Indice. 1 L interpretazione dei trattati



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INSEGNAMENTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE LEZIONE IV I TRATTATI INTERNAZIONALI (PARTE II) PROF. MATTHEW D AURIA

Indice 1 L interpretazione dei trattati ---------------------------------------------------------------------------- 4 1.1. Metodo subbiettivistico e metodo obbiettivistico ------------------------------------------------ 4 1.2. La teoria dei poteri impliciti e l'applicazione di tale teoria alla carta dell'onu ------------- 5 1.3. Applicazione della teoria dei poteri impliciti al trattato della Comunità Europea ----------- 6 1.4. Conclusioni sulla teoria dei poteri impliciti ------------------------------------------------------- 6 1.5. Interpretazione unilateralistica ---------------------------------------------------------------------- 7 1.6. Libertà dei giudici interni in materia di interpretazione del diritto internazionale ---------- 7 2 La successione degli Stati nei Trattati ----------------------------------------------------------------- 9 2.1. La convenzione di Vienna del 1978 sulla successione dei trattati ----------------------------- 9 2.2. Successione nei trattati localizzabili -------------------------------------------------------------- 10 2.3. I trattati di natura politica -------------------------------------------------------------------------- 10 2.4. La regola della tabula rasa ------------------------------------------------------------------------- 10 2.5. Distacco di parti del territorio e formazione di nuovi stati ------------------------------------ 11 2.6. Smembramento di uno Stato----------------------------------------------------------------------- 12 2.7. Incorporazione e fusione fra Stati ----------------------------------------------------------------- 13 2.8. Incorporazione e fusione di territori che rimangono autonomi ------------------------------- 14 2.9. Il mutamento radicale di governo ----------------------------------------------------------------- 15 2.10. Successioni di debiti contratti mediante accordo internazionale ----------------------------- 16 3 Cause di invalidità e di estinzione dei trattati ----------------------------------------------------- 19 3.1. Cause di invalidità e di estinzione ---------------------------------------------------------------- 19 3.2. La violenza sullo Stato come causa di invalidità ----------------------------------------------- 20 3.3. La violenza sullo Stato con mezzi diversi dall'uso della forza ------------------------------- 20 3.4. Trattati ineguali -------------------------------------------------------------------------------------- 21 3.5. La clausola rebus sic stantibus -------------------------------------------------------------------- 22 3.6. Effetti della guerra sui trattati --------------------------------------------------------------------- 22 3.7. Automatica operatività delle cause di invalidità e di estinzione ------------------------------ 22 3.8. Denuncia del trattato -------------------------------------------------------------------------------- 23 2 di 25

3.9. Procedura prevista dalla convenzione di Vienna per far valere l'invalidità o l'estinzione dei trattati ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 24 Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 25 3 di 25

1 L interpretazione dei trattati 1.1. Metodo subbiettivistico e metodo obbiettivistico La tendenza che in passato poteva dirsi prevalente in materia di interpretazione dei trattati internazionali era il c.d. metodo subbiettivistico, metodo mutuato dal regime dei contratti del diritto interno ed in base al quale si renderebbe in tutti i casi ed ad ogni costo necessaria una ricerca della volontà effettiva e non della volontà dichiarata. Si ritiene invece oggi che, per regola generale, debba attribuirsi al trattato il senso che è fatto palese dal suo testo, che risulta dei rapporti di connessione logica intercorrenti tra le varie parti del testo e che si armonizza con l'oggetto e con la funzione dell'atto quali dal testo sono desumibili. Tale metodo è detto obbiettivistico. In una concezione del genere, i lavori preparatori hanno una funzione sussidiaria, e ad essi può ricorrersi solo in presenza di un testo ambiguo. A favore del metodo obbiettivistico si pronuncia anche la Convenzione di Vienna, che disciplina le regole sull'interpretazione agli articoli 31-33. L'art. 31, par. 1, pone il principio generale secondo il quale un trattato deve essere interpretato in buona fede secondo il significato ordinario da attribuirsi ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce dell'oggetto e dello scopo del trattato medesimo ; unica eccezione di rilievo è la regola generale è la norma enunciata al par. 4 secondo cui a un termine del trattato può attribuirsi un significato se è certo che tale era l'intenzione delle parti. L'art. 32 considera i lavori preparatori come mezzo supplementare di integrazione da usarsi quando l'esame del testo lascia il senso ambiguo o oscuro oppure porta ad un risultato assurdo o irragionevole. Per quanto riguarda l'art. 33, esso si occupa del caso dei trattati redatti in più lingue ufficiali: in tal caso se la comparazione tra i veri testi rivela una differenza di significato ineliminabile attraverso gli strumenti interpretativi di cui agli artt. 31 e 32, e se non è previsto che un testo prevalga sugli altri, va comunque adottato il significato che, tenuto conto dell'oggetto e dello scopo del trattato,concilia meglio detti testi. A parte il ricorso al metodo obbiettivistico, valgono per l'interpretazione dei trattati internazionali quelle regole che la teoria generale ha elaborato con riguardo all'interpretazione 4 di 25

