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Transcript:

Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore. Era il suo momento, adorava le tempeste. Appena sentiva il vento carico di pioggia, usciva dalla sua casetta piccola incastonata tra tante case su per la ripida salita, come se si sorreggessero tutte insieme per non cadere, come pezzi o tasselli di un domino messi in fila, bastava spingere la prima e tutte sarebbero cadute a cascata. Questo temeva, ma attratta dal temporale, dimenticava ogni paura, forse per esorcizzare il pericolo della fine, correva al Facciatone, correva su ansimando e si godeva lo spettacolo, nuvoloni neri che si addensavano, bagliori in lontananza illuminavano il cielo: rosso, arancio,viola come fuochi d artificio, boati, fulmini, tuoni, suoni e colori della vita davanti ai suoi occhi. Ogni volta riusciva a stupirsi, come se fosse la prima volta che vedeva quello spettacolo e con la mente volava a quel brodo primordiale da cui nacque la vita. Immaginava l idrogeno e l ossigeno, due gas incompatibili, scoppiettanti tra loro, che per magica armonia, in un perfetto equilibrio tetraedrico, si univano formando l elemento più prezioso per la vita: l acqua. E in questo mondo dove nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, immaginava quei due atomi arrivati da lontano da trasformazioni millenarie, dalle prime molecole ai giorni nostri; con la sua fantasia li immaginava uniti in una goccia d acqua, e dopo il temporale li vedeva riposare in Fontebranda, dove tamburini e alfieri si incrociavano in un rito antico, preparandosi al Palio. I giovani stanchi e sorridenti, là rinfrescavano i loro volti, non potendo immaginare quella goccia d acqua per quanti mari, per quanti fiumi, per quanti cieli fosse passata, e al sole evaporava risalendo di nuovo tra le nuvole. Lei, sognando ad occhi aperti, vedeva la stessa goccia ritornare giù con un altro temporale, in Fonte Serena, nascosta in fondo alle scale, solitaria e sconosciuta, là, riparati dal fragore delle contrade, dove tutti speravano di vincere il palio dell Assunta, due innamorati giocavano schizzandosi con l acqua, quella stessa goccia ricca di storia, d amore, scambiata con un bacio appassionato, guardandosi negli occhi. Felici, mano nella mano, si incamminavano coi cuori pieni di speranza, il loro futuro, per sempre insieme.

Si abbracciarono sui gradini di Fonte Gaia e guardando l orologio della Torre del Mangia, apparve la luna attraverso il Campanone che coi suoi rintocchi donava speranza a tutti. Le 17 contrade avrebbero sfilato e le 10 fortunate si sarebbero sfidate, facendoli sognare, accendendo i loro cuori, e nel silenzio della piazza dopo la mossa TRE GIRI, SOLO TRE GIRI. ED UNA SOLA ESULTANTE.. Loro innamorati in quel lontano 15 agosto, unirono i loro sogni e i loro desideri, coi sogni e coi desideri della loro contrada. Si addormentarono lì, guardando le stelle ubriachi di vino e d amore. Si svegliarono ed era tutto finito, si guardarono e non si riconobbero. Tornarono a Fonte Serena dopo anni, un viaggio verso l inizio per ritrovarsi, un cammino lento, pesante, non più leggero e danzante. Arrivarono a Fonte Serena di nuovo soli, di nuovo il 15 agosto, sfiorarono l acqua, le gocce scivolarono dalle loro dita, non si guardarono, non si sfiorarono, non più una goccia d acqua scambiata con un bacio appassionato, ma solo un idrogeno e solo un ossigeno separati, di nuovo incompatibili, di nuovo verso le nuvole, pronti per un nuovo temporale. Concetta Mirabella Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore. Paolo aveva aperto la finestra della stanza che fungeva da ripostiglio per le scope e i detersivi e ora lasciava che l incerto tepore dell inizio primavera lo consolasse a metà mattinata. Aveva detto: Vado a prendere i detersivi e così aveva percorso il lungo corridoio, oramai trascurando i ritratti e le lapidi con le iscrizioni dei più illustri ospiti di quello che era stato un Regio Convitto e prima ancora un Convento