DOCUMENTO DEL GRUPPO LAVORO Bari 28 febbraio 2006 A cura di AZMI JARJAWI e MONICA McBRITTON Innanzitutto, il Gruppo rileva con molto dispiacere la mancata partecipazione degli enti ed istituzioni competenti come ad es., l INPS, l INAIL, le DPL, i Centri per l Impiego e così via. La riflessione svolta nella giornata di ieri sulle tematiche del lavoro immigrato in Puglia, non poteva essere scissa dal quadro di riferimento che rimane sullo sfondo di qualunque discorso sul lavoro straniero, dato dalla legislazione nazionale. Per legislazione nazionale qui intendiamo non solo il T.U. d.lgs. 286/98, così come modificato dalla legge n. 189/2002, la Bossi Fini e relativi decreti di attuazione, ma anche la legislazione complessiva in materia di lavoro e in particolare la l. n. 30/2002 e il d. lgs. 276/2003 di riforma del mercato del lavoro. Infatti, due diversi paradigmi di lavoratore sono a base di queste discipline: per quanto concerne il lavoratore straniero il paradigma del legislatore è quello per così dire fordista lavoratore occupato a tempo indeterminato in un impresa medio-grande, con un orario pieno, un reddito stabile. Per quanto concerne invece l idea di lavoratore che ha in mente il Ministro Maroni, siamo agli antipodi: il lavoratore deve essere flessibile e con ciò, come è noto, si intende un lavoratore che non rimane ancorato a lungo al suo posto di lavoro, ma è pronto a cambiare abbastanza spesso la sua posizione lavorativa. Il lavoratore deve essere consapevole che nell arco della sua vita sarà titolare di una pluralità di contratti di lavoro, sia di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, sia a tempo pieno che a tempo parziale, sia come lavoratore occupato in una piccola impresa che in una grande e così via. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, contratto di lavoro subordinato a tempo determinato a tempo parziale (verticale o orizzontale), contratto di somministrazione, contratto di lavoro a progetto ecc. Già così, è evidente che i conti non tornano poiché se la precarietà è purtroppo oggi condizione diffusa fra i nativi, non si comprende perché non debba esserlo per gli stranieri. Poiché l attuale struttura del mercato del lavoro assegna agli stranieri un ruolo complementare - vale a dire gli stranieri vengono ad occupare posizioni lavorative che per una serie di ragioni non interessano più ai nativi gli immigrati spesso si trovano a lavorare in settori di per sé già flessibili (ristorazione, cura delle persona, edilizia, agricoltura ). Il quadro è veramente paradossale perché, per essere e rimanere regolare sul territorio italiano, i requisiti legali corrispondono a una occupazione caratterizzata da una forte stabilità. Pensiamo, ad es., al contratto di soggiorno quell oggetto misterioso introdotto dalla Bossi Fini che prevede l assunzione di una serie di impegni a carico del datore di lavoro (l offerta di un alloggio adeguato, l obbligo di pagare le spese di rientro nel Paese di origine, di comunicare ogni variazione del rapporto di lavoro allo SUI, di sottoporsi ad una lunga e pesante procedura per avere l autorizzazione ad assumere). Perché mai qualcuno lo dovrebbe fare se non si tratta di offrire un lavoro stabile? E nella somministrazione di manodopera, chi dovrebbe assumere questi obblighi: l agenzia o i singoli imprenditori? E il lavoro a progetto, che è un tipo di lavoro autonomo e perciò escluso dall ambito della normativa sul contratto di soggiorno, in quanto autonomo, deve rispondere ad altri requisiti posti dall art. 22 del TU? 1
