Introduzione Quella attuale è la prima crisi dell economia globale che per intensità e sommovimenti finanziari può paragonarsi solo a quella del 29. Per fronteggiarla si sono resi necessari interventi massicci di tutti i governi del mondo occidentale, e non solo, miranti a ripristinare le condizioni minime di fiducia tra i risparmiatori (garanzie sui depositi bancari) e tra le banche (garanzie sui prestiti interbancari, nazionalizzazione di banche o concessione di prestiti per ricapitalizzarle). La natura della crisi è, almeno nella sua genesi, finanziaria. La sua origine, infatti, può essere facilmente individuata nella politica del governo statunitense tesa ad incentivare l acquisto di case e nel basso costo del denaro caratterizzato dall era Greenspan, nella concessione di mutui a chi non dava ragionevoli garanzie di restituzione (mutui subprime) e nell uso smodato dei derivati finanziari (per copertura tassi, valute o inadempimento/credit default swap) per importi nominali valutabili in trilioni di dollari. Il cosiddetto boom ha avuto origine soprattutto dopo il 2004 quando venne deregolamentato il rapporto di leva (sino ad allora consentito al massimo a 15). Particolare rilievo merita la riflessione sulla società Fanny Mae. Essa fu costituita, durante il New Deal, dal governo federale americano allo scopo di agevolare la concessione di mutui a chi intendesse comprare una casa. Nel 1968 Fanny Mae fu privatizzata. Nei tardi anni 90, sotto la presidenza Clinton, le regolamentazioni sui prestiti furono rese meno stringenti allo scopo di rendere più facile l ottenimento di mutui. Il meccanismo di base era semplice. Fanny Mae acquistava i mutui (sub-prime) dai creditori che li avevano emessi (diventando quindi essa stessa il creditore), e li confezionava in pacchetti garantiti da mutui. Questi pacchetti (prodotti derivati) potevano essere acquistati da chiunque desiderasse investire sul mercato secondario dei sub-prime. La dilatazione della concessione dei mutui anche a coloro che non avevano sufficienti garanzie da offrire, la gran mole di prodotti derivati immessa sul mercato, l insolvenza
X Introduzione crescente di molti debitori a seguito dell incalzante crisi economica, hanno provocato l esplodere della cosiddetta bolla speculativa dei sub-prime, coinvolgendo, l una dopo l altra, le maggiori istituzioni finanziarie americane. La crisi dei prodotti derivati dei sub-prime americani sta producendo oggi ogni possibile danno immaginabile. Fallimenti (Lehman Brothers) e salvataggi disperati (Freddie Mac, Fannie Mae, Bear Stearns) da parte del tesoro americano (vere e proprie statalizzazioni) o della Bank of America, un piano federale da 850 miliardi di dollari (il piano Paulson, che scaricherà i suoi costi sui contribuenti americani) per riassestare la situazione finanziaria, la dicono lunga sull entità del tracollo. Rimangono fieri dubbi sulla entità dei finanziamenti pubblici ancora necessari per tamponare questa catastrofe finanziaria. L Europa stessa subisce i contraccolpi della crisi americana, propagatasi con i prodotti derivati e alimentata dalla mancanza di liquidità da parte del sistema bancario. A parte il crollo a picco delle varie borse (contagiate dall andamento disastroso di Wall Street), anche potenti istituzioni bancarie e finanziarie europee (persino l insospettabile UBS svizzera) subiscono perdite secche (ultima vittima, in odore di fallimento, la tedesca Hypo Real Estate). Così come la nostrana Unicredit, venditrice dei titoli e prodotti Merrill Linch. Le crisi finanziarie, infatti, non possono che trasmettersi all economia reale, ripercuotendosi soprattutto sulla sfiducia generalizzata e sulla conseguente caduta dei consumi. Da marzo 2008 con la vendita di Bear Stearns a JP Morgan si è assistito ad un escalation che, ad oggi, ha portato alla nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac (le 2 società semipubbliche che erogavano i mutui negli USA) e alla crisi di tutte le banche d investimento americane, di molte del resto dell Occidente, nonché di assicurazioni e società di riassicurazione con la conseguente adozione di un piano anticrisi del 19 settembre 2008 che prevedeva la creazione di un fondo in cui concentrare le attività finanziarie in sofferenza. Delle 5 grandi investment bank americane sono rimaste indipendenti solo Morgan Stanley (ceduta però per il 21% ai giapponesi di Mitsubishi) e Goldman Sachs. Merrill Linch e Bear Stearns sono state vendute. Tutte, in ogni caso, sono state costrette a chiedere la licenza di banca commerciale per procurarsi risorse finanziarie a condizioni meno onerose. La sola Lehman è stata lasciata fallire per ragioni molto chiare. Si è voluto far capire al mercato che c era un limite preciso all intervento statale. Tale limite era dipeso dalla eccessiva spregiudicatezza gestionale e dagli eccessi speculativi (il management possedeva grazie alle stock option il 30% della società
