perché risulta notificato entro i 60 gg. dalla notifica della cartella impugnata considerando ai fini del computo la data di spedizione del ricorso e non la data di ricezione dello stesso sebbene il ricorso risulti spedito in busta e non in plico senza busta come prescritto dall'art. 20 2 comma del D.Lgs. n. 546/92. L'Ufficio, ai fini della richiesta declaratoria di inammissibilità, ha richiamato la sentenza n. 27067/06 della Cassazione che ha ritenuto, per i motivi dispiegati, di doversi tener conto in fattispecie analoga della data di ricezione del ricorso. Al riguardo tuttavia la Commissione ritiene di non dover seguire i principi affermati dalla citata sentenza perché caratterizzati da non condivisibile ed eccessiva difesa di formalismi e, al contrario, di seguire i principi affermati dai giudici di legittimità ed in particolare dalle sentenze nn. 915/06 e 7312/06 ed ancor prima dalle sentenze nn. 17702/04 e 10481/03. Condividendo quanto affermato con tali sentenze "si debbono richiamare i principi interpretativi della costituzionalità delle norme processuali sulle cause di inammissibilità affermati dalla Corte Costituzionale (vedasi da ultimo la sentenza 18.3.04 n. 98 e di poco anteriore la più diffusa sentenza 6.12.02 n. 520 secondo cui: 1) si deve far valere l'esigenza di ridurre i profili d'inammissibilità a quelle sole cause che costituiscano una ragionevole sanzione per la parte processuale; 2) si deve mirare a contrastare la realizzazione della giustizia solo per ragioni di seria importanza; 3) i profili di forma devono essere valutati con criteri di equa razionalità; 4) si deve assicurare l'armonia sistematica del regime dell'istituto controverso con lo specifico sistema processuale cui esso appartiene... I vincoli che sono così stati creati a carico del notificante devono tuttavia essere considerati, in base ai

richiamati principi di interpretazione fissati dalla giurisprudenza costituzionale, rilevanti solo nel senso che la loro inosservanza è causa di un'anormalità minore e non di un'anormalità maggiore tale da causare l'inammissibilità dell'appello. Infatti, quanto da vincolo a consegnare all'ufficiale postale un documento piegato senza busta, la sua inosservanza causa una mera irregolarità perché il destinatario può ben difendersi eccependo di aver ricevuto una mera busta o una busta contenente carta bianca; se invece si costituisce in giudizio e svolge le sue difese implicitamente riconosce che la busta consegnatagli dall'ufficiale postale conteneva un documento incorporante la dichiarazione d'impugnazione strutturata nel modo che risulta dalle sue deduzioni difensive; egli opera così la regolarizzazione dell'anomala notificazione" (Cass. n. 17702/04). È da rilevare che Cass. n. 7312/06 ha affermato che "la data di presentazione delle raccomandate consegnate all'ufficio postale, risultante dal timbro apposto sulla distinta - elenco predisposta... ed allegata agli atti del processo, è certa e validamente attestata; essa infatti risulta da atto da considerarsi equipollente a quelli pure contenenti lo stesso timbro sia che esso sia stato apposto sul piego postale sia che sia stato apposto sulla busta della raccomandata (ove non ne risulti contestato il contenuto), secondo una prassi adottata dagli uffici postali e riconducibile ad una nozione costituzionalmente adeguata della previsione contenuta del D.Lgs. n. 546/92 art. 20 co. 2... anche in rispondenza della nozione ristretta delle inammissibilità processuali posta a cardine interpretativo del processo tributario dalla Corte Costituzionale nelle sentenza nn. 189/2000 e 520/02" (cfr. Cass. n. 7312/06). Ancora Cass. n. 915/06 ha affermato che "la giurisprudenza di questa Corte - modificando il proprio precedente orientamento - si è ormai attestata nel senso che, in tema di notificazione a mezzo posta, alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 477/02 e 28/04) costituisce ormai principio generale, applicabile anche al processo tributario, quello secondo cui la notificazione si perfeziona per il notificante