Come si evince da questi cenni, è già la legislazione nazionale portatrice della c.d. discriminazione istituzionale. Un ulteriore esempio è quello degli ammortizzatori sociali, i quali, come è noto, spesso pongono come requisiti per il loro godimento una certa anzianità di iscrizione alle liste di collocamento [la c.d. disoccupazione di lunga durata]. Il fatto è che gli stranieri possono rimanere iscritti alle liste di collocamento soltanto per un periodo massimo di sei mesi: l art. 22 c. 11 nell applicare il principio che il recesso del contratto di lavoro non comporta la perdita del permesso di soggiorno, consente, appunto, all immigrato di iscriversi al collocamento per ricercare un altro lavoro. Approssimativamente, la composizione della popolazione immigrata nella regione Puglia è: - 50.000 quelli regolari - 8.000 10.000 irregolari 27% albanesi; 30% arabi e nordafricani; e poi rumeni, cinesi, neocomunitari, Europa dell Est. I settori produttivi ove vengono collocati, come occupazione complementare al lavoro nativo, sono: l agricoltura, i servizi in particolare la ristorazione, l edilizia, il lavoro di cura. C è un legame forte fra nazionalità e lavoro (la c.d. ghettizzazione); ad es. gli albanesi sono occupati in agricoltura e nell agroalimentare; gli indiani nell allevamento del bestiame; filippini, eritrei, mauriziani e donne rumene, ucraine e polacche, nel lavoro di cura; i maschi rumeni invece nell edilizia, i nordafricani nella pesca; albanesi e nordafricani nei salottifici. Il lavoro sommerso è un problema pugliese in generale, ma gli immigrati ne subiscono le maggiori conseguenze. La presenza di un contingente consistente di lavoratori irregolari, come nel caso del lavoro stagionale, è fonte di tensioni e conflitti. Conflitti che coinvolgono sia i lavoratori nativi che gli stranieri regolari. Si pensi al foggiano, a Canosa ecc. La causa è ovvia: il lavoratore irregolare è disponibile ad accettare una remunerazione molto inferiore al minimo contrattuale. Inoltre, il disagio che vivono i lavoratori stagionali per la mancanza di strutture adeguate ad ospitarli, diventa causa di conflitto con la cittadinanza. In edilizia, come nel settore agricolo, gli infortuni sul lavoro sono tanti e non vengono nemmeno denunciati tutti. La busta paga non riflette la retribuzione effettivamente percepita. Un po perché una parte della la retribuzione è in nero, un altra parte perché sono gli stessi lavoratori a pagare i contributi previdenziali. Per quanto riguarda il lavoro domestico, anche per quelli regolari, c è una forte evasione contributiva. Anche quando il datore di lavoro versa i contributi, lo fa per un orario molto inferiore a quanto effettivamente lavorato. In questo settore, è particolarmente evidente la debolezza dello 2
stato sociale italiano. Non è un caso che il contratto collettivo sia scaduto da più di un anno e non sia ancora stato rinnovato. Adeguare la retribuzione dei lavoratori domestici agli standard medi degli alti settori, significa creare difficoltà a molte famiglie italiane. Il rischio è che si riproduca una mentalità a dir il vero già diffusa per cui questo lavoro non è un vero lavoro e non ha pari dignità con altre attività lavorative. Un punto dolente nella Regione Puglia è l inefficienza dei Servizi per l Impiego. Funzionano poco e male anche per i nativi. Poiché però si spera che una tale situazione venga superata in un futuro prossimo, per gli stranieri è necessaria un attrezzatura specifica. E ciò, anche per un principio di pari opportunità poiché non basta riconoscere la parità di trattamento, ma bisogna consentire la sua effettività. Le difficoltà linguistiche, culturali e di riconoscimento delle reali competenze, comportano che gli operatori debbano essere preparati per dare risposte adeguate in modo da coinvolgere questi soggetti in una effettiva politica di promozione dell occupabilità. La celerità delle risposte è fondamentale, così come sarebbe auspicabile che ci sia un qualche rapporto fra questi organi e quelli deputati a rilasciare i permessi di soggiorno. Cioè, se si sta cercando di trovare una nuova occupazione allo straniero, l automatica applicazione delle regole sul termine di iscrizione al collocamento corre il rischio di vanificare qualsiasi sforzo. Pensiamo ad es., alla riqualificazione professionale: allo stato, molte questure sono sorde alla necessità di consentire un permesso di soggiorno per formazione professionale. Così, avviene