SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO AUGUSTO CAPERLE CLASSE IC + CLASSE 2B DITELO CON I FIORI

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Transcript:

SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO AUGUSTO CAPERLE CLASSE IC + CLASSE 2B DITELO CON I FIORI ANNO SCOLASTICO 2013-2014

Wanna Bianchi Maddalena Panzieri INTRODUZIONE Perché declamare contro le passioni? Non sono forse la sola cosa bella che ci sia sulla terra, la fonte dell'eroismo, dell'entusiasmo, della poesia, della musica, delle arti, di tutto infine? (Flaubert) Felicità, noia, rabbia, malinconia, compassione la grammatica li definisce sostantivi astratti, perché non li puoi misurare né circoscrivere. Eppure ci riguardano così da vicino, da rappresentare un tratto distintivo dal resto del mondo animale. Sono sentimenti, astratti ma non meno veri degli oggetti che ci circondano. È solo più difficile saperli gestire, perché non li puoi racchiudere tra le mani o guardare da vicino e, quando si manifestano, possono far paura. Per combattere la paura è importante conoscerli, farne esperienza, saperli riconoscere, senza lasciarsi dominare, imparando così a considerarli una ricchezza, una risorsa a nostra disposizione. Gli alunni di 1^C e 2^B hanno individuato diciannove sentimenti, di cui tutti hanno avuto esperienza. Ogni sentimento è stato analizzato, costruendone una definizione e ideandone un racconto perché, attraverso la narrazione, gli animi si sciolgono e la tensione lascia spazio al sollievo. Da sempre l'uomo ha percepito il bisogno di dare concretezza ai sentimenti astratti attraverso l arte, la musica, la poesia o la simbologia floreale. Fin dall antichità, da Oriente a Occidente, si è voluto attribuire al fiore una valenza emozionale: regalare il fiore giusto equivale ad inviare un messaggio ben preciso per esprimere il proprio stato d'animo. Per questo, con una sorta di ingegneria inversa, imparare il linguaggio dei fiori significa acquisire le dinamiche delle emozioni, apprenderne la manifestazione simbolica e la possibilità di comunicarle. Racconto e fiore sono stati quindi associati, attraverso l affiancamento della stesura letterale e della rappresentazione artistica floreale.

Dato che le emozioni nascono dalle relazioni e in esse si radicano, si è preferito adottare un metodo di lavoro relazionale, utilizzando il tutoraggio interclasse: ad ogni alunno di seconda B è stato affidato un compagno di prima C, all'interno di un sistema di monitoraggio partecipato e garantito dall'insegnante. Lo scopo, come ci hanno insegnato Don Lorenzo Milani e Mario Lodi, è quello di stare bene con sé e gli altri, di produrre azioni intenzionali di integrazione e interazione, di creare partecipazione responsabile, di valorizzare l'aiuto reciproco nella consapevolezza che, attraverso questi fattori, si contribuisce a quella trama di occasioni e situazioni, di legami ed esperienze che rendono feconda e vera la comunità scolastica.