alla data di spedizione dell'atto e non a quella della sua ricezione. Tale principio trova sicura applicazione anche nell'ipotesi in cui la spedizione avvenga in busta e non in piego, come previsto dall'art. 20 comma 2 D.Lgs. n. 546/92, considerato che la prescrizione relativa all'invio in piego è volta esclusivamente a dare certezza riguardo all'individuazione dell'atto notificato cosicché, ove nessuna contestazione sia sollevata dal destinatario circa la effettiva corrispondenza tra l'atto contenuto nella busta e l'originale depositato ai sensi dell'art. 22 decreto citato, non vi è ragione per discostarsi dalla regola dettata dal citato D.Lgs. n. 546/92 art. 20 co. 2 tanto più che essa deve ritenersi ora espressiva di un principio generale in tema di decorrenza per il notificante degli effetti della notificazione". E ancora Cass. n. 10481/03 ha affermato che "il principio generale, in tema di notifica a mezzo posta, non è più quello del perfezionamento al momento della ricezione ma quello della spedizione a condizione beninteso che la ricezione avvenga... Quando è prevista la spedizione del ricorso in plico raccomandato entro un certo termine esso deve essere interpretato nel senso che la data di spedizione postale è rilevante e fa fede - beninteso in mancanza di contestazione circa il contenuto della busta - anche in ordine alla tempestività della proposizione del ricorso". In conclusione l'aver proposto il ricorso spedendolo all'ufficio non in piego senza busta ma in plico con busta deve ritenersi una mera irregolarità, peraltro sanata dalla costituzione dello stesso ufficio come disposto dall'art. 156 c.p.c., dalla quale non può discendere - ragionevolmente ed alla luce dei principi interpretativi della costituzionalità delle norme processuali sulle cause di inammissibilità - la declaratoria di inammissibilità spostando il termine da computare ai fini dell'esame della tempestività dalla data di spedizione a quella di ricezione. Pertanto si ritiene infondata l'asserita inammissibilità del ricorso come sostenuto dall'ufficio. In relazione al merito del ricorso si osserva quanto segue.

Deve darsi atto che il credito Iva, contestato dall'ufficio, è stato esposto nella dichiarazione per l'anno d'imposta 2002 e riportato nella dichiarazione presentata per l'anno 2004 sino a pervenire alla sua quantificazione finale in Euro 3.965,00 - così ridottosi a seguito dell'iva a debito maturata nel 2003 come dichiarato dalla stessa ricorrente; al riguardo non vale contestare da parte dell'ufficio che la ricorrente non abbia esibito la documentazione attestante la formazione del credito considerato che la relativa dichiarazione è in possesso dello stesso Ufficio - che pertanto, anche per quanto disposto dall'art. 6 comma 4 della L. n. 212/2000, non può richiedere documenti di cui è già in possesso - e che non è stata sollevata alcuna specifica contestazione al riguardo della veridicità e consistenza del credito stesso quale risultante in detta dichiarazione. Ciò premesso occorre esaminare la persistenza del credito Iva anche se tale credito, pur esposto nella dichiarazione presentate per il 2002 e sino alla sua definitiva quantificazione in Euro 3.965,00, non sia stato esposto anche nella ulteriore e successiva dichiarazione per l'anno 2003 che è stata omessa dalla ricorrente ma sia nuovamente stato esposto nella dichiarazione per il 2004. Al riguardo la Commissione ritiene che, nonostante tale omissione ma sulla base dei rilievi e delle considerazioni che seguono, la ricorrente non possa e non debba essere dichiarata decaduta dal credito Iva di cui trattasi. Si osserva infatti che dall'esame delle norme in materia di rimborso, detraibilità e compensazione delle eccedenze di credito Iva si perviene comunque a poter affermare il diritto della ricorrente ad ottenere il rimborso del proprio credito nonostante l'omessa dichiarazione annuale relativa al 2003 ed a tal fine si rileva quanto segue. Il 1 comma dell'art. 1 del D.P.R. n. 443/97 dispone che, qualora l'ufficio Iva notifichi il provvedimento di