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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Seconda Ter) ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 5150/2001 proposto da Balicchi s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall avv. Carlo Abbate nello studio del quale è elettivamente domiciliata in Roma, via P. Dè Calboli, n. 1; contro il Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall avv. Rosalda Rocchi dell'avvocatura comunale e domiciliato presso gli Uffici di quest'ultima in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21; per l'annullamento - della determinazione dirigenziale n. 5150 del 1 febbraio 2001 con cui si dispone che con riferimento alla denuncia di inizio attività in data 2.11.00 prot. n. 39604 per l attività di deposito a cielo aperto si rende noto che la DIA è stata rigettata e che l attività non potrà essere svolta ; - di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale. VISTO il ricorso con i relativi allegati; VISTO l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

VISTA la memoria prodotta dall amministrazione comunale; VISTI gli atti tutti della causa; Nominato relatore alla pubblica udienza del 10 marzo 2001 il Primo Ref. Daniele Dongiovanni; Uditi, ai preliminari, l'avv. S. Romano, in sostituzione dell avv. Abbate, per la ricorrente e l'avv. Rizzo, per delega dell avv. Rocchi, per il Comune resistente; Considerato in fatto ed in diritto quanto segue: FATTO Con determinazione dirigenziale impugnata n. 5150 del 1 febbraio 2001, il Comune di Roma ha inibito alla ricorrente (che svolge attività di deposito, esposizione e vendita di materiale per l edilizia nei locali di via Casetta Mattei n. 378 in Roma) l attività di deposito a cielo aperto del predetto materiale per la quale aveva presentato denuncia di inizio attività in data 2 novembre 2000. Il provvedimento negativo è stato adottato in ragione del fatto che l ufficio tecnico circoscrizionale non ha concesso il relativo nulla osta in quanto l area interessata ricade all interno del Parco regionale Valle dei Casali. Avverso tale atto, ed ogni altro a questo connesso, presupposto e conseguenziale, ha proposto impugnativa la società interessata, chiedendone l'annullamento, previa sospensione dell esecuzione, per i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 20 della legge n. 241/90 nonché da eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche; in particolare, travisamento, difetto dei presupposti, illogicità e perplessità, carenza di pubblico 2

interesse, difetto di motivazione e manifesta ingiustizia. La ricorrente che svolge attività commerciale in campo edilizio sin dal 1981 ha presentato la DIA il 2 novembre 2000 e, pertanto, l inibitoria del 1 febbraio 2001 è stata adottata fuori termine tanto che si è formato il tacito provvedimento di assenso all attività di che trattasi. In ragione del formarsi del silenzio assenso, l amministrazione, per adottare l atto inibitorio, avrebbe dovuto procedere alla revoca del provvedimento tacito seguendo tutte le cautele previste dagli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90; 2) eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione. In ragione del fatto che la società ricorrente svolge l attività commerciale da lunghissimo tempo, l amministrazione resistente non avrebbe potuto opporre il fatto che l area interessata è soggetta a vincolo, non sussistendo le ragioni concrete ed attuali di pubblico interesse. Si è costituito in giudizio il Comune di Roma per resistere al ricorso. Con ordinanza n. 3392/2001, è stata respinta la domanda di sospensiva. L amministrazione resistente, con memoria, ha poi chiesto il rigetto del gravame perché infondato nel merito. Alla pubblica udienza del 10 marzo 2008, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione. DIRITTO 1. I due motivi proposti dalla deducente con il ricorso in esame possono essere trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi. 3