domenicano; le trasformazioni dell edificio erano più o meno documentate dai quadri ad olio, quasi indecifrabili tanto ormai anneriti, che intervallavano le pareti dell atrio e dei corridoi. Come sempre, aveva ignorato i due tre ragazzi che fumavano nei bagni e oltrepassato le porte delle aule che rimandavano voci consuete. Aveva scoperto che il ripostiglio poteva fungere da rifugio per qualche decina di minuti quando le conversazioni con i colleghi cominciavano a diventare decisamente troppo soffocanti, e la maschera della cortesia condiscendente rischiava di frantumarsi in : Ma va fa te e tua suocera, i tuoi figli, il vestito, l estetista

Dalla finestra l occhio poteva spaziare tranquillo giù lungo la leggera scarpata, e proseguire su per le risalite delle piccole colline irregolari, disegnate dagli orti e dai fazzoletti di uliveti, quali arruffati, quali diligentemente potati, fino ad incontrare la cinta muraria; ma, allora, perché quel sobbalzo improvviso all impatto con la vista delle mura, perché quello scarto inconsueto con la rilassatezza che andava cercando? Paolo si piantò alle orecchie gli auricolari del lettore Mp3 e si sparò le sonorità mediterranee degli Agricantus a tutto volume, fino a stordirsi completamente cercava di premere in basso quelle domande che con forza incontrollabile si alzavano dentro di lui, come bolle in un terreno geotermico, in procinto di impazzire in soffi irruenti e imprevedibili. Si stava forse accucciando in questa città che si avvolge come una chiocciola ritratta in se stessa? E le immagini della sua di città, dei vicoli caotici, risuonanti di voci, le piazze stracolme di auto in barba ad ogni regola di circolazione, e l odore salmastro di porto di cui sappiamo sempre la presenza, insomma tutto quello che inconsapevolmente percepiva vitale, com è possibile che si stia insensibilmente trasformando in vedute da cartolina della memoria? E, soprattutto, cosa stava facendo, stava trasformando in una innocua lamentazione nostalgica per quello che un tempo aveva fatto, il vero, pungente problema? La mancanza dolorosa della musica: con gli amici, a suonare tutta la notte, nelle case, o nei locali, quando trovavano, ma anche in ogni piazzetta la mancanza di quello che era stato La musica ascoltare le vibrazioni del ritmo che si ripeteva diversamente ossessivo lo riportava là, a quell intesa con i compagni del gruppo, a quell estenuante provare e ancora provare accordi, alla dimenticanza del tempo che generava la musica Eppure sapeva che avrebbe ragionevolmente amato anche una vita più solida e modesta, e già si vedeva, in futuro, ai giardini della Lizza, a godersi i figli con Gianna, proprio per quel sentimento di struggente dipendenza che provava per lei. Avrebbe voluto anche questo, e questo Siena sembrava promettergli. In fondo lo aveva accolto e gli consentiva uno spazio dignitoso dentro l anello delle sue mura. Ma anche dalla torre di cinta più alta, non si può arrivare a vedere il mare. Paolo chiuse gli occhi e rimase abbagliato dall azzurro che gli inondava la memoria. Contenne l emozione sempre più potente; senza accorgersene stava decidendo della sua vita, che ora gli sembrava quasi sconfinata. Si scrollò. Comprese che quella finestra l aveva aperto ad una scelta che doveva essere consapevole. Spense la musica, aprì la porta ed uscì. Lucia Burzi

Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore. Una voce sovrastò improvvisa ogni sottofondo: <<Oh che ci fai fuori con questo caldo?>> <<E te bischero che ci fai?>> <<Ma io so un omo>> <<Beato te!>> Riposare il pomeriggio con le persiane appena chiuse era più che altro ascoltare le voci che salivano lungo i vicoli stretti e i muri vecchi; e farsi accompagnare nei sogni e risvegliare e poi riprendere il filo e ridormire di nuovo, senza più capire quale fosse la veglia e quale il sonno. Quella stagione era particolarmente calda, lo vedeva dai piedi un po gonfi che avevano bisogno di riposare per far riprendere la circolazione alle gambe ingrassate e con un po di vene sporgenti; c era perfino una mosca che camminava sul braccio sinistro: un chiocco con la mano per far smettere la sua noia era servito solo a lasciare il segno della fede sull altro braccio: <<Madonna quanto le odio le mosche, spero di mori d inverno>>; poi un sussulto e si girò: <<Dov è Ugo?