diniego del rimborso per difetto dei presupposti indicati nell'art. 30 del D.P.R. n. 633/72, "il relativo credito è portato in detrazione, successivamente alla notificazione, in sede di liquidazione periodica ovvero nella dichiarazione annuale"; da tale norma emerge in tutta evidenza che, nonostante il diniego di rimborso perché il credito non risulta essere stato riportato nelle dichiarazioni successive, il credito Iva maturato non viene affatto meno e non va perduto definitivamente a causa dell'inosservanza delle disposizioni di cui al citato art. 30 purché sia dichiarato in una successiva dichiarazione utile. Il 1 comma dell'art. 55 del D.P.R. n. 633/72 dispone che, in caso di omessa dichiarazione annuale, può procedersi all'accertamento dell'imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità e che, in tal caso, nel determinare induttivamente l'ammontare imponibile complessivo sono portati in detrazione soltanto i versamenti eseguiti e le imposte detraibili ai sensi dell'art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e art. 33. Dall'esame del testo normativo si deduce quindi che l'omessa dichiarazione annuale comporta esclusivamente la perdita dei soli crediti non riportati nelle dichiarazioni periodiche; dall'esame della stessa norma non può però pervenirsi ad escludere anche la detraibilità dei crediti Iva maturati negli anni precedenti poiché l'art. 55 è strettamente riferito alla determinazione dell'imposta per il periodo oggetto di accertamento induttivo e da tale determinazione esula ogni risvolto attinente la persistenza o la perdita di crediti precedentemente sorti che non incidono sulla quantificazione del debito accertato in assenza della dichiarazione ma rileva nella fase ulteriore delle somme concretamente risultanti dovute dopo l'eventuale compensazione. Pertanto si deve ritenere che l'omessa dichiarazione annuale comporta per il contribuente la possibilità di essere assoggettato ad accertamento induttivo e di non poter dedurre l'iva versata ove non regolarmente registrata nelle liquidazioni periodiche ma non comporta in suo danno anche la perdita del diritto a scomputare, da quanto risultante dovuto a seguito dell'accertamento, il credito maturato negli anni precedenti.

A conferma di quanto disposto dal richiamato art. 55 il 1 comma dell'art. 5 del D.Lgs. n. 471/97 dispone che, in caso di omessa dichiarazione annuale, "per determinare l'imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell'anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso nonché le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite"; è evidente che anche tale norma, nel completare quanto già disposto dall'art. 55 precedentemente richiamato, consente l'utilizzo del credito indicato in dichiarazione e richiesto in detrazione in una successiva annualità per la quale è stata omessa la dichiarazione annuale. Per completezza e ad ulteriore conferma di quanto precede giova ricordare alcune delle più significative sentenze della Corte di Cassazione intervenute in materia di rimborso dei crediti Iva. Con la sentenza n. 8602/96 è stato affermato che "l'art. 30 2 comma D.P.R. n. 633/72, quando la dichiarazione annuale evidenzi un ammontare detraibile superiore all'imposta dovuta, accorda al contribuente, in alternativa al rimborso, la facoltà di calcolare nell'anno successivo al differenza a credito previa annotazione nel registro degli acquisti di cui all'art. 25. La perdita del diritto derivante dall'esercizio di tale facoltà, quale effetto della violazione dell'obbligo di rendere la dichiarazione per detto anno successivo, avrebbe natura di decadenza, vale a dire di sanzione, abbisognante di una specifica previsione di legge. Una previsione al riguardo, pacificamente carente nell'art. 30 del D.P.R. n. 633/72, non è riscontrabile nelle regole poste dall'art. 55 dello stesso decreto". Tale ultima norma, a parere della Corte, sanziona l'omissione della denuncia annuale con la perdita dei crediti che non siano compresi nelle "fotografie periodiche" ma non anche della detraibilità