delle norme giuridiche in genere e che possono considerarsi regole più o meno vigenti in tutti gli ordinamenti. Un particolare accento è posto a volte sulla possibilità che l'interprete ricorra ad una interpretazione estensiva di un trattato ed anche a quella specie di interpretazione estensiva costituita da un ricorso all analogia. Si usa oggi abbandonare l'interpretazione classica che imponeva un'interpretazione esclusivamente restrittiva dei trattati in quanto questo comportava chiaramente una limitazione della sovranità e della libertà degli Stati. Simile opinione oggi appare arcaica e superata. 1.2. La teoria dei poteri impliciti e l'applicazione di tale teoria alla carta dell'onu Si considera a volte la possibilità che alcuni accordi, in particolare i trattati costitutivi delle organizzazioni internazionali, debbano essere considerati alla stregua di vere e proprie costituzioni. Tale interpretazione è legata alla c.d. teoria dei poteri impliciti. Tale teoria, particolarmente sviluppata dalla corte suprema degli Stati Uniti d'america per estendere le competenze dello Stato federale a scapito delle competenze degli Stati membri, afferma che ogni organo disporrebbe non solo dei poteri espressamente attribuitigli dalle norme costituzionali, ma anche di tutti poteri necessari per l'esercizio di tali poteri. La Corte Internazionale di Giustizia, nell'applicare la teoria dei poteri impliciti agli organi dell'onu, ne ha addirittura ampliato la portata, finendo col dedurre certi poteri degli organi direttamente ed esclusivamente dai fini dell'organizzazione, fini che si distinguono per la loro indeterminatezza 1. 1 Ciò si può agevolmente rilevare attraverso una lettura anche superficiale dell'art. 1 della Carta che li elenca. É ad un parere della Corte Internazionale di Giustizia cui si fa risalire la più precisa ed anche la più completa formulazione della teoria dei poteri impliciti; il parere è quello reso nel 1949 all'assemblea Generale in tema di danni subiti dei funzionari delle Nazioni Unite. Secondo la Corte di Giustizia, l organizzazione possiede quei poteri che, pur non essendo espressamente previsti dalla Carta, sono necessari all esercizio delle funzioni proprie di essa. Nella specie si trattava del potere dell'onu di esercitare, per i danni subiti in uno Stato membro dai propri funzionari, la stessa protezione diplomatica normalmente esercitata dagli Stati a tutela dei propri cittadini all'estero. 5 di 25

1.3. Applicazione della teoria dei poteri impliciti al trattato della Comunità Europea Il problema dei poteri impliciti ha assunto grande importanza anche nell'ambito della Comunità Europea. Nel trattato istitutivo della CE esiste una norma espressa in materia, l'art. 235. Tale articolo afferma che: quando un'azione della comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del Mercato Comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso. Sembrerebbe chiaro da questa norma che, per attribuire agli organi comunitari poteri non previsti dal Trattato, l'unico procedimento da seguire fosse quello della delibera unanime del consiglio, cioè dell'organo comunitario nel quale sono rappresentati tutti gli Stati; di conseguenza sembrerebbe che i poteri impliciti non potessero essere dedotti attraverso un'attività meramente interpretativa. Va ribadito in realtà che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha invece manifestato la tendenza a scavalcare l'art. 235, ricavando i poteri impliciti direttamente dalle norme del Trattato. Tale tendenza affiora in forma particolarmente intensa nelle decisioni relative al potere della Comunità di concludere accordi internazionali, potere che la Corte è andata via via deducendo in modo implicito, molto al di là dei limiti fissati dalle disposizioni del Trattato istitutivo in tema di competenza a stipulare. 1.4. Conclusioni sulla teoria dei poteri impliciti La teoria dei poteri impliciti si colloca dunque all'estremo opposto rispetto alla vecchia tendenza dell'interpretazione restrittiva dei trattati internazionali in quanto strumenti limitativi della sovranità degli Stati. Essa può apparire tuttavia eccessiva. Occorre infatti essere molto cauti nel trasferire sul piano del diritto internazionale dottrine che sono proprie del diritto costituzionale. L'analogia tra organi statali ed organi delle organizzazioni internazionali è assai discutibile ove si pensi alla mancanza nei secondi di quella effettiva capacità di imporsi ai consociati che è propria invece degli Stati. 6 di 25

Per quanto riguarda nello specifico la teoria dei poteri impliciti essa può essere anche utilizzata qualora resti nei limiti di una interpretazione estensiva o analogica, qualora serva per garantire ad un organo l'esercizio delle funzioni che il trattato istitutivo dell'organizzazione gli assegna. Dilatarla oltremisura è cosa non solo poco giustificabile dal punto di vista giuridico, ma anche suscettibile di risultare controproducente dal punto di vista politico. 1.5. Interpretazione unilateralistica La convenzione di Vienna non avalla interpretazioni unilateralistiche dei trattati. Sembra da escludere cioè, alla luce della Convenzione, che una norma contenuta in un accordo internazionale, a meno che ovviamente non disponga essa stessa in tal senso, possa assumere significati differenti a seconda dello stato contraente al quale debba applicarsi. Due regole della Convenzione sono indicative al riguardo. Una è quella del già citato art. 33, che nel caso di testi non concordanti redatti in più lingue ufficiali, impone un'interpretazione che comunque concili tutti i testi - rifiutando così la tesi sostenuta da una parte della dottrina, secondo cui per ciascuno Stato varrebbe il testo redatto nella sua lingua. L'altra è quella contenuta nel par. 3 dell'art. 31, articolo che enuncia la regola generale favorevole al metodo obiettivistico. Il par. 3 afferma che, nell'interpretare un trattato, occorre anche tener conto di altre norme internazionali in vigore tra le parti; tra le altre norme utilizzabili al fine di definire il significato di una disposizione pattizia, il par. 3 non include invece le norme di diritto interno proprio di ciascuno Stato contraente. Omissione questa assai significativa ove si consideri la tendenza un tempo assai marcata, ma che ancora affiora a volte nelle giurisprudenze nazionali, ad interpretare in chiave unilateralistica (cioè in modo conforme al proprio diritto) i trattati internazionali. 1.6. Libertà dei giudici interni in materia di interpretazione del diritto internazionale A parte la necessità di evitare interpretazioni unilateralistiche, ed a parte i casi in cui un giudice internazionale è esclusivamente competente, in via pregiudiziale, ed interpretare un trattato (e le sue fonti derivate), deve rivendicarsi ai giudici interni la massima libertà nell'interpretazione del diritto internazionale. 7 di 25