>> Si era alzato; ma non se n era accorta: seguiva il filo di un sogno e non aveva avvertito la sua assenza nel letto. Il desiderio e lo sforzo di essere veloce non veniva corrisposto dal corpo che ci mise un po a passare da sdraiata a seduta, da seduta in piedi e allora si era messa subito a chiamarlo per anticipare e sveltire ogni movimento: <<Ugo, ma dove sei?>> Non sapeva se si dovesse preoccupare e la voce gli uscì come un urlo misto a lamento, poi lo spiraglio di luce intravisto nel corridoio gli dette la certezza che la porta di casa era aperta: <<Madonna è uscito!>> Passettini fitti e veloci, insicuri, fatti sulla punta dei piedi, la schiena incurvata e sbilanciata da una parte; un corpo magro, asciutto, un volto bello con lo sguardo un po perso nel vuoto, occhi appannati che chissà cosa guardano; a dispetto della sua grande età Ugo è veloce; ma cammina rasente i muri, rasente, rasente per mantenere l equilibrio e seguire la strada memorizzata ormai più che nella mente, nel suo corpo, perché tante volte l aveva percorsa per andare a correre in aperta campagna: ci vuole poco a Siena a trovare gli olivi, basta uscire dalla Porta e andare giù per la prima discesa. Non passa inosservato Ugo, perché tutti lo conoscono in contrada: <<Ugo buongiorno!>>

<< Uugoo!>> <<Che si fa oggi Ugo si va a corre?>> << Unn è troppo caldo per corre Ugo?...>> e sanno che ultimamente, da quando ha perso un po la testa, ogni tanto scappa, sicché è da custodire come si farebbe con un bambino; ma a quell ora fuori non c è nessuno: la trattoria ha appena finito di dare il cencio e chiuso le porte della cucina; il meccanico oggi è chiuso; l Antonietta, pora donna ormai vecchia e sola, dorme sulla poltrona con la soap opera a tutto volume come se la dovessero sentire anche i turisti in Piazza del Campo; sicché nonostante sia vestito con la maglietta al rovescio e le scarpe sciolte, per ora è riuscito a sconfinare invisibile oltre il solito limite. <<Dove è andato?>> Era uscita così com era, dandosi una ravversata con la mano ai capelli passando davanti allo specchio, era scesa di corsa per la rampa della scala e si aspettava a ogni passo di vederlo, si chiedeva a ogni piccolo ostacolo come avesse fatto a superarlo: -come aveva fatto a scendere gli scalini a angolo senza mettere i piedi in mezzo? Come aveva fatto a non inciampare nella pietra rialzata? Come aveva fatto a scansare i vasi grossi della trattoria, e le catene del meccanico, e a non sbattere nelle persiane non fermate di quella sprecisa dell Antonietta, pora donna ormai vecchia e sola?- Da una parte un gruppo di citti seduti su delle vespe fumavano e chiacchieravano, chissà se lo avevano visto: <<avete visto passa il mi marito, Ugo?>> Non lo avevano visto perché erano appena arrivati; l unica era proseguire per la discesa sperando che non arrivasse tanto lontano, perché poi c erano le macchine, lo doveva raggiungere prima che uscisse dalla Porta; le gambe ce l aveva buone abituata a camminare su e giù per le discese di una città che per viverla ti vole giovane fino a vecchia. Finito il perimetro del muro delle case è ormai arrivato alla Porta; lì sul muretto che dà la vista verso gli orti c è sempre una gattina che si struscia a lui, quando la badante lo porta fino a quei confini e lo fa riposare su una panchina, arrangiata dai vecchini che vanno a poventa : a guarda il sole tramontare, da una parte, e le macchine posteggiate o che passano per la strada, da quell altra; la micina vecchia anche lei, grigia, spelacchiata ma col musino bellino, è rannicchiata su un asse infilata nel muro per metterci i fiori, fra un testo e un altro, per stare all ombra; Ugo si ferma per riprendere l equilibrio che il muro delle case non gli può più dare e perché è già stanco; la vorrebbe chiamare la micina, ma riesce a