EMOZIONE DEFINIZIONE FIORE AMORE RABBIA INVIDIA TRISTEZZA GELOSIA L'amore è un sentimento intenso e profondo di affetto, simpatia e adesione, rivolto verso una persona, un animale, un oggetto o verso un concetto, un ideale, ed è caratterizzato dal ritenere il bene della persona amata più importante di se stessi. Con il termine ira (o impropriamente rabbia) si indica uno stato psichico alterato, in genere suscitato da uno o più elementi di provocazione, capace di rimuovere alcuni dei freni inibitori che, normalmente, stemperano le scelte del soggetto coinvolto. L'iracondo è caratterizzato da una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno o (in alcuni casi) verso se stesso. Il termine invidia si riferisce a uno stato d'animo o sentimento per cui, in relazione a un bene o una qualità posseduta da un altro, si prova spesso astio e un risentimento tale da desiderare il male di colui che ha quel bene o qualità. La tristezza è un'emozione contraria alla gioia e alla felicità. Essa può essere provata in condizioni normali, durante la vita di tutti i giorni, oppure a causa di un evento particolarmente drammatico, come una perdita o un lutto. La gelosia è un sentimento di ansia e incertezza dell'essere umano, causata dal timore di perdere o non ottenere la persona amata perché essa sia preferita da altri o preferisca altri. Tulipano Garofano rosso Narciso Calendula Rosa gialla MALINCONIA La malinconia è un sentimento che provoca una tristezza costante. Anemone TENEREZZA NOIA MERAVIGLIA ORGOGLIO VERGOGNA COMPASSIONE SOLITUDINE Sentimento di dolce commozione, di profonda, delicata dolcezza che nasce dall'amore, l'affetto, la compassione, il rimpianto: Sensazione di inerzia malinconica e di invincibile fastidio, dovuta perlopiù a insoddisfazione per la monotonia e la mancanza d'interesse della situazione in cui ci si trova Sentimento improvviso di stupore, di sorpresa che nasce di fronte a cosa o a situazione fuori dell'ordinario o del previsto. Stima esagerata di sé, della propria dignità, dei propri meriti, per cui ci si sente in tutto superiori agli altri. Fierezza, consapevolezza delle proprie doti, dei propri meriti. Sentimento di colpa o di umiliante mortificazione che si prova per un atto o un comportamento, propri o altrui, sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell'altro. Non un sentimento di pena che va dall'alto in basso. Si parla di una comunione intima e difficilissima con un dolore che non nasce come proprio. La solitudine è una condizione e un sentimento umano nella quale l'individuo si isola per scelta propria (se di indole solitaria) per vicende personali e accidentali di vita o viene isolato dagli altri esseri umani generando un rapporto (non sempre) privilegiato con sé stesso. Edera Bocca di leone Magnolia Papavero rosso Peonia Sambuco Erica RIMORSO Tormento che nasce dalla consapevolezza di avere commesso una cattiva azione. Aconito STIMA Opinione favorevole, considerazione positiva delle qualità, dell'operato altrui. Salvia splendens FELICITA La felicità è lo stato d'animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. Fiordaliso PERDONO Rinuncia alla vendetta, remissione della punizione nei confronti di chi ha commesso una colpa. Aspodelus NOSTALGIA SERENITA Sentimento malinconico che si prova nel rimpiangere cose e tempi ormai trascorsi o nel desiderare intensamente cose, luoghi e persone lontane. Serenità è il termine con cui si descrive la condizione emotiva individuale caratterizzata, a livello interiore ed esteriore, dà tranquillità e calma non solo apparente, ma talmente profonda da non essere soggetta, nell'immediato, a trasformazioni di umore, ad eccitazioni o perturbazioni tali da modificare significativamente questo stato di pace. Pervinca Artemisia