2. Ciò premesso, va anzitutto precisato che la ricorrente, nel presentare in data 2 novembre 2000 la denuncia di inizio attività per svolgere l attività di deposito a cielo aperto, ha (auto)dichiarato di essere in possesso dei prescritti requisiti igienico sanitari, pur non allegando il relativo nulla osta rilasciato dall organo competente (ASL), e ha poi omesso di segnalare che l area interessata è soggetta a vincolo ambientale ricadendo all interno del Parco regionale Valle dei Casali. A ciò si aggiunga, con particolare riferimento al possesso dei requisiti igienico sanitari, che, nel corso dell istruttoria compiuta a seguito della presentazione della DIA, il competente ufficio tecnico ha reso parere negativo allo svolgimento dell attività di che trattasi. La denuncia, poi, è risultata priva del nulla osta con riferimento all inquinamento acustico, pure richiesta dalla normativa di settore. Ciò posto, sebbene il provvedimento negativo impugnato sia stato adottato in data 1 febbraio 2001 e, quindi, oltre il termine di risposta previsto dall art. 19 della legge n. 241/90, la DIA non può ritenersi divenuta efficace in ragione della documentata carenza delle condizioni e dei requisiti previsti dalla normativa di settore. Da ciò deriva che il provvedimento impugnato costituisce la formalizzazione di un divieto a svolgere l attività di che trattasi adottato sul presupposto dell assenza di un titolo autorizzatorio valido ed efficace. Del resto, l'art. 19 della legge 241 prevede un meccanismo di denuncia inizio 4

attività per le autorizzazioni il cui rilascio dipenda da valutazioni vincolate della P.A. e per le quali non sia previsto alcun limite numerico, o contingente. Con la D.I.A., invero, l'interessato è tenuto ad attestare la sussistenza di tutti i presupposti e requisiti di legge, anche con eventuale autocertificazione, e l'amministrazione, nei sessanta giorni (secondo la disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) successivi alla ricezione, verifica di ufficio la sussistenza dei presupposti dichiarati. Risulta, pertanto, evidente che la dichiarazione deve essere completa e veridica poichè la semplificazione procedimentale non deve intendersi come esonero della parte dall'onere di specificare quantomeno i requisiti necessari per l avvio dell attività. La semplificazione introdotta dalle citate disposizioni normative si traduce, invero, in una maggiore snellezza procedimentale, ma non nel totale esonero dall'onere minimo di allegazione, non potendo spingersi al punto tale da richiedere alla P.A. la ricerca (in positivo o in negativo) di elementi relativi ad una domanda del tutto generica ovvero priva dell indicazione dei requisiti necessari per intraprendere l attività. Al riguardo, va evidenziato che l'istituto della DIA può configurarsi sulla base della normativa vigente solo quando l'interessato sia in possesso di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti per l'espletamento della attività, in quanto questi si atteggiano come elementi costitutivi della fattispecie di cui la parte deduce il perfezionamento. 5

In tale ipotesi, la legge, in una ottica di accelerazione delle procedure amministrative, ha ritenuto che possa sostituirsi il provvedimento per effetto del decorso del tempo dalla presentazione della denuncia (ora dichiarazione) di inizio attività, ma è da escludere che l'interessato, in mancanza dei requisiti, possa eludere le prescrizioni fissate dalla legge o dalla normativa vigente e pretendere che il titolo si sia formato e dotato di efficacia. Nella specie, la ricorrente, all'atto della domanda, non ha fornito la dimostrazione dei requisiti propri né per la denuncia inizio attività, né per l autorizzazione tacita, e non ha quindi assolto agli obblighi previsti dal citato art. 19 della legge n. 241/90. Da ciò deriva che la DIA presentata dalla ricorrente non ha acquisito l efficacia né secondo la ricostruzione ora operata da Cons. St., sez. VI, n. 1550/2007 può ritenersi formato il provvedimento tacito ed implicito di assenso che autorizza lo svolgimento dell attività di deposito a cielo aperto di materiale edile. Quanto sopra esposto consente, quindi, di superare l ulteriore censura proposta dalla ricorrente secondo cui non sarebbero sussistenti le ragioni di pubblico interesse per l adozione del provvedimento impugnato. La doglianza è, comunque, infondata posto che, per le ragioni sopra indicate, nel caso di specie non è stato necessario attivare alcun procedimento di autotutela, non essendosi formato alcun provvedimento tacito di assenso né, comunque, la DIA ha mai assunto efficacia per il decorso del termine previsto dal citato art. 19 della legge n. 241/90. 6

3. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. 4. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. Seconda Ter, respinge il ricorso in epigrafe. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente amministrazione, delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00) oltre IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 10 marzo 2008, con l'intervento dei magistrati: Antonio Vinciguerra - Presidente f.f. Giuseppe Chinè Componente Daniele Dongiovanni Componente est. 7