Introduzione XI e la leva era pari a 35), anche se ciò provocò l inevitabile crisi degli hedge funds a cui la banca era legata. Anche in Europa benché in misura minore già da fine 2007 si sono resi necessari interventi per scongiurare il fallimento di istituti finanziari come Northern Rock e Bradford & Brigley in Gran Bretagna, West LB in Germania, Dexia in Francia e Fortis in Benelux. In Islanda è addirittura saltato tutto il sistema bancario. L Italia è stata, almeno formalmente, toccata marginalmente dalla crisi, salvo forse Unicredit a causa della sua acquisizione della Hypo bavarese. Tuttavia il core tier 1 (rapporto tra mezzi propri e indebitamento) di molte banche e società appare spesso sotto la soglia d allarme del 6% e quindi sarà necessaria una loro ricapitalizzazione. Il crollo del mercato immobiliare invece è stato dirompente ed ha colpito duramente le società quotate. I forti traumi subiti dai risparmiatori, molti dei quali traumatizzati ancora dagli eccessi della new economy e dagli scandali Enron, Parmalat nonché dal default argentino, richiederanno anni per essere riassorbiti. Tutto ciò si innesta nel difficile momento del risparmio gestito italiano che registra periodicamente deflussi consistenti per la crisi dei fondi comuni. Per la gran parte, i derivati di cui si parla sono stati impiegati impropriamente, non cioè per finalità di copertura, ma di speculazione da parte delle a- ziende e persino dai comuni e collocate da parte delle banche per lucrare laute commissioni spesso senza alcuna relazione con la finanza aziendale. Gran parte dei derivati si basano sulle formule dei 2 Nobel Black e Scholes, che peraltro si sono scontrati con la dura realtà operativa con esiti molto negativi. Basti pensare alla crisi del loro hedge fund Ltcm nell estate 1998 salvato poi dalla banca centrale americana. Altro elemento decisivo per spiegare questa crisi finanziaria risiede nell abolizione avvenuta nel 99 della Glass-Steagall act (formulata nel 33 sotto la spinta della Grande depressione seguita al 29) che ha reso meno regolamentata l operatività delle banche d investimento. Il crollo del mercato immobiliare a partire dall inizio del 2007 ha causato lo scoppio di questo meccanismo che si è diffuso in tutto il mondo a causa della cartolarizzazione dei mutui subprime e della loro allocazione sotto forma di obbligazioni e con rating spesso lusinghieri. I nodi sono cominciati a venire al pettine con l aumento dei tassi, passati dall 1 al 5,25%, che hanno comportato l insolvenza di molti mutuatari. Inoltre le società veicolo costituite all esterno dei consolidati bancari con in carico le obbligazioni acquistate derivanti dalle cartolarizzazioni devono ora essere riassorbite dalle stesse banche con disastrose conseguenze nei loro conti economici e nel rapporto tra mezzi propri e indebitamento. Altri fattori risultano essere di particolare importanza. I diversi conflitti d in-
XII Introduzione teresse rilevabili tra gli attori del mercato. Le agenzie di rating che ricevono gli incarichi da chi viene giudicato (Lehman era giudicata AA al momento del fallimento), le banche d affari che portano in borsa società verso cui vantano crediti, non da ultimo il management a cui spettano bonus in base a parametri trimestrali e che tendono ad operare con logiche di breve termine proprio per ottenere le stock option senza curarsi della sostenibilità di queste strategie nel lungo periodo. L importante è capire quali possano essere gli effetti di questa crisi finanziaria, economica e di fiducia e quale debba essere il ruolo degli Stati nella gestione di tale situazione, che manifesta degli effetti importanti e diretti sulla situazione sociale di molti Paesi. In questa situazione, infatti, è tornato prepotentemente necessario l intervento statale nell economia. È chiaro che in circostanze eccezionali solo lo Stato può portare a compimento il sostegno al sistema bancario per coprire masse gigantesche di attivi di bassa qualità, ma, soprattutto riformare un sistema finanziario che non ha prospettive di sostenibilità nel lungo periodo ed è carente gravemente dal punto di vista dei controlli. Il sistema economico ha infatti bisogno di equilibri e non può certo limitarsi al laissez faire che nessuno ormai teorizza più, bisognerà approfittare di questa circostanza per accelerare le riforme stabili nel tempo e creare quelle autorità globali sovranazionali che possano agire in questi casi, perché il lato pubblico anche questa crisi l ha dimostrato è assolutamente indispensabile per il libero mercato, a patto ovviamente che faccia il suo. Sempre più spesso si parla di una nuova Bretton Woods, il dibattito che si sta aprendo al riguardo non verterà perciò se sia accettabile o meno l intervento stabile dello stato, ma sui rapporti che dovranno avere i vari attori del mercato.