cantilenare solo un rumore sconnesso di suoni, ha perso l uso delle parole, o come aveva detto un giorno in un attimo di presenza: << eh me l hanno prese!>> La micia lo riconosce, lussuriosa di carezze si alza facendo le fusa e cercando la mano che le lisci il pelo, da lontano qualcuno lo sta inseguendo ormai urlando senza pudore : <<Ugo! Ugo!>>. Lui a dispetto del richiamo un po isterico e rumoroso riprende la fuga appoggiandosi con la mano al travertino poroso del muretto, che prosegue tutto lungo la strada; a ritmo serrato di passetti Ugo si dirige verso Valle. Il percorso era sempre lo stesso, lo aveva fatto per anni, gli piaceva la sera stanco del lavoro rimettersi le scarpette leggere e andare incontro al sole al tramonto, era stata una soluzione alla tensione lavorativa e ai problemi sempre più grossi della vita. Erano stati anni duri, di cambiamenti troppo veloci tanto da non avere più nemmeno l appoggio nella saggezza o esperienza di vita dei più anziani; come si faceva a riproporre i principi della vita di prima? Le donne lavoravano, i figli studiavano, il mondo andava parecchio più veloce, e non ci si accontentava mai di niente: la casa, il frigorifero, la televisione, il telefono, la macchina e le vacanze; ma quando mai prima erano esistite queste cose che ormai piacevano anche a lui; e tanto; e non voleva che la sua famiglia rinunciasse a niente? Ma alla Cava le cose non andavano più bene; il Barone che era stato come un babbo per lui, ormai era anziano e non aveva nessuno all altezza della sua testa, in pochi mesi fallì: ci furono scioperi, assemblee, tensioni, e lui si era sempre sentito e schierato fra i moderati, mai fra i fanatici, la violenza gli faceva schifo e voleva fare le cose ragionate, per questo suscitava diffidenza nelle teste roventate che volevano fare casino, parecchio per fare solo casino; ma la forza della conoscenza e della stima, retaggio degli anni della guerra, vinse; fu così che gli operai, gli scalpellini e gli impiegati, classe di cui faceva parte, decisero per non perdere il lavoro, di costituirsi in cooperativa; unico e primo esempio in quell inizio speciale degli anni 70. Gli sembrava che le gambe fossero di quando correva per quella strada da piccina, fiera del vestitino della domenica che si era messa di nascosto; glielo avevano comprato per la comunione e la su mamma lo aveva ritirato fuori per fare La fotografia: tutti insieme col su fratello, per mandarla al marito in guerra; una foto che era costata mezza lira: la mamma si era preparata con calma, si era messa il tailleur con la gonna lunga, si era spazzolata più del solito i capelli, per poi raccoglierli dietro

la nuca in una nuova crocchia, e poi si era messa la collana, il braccialetto e l anello:-bella! Bella era bella, alta e magra; ma anche lei si sentiva una regina soprattutto per quel fiocco grande, bianco che le avevano messo con tanta cura le donne in testa: era stata ferma, ferma, anche se le tiravano i capelli e le facevano male : << chi bella vuole apparire, qualche pena deve soffrire!>>. Poi andarono da Goffredo il marito della Lupaia per fare La foto: in quella stanza buia davanti a un tendone; il su fratello e la su mamma alti impettiti, e lei ritta sulla sedia come un trono, per essere alla loro altezza. L aveva ritrovata in quei giorni la foto, mentre ripuliva i cassetti del salotto, e ora che il su fratello era morto, dopo 10 anni di distanza dalla mamma, aveva ancora più importanza come ricordo della su famiglia; anche se il babbo un c era: tanto non aveva mai fatto parte di quella famiglia, se non come una lontananza fisica, di affetti e anche di bellezza (era gobbo), e come ricordo di violenza, che tutti in famiglia temevano e odiavano. Sì ci sarebbe voluto una bella cornice -da mettergli, magari d argento, ma come faceva a comprarla: con Ugo in queste condizioni -non aveva tempo nemmeno d anda alla Messa.