Caterina de Manzoni Martina Ferlini AMORE o TULIPANO Era un giorno di primavera. Ero felice e andai a prendere i biglietti per la mostra di quadri al Mulino. Ad Amsterdam erano arrivati i quadri di Monet ed io ero appassionato all arte. Alla mostra incontrai una ragazza. Era alta, di corporatura esile. La sua carnagione era chiara come una rosa bianca. Aveva i capelli biondi che le incorniciavano il viso. I suoi occhi erano azzurri come il cielo in una giornata serena d estate. Le sue la labbra erano rosse come i tulipani che circondavano il museo. Il suo naso era piccolo, delicato. I suoi vestiti erano colorati e leggeri. Osservava i quadri con molta attenzione e cura. Si capiva subito che amava l arte come me. La guida ci riunì nell atrio per iniziare la spiegazione dei dipinti. Tra la folla riconobbi la ragazza. A metà della mostra ci fermammo tutti e due ad ammirare un quadro: Campi di tulipano con il mulino a vento di Rijnsburg. La guardai. Gli occhi erano fissi sul dipinto. Poi, ad un tratto, si voltò di scatto e mi guardò. Non sapevo cosa fare. Dopo pochi istanti, con la voce tremolante, dissi: -Ciao- lei rispose con un sorriso a sua volta: -Ciao-. La sua voce era soave, come il cinguettio di un usignolo. D impulso dissi: -Come ti chiami? - -Abigaille. - rispose con dolcezza- E il tuo nome è - Mi chiamo Ivan-. Dopo questa breve presentazione, parlammo dei quadri. Mi parlò di lei. Disse che si era appena trasferita, e mi chiese se potevo essere la sua guida per la città. Annuii felicemente. Quella sera la accompagnai a casa. Scoprii che abitava nel mio stesso quartiere. Arrivati a casa decidemmo di darci appuntamento nel parco di fronte alla sua abitazione. Quando, arrivato a casa, mi buttai sul letto, il cuore mi batteva come mai prima. Mi addormentai con la sua immagine nei miei pensieri. Il giorno dopo, verso le tre del pomeriggio, scesi e andai al parco. Abigaille era già lì. Decidemmo di visitare subito il museo Van Gogh, poi semmai, di visitare la città. Il museo era molto bello. Abigaille era un esperta di quadri di Van Gogh. Fu fantastico passare il pomeriggio con lei. Più tardi mangiammo un gelato, camminando per la città. Passammo sopra un ponte vicino ad una aiuola di tulipani. E subito nelle nostre menti affiorò la mostra di Monet ed il nostro primo incontro. Ci guardammo negli occhi nello stesso istante. Capimmo subito che eravamo fatti l uno per l altra. Dopo settimane di incontri, visite e appuntamenti, Abigaille mi diede una brutta notizia. Doveva trasferirsi per motivi del lavoro del padre. Ci vedemmo per l ultima volta davanti al quadro Campi di tulipano con il mulino a vento di Rijnsburg, per ricordare il nostro primo incontro. Dopo aver conversato per circa un ora dell improvvisa sua partenza, ci fu un momento di silenzio. I nostri

sguardi si incrociarono, Tutti e due sapevamo cosa stava per succedere: le nostre labbra si toccarono e sentii il battito del suo cuore. Era come il mio. Non mi sembrava vero. Non ero così felice da anni. Lei si alzò di scatto e se ne andò, ad un certo punto si girò e mi disse: -Addio! Ma ci rivedremo! - e, in lacrime corse verso casa. Io restai lì pietrificato dalla tristezza. Mi rimase sempre in mente il suo volto. E, ancora oggi, a volte in qualche altro viso, a volte in lontananza, mi sembra di rivederla.

Martina Ferlini, Tulipano

Lorenzo Ottaviani - Marco Cocco RABBIA o GAROFONO ROSSO Basso, snello, capelli rossi come fuoco e occhi marrone scuro, ogni giorno che passava Fabio era sempre più rabbioso e cattivo. I suoi genitori non sapevano più che fare. Bolle di rabbia si riversavano all esterno del suo essere e nemmeno il miglior psicologo della zona era riuscito a capirne i motivi per il rancore che lo invadeva. Una mattina sua madre Anita lo svegliò per andare a scuola, ma lui non voleva assolutamente alzarsi. Sua madre lo implorò, ma lui non si mosse dal letto e fu costretta a tirargli una sberla. Lui piangeva e disse triste e arrabbiato: Odio tutto il mondo, mi volete tutti male, lasciatemi stare! La madre lo convinse con una piccola predica e Fabio prese il solito scuolabus, chiedendosi sempre la stessa cosa: Perché sono così strano? Perché i miei amici vivono una vita tranquilla ed io no? Voglio rinascere e ricostruirmi una nuova vita, o forse è meglio fuggire e tornare quando sarò più gentile? Sceso dal pulmino scappò via, prendendo una stradina laterale alla scuola. Voleva fuggire! I pochi compagni di scuola che tenevano a lui, lo inseguirono per farlo ragionare. Tutti marinarono la scuola, ma poi se la presero con lui per averli costretti con il suo comportamento a saltare la scuola. I suoi amici erano alti e robusti, Roberto era biondo con gli occhi azzurri e Christian era castano con occhi marrone chiaro. Quando lo stavano per acciuffare, la polizia li vide gironzolare in orario scolastico, erano le 8.45 e chiese loro come mai non fossero in classe, ma essi non seppero rispondere. Li portarono in caserma e chiamarono a casa di ognuno, rintracciando i loro genitori. Fabio a quel punto si calmò, aveva capito di essere arrivato al fondo del barile, di aver sbagliato e di aver trascinato in questo suo malsano comportamento gli unici amici che aveva, ma ora temeva l ira dei suoi genitori, che però lo presero e non gli rivolsero nemmeno una parola. La mattina seguente iniziò a comportarsi meglio cominciando con la sua famiglia. Si diresse verso la cucina per fare colazione e vide mamma Anita, papà Mario e sua sorella Stella molto delusi di lui. Sedette a tavola e con un forte e sforzato buongiorno provò a riconciliarsi. Non lo guardarono nemmeno di striscio. Nessuno voleva perdonarlo, non lo consideravano più! Allora Fabio pazzo dalla rabbia, fuggì di casa così come era, in pigiama, sbattendo la porta forte. Era Sabato e non c'era scuola. Stella mormorò a tavola Si era dimostrato gentile ma non gli abbiamo dato retta, è colpa nostra, dobbiamo soccorrerlo, non è mai troppo tardi per aiutarlo!