Parte Prima Considerazioni in tema di interventi dello stato nell economia. L esperienza di Beneduce è veramente così superata?
Considerazioni in tema di interventi dello stato nell economia 3 SOMMARIO: 1. L esperienza di Beneduce in Italia dopo la crisi del 29. 2. La teoria della deregulation e gli investimenti dello Stato. 2.1. Lo Stato imprenditore per il bene comune. 2.2. La ragion di Stato e le sue norme come limite all imprenditoria privata. 2.3. Il mercato può davvero autoregolamentarsi? I rapporti fra Stato ed economia sono oggi al centro dei dibattiti dottrinali e politici in tutto il mondo. Le correnti di pensiero propugnatrici dell assenza di azione pubblica nella vita economica o tutt al più di una azione pubblica ridotta al minimo sono ormai in netto declino. La formula laisser faire che sintetizza il concetto della assoluta preminenza degli ordinamenti economico-sociali affidati esclusivamente o prevalentemente alle decisioni dei privati, individui ed enti diversi, è un ricordo del passato. Studiosi e uomini politici concordano attualmente nella necessità di una azione positiva degli organi pubblici nel campo economico ed in quello, ad esso strettamente connesso, dei rapporti fra categorie e gruppi sociali 1. Così scriveva 45 anni fa F. Vito, ma la cosa che stupisce è come le esperienze del passato non abbiano lasciato apprezzabili segni e come inascoltati siano stati i buoni consigli derivanti, a loro volta, da negative esperienze passate. Nell ambito di questo comune riconoscimento dell imprescindibile funzione statale nell economia del secolo scorso e del presente, nonché in quello delle forme attraverso le quali lo Stato debba salvare banche e imprese, esistono non poche né lievi divergenze, che meritano di essere attentamente precisate, analizzate e studiate. 1. L esperienza di Beneduce in Italia dopo la crisi del 29 Generalmente i dissensi si concentrano sui limiti del potere statale. Si vorrebbe, in altri termini che lo Stato intervenisse nel salvataggio di banche e imprese, senza però interferire nella gestione delle stesse. L alternativa, alla qua- 1 F. VITO, in Studi in memoria di Ludovico Barassi, Giuffrè, Milano, 1966.
4 Considerazioni in tema di interventi dello stato nell economia le si trovò di fronte Beneduce 2, si ripropone anche oggi, sia pure in un contesto democratico, per i tecnici che accettano (o sollecitano), cariche governative e per gli amministratori indipendenti (o sedicenti tali), che vengono nominati al vertice di banche, assicurazioni ed imprese industriali. Spesso poi solo a posteriori si capisce se la competenza sia stata una ben pagata foglia di fico o se, invece, sia riuscita, concorrendo all esercizio del potere, a condizionarne gli esiti. Per questo tipo di esami, Beneduce rappresenta un termine di paragone molto alto. Forse troppo. Sul piano della storia economica, infatti, l eredità di Beneduce è ancora viva. Discutibile, discussa, ma viva. L IRI è stato fondato nel 1933, trasformato in ente permanente nel 1937 e posto in liquidazione soltanto nel 2000. Alcune sue partecipazioni Rai, Finmeccanica, Fintecna con Fincantieri sono tuttora in portafoglio al ministero dell Economia. Desiderio non nuovo, se si ripensa a quanto avvenne quando la crisi del 29 investì le maggiori banche italiane e quella parte del sistema industriale di cui erano divenute proprietarie le banche stesse. Mentre istituti bancari, in particolare la Comit di Giuseppe Toeplitz, avrebbero preferito lasciare allo Stato esclusivamente il salvataggio delle industrie, Beneduce propose che le banche malate divenissero, insieme alla loro malandata dote industriale, patrimonio di un ente pubblico. Fu quello un grande salvataggio pubblico delle banche private gravate di debiti e partecipazioni industriali, in parte simile (ma solo in parte) ad altre analoghe operazioni già effettuate prima e dopo la guerra mon- 2 Il ruolo di Beneduce fu essenziale nella ristrutturazione dell economia italiana successiva alla crisi mondiale del 1929. Il fallimento delle maggiori banche italiane, che detenevano anche numerose partecipazioni azionarie nelle imprese industriali, fu evitato grazie all intervento dello Stato. Il «sistema Beneduce» prevedeva la netta separazione fra banche