Aveva tanta stima e tanto affetto per il Barone, non lo sentiva come un padrone, semmai come un padre, un amico più grande, un uomo saggio che un giorno lo aveva chiamato per prestargli i soldi per sposarsi e poi, per farsi la casa, senza chiedere gli interessi: era stato lui a farlo crescere a fargli capire quali erano i tempi giusti della vita: <<Hai trovato questa bella figliola, mi dicono che è la più bella del paese e ti vuole bene, allora che aspetti sposala, i soldi ve li dò io>> Il primo figliolo maschio lo aveva chiamato col suo nome. Lui le aveva fatto la dichiarazione proprio lungo questa stradina, allora si facevano tutte lì, quando ti portavano a passeggiare lungo quelle mura sapevi che ci scappava sempre un bacio e una dichiarazione, -proprio qui mi -, in questa curva del muretto sotto il tiglio, le aveva chiesto di sposarla: non le resse lo stomaco e dovette vomitare, giù di sotto dal muretto; si sporcò tutti i guantini trinati per parassi la bocca per non farsi vedere da Ugo, che lì per lì, lo vide, ebbe paura che gli dicesse di no e invece, girandosi lei gli disse : <<Sì>>. Per quella strada ne aveva portate parecchie svegliotte : è li che aveva cominciato coi baci e poi la sua iniziazione sessuale nei campi: allora un c erano le macchine; ma quella cittina più giovane di lui di 10 anni, la baciò e basta e già l adorava bella com era; per cui dopo poche volte, su consiglio del Barone, le chiese di sposarlo e lei dopo essersi alzata e aver guardato verso il tramonto, disse di sì. Passettini, passettini, il muretto è finito e con la mano segue la curva per affrontare senza appoggi la Valle aperta, ma è troppo stanco e non riesce a mantenere l equilibrio e il ritmo, per quattro cinque passi ci prova, ma poi casca: per fortuna nell erba della Valle. <<Ugo! Ugo!!Accidenti a te ma dove vai? Aspettami>> L aveva visto da quando era uscita dalla Porta, fra le macchina posteggiate, e aveva cercato di aumentare il passo, in mezzo alle immagini che le si paravano davanti: una corsa all indietro nella storia della loro vita; ora però aveva paura perché stava correndo più forte di quanto potesse reggere il suo corpo, sempre in forma ma insomma ho una certa età-, e soprattutto abituato a non scomporsi mai oltre un certo limite; per cui arrivata in fondo alla strada non vide lo scalino, anche la vista non era più un gran che, fra l asfalto e l erba e anche lei fece la sua entrata in

Valle cascando nell erba accanto a Ugo che aveva il naso sgocciolante di sangue. Le venne da piangere forte, forte, mentre lo accarezzava per pulirlo. Ugo le prende la mano e gliela stringe con la forza di un cittino. Lei mentre stava per piangere, rise: <<Speriamo passi un anima bona che ci riporti in su >> Elisabetta Casagli ERA SOLTANTO VENTO Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore. Entrò veloce dalla porta di Fontebranda con un sibilo e risalì il Costone. Scalzò due cappelli di paglia dalle teste di ignari signori a mezza costa; il tempo di arrivare in Vallepiatta e riprese la corsa, infilandosi nei vicoli stretti che portano al Duomo. Sulla scalinata della basilica arrivò inatteso e gonfiò capelli, sbatté sui volti di turisti stupefatti, alzò gonne mostrando sottovesti. Lanciò ombrelli parasole in alto, oltre le bifore della Curia, come palloni pieni d elio sfuggiti dalle mani di bambini. In via del Capitano s insinuò tra le ruote di un ciclista, mandandolo a gambe all aria. Scendendo da Stalloreggi prese i Mantellini; seguendo le naturali curve del muro s incanalò verso il cimitero del Laterino, dove si diverti a sfogliare i crisantemi dei defunti come margherite. Risalì in San Marco, deviando pochi passi prima della porta sulle Sperandie. A metà salita giocò con due gattini neri, che al lieve tocco della mano divennero palle di pelo in cento capriole. Dopo le Cerchia sbucò in Sant Agostino e nella piazza arrivò di spalle a un vigile che dirigeva il traffico, spedendogli il cappello tra la ghiaia polverosa del prato. Scese nel Casato, rasente al muro come un ubriaco di mezzanotte. La strada cominciò a stringersi; in fondo ritrovò potenza e ardore per entrare nel Campo, dove di gran carriera ebbe per un momento l impressione di essere solo, primo al comando di un Palio immaginario. Sgattaiolò per via Dupré; tra le colonne del Tartarugone sorprese due signore anziane con le borse della spesa in mano, che si gonfiarono come vele di barche d estate in mare aperto. Porta Giustizia gli si parò davanti dalle fonti di Salicotto; poi risalì la via del Sole sbattendo come una pallina nel flipper che porta a San Girolamo. Si aprì un varco verso i Servi, dove per le antiche scale della chiesa scompigliò capelli a ragazzini persi nei tappi di bottiglia ricolmi di cera.

Ritrovarsi alla Porta di Romana fu un attimo. Toccandola torno indietro, quasi fosse un respingente. Via Roma l accolse; e lui la ringraziò, facendo sbattere cenci e pantaloni appesi ai fili come un applauso di cento e cento mani. Curvò secco al Ponte di Romana e giù per l Oliviera, cercando un altra porta. Dai Pispini sbucò in Pantaneto, dove si avventò furioso sull acqua fuoriuscita da un tombino, sollevandola. Passò tra le sagome della gente che si riparava dall inattesa pioggia e filò via veloce ad incrociare Banchi di sopra, un autostrada diritta che senza tentennamenti sbuca alla porta di Camollia. Nella piazza antistante si divertì con un edicola prima di ripartire, lasciando in terra giornali e locandine. Mutande e calzini costeggiando il Campansi volarono via come uccelli colorati quando li strappò alle tenere mollette. Scese giù per via Garibaldi fino alle vecchie mura, a zig zag per Beccafumi per arrivare all ultima porta, quella di Ovile, l unica che prese da fuori. Appena la varcò sparì, d improvviso così come era apparso in Fontebranda e tutto ritornò normale. Nei giardini e negli orti, ai pie delle case, dentro la cinta delle mura di Siena non si udiva più nessun rumore. Stefano Valacchi Il vento frusciava negli orti a pie' delle case, dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana sbattendo e c'era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva paziente in fondo agli orti quel rumore. Anche i suoi passi riflettevano il loro suono sulle pareti delle case del vicolo, e anche il tintinnio delle monete che rimestava nella tasca sinistra conferiva un ritmo metallico al suo cammino. Aveva monete in ogni tasca sinistra delle sue giacche. Vi rimanevano dalla volta precedente. Potevano essere spese ma sempre rimpiazzate. Finivano all'attaccapanni o nell'armadio, nella tasca sinistra. Perché era mancino. E almeno in questo rivendicava la sua natura. A volte rifletteva sul fatto che la vita dei mancini e' davvero complicata. Ma che non importava a nessuno. Per scrivere lo avevano corretto. Ai suoi tempi si usava così. Ma per tutte le altre cose usava la mano sinistra. E quando nessuno lo vedeva, scriveva con la sinistra. Da sinistra verso destra, sporcandosi il mignolo di inchiostro. Ma quello che più gli piaceva era scrivere da destra verso sinistra. Solo lui leggeva quello che aveva scritto. Chiunque altro avrebbe dovuto usare uno specchio. O essere come lui. Anche ora, mentre percorreva l'ultimo tratto di via San Martino, camminava a sinistra. Per lui era naturale solo camminare a sinistra. Passo' sotto le finestre della sua vecchia casa. Gli si stringeva sempre un

po' il cuore passando di la' e quei pochi secondi si tingevano della nostalgia dei suoi ultimi anni di universita', pieni di amici, di casini e di amori. Accelero' il passo verso via delle Cantine. Gia' da San Girolamo il profumo dei tigli comincio' a farsi sentire, presagio di un'estate che presto avrebbe svegliato la citta' con i suoni e i colori del Palio. Arrivò alla scalinata della Basilica dei Servi con un impercettibile affanno. E come sempre, da trent'anni a questa parte, si sentì bene. Un benessere totale, un appagamento del cuore e della mente. Fra qualche giorno sarebbe stato il suo compleanno. Si sentiva felice. Felicissimo. Senza alcun motivo apparente per esserlo. Non era ricco, non aveva avuto figli. Era stato bello. Molto bello. In un'età in cui la bellezza si considera poco e niente e che si apprezza quando il passare del tempo la porta via. Felice di cosa, dunque? Di lei. Di averla nella sua vita. Di essere oggetto del suo amore da quasi trent'anni. Di essere stato amato da quella donna fatta di tanti particolari sbagliati che messi insieme le conferivano una bellezza che bisognava saper vedere. Denti larghi e una bocca sottile, bassina, occhi dorati sotto occhiali fuori moda e dalle lenti spesse, capelli ribelli, mai in ordine. Magra, quando si erano conosciuti. Non più', ora. Ma il colore olivastro della pelle dalla grana di seta, il suo odore e il suo sapore di spezie, erano rimasti gli stessi. E anche l'incedere impreciso, tendente a caricare il passo a sinistra che l'aveva colpito la prima volta che l'aveva vista, non l'aveva mai abbandonata. Tutto ciò lo emozionava tutte le volte che la rivedeva. Lo squillo del cellulare ruppe i suoi pensieri e il silenzio della sera. Erano le undici. Non se ne era accorto. -Dove sei?- era lei, con la voce assonnata. -Sono uscito a fare due passi. Ti sei addormentata sul divano. Non ho voluto disturbarti. - Scusami. Ero solo un po' stanca. Mi sono svegliata e non c'eri. Ora vado a letto. Spero di essere sveglia quando torni. -Arrivo presto. Un ultimo sguardo alla facciata della basilica e poi via. Camminava veloce. Voleva arrivare presto a casa. Si sarebbe spogliato in soggiorno per non fare rumore e poi lentamente sarebbe andato in camera da letto, al buio. Al buio avrebbe raggiunto il suo lato del letto. A destra. Perché intrecciando le sue gambe a quelle di

lei e abbracciandola per sprofondare nel sonno, l'avrebbe trovata al posto giusto. A sinistra. Gloria Turi Il vento frusciava nei giardini e negli orti a pie della case, dentro la cinta delle mura dei Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana sbattendo; e c era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore. Era un rumore che risuonava ovunque,in ogni azione consunta e banale e Barbara lo percepiva come una spina un tormento continuo. Il vento frusciava anche nei suoi pensieri la carezza del fruscio del vento di una nuova primavera le aveva liberato i lunghi capelli dai geli dell inverno...sentiva che non aveva mai pensato che ci potevano essere altre possibilità. Camminava con leggerezza stanca quando l occhio rimase impressionato su un biglietto giallo appiccicato storto sulla porta di un negozio di vestiti cuciti a mano, strani e apparentemente fuori moda..c era scritto un RITORNERO Il negozio aveva l aria di un laboratorio artigianale,non c era mai entrata., un po per mancato coraggio un po perché era una donna incapace di entrare senza comprare, ma l aveva visitato con l immaginazione tutte le volte che ci passava davanti, cioè ogni giorno tornando da lavoro aveva notato i colori e la scelta delle stoffe e poi i modelli dei vestiti che potevano far pensare ad altri tempi un sapore e un intrigo di sensazioni difficile da decifrare. Ma quella parola scritta in fretta e furia, un po disordinata l aveva proprio incuriosita e anche disorientata subito si era domandata che volesse davvero dire ritornerò ritornerò fra poco..domani o ritornerò se ne avrò voglia ed erano scattati nella sua mente fantasie e meccanismi assurdi anche musicali le frasi forse di una canzone di Luigi Tenco? Ritornerai.ma non era Tenco era un altro (antipatico ma non aveva mai capito perchè)..lauzi così si mise in ascolto. ritornerai..lo so ritornerai.... Aveva cercato di leggere tra le parole e cercare un qualche significato significativo per la propria esistenza e aveva capito che quella musicalità canora anni 60? O forse 70? non le si addiceva la canzone l aveva attratta con l orecchio ma il senso.. ora lo sapeva,era un senso stronzo ritornerai?!.. che voleva dire ritornerai? Voleva significare che