che corsi di formazione anche quelli pensati per consentire percorsi individualizzati di integrazione, magari finanziati dall UE con la partecipazione della Regione, siano, nei fatti, destinati a soggetti già abbastanza integrati. La questione dell efficienza dei centri per l impiego si intreccia fortemente con una storica competenza delle regioni che è la formazione professionale. L offerta di formazione professionale, tenendo conto delle esigenze del mercato del lavoro e delle esigenze di flessibilità temporali degli immigrati, deve puntare a offrire maggior professionalità ai lavoratori nell interesse delle parti. Ad es.: maggiore qualificazione di coloro che svolgono lavoro di assistenza a persone anziane e ai non autosufficienti, e anche in agricoltura (potatura d uva; raccolta delle olive).tali corsi dovrebbero anche fornire maggiore consapevolezza dei propri diritti e doveri nonché dedicare una particolare attenzione alla sicurezza del lavoro. Infatti, la questione della sicurezza è un punto nodale: i dati INAIL confermano che vittime degli infortuni sono in maggioranza gli immigrati. Nell ambito della formazione in generale non deve essere trascurata la formazione linguistica: sempre in tema di sicurezza, è da rilevare che gli infortuni sono anche causati dalle difficoltà linguistiche nel leggere le istruzioni e gli avvertimenti. In altri Regioni, come nel Friuli Venezia Giulia, è stato elaborato un opuscolo, tradotto in 12 lingue, e distribuito ai lavoratori. In particolare è necessario che la Regione si attrezzi per valutare le competenze professionali. Ciò vale sia per le competenze effettivamente possedute, sia per eventuali titoli professionali conseguiti all estero. Spesso lo straniero non riesce nemmeno ad accedere a corsi di formazione e aggiornamento professionale perché i titoli e le competenze pregressi non vengono riconosciuti. Lo stesso vale anche per quanto concerne i servizi per l impiego. Inoltre, è importante non trascurare la delicata questione della formazione del personale addetto agli uffici pubblici. Spesso, anche gli sforzi di organi come i Consigli Territoriali per l Immigrazione per garantire effettivamente il godimento di diritti già riconosciuti dalla legge si perdono strada facendo: si 3
fanno Protocolli d Intesa ( un buon esempio è quello fatto con le Autorità sanitarie per l accesso degli stranieri alle cure sanitarie nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno, promosso dal Consiglio di Bari) che, così come per i diritti riconosciuti, rimangono lettera morta a causa della mancanza di circolazione dell informazione che non arrivano agli operatori competenti e in particolari quelli del front-office. In alcuni casi accertati l ignoranza della disciplina produce considerevoli danni: spesso non si attribuisce valore al cedolino rilasciato dalla Questura nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno. La situazione sembra essere a macchia di leopardo: qualche lavoratore straniero è stato licenziato per scadenza del permesso, addirittura configurando come recesso per giusta causa. E evidente che in casi come questi si tratta di fornire agli operatori un adeguata formazione e di utilizzare mediatori culturali. Sono stati riscontrati rifiuti di iscrizione del lavoratore straniero nelle liste dei disoccupati se in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato da una Questura diversa da quelle della Provincia di dimora. La questione della mancanza di un adeguata formazione degli operatori si collega con l importante questione dei mediatori linguistici culturali. Sono stati parecchi gli interventi su questa questione. Sul profilo della professionalizzazione la proposta è l istituzione di un albo regionale al fine di dare maggiore dignità, maggiori garanzie a questa figura, il cui ruolo è essenziale per un effettiva politica di interrelazioni. Perciò, la loro presenza non deve essere meramente sporadica. E necessario individuare delle risorse da destinare agli enti erogatori