dell'iva a credito maturata nell'anno precedente; pertanto la Corte ha ritenuto che "l'inottemperanza all'obbligo della dichiarazione annuale espone il contribuente all'accertamento induttivo e gli preclude la facoltà di portare in deduzione l'iva versata nel relativo periodo se non registrata nelle liquidazione mensili o trimestrali ma non lo priva del diritto di scomputare dalle somme dovute in base a tale accertamento il credito che abbia maturato nel periodo anteriore". Con la sentenza n. 523/02 la Corte - richiamata una propria precedente sentenza con cui è stato ritenuto che: a) se un contribuente a credito non presenta la dichiarazione annuale, può computare l'imposta detraibile nella dichiarazione dell'anno successivo atteso che il diritto alla detrazione si perde solo quando questa non venga computata sia nel mese di competenza che in sede di dichiarazione annuale; b) la mancata detrazione del credito nella dichiarazione successiva a quella relativa all'anno in cui il credito è maturato, non fa venir meno il diritto al rimborso del credito stesso; c) infatti la perdita di un tale diritto, avendo natura di vera e propria decadenza (e cioè di sanzione) dovrebbe essere espressamente prevista dalla legge mentre una previsione al riguardo manca nell'art. 30 cit. né è riscontrabile in altre norme dello stesso D.P.R.; d) inoltre la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell'erario - ha affermato il "principio che ove un contribuente fruisca di un credito di imposta per un determinato anno e lo esponga nella dichiarazione annuale, se omette di riportarla nella dichiarazione relativa all'anno successivo non perde il diritto alla detrazione". Con la sentenza n. 12012/06 la Corte - in relazione ad una fattispecie in cui il credito Iva maturato nell'anno 1990 ed esposto nella relativa dichiarazione non era stato riportato nella successiva dichiarazione per il 1991 bensì in quella per l'anno 1992 - rilevato che il credito oggetto di controversia non era mai stato contestato nella sua insorgenza, ha ribadito "il principio già affermato in altra occasione da questa Corte in forza del quale, ove il contribuente fruisca di un credito di imposta per un determinato anno e lo esponga nella dichiarazione annuale, se omette di riportarlo nella dichiarazione relativa all'anno successivo non perde il diritto alla detrazione".

Da quanto precede consegue che la ricorrente abbia diritto al credito Iva quale risultante dalle dichiarazioni presentate e nella misura autoridotta e che non può comportare la decadenza da tale diritto l'omessa presentazione della dichiarazione relativa al 2003. Infine si richiama la sentenza della Corte di Cassazione n. 28024/08 la quale ha affermato che "ai sensi del D.P.R. n. 633/72 art. 38 bis il credito del contribuente per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, versata in misura superiore al dovuto, si consolida decorsi due anni dal termine per la presentazione della dichiarazione annuale senza che l'amministrazione finanziaria abbia notificato alcun avviso di rettifica o di accertamento ed è esigibile alla scadenza dei successivi tre mesi: Pertanto il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, non essendo il diritto medesimo esigibile prima del decorso di detto termine". Applicando il richiamato principio alla fattispecie in esame si osserva che il credito di cui trattasi risulta esposto nella dichiarazione per il 2002 e che non è mai stato oggetto di rettifica o di accertamento con la conseguenza che tale credito si è cristallizzato definitivamente con diritto della ricorrente a vederselo riconosciuto ancorché ridotto ad Euro 3.965,00 a seguito dell'iva a debito maturata nel 2003. Per tutto quanto precede la Commissione ritiene che la ricorrente abbia diritto ad ottenere il riconoscimento del credito Iva per Euro 3.965,00 e che pertanto il ricorso debba essere accolto. Sussistono equi motivi per compensare le spese di giudizio. P.Q.M. La Commissione accoglie il ricorso riconoscendo un credito Iva per Euro 3.965,00; spese compensate