In materia di interpretazione dei trattati, vigeva in passato una subordinazione dei giudici al potere esecutivo, subordinazione che sta oggi scomparendo. Quale esempio valga che in Francia il ministro degli esteri, fino a pochi anni fa, doveva obbligatoriamente essere sentito in caso di interpretazione dubbia dei trattati internazionali. Ancora nel 1994, la Francia veniva condannata dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo per tale pratica, ritenuta contraria al principio dell'equità della procedura quand'una delle parti in un processo sia lo Stato. 2 2 Si veda a riguardo la sentenza della Corte Europea dei diritti dell uomo del 24.11.1994 nel caso Beaumartin c. Francia. 8 di 25

2 La successione degli Stati nei Trattati La successione fra Stati nei trattati riguarda l ipotesi nella quale un Stato subentri ad un altro nel governo di un territorio ed è dunque necessario stabilire quali trattati stipulati dal suo predecessore siano ancora validi in quella comunità territoriale. La sostituzione può avvenire per cause molto varie. Può darsi che una parte del territorio di uno Stato passi, per effetto di cessione o di conquista, sotto la sovranità di un altro stato già esistente, oppure è possibile che si costituisca in Stato indipendente; può darsi invece che il cambiamento di sovranità riguardi l'intero territorio dello Stato, e cioè che l'intera comunità territoriale sia incorporata o si fonda con un altro Stato, oppure che dia luogo a più Stati nuovi; è anche possibile, infine, che venga a trovarsi, in seguito ad eventi rivoluzionari, sotto un apparato di governo radicalmente diverso da quello precedente. Sul piano giuridico il problema che si pone è se, una volta verificatosi un cambiamento di sovranità, i diritti e gli obblighi internazionali che facevano capo al predecessore passino allo stato subentrante. È evidente che in questo caso ci riferiamo solo agli obblighi derivanti dai trattati stabiliti dal predecessore, visto che le norme del diritto consuetudinario si rivolgeranno comunque a tutti gli Stati. 2.1. La convenzione di Vienna del 1978 sulla successione dei trattati Alla successione degli Stati rispetto ai trattati è dedicata la Convenzione di codificazione predisposta dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite e firmata a Vienna nel 1978. La convenzione, che è complementare a quella del 1969 sul diritto dei trattati è entrata in vigore solo nel 1996. 9 di 25

2.2. Successione nei trattati localizzabili É enunciato all'art. 12 della Convenzione di Vienna del 1978 il principio per cui lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad un altro nel governo della comunità territoriale, è vincolato dai trattati localizzabili, cioè dei trattati che riguardano l'uso di determinate parte del territorio, conclusi dal predecessore. Rientrano in questa categoria: i trattati che istituiscono servitù attive o passive nei confronti dei territori degli Stati vicini; gli accordi per la concessione in affitto di parti del territorio; i trattati che prevedono libertà di navigazione di fiumi, canali ed altre vie d'acqua; i trattati che impongono la smilitarizzazione di determinate aree. 2.3. I trattati di natura politica La successione dei trattati localizzabili incontra un limite che è comune a tutte le altre ipotesi: il limite riguarda accordi che abbiano una prevalente caratterizzazione politica, che siano cioè strettamente legati al regime vigente prima del cambiamento di sovranità. Può dirsi ad esempio che non si verifichi successione negli accordi che concedono parti di territorio per l'installazione di basi militari. Simili accordi sono espressamente sottratti al regime successorio dal citato art. 12 della Convenzione del 1978 al par. 3. In realtà più che di un limite autonomo, trattasi dell'applicazione alla materia successoria del principio rebus sic stantibus, secondo il quale un trattato o determinate clausole di un trattato si estinguono se mutano in modo radicale le circostanze esistenti al momento della conclusione del trattato. 2.4. La regola della tabula rasa Un problema che si è posto in diritto intenazionale è quello della possibilità di individuare un principio generale che regoli la materia successoria - salvo poi stabilire se e in che misura tale principio trovi applicazione nelle singole ipotesi di mutamento. La risposta non è semplice, sia perché la prassi è stata e rimane assai confusa, sia perché molto spesso la successione nei trattati del predecessore è regolata mediante accordi tra lo stato subentrante e le parti contraenti dei precedenti trattati. Ne consegue che secondo larga parte della dottrina, regole di diritto consuetudinario non esistono, all'infuori dei principi valevoli anche in 10 di 25