per l utilizzazione di queste figure, garantendo così ai cittadini stranieri la fruizione dei servizi. Inoltre, è da tener presente la necessità di un adeguata formazione continua. Ciò dovrebbe avvenire anche con un coinvolgimento delle Università. Comunque, sarebbe opportuno un sostegno alla costituzione di una rete di mediatori linguisticiculturali, che consenta lo scambio di esperienze nonché un sostegno all imprenditoria sociale in questo settore (ad es. cooperative di mediatori). La programmazione dei flussi: è la stessa disciplina nazionale che prevede che le Regioni si debbano attrezzare per indicare al Governo il quadro del fabbisogno regionale di manodopera straniera. Allo stato, la Regione Puglia non ha provveduto a farlo e dunque si è persa l opportunità di far valere le richieste pugliesi a livello nazionale. Nel dibattito, è emersa la carenza di infermiere professionali: mancano nella provincia di Bari 300-350 e nella Regione 1350 (dati albo professionale), soltanto per quanto riguarda la struttura pubblica, per non parlare di quella privata. Anche se sono lavoratori fuori quota, non riescono ad avere il riconoscimento del titolo di studio straniero dal Ministero della Sanità. Soltanto le agenzie private di lavoro interinale riescono a farlo in tempi utili, ma queste agenzie operano con costi esosi sia per le aziende che per gli stessi lavoratori. Proposta: attivare canali istituzionali per il rapido riconoscimento dei titoli e affiancamento alle aziende private che vogliano assumere personale. Si propone di promuovere la costituzione di un Osservatorio Regionale in quanto coordinamento degli osservatori provinciali a partire della valorizzazione di quelli che ci sono già (Lecce e Foggia) e costruendoli là dove non esistono (Bari- Taranto; la Provincia di Brindisi è in collaborazione con l OPI di Lecce). Ogni Oss. Prov.le deve mettere insieme e coordinare studiosi in rapporto con le Università, associazioni, enti pubblici, Consigli territoriali ecc. IL compito degli osservatori è quello di monitorare i flussi e rilevare i bisogni della popolazione immigrata, l accesso ai servizi con il metodo della ricerca-azione (conoscere per modificare). Ogni anno, i Comuni debbono inviare i dati (su schede 4
codificate) agli osservatori provinciali, i quali, a loro volta, sono coordinate dalla Regione. Gli Osservatori debbono lavorare in collaborazione con i Consigli Territoriali. Su questa proposta, ancora da approfondire, si chiede l istituzione di una Commissione ad hoc, che deve tener conto dei tavoli già esistenti o da istituire, allo lo scopo di evitare inutili duplicazioni o frammentazioni istituzionali. Intanto, è necessario istituire uno specifico tavolo di concertazione sul lavoro immigrato a livello regionale. Di questo tavolo faranno parte le istituzioni competenti (Consigli Territoriali, DPL, INAIL, INPS ecc.), associazioni di categoria ed organizzazioni di lavoratori. Un altro punto su cui si è dibattuto è quello della necessità di una maggiore attenzione della Regione ai fondi comunitari, sia quelli già istituiti, sia quelli in fase di programmazione (2007-2013). In particolare, la proposta è che la Regione elabori programmi adeguati alle problematiche di lavoro connesse all immigrazione. Un ulteriore questione richiamata nel dibattito è quella della situazione del lavoratori ambulanti, i quali non riescono a trovare spazi adeguati per lo svolgimento della loro attività. Spesso non trovano un adeguato orientamento nelle Camere di Commercio sugli oneri derivanti dallo svolgimento di un attività autonoma. La Regione dovrebbe porsi come interlocutrice di soggetti privati come le Banche e gli Istituti di Credito per dare risposta alla difficoltà di alcune categorie di lavoratori regolari, che però non hanno busta paga (es. classico il lavoro domestico) nell accesso a mutui, crediti ecc. Infine, tutti i partecipanti del Gruppo auspicano che quest incontro sia l inizio di un percorso comune continuo, duraturo e fruttuoso. 5