ed imprese industriali, con la partecipazione diretta dello Stato al capitale di controllo delle imprese. Le aziende private rimanevano comunque società per azioni, continuando quindi ad associare, in posizione di minoranza, il capitale privato. Nel 1931 fu costituito l Istituto Mobiliare Italiano, istituto pubblico specializzato nel credito industriale. Lo Stato si riservava, inoltre, un ruolo di indirizzo dello sviluppo industriale, senza entrare nella gestione diretta: in luogo della nazionalizzazione venne decisa una serie di interventi finalizzati al salvataggio e al sostegno finanziario di singole imprese. Per tale scopo fu fondato, nel 1933, l Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Beneduce fu, assieme al futuro governatore della Banca d Italia Donato Menichella, il principale ispiratore di queste riforme, così come della legge bancaria del 1936, rimasta in vigore fino al 1993, che vietò alle banche l esercizio congiunto del credito a breve ed a lungo termine. Beneduce fu il primo presidente dell IRI, dalla sua costituzione fino al 1939. Fu fautore di una gestione delle aziende ispirata a criteri privatistici e libera da influenze politiche; improntò il rapporto con gli industriali privati ad uno spirito di collaborazione, con la cessione agli stessi di alcune aziende già rilevate dall IRI: tra queste, la holding elettrica Bastogi, di cui Beneduce fu presidente, carica che mantenne anche dopo il passaggio ai privati. Beneduce fu anche consigliere d amministrazione di Fiat, Pirelli, Montecatini, Edison e Generali. Morì a Roma nel 1944.
Considerazioni in tema di interventi dello stato nell economia 5 diale. In parte, però, perché vi fu, quella volta, una novità rivoluzionaria: lo Stato entrò nelle imprese e nelle banche salvate, impiegò risorse finanziarie e garanzie, ma pretese di acquisirne direttamente il controllo e di cambiarne radicalmente il management. È opportuno fare qualche considerazione che, pur essendo ovvia, non appare essere così chiara nella mente di coloro che invocano un salvifico intervento dello stato per sanare perdite derivanti da anni di gestione ampiamente al di là di quelli che tradizionalmente erano considerati i ruoli e le funzioni delle banche. La situazione che si è venuta oggigiorno a creare non deriva da catastrofi naturali legate, come tali, all imponderabilità di eventi di questo tipo, ma a scelte di gestione che nei vari anni hanno portato profitti enormi alle imprese e ai loro azionisti. L avere spostato, da parte delle banche, il proprio ambito di attività, almeno in parte precipua, verso l attività finanziaria che consentiva il conseguimento di ingenti quantità di utili con uno sforzo ed un impegno ed un livello di rischio incomparabilmente minore rispetto a quello che sarebbe stato necessario per ottenere gli stessi risultati attraverso l attività tradizionale, ha portato all attuale situazione nella quale le banche, per porre rimedio a propri problemi interni, impiegano la liquidità a disposizione non già per finanziare le imprese ma per tentare, inutilmente peraltro, di tappare le falle finanziarie provocate dalla sopracitata dissennata miope politica. Si badi bene, nel florilegio di appelli, discorsi e scritti di questi giorni, nessuno si è preso la pena di calcolare l ammontare dei profitti realizzati e distribuiti agli azionisti. Non già solamente, quindi, quelli a vario titolo percepiti dai manager, ma anche quelli distribuiti agli azionisti. La soluzione posta in essere da Beneduce, oltre ad essersi dimostrata particolarmente efficace, appare valida anche dal punto di vista della logica economica. La pretesa, che molte volte abbiamo vista realizzarsi in Italia negli ultimi decenni, di privatizzare gli utili e pubblicizzare le perdite, ha trovato nel passato, e trova anche ai nostri giorni, appassionati propugnatori. Se gli azionisti che hanno prima nominato i manager e quindi hanno autorizzato gestioni che hanno portato allo sfascio non solo le singole banche, ma anche, come conseguenza, l intero sistema economico mondiale, chiedono aiuto allo Stato (e quindi alla comunità) per salvare parte del loro patrimonio o l intero loro potere, cedano allora le loro azioni a quello Stato che si pone carico del loro salvataggio.