campi diverso da quello della successione, come il principio rebus sic tantibus o il principio per cui occorrerebbe negoziare soluzioni in buona fede. Secondo parte della dottrina, regola fondamentale da assumere come punto di partenza per i trattati non localizzabili è la cosiddetta regola della tabula rasa. Lo Stato che subentra al governo di un territorio non è, in linea di principio, vincolato dagli accordi del predecessore. Tale regola, che confermerebbe la prassi internazionale, sarebbe dunque orientata in senso contrario alla successione. È interessante notare che la Convenzione del 1978 presenta una particolarità che contraddice il principio della tabula rasa - invece confermato dalla prassi. La convenzione distingue infatti la situazione degli Stati sorti dalla decolonizzazione, dalla situazione di ogni altro Stato che subentra al governo di un territorio. Mentre per la prima assume come regola fondamentale in materia di trattati non localizzabili la regola della tabula rasa, per la seconda assume come regola fondamentale quella, opposta, della continuità dei trattati. Un simile trattamento non trova però corrispondenza nel diritto consuetudinario. 2.5. Distacco di parti del territorio e formazione di nuovi stati Il principio della tabula rasa si applica anzitutto all'ipotesi del distacco di una parte del territorio di uno Stato. Può darsi che una parte di territorio distaccatasi si aggiunga, per effetto di cessione, al territorio di un altro stato preesistente. In tal caso gli accordi vigenti nello stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al territorio distaccato. A questo s estendono invece in modo automatico di accordi vigenti nello stato che acquista il territorio. La dottrina parla a tal proposito di una mobilità delle frontiere dei trattati. La regola della mobilità è enunciata anche dalla Convenzione del 1978 all'art. 15. Può darsi invece che sulla parte distaccatasi si formino uno o più Stati nuovi in tal caso si parla di secessione. Anche in questo caso gli accordi vigenti nello stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al territorio che ha acquistato l'indipendenza. La prassi si è sempre generalmente orientata in tal senso; deve ritenersi pertanto che la Convenzione del 1978, la quale accoglie il principio della tabula rasa per i territori di tipo coloniale staccatisi dalle potenze detentrici mentre enuncia l'opposto principio della continuità dei trattati per tutte le altre ipotesi di secessione, non corrisponda per questa seconda parte al diritto consuetudinario. 11 di 25

L'applicazione del principio della tabula rasa agli stati formatisi per distacco è integrale per quanto riguarda i trattati bilaterali conclusi dal predecessore e vigenti nel territorio distaccatosi. Simili trattati potranno continuare ad avere valore solo se rinnovati attraverso un apposito accordo con la controparte. Egualmente deve dirsi dei trattati multilaterali chiusi, ossia dei trattati che non prevedono la partecipazione, mediante adesione, di Stati diversi da quelli originari; anche in tal caso occorre un nuovo accordo con tutte le controparti. Per quanto riguarda i trattati multilaterali aperti all'adesione di Stati diversi da quelli originari, il principio della tabula rasa subisce un temperamento. Lo stato di nuova formazione può, anziché aderire, procedere alla c.d. notificazione di successione. Con questo atto la sua partecipazione retroagisce al momento dell'acquisto dell'indipendenza. In altre parole, mentre l'adesione ha effetto ex nunc, la notificazione di successione ha carattere retroattivo. Questa facoltà, riconosciuta agli Stati nuovi, ha cominciato ad affermarsi nell'epoca della decolonizzazione e può ritenersi ormai riconosciuta come consuetudine internazionale. 2.6. Smembramento di uno Stato Affine all'ipotesi della formazione di uno o più Stati per secessione, è quella dello smembramento. Mentre la secessione non implica l'estinzione dello Stato che la subisce, la caratteristica dello smembramento sta proprio nel fatto che uno Stato si estingue e sul suo territorio si formano due o più Stati nuovi. Poiché nell'una e nell altra ipotesi si verifica una divisione del territorio dello Stato e della popolazione che vi risiede, l'unico criterio idoneo a distinguere le due ipotesi è quello della continuità o meno dell'organizzazione di governo preesistente: l'ipotesi dello smembramento è da ammettersi ogni qualvolta nessuno degli Stati residui abbia la stessa organizzazione di governo dello stato preesistente. Un esempio tipico di smembramento - e non di distacco - è quello dell'imperò austroungarico dopo la prima guerra mondiale, dato che nessuno degli stati formatisi, ivi compresa la Repubblica Austriaca, conservò la medesima organizzazione di governo dell'impero. Altro esempio è quello della formazione della Repubblica Federale tedesca e della Repubblica Democratica tedesca nate sulle rovine del Terzo Reich. 12 di 25

Ai fini della successione nei trattati lo smembramento è da assimilare al distacco. Agli Stati nuovi formatisi sul territorio dello Stato smembrato è applicabile il principio della tabula rasa, temperato però dalla regola che, per i trattati multilaterali aperti, si prevede la facoltà di procedere ad una notificazione di successione. Anche la Convenzione del 1978, all'art. 34, unifica le due ipotesi nella parte relativa agli Stati nuovi che non siano ex territori coloniali. Si potrebbe qui sostenere che la soluzione accolta non trovi un pieno riscontro nella prassi recente, la quale rivela una certa tendenza degli Stati nuovi ad accollarsi gli obblighi dello Stato smembrato. Parte della dottrina ritiene che siffatta prassi non sia idonea a porre nel nulla la regola della tabula rasa. Anzitutto va detto che l accollo in oggetto risulta o da accordi degli Stati nuovi tra di loro, oppure da dichiarazioni unilaterali: nell'uno e nell'altro caso l accollo è chiaramente subordinato all'accettazione da parte degli Stati terzi o dalle organizzazioni internazionali interessate. C'è poi da notare che, allorché si tratta di debiti pecuniari, l accollo non sembra tanto ispirarsi a precisi principi di diritto internazionale, quanto piuttosto perseguire il fine pratico di evitare che il flusso dei crediti dall'estero si interrompa. Tuttavia, ciò che in definitiva depone a favore della regola della tabula rasa è il grande numero delle notificazioni di successione da parte di tutti paesi, notificazioni accettate dai depositari dei relativi trattati multilaterali e dalle altre parti contraenti. Di esse non ci sarebbe certo bisogno se non la successione fosse automatica. 3 2.7. Incorporazione e fusione fra Stati Opposte, in un certo senso, al distacco ed allo smembramento sono l incorporazione e la fusione. L incorporazione si ha quando uno Stato, estinguendosi, passa a far parte di un altro Stato. La fusione si ha quando due o più Stati si estinguono e tutti danno vita ad uno stato nuovo. 3 Nel caso dello smembramento dell'unione Sovietica la Dichiarazioni di Alma Ata del 21.12.1991 prevedeva che gli Stati membri della Comunità di Stati Indipendenti garantiscono, in conformità alle loro procedure costituzionali, il rispetto degli obblighi internazionali derivanti dai trattati e dagli accordi conclusi dall'ex-urss. Con una decisione adottata lo stesso giorno, il consiglio dei capi di Stato del CSI si dichiarava a favore della successione della Russia nei diritti di membro dell'onu già spettante all'unione Sovietica, compresi i diritti di membro permanente del Consiglio di Sicurezza, impegnando la stessa Russia, nonché l'ucraina e la Bielorussia, già membri a loro volta delle Nazioni Unite, a sostenere l'ammissione delle altre repubbliche all ONU ed alle altre organizzazioni internazionali. È chiaro che accordi e dichiarazione del genere devono incontrare l'accettazione degli Stati terzi. 13 di 25

Anche qui il criterio di distinzione tra le due ipotesi, distinzione non sempre facile da stabilire, non può che riferirsi all'organizzazione di governo: l'ipotesi dell'incorporazione va preferita a quella della fusione ogni qual volta vi sia continuità tra l'organizzazione di governo di uno degli Stati preesistenti e l'organizzazione di governo che risulta dall'unificazione. Adottandosi siffatto criterio va ad esempio ricordata come incorporazione la formazione del Regno d'italia nel secolo scorso. Va considerata egualmente come incorporazione della Repubblica Democratica tedesca da parte della Repubblica Federale la riunificazione delle due Germania con il trattato sull'unità tedesca del 1990. All'incorporazione si applica tradizionalmente la stessa regola della mobilità delle frontiere dei trattati: i trattati dello Stato che si estingue cessano di avere vigore, mentre allo Stato incorporato si estendono i trattati dello Stato incorporante. Per i trattati dello stato incorporato vale dunque, ancora una volta, il principio della tabula rasa. Tale principio regola anche i casi di fusione: lo Stato nato dalla fusione, sempre che sia effettivamente uno Stato nuovo, nasce libero da impegni pattizi. 2.8. Incorporazione e fusione di territori che rimangono autonomi Un'eccezione al principio della tabula rasa, sia nell'ipotesi della incorporazione, sia nell ipotesi della fusione, deve ammettersi quando le comunità statali incorporate o fuse, pur estinguendosi come soggetti internazionali, conservano un notevole grado di autonomia nell'ambito dello stato incorporante. In tal caso la prassi si è generalmente orientata fin dal secolo scorso nel senso della continuità degli accordi, con efficacia peraltro limitata alla regione incorporata o fusa e sempre che tale limitazione fosse compatibile con l'oggetto e con lo scopo dell'accordo 4. La Convenzione del 1978 adotta il principio della continuità dei trattati quali che siano le caratteristiche della riunione e quindi senza distinguere tra incorporazione e fusione e tra sussistenza o meno di un vincolo di tipo federale tra le entità riunitesi. In questo come in altri casi, la Convenzione si discosta nuovamente dal diritto consuetudinario vigente. 4 Per quel che concerne la riunificazione tedesca, che ha comportato la ricostituzione dei Länder nel territorio della Germania orientale, il trattato delle 31.8.1990 prevede, all'art. 11, che le parti partono dal principio che i trattati della Repubblica Federale si estendono al territorio della ex Repubblica democratica; per i trattati già conclusi da quest'ultima, invece, l'art. 12 stabilisce che il nuovo Stato li esaminerà con le altre parti contraenti e successivamente fisserà la sua posizione circa il seguito da dare agli stessi. 14 di 25

2.9. Il mutamento radicale di governo Un problema rilevante rispetto alla successione dei trattati si pone anche nel caso in cui si verifichi un mutamento di governo nell'ambito di una comunità statale. Quando il mutamento avviene per via extra-legali ed un regime radicalmente diverso da quello preesistente venga ad imporsi, deve ritenersi che cambi la persona di diritto internazionale la quale, come abbiamo visto, si identifica con l'apparato di governo (si ricordi a proposito la questione dello Stato-comunità e dello Stato-organizzazione discussa nella prima lezione). Rispetto all ipotesi del mutamento radicale di governo, la prassi internazionale è orientata verso il principio della continuità della successione del nuovo governo nei diritti e negli obblighi contratti dal predecessore e non invece al principio della tabula rasa. Eccezione è fatta, invece, per i trattati, soprattutto di natura politica o strettamente legati al regime preesistente, incompatibili con il nuovo regime. Questa, come già abbiamo visto precedentemente, è in realtà un'applicazione in materia successoria del principio rebus sic stantibus, per cui i trattati comunque si estinguono se mutano in modo radicale le circostanze esistenti al momento della loro conclusione. Come notano alcuni autori, è possibile sostenere che in base a tale principio, finisce con l'esservi nella materia in esame un rapporto diretto tra il numero delle norme pattizie che si estinguono e la radicalità del mutamento rivoluzionario. Quanto più il mutamento incide nella struttura dello Stato, tanto più numerose sono le norme che non potranno ritenersi compatibili con il nuovo regime. Al riguardo va inoltre notato che una parte della dottrina ritiene che la persona dello Stato neppure s'estingue per effetto di mutamenti rivoluzionari di governo e che, pertanto, non si ponga neppure la questione della successione dei trattati, non essendovi reale successione di stati. I sostenitori di tale prospettiva muovono dall assunto secondo il quale il reale soggetto di diritto internazionale sia lo stato-comunità e non lo stato-organizzazione. Tuttavia è evidente che se anche adottassimo questa prospettiva, non può negarsi che il mutamento rivoluzionario di governo produca, attraverso il principio rebus sic stantibus l estinzione delle norme incompatibili con il nuovo regime. Dal punto di vista pratico, dunque, i risultati sono gli stessi. 15 di 25

2.10. Successioni di debiti contratti mediante accordo internazionale Si discute spesso se vi sia una successione, internazionalmente imposta, in situazioni giuridiche di diritto interno. L'argomento più importante a riguardo ed il più dibattuto in dottrina è quello della successione nel debito pubblico. Trattasi di argomento che non rientra direttamento e sistematicamente nell ambito del diritto dei trattati, a meno che il debito non sia stato contratto dal predecessore come parte di un accordo internazionale concluso con un altro Stato o con una organizzazione internazionale. In questo caso il principio generale è quello della tabula rasa, salvo per i c.d. debiti localizzabili, ossia i debiti contratti con esclusivo riguardo al territorio oggetto del cambiamento di sovranità (ad esempio al fine di finanziare opere pubbliche in uno specifico territorio) oppure contratti da autorità pubbliche locali. Deve però riconoscersi che anche per i debiti non localizzabili la prassi più recente va nella direzione di una equa ripartizione concordata tra gli Stati sorti dallo smembramento e tra questi Stati ed i soggetti creditori (Stati od organizzazioni internazionali). La ripartizione è chiaramente ispirata dalla necessità pratica di continuare a godere del credito internazionale più che dalla convinzione di applicare precise regole di diritto internazionale generale. Non è tuttavia escluso che ci troviamo dinnanzi alla formazione di una norma non scritta limitatamente agli accordi di mutuo, norma che impone l'accollo dei debiti del predecessore. Quadro riassuntivo: Le vicende relative alla personalità internazionale dello Stato e i loro effetti sui trattati Effetti trattati sui vigore Trattati che restano in Trattati che si estinguono 16 di 25

Vicende dello Stato DISTACCO di una parte di uno Stato, che resta soggetto di diritto internazionale SMEMBRAMENTO di uno Stato, che si estingue FUSIONE tra due Stati, che si estinguono, con nascita di una nuova entità internazionale INCORPORAZIONE di uno Stato da parte di un altro Stato Per il territorio distaccato: a) Trattati localizzabili stipulati dallo stato che ha subito il distacco b) Trattati stipulati dallo Stato che acquisisce il territorio distaccato a) Trattati localizzabili stipulati dallo Stato smembrato b) Trattati stipulati dagli eventuali Stati che acquisiscono parti dello Stato smembrato Trattati localizzabili stipulati dagli Stati che si fondono a) Trattati localizzabili stipulati dallo Stato incorporato b) Trattati stipulati dallo Stato incorporante Per il territorio distaccato: tutti i trattati non localizzabili stipulati dallo Stato che subisce il distacco Tutti i trattati non localizzabili stipulati dallo Stato smembrato Tutti i trattati non localizzabili stipulati dagli Stati che si fondono Tutti i trattati non localizzabili stipulati dallo Stato incorporato 17 di 25

RIVOLUZIONE mutamento radicale della struttura di governo a) Trattati localizzabili stipulati dal precedente regime b) Trattati stipulati dal precedente regime compatibili con il nuovo governo Trattati stipulati dal precedente regime, incompatibili con il nuovo regime 18 di 25

3 Cause di invalidità e di estinzione dei trattati 3.1. Cause di invalidità e di estinzione Un trattato, data la sua natura contrattuale, può essere invalido se le manifestazioni di volontà che hanno concorso alla sua formazione sono viziate. In tal caso, non solo il trattato cessa di produrre effetti, ma risultano nulli anche gli effetti prodotti in precedenza. Come cause di invalidità, ricordiamo i classici vizi della volontà e precisamente: - L'errore essenziale, che l'art. 48 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati definisce come l'errore circa un fatto o una situazione che lo Stato supponeva esistente al momento in cui il trattato è stato concluso e che costituiva una base essenziale del consenso di questo stato; - Il dolo (art. 49 della Convenzione di Vienna) - La corruzione del rappresentante di uno Stato (art. 50); - La violenza, fisica o morale esercitata sull'organo stipulante (art. 51) - La violenza esercitata su uno Stato con l uso o la minaccia dell uso della forza (art. 52) - L incompatibilità con norme imperative del diritto internazionale generale (art. 53) Per estinzione di un trattato si intende la cessazione definitiva di qualsiasi effetto giuridico in precedenza prodotto dallo stesso; in questo caso l'accordo non è più in vigore per gli Stati contraenti termina l obbligo di darvi esecuzione. Vanno ricordate, quali cause di estinzione dei trattati: - La condizione risolutiva - Il termine finale - La denuncia o il recesso, ossia l'atto formale con cui lo Stato dichiara alle parti contraenti la volontà di sciogliersi dal trattato, sempre che la possibilità di denunciare o di recedere sia espressamente o implicitamente prevista dallo stesso trattato (art. 56, convenzione di Vienna); - L'inadempimento della controparte, in applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum (art. 60); 19 di 25

- La sopravvenuta impossibilità dell'esecuzione (art. 61); - L'abrogazione totale o parziale, mediante accordo successivo tra le parti. Quest'ultima causa di estinzione trova fondamento del principio generale sulla successione nel tempo degli atti giuridici di pari grado, secondo cui la norma posteriore abroga l'anteriore. 3.2. La violenza sullo Stato come causa di invalidità Tra le cause di invalidità è stata indicata, assieme agli altri classici vizi della volontà (errore e dolo), la violenza esercitata sull'organo stipulante il trattato. La Convenzione di Vienna prevede pure che una violenza esercitata sullo Stato nel suo complesso possa essere considerata causa di invalidità di un trattata. La Convenzione di Vienna accetta questa prospettiva stabilendo all'art. 52 che è nullo qualsiasi trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o con l uso della forza in violazione dei principi della carta delle Nazioni Unite. Va detto a riguardo che tale corrisponde al diritto internazionale consuetudinario quale si è venuto consolidando dopo la seconda guerra mondiale. Un tempo ci si chiedeva invece se la violenza sullo Stato fosse rilevante, portando come argomento il fatto che i trattati di pace sono normalmente considerati come validi. In realtà questo non pare a molti come un argomento decisivo, qualora si consideri che il trattato di pace interviene solitamente in un momento in cui non c'è immediata pressione tra i belligeranti. Vero è che quando tra la minaccia dell'uso della forza e la conclusione dell'accordo vi è un rapporto immediato e diretto, i dubbi circa l invalidità dell'accordo medesimo non hanno ragione di esistere 5. 3.3. La violenza sullo Stato con mezzi diversi dall'uso della forza Sia chiaro che quando si parla di violenza sullo Stato come causa di invalidità dell'accordo, si fa riferimento alla minaccia e all'uso della forza armata. Non vi sono elementi della prassi che autorizzano a comprende sotto il concetto di violenza pressioni di altro genere, come le pressioni 5 Assai significativo è il caso del trattato di Berlino del 1938 con cui la Cecoslovacchia accettava di cedere alla Germania di Hitler il territorio dei Sudeti: tale trattato era considerato come nullo in varie sentenze olandesi del dopoguerra, le cui corti erano chiamate a risolvere problemi di cittadinanza di abitanti di quei territori 20 di 25

politiche od economiche anche se illecite (come la violazione di accordi economici per ottenerne la revisione) 6. La dottrina concorda su ciò, salvo qualche voce dissidente di chi ritiene che simili pressioni potrebbero intendersi, per analogia, come simili alla forza armata; ciò pare invece da escludere, perché tra la pressione delle armi e le pressioni politiche o economiche vi è sostanziale diversità. Resta il fatto che, in sede di redazione della convenzione di Vienna, molti paesi di nuova indipendenza si batterono perché l'art. 52 facesse espresso riferimento alle pressioni politiche ed economiche; una proposta venne però ritirata in cambio di una generica dichiarazione di condanna che figura come allegato all'atto finale della conferenza di Vienna. 3.4. Trattati ineguali É evidente, da quanto sin qui detto, che la violenza sullo Stato è da configurare come causa di invalidità dei trattati solo entro limiti assai ristretti. Il problema dei trattati ineguali, ossia dei trattati rispetto ai quali una parte non abbia disposto di un ampio margine di potere contrattuale, non si risolve sul piano della validità. L ineguaglianza può trovare una correzione solo sul piano interpretativo. Se si esamina la giurisprudenza degli Stati vinti relativi ai trattati di pace, è prassi la tendenza ad interpretare in modo restrittivo certe clausole particolarmente favorevoli agli Stati vincitori. Ciò, più che effetto di spirito nazionalistico, è forse proprio il modo giusto di applicare un trattato ineguale. 6 Per uso della forza come causa di invalidità dei trattati deve intendersi l'uso della forza nei rapporti internazionali ossia la violenza di tipo bellico. Solo questo tipo di violenza è in grado di costituire un male notevole per lo Stato nel suo complesso. L'uso della forza, per così dire interna, ossia l esercizio del potere di governo ivi comprese tutte le possibili misure di carattere coercitivo sugli individui non rientra nella categoria di violenza bellica. Se uno Stato sottopone a misure detentive i cittadini di un altro Stato o pone sotto sequestro i loro beni, e se le misure adottate costituiscono una violazione, anche flagrante, delle norme internazionali sul trattamento dei cittadini stranieri, ciò può giustificare l'adozione di misure di autotutela di analogo contenuto da parte dello Stato offeso; ma non si può dire che un eventuale trattato, concluso per porre fine all'illecito esercizio del potere di governo, o comunque per regolare i rapporti pendenti tra due paesi, sia viziato da violenza. 21 di 25