Anita e Mario erano troppo stanchi e arrabbiati per reagire. Stella si vestì e lo raggiunse, sapeva dove andava sempre quando si sentiva arrabbiato; arrabbiato ed escluso. Lo trovò in cima alla collina della città. Mentre Stella attraversava la città per arrivare all altura sentiva lamentele provenire dalle case ai lati della strada. Chi diavolo ha lanciato un sasso in casa mia?. Chi ha lanciato un sasso alla finestra? Ora è rotta e il mio bambino si è spaventato! Fabio aveva lanciato sassi ovunque. Stella accelerò il passo. Lo trovò seduto per terra, lo abbracciò, ma lui la spinse forte, così forte che cadde a terra. E in quel momento Fabio capì di aver fatto tante cose stupide nella sua vita ma mai come quella volta. Stella era l unica persona che teneva a lui, che era venuta a cercarlo, quando tutti lo avevano abbandonato. Si rese conto che la rabbia gli creava solo guai e niente di più. Lei si rialzò e rimase lì ad aspettare. I due si abbracciarono talmente forte da attirare l'attenzione dei passanti. Da quel giorno Fabio cambiò totalmente vita: tenne sotto controllo la rabbia, diventò sincero e onesto con tutti, aiutò sempre le persone in difficoltà. Diventò un uomo.

Anna Morando Ilaria Zanoni INVIDIA o NARCISO Era una mattina di gennaio e, come ormai da otto mesi, lavoravo come apprendista alla bottega di Andrea Verrocchio. Finora non mi avevano mai commissionato un quadro, anche se una volta ho aiutato il mio maestro a terminare un ritratto su Lorenzo il Magnifico, figlio del nobile banchiere Piero de Medici. Naturalmente Verrocchio non mi avrebbe mai fatto finire il ritratto del volto, a me sarebbero spettati solo i particolari dello sfondo. Diceva che me la cavavo bene con i pennelli, ma ciò non spiegava il perché non mi avesse ancora assegnato l esecuzione di un quadro. Verso l una del pomeriggio, Andrea mi disse che avrei dovuto andare a prendere i fiorini che gli spettavano per l opera, commissionata da Lucrezia Donati. Mi vestii di tutto punto: era sempre meglio fare bella figura! Torre Donati non era molto distante dalla bottega, così arrivai dopo neanche mezz ora. Quando entrai una donna di mezza età mi squadrò da cima a fondo e disse in tono di sufficienza: - Ehm, lei sarebbe? - Io risposi, cercando di tenere un tono rilassato: - Sono Leonardo da Vinci, mi manda qui Andrea Verrocchio per riscuotere la cifra pattuita per il quadro eseguito. - Sentii uno sgambettare giù per le scale, da cui poi comparve la giovane donna ritratta, avvolta da uno scialle di seta, con in mano un pezzo di carta. Quando fu abbastanza vicina, me lo consegnò. Presi la lettera di cambio, me la infilai nella tasca interna del camice, salutai monna Lucrezia con un piccolo inchino e mi diressi verso la bottega del mio maestro. Era sera, stavo cenando insieme agli altri apprendisti, quando entrò un uomo, alto e magro, capelli scuri, lunghi fino alle spalle, gli occhi coperti dal cappuccio del mantello. Ad un certo punto si tolse il copricapo e subito lo riconobbi: era il nobile Lorenzo de Medici. Verrocchio si alzò immediatamente dal tavolo, si pulì i baffi unti di olio e disse: - Mio signore, entri, andiamo subito a parlare nel mio studio. - Ed egli acconsentì. Io continuai indifferentemente a mangiare. Poco dopo arrivarono il maestro e il giovane Medici, Andrea mi guardò con aria di sfida, d invidia Verrocchio mi prese per un braccio, facendomi cadere la coscia di pollo che stavo amabilmente rosicchiando, sembrava nervoso

Mi trascinò con forza nel suo studio, facendomi sedere su una sedia Lorenzo, in tono amichevole, rivolgendosi a me disse a gran voce: - Messer Leonardo ti affido il compito di dipingere un ritratto della mia famiglia. - Io non credevo alle mie orecchie, avevo sentito bene? Lorenzo de Medici mi aveva commissionato un quadro? Guardai Verrocchio, mi stava fissando e il suo sguardo era pieno di rancore La mattina dopo partii alle sei e mezza per arrivare al palazzo dei Medici in anticipo per il lavoro. Li trovai tutti in posa su una cassapanca: Vicino alla finestra erano la madre Lucrezia Tornabuoni e il padre Piero de Cosimo de Medici e il fratello Giuliano. Preparai il mio materiale e iniziai a dipingere Ogni giorno, ogni mese che passava il quadro era sempre più bello ed ero proprio orgoglioso di me. Dopo circa tre mesi il ritratto era finito e a me sembrava la cosa più bella che avessi mai dipinto. Chiesi a Lorenzo se potevo far ammirare il quadro al Verrocchio e ai ragazzi della sua bottega ed egli acconsentì. Il mio maestro, osservando il ritratto, rimase come estasiato da tale bellezza, ma il suo stupore venne subito a meno quando io timidamente gli chiesi il suo parere Lui, con tono di superiorità, disse che non era male per un apprendista, ma in fondo, in fondo lo vidi bruciare d invidia. Verso tarda sera l apprendista più grande della bottega, Nicolò, mi disse che il quadro che avevo dipinto era magnifico e che questa volta avevo superato il maestro. Io tutto orgoglioso ringraziai. Feci per girarmi quando davanti a me trovai Verrocchio, che guardò Nicolò con un occhiata gelida, poi si rivolse a me e disse: - Hai proprio appreso bene da me. - Questo complimento non me lo aspettavo, ma nonostante quanto detto, aveva uno sguardo non colmo di gioia, ma di inquietudine. Forse, pensai, in fondo, in fondo anche lui sapeva che con quel quadro avevo superato ogni sua opera. Lorenzo de Medici sembrava molto soddisfatto dell opera e pagò la cifra stipulata. Io ci avevo messo l anima nel dipingerlo e tratto dopo tratto, mi chiedevo se sarei mai diventato, magari un giorno un grande pittore.

Ilaria Zanoni, Narciso

Francesca D Angelo Sofia Cacciatori TRISTEZZA o CALENDULA Dopo la separazione dei miei, mi trasferii a Londra da New York, per motivi di lavoro di mia mamma Katy. Avevano divorziato da poco ed eravamo un po tutti scossi dall accaduto. Il giorno dopo iniziai scuola e incontrai dei bulli per strada che avevano cominciato a tiranneggiarmi e a rubarmi soldi e merenda. Ad un certo punto era venuta in mio soccorso una ragazzina della mia età, che aveva mandato via i tre prepotenti e che mi aveva aiutato. Ero incantato dal suo aspetto, i suoi capelli rossi e i suoi occhi marrone profondo che avevano appena appoggiato lo sguardo sulle mie ferite. Mi aveva chiesto: Ti senti bene?. Le risposi di sì e le chiesi come si chiamasse. Mi chiamo Priscilla e tu?. Risposi: Il mio nome è Alan e mi sono appena trasferito. Mi aiutò ad alzarmi e andammo insieme a scuola. Al termine delle lezioni, uscimmo dal cancello della scuola e ci scambiammo il numero di cellulare. Quel pomeriggio ci scambiammo sms tutto il tempo e io non aspettavo altro che il giorno dopo per rivederla. Appena sveglio feci colazione in velocità a casa e mi misi subito in cammino per andare a scuola con Priscilla. La incontrai per strada e ci incamminammo assieme. Per strada incontrammo ancora gli arroganti di ieri che ci dissero che erano i padroni della scuola e del quartiere e che nessuno poteva contraddirli. Subito dopo, Priscilla, tirò fuori dalla borsa uno spray al peperoncino e lo spruzzò in viso a tutti e tre. Appena si accasciarono per il dolore, io e Priscilla iniziammo a correre verso la scuola. Ci salvammo per un pelo. Nel pomeriggio, salutai Priscilla e corsi verso casa per raccontare l accaduto a mia mamma. Entrai dalla porta vidi mia nonna JoJo, che mi aspettava in lacrime sul divano. Le chiesi cosa fosse successo e mi rispose che mia madre se n era andata per sempre. Scoppiai in lacrime anch io e mi accasciai per terra. Chiesi a mia nonna come fosse successo e mi rispose che mio padre si era vendicato in maniera barbara di mia mamma per averlo lasciato. Dopo un po di settimane, di udienze, mio padre venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico ed io andai a vivere dai miei nonni materni. Dopo circa due mesi, andai a trovare mio padre e vidi in che stato era. Pensai: Eccolo, l uomo che mi ha rovinato la vita e ucciso mia madre, un uomo che mi ha dato la tristezza più grande che io abbia mai provato. Andai a vivere con i miei nonni, che mi aiutarono nella vita e furono, per così dire, i miei genitori.

A venticinque mi accorsi che il sentimento di amicizia verso Priscilla, l unica luce in quel periodo di tristezza e dolore, si era trasformato in amore. Mi resi conto che lei era una delle due cose più bella che mi fosse capitata nella mia vita, ma nonostante la felicità provata, il ricordo di mia madre lasciò per sempre una ferita nel mio cuore, una scheggia di tristezza che mai passò.

Filippo Ferrante Daniele Bragntini GELOSIA o ROSA GIALLA Nel 1999 in una casetta sulle alpi trentine, molto spaziosa e interamente costruita in legno, circondata da un prato fiorito, viveva un giovane ragazzo con la sua famiglia e il suo fedele cane Saluk. Mirco, questo era il suo nome, era un ragazzo corporatura slanciata, con capelli biondi e degli occhi azzurri come il cielo limpido d estate. Aveva un fratello di nome Giovanni più vecchio di un anno. I due avevano frequentato le scuole superiori assieme. In classe di Mirco c era Marta, una ragazza da tutti considerata bellissima, alta e magra con capelli biondi e splendenti occhi verdi. Giovanni ne era affascinato, tanto che ogni giorno le stava appresso in maniera quasi fastidiosa. Un giorno, durante l ora della professoressa Rossi, lei di nascosto lanciò a Mirco un bigliettino colorato con delle scritte all interno. Quando lo aprì, lesse la poesia che gli aveva dedicato e, stupito, le rispose con un grande sorriso. Era talmente contento che si mise a sognare il loro futuro incontro, ascoltando poco niente della lezione che si stava svolgendo. Tornato a casa, raccontò l accaduto a suo fratello che rimase pietrificato dalla notizia riferitagli. Lui era profondamente attratto da Marta e da quel giorno mostrò i primi segni di rivalità nei confronti del fratello. Iniziarono i dispetti anche pesanti, lo spiare i messaggi che lei inviava a Mirco e lo seguiva di nascosto per vedere dove andasse. Mirco non capiva il comportamento di Giovanni e, quando cercava di parlare con lui, la richiesta era sempre respinta. Un giorno Marta, vedendo l ennesimo litigio, disse a Giovanni di smetterla di essere geloso, che lei non lo aveva mai considerato né amato. Con il passare del tempo però, Marta si stancò della relazione con Mirco, al quale sembrava di tradire il fratello, quindi per ritrovare la pace famigliare decisero di comune accordo di lasciarsi. Mirco ovviamente non era felice della situazione, ma riteneva che i legami di sangue valessero di più di un amore appena iniziato. Ma alla fine nessuno fu felice. Mirco provò astio contro il fratello per la scelta fatta, Giovanni non riuscì mai del tutto a liberarsi della gelosia verso il fratello e Marta era triste perché era stata invano sacrificata.

Daniele Bragantini, Rosa Gialla

Caterina Menegatti Chiara Tartali MALINCONIA o ANEMONE Alisa era una bella ragazza russa, alta, con capelli lunghi mossi e mori, arrivata a Manchester da piccola con una zia inglese perché i suoi genitori non potevano permettersi di crescerla a causa di una grande crisi che aveva colpito da anni ormai la zona degli Urali. Lì aveva conosciuto a scuola fin da piccola Alexander, un ragazzo inglese molto alto biondo, con grandi occhi verdi e lucidi; con cui condivideva tutto: erano inseparabili. Un giorno Alisa doveva comunicargli una brutta notizia, ma non sapeva come farlo, quindi chiese di incontrarsi per discutere da soli a Werneth Low Country Park. Quando arrivò, Alexander era già lì ad aspettarla e, appena la vide, si accorse che il suo viso era triste e pensieroso. Iniziarono a parlare di quando erano bambini, di tutti i momenti trascorsi insieme, dei litigi delle avventure vissute e delle loro esperienze, quando a un certo punto Alexander chiese perché il suo viso fosse spento. Lei scoppiò in lacrime e in un fiato confessò quello che la turbava: sarebbe dovuta tornare in Russia dai suoi genitori, che avevano un assoluto bisogno di aiuto per la fattoria che possedevano. Avrebbe dovuto lavorare con loro. A questa notizia Alexander impallidì e non riuscì a trattenere le lacrime, che scendevano fini sulle guance e nella sua mente iniziarono a scorrere le immagini e i ricordi della loro storia. Alisa molto dispiaciuta si calmò e spiegò più nei dettagli il perché di questa improvvisa partenza. Arrivata la sera, i due si lasciarono e ognuno andò a casa sua. Alexander si gettò sul letto e ripensò alle parole di Alisa e al fatto che sarebbe partita l indomani. Il giorno dopo Alexander si svegliò molto presto per andare a salutare la sua amica, ma con stupore, quando fu davanti alla sua casa, si accorse che era già partita senza nemmeno salutarlo. Si informò sul volo aereo e corse all aeroporto con la speranza di trovarla ancora lì, ma purtroppo era già partita. Passarono giorni senza mai un contatto. In Russia Alisa sentì enormemente la mancanza di Alexander e così decise di sfogliare i vecchi album di quando erano piccoli. Provava una tristezza costante nel vedere e ricordare i momenti felici vissuti assieme. Alisa arrivò a non mangiare più, a non uscire di casa, non parlare praticamente con nessuno. L unica cosa che le dava un po di felicità e coraggio, era scrivere sul suo diario ciò che avrebbe voluto fare:

tornare in Inghilterra e soprattutto riabbracciare Alexander, che con il suo fresco profumo riusciva a renderla forte, coraggiosa, senza timore di nulla e di nessuno. Passò un anno e finalmente sembrava che i suoi genitori potessero concederle un periodo di vacanza e decise così di tornare in Inghilterra da Alexander. Quando una mattina presto suonò il campanello, Alexander aprì la porta e con stupore sentì una voce familiare. Riconobbe subito il volto di Alisa, così appena la vide l abbracciò con felicità e commozione. Il giorno dopo si sarebbero incontrati a Sale Water Park, per un pic-nic in riva al lago. Alexander decise di farle un regalo così girò tutta la città per trovare quello perfetto. Appena vide Alisa, con i capelli raccolti e gli occhi lucidi dalla felicità, che lo aspettava seduta sul prato, si sedette con lei e le regalò un anello d argento con una perla azzurra: rappresentava il colore della malinconia come i bellissimi occhi di Alisa, che quando lo vide i suoi occhi brillarono e se lo mise subito al dito. Passarono una splendida giornata divertente, facendo una passeggiata in riva al lago, dando delle occhiate alle bancarelle sparse qua e là e, quando il sole tramontò, tutti e due decisero di tornare a casa. La loro vita tornò come prima con tante esperienze ed emozioni; iniziarono a vedersi tutti i giorni e a frequentarsi sempre più spesso. Quell anello di quel tenue turchese rappresentava ciò che aveva provato Alisa nel lungo anno trascorso in Russia: una triste azzurra malinconia. Le mancava disperatamente la compagnia di Alexander, da cui non si era mai staccato dal giorno del loro bizzarro incontro su una panchina del parco vicino a casa. Avevano sempre condiviso tutto e pochissimi erano stati i litigi, così Alisa decise di creare un regalo speciale per ringraziare Alexander per averla sempre aspettata. Lo invitò per un tè pomeridiano, lui si presentò puntuale come sempre e attese Alisa sotto la porta di casa. Subito le chiese per chi fosse il pacchetto regalo che teneva in mano, lei senza dire una sola parole glielo porse. Era di forma quadrata ricoperto da una morbida carta celeste, rilegata da un nastrino giallo e, con il cuore che batteva più forte che mai, aspettò di vedere la sua espressione. Era una cornice creata da lei stessa con tanti fiori di anemone, con una loro foto abbracciati. Ad Alexander spuntò un grande sorriso sul viso e schioccò un bacio sulla guancia della bella Alisa che rimase impietrita e sfiorò con la mano il punto dove era stata baciata. Tutti e due imbarazzati iniziarono così a camminare per mano con tutta l intenzione di non lasciarsi più perché entrambi sapevano che il loro era diventato un legame indistruttibile.

Nicole Comerlati Christian Zermiani TENEREZZA o EDERA Nella città di Boston viveva un ragazzo di nome Leonardo. Aveva i capelli castani, gli occhi marroni, era di media statura, il carattere estroverso e amichevole verso tutti i suoi compagni. Andava in una scuola piuttosto piccola, dove tutti i ragazzi si volevano bene a vicenda, ma stranamente lui era preso un po in giro e parlavano alle sue spalle. Era molto intelligente, diverso da tutti gli altri e la maggior parte delle risate dei suoi compagni erano dovute al suo modo di vestire. Aveva sempre la solita maglietta blu e i pantaloni marrone scuro, non portava le calze e le sue scarpe erano vecchie e rovinate: indossava quei vestiti perché non poteva permettersene migliori. Quando i suoi compagni lo sbeffeggiavano, lui correva a nascondersi rifugiandosi in un angolo infondo al cortile della scuola. Tranne i suoi genitori, solo il nonno lo rispettava. Insieme trascorrevano le giornate dopo scuola. Leonardo andava sempre da lui e gli raccontava com era andata la giornata. Dopo qualche anno il nonno si ammalò, ma il ragazzo non era a conoscenza della sua grave patologia e continuò ad andare a trovarlo come prima. Passarono i giorni e la malattia iniziò a farsi vedere sul corpo del nonno, la pelle si gonfiava e il nonno dimagriva sempre di più. Un giorno come gli altri Leonardo andò a trovarlo e, mentre gli parlava, il nonno si sentì male. Il ragazzo preoccupato di tutto ciò, chiamò l ambulanza che portò il nonno in ospedale, dove fu rivelato a Leonardo la malattia del nonno. Il giorno dopo il ragazzo and a scuola, ma non si sentiva bene, ciononostante non disse nulla a nessuno e fece finta che fosse un mal di pancia. Quando tornò a casa, il semplice mal umore di prima iniziava a farsi sentire sempre più forte e sua madre molto preoccupata lo portò dal medico per una visita. Il dottore gli disse: Temo che si tratti di qualcosa di serio e la madre si spaventò perché iniziò a presumere che fosse la stessa malattia del nonno. Con il passare dei giorni il ragazzo peggiorò così tanto da non voler andare a scuola per timore che i compagni lo prendessero ancora più in giro per la sua debolezza.