3.5. La clausola rebus sic stantibus Una causa di estinzione caratteristica degli accordi internazionali è la c.d. clausola rebus sic stantibus. Si ritiene cioè che il trattato si estingua per il mutamento delle circostanze senza le quali i contraenti non si sarebbero indotti a stipulare il trattato o una sua parte. La Convenzione di Vienna all'art. 62, conferma tale principio, ma lo esprime giustamente in termini restrittivi, stabilendo che esso possa trovare applicazione solo se le circostanze mutate costituivano la base essenziale del consenso delle parti e se il mutamento sia tale da avere radicalmente trasformato la portata degli obblighi ancora da eseguire e se il mutamento medesimo non risulti dal fatto illecito dello Stato che non invoca. 3.6. Effetti della guerra sui trattati Si discute se sia causa di estinzione dei trattati la guerra; è ovvio che, fatti salvi certi trattati i quali sono stipulati proprio in vista della guerra e che appartengono al c.d. diritto internazionale bellico, gli accordi conclusi dagli Stati belligeranti prima della guerra non trovano applicazione finché dura l'ostilità. Il problema invece è comprendere se la guerra determina solo la sospensione o anche l estinzione definitiva dei trattati. Si può dire che la regola classica, la quale era senz'altro nel senso dell'estinzione, si sia andata affievolendo nel corso di questo secolo e soprattutto negli ultimi tempi. La prassi s'è sempre più indirizzata a favore di eccezioni alla regola dell estinzione; più in generale, si è manifestata nella giurisprudenza interna la tendenza a considerare estinti solo quei trattati che, per la loro natura, per la materia di cui si occupano e per gli interessi che tutelano, siano incompatibili con lo stato di guerra. 3.7. Automatica operatività delle cause di invalidità e di estinzione In materia si discute se, quando vi sia una causa di invalidità o di estinzione, questa operi automaticamente oppure se sia necessario un formale atto di denuncia del trattato. È evidente che in certi casi - quali ad esempio il termine finale o l abrogazione dovuta ad un accordo successivo le cause di estinzione operano automaticamente. In altri casi tuttavia sia le 22 di 25

cause di invalidità sia le cause di estinzione possono necessitare di un intervento dello stato che ne contesti l invalidità. Alcuni autori sostengono addirittura che sia necessario un atto di denuncia notificato agli altri Stati contraenti e che, in caso di denuncia da parte di questi ultimi, il trattato continui a restare in vigore finché la causa di invalidità non sia accertata in modo imparziale. Essendo soprattutto sentito il timore di legittimare degli abusi o di avallare scioglimenti unilaterali arbitrari, ci si orienta in modo empirico escludendo quindi l'automaticità quando la causa invalidante o estintiva consista in fatti difficile da provare. 3.8. Denuncia del trattato La denuncia del trattato è l'atto formale mediante il quale uno Stato notifica agli altri Stati contraenti la volontà di sciogliersi definitivamente dal vincolo contrattuale. Una tale manifestazione di volontà, quando non è esercizio di un potere di denuncia previsto dal trattato medesimo, non è indispensabile dinnanzi a cause di invalidità o di estinzione dei trattati. Lo Stato vi ricorre per far risaltare in modo certo e definitivo che, a suo giudizio, il trattato non è più applicabile in quanto invalido o estinto. Altra questione è se la denuncia sia sufficiente a produrre la cessazione del vincolo. Se si ha riguardo agli organi dello Stato denuncianti e a tutti coloro che, all'interno di uno Stato dovrebbero far osservare il trattato, non vi è dubbio che la denuncia vincoli alla disapplicazione; se sia riguardo invece, agli altri Stati contraenti, altrettanto indubbio è che questi non siano vincolati dalla unilaterale manifestazione di volontà dello Stato denunciante, cosicché in caso di disaccordo sulla effettiva insorgenza della causa di invalidità o di estinzione, il trattato entrerà in una fase di incertezza sul piano internazionale 7. 7 Circa la determinazione degli organi dello Stato competenti a denunciare il trattato occorre rifarsi, come per la competenza a stipulare, ai principi costituzionali di ciascuno Stato. In Italia si discute se per la denuncia dei trattati che rientrano nelle materie disciplinate dall art. 80 della Costituzione e che richiedono una legge di autorizzazione per la ratifica, sia necessario il consenso del Parlamento. La prassi in materia depone a favore della tesi negativa: competente a formare e a manifestare la volontà dello Stato in materia di denuncia è il solo potere esecutivo. Nonostante ciò va detto che la situazione sembra si stia evolvendo verso una sempre maggiore collaborazione tra Parlamento e governo e a favore della necessità che vi sia una qualche forma di assenso del primo in ordine alla decisione del secondo relativamente alla denuncia. 23 di 25

3.9. Procedura prevista dalla convenzione di Vienna per far valere l'invalidità o l'estinzione dei trattati Gli artt. 65-68 della Convenzione di Vienna stabiliscono la procedura per far valere l'invalidità o l'estinzione di un trattato. Secondo la Convenzione, lo Stato il quale invoca un vizio di consenso, o un altro motivo riconosciuto dalla Convenzione come causa di estinzione o di invalidità, deve notificare per iscritto la sua pretesa alle altre parti contraenti del trattato in questione. Se, trascorso un termine superiore ai tre mesi non vengono manifestate obiezioni, lo Stato può dichiarare, mediante atto comunicato alle altre parti, che il trattato è da ritenersi invalido o estinto. Se delle obiezioni vengono sollevate, lo Stato che intende sciogliersi e la parte o le parti obiettanti devono ricercare una soluzione con mezzi pacifici. Tale soluzione deve intervenire entro 12 mesi. Trascorso tale termine, ciascuna parte può mettere in moto una complessa procedura conciliativa che prevede la creazione, in seno all ONU, di una commissione di conciliazione. Nonostante la complessità di tale procedura, la stessa non produce una decisione obbligatoria. Purtroppo non è specificato nella Convinzione che cosa succede se il rapporto della Commissione di conciliazione, che eventualmente si pronunci per la invalidità o l estinzione del trattato, venga respinto dalle parti interessate. 24 di 25

Bibliografia Benedetto Conforti, Diritto Internazionale, Napoli, 2007 Francesco Capotorti, Corso di diritto internazionale, Milano, 1995 Giorgio Badiali, Testi e documenti per un corso di diritto internazionale, Rimini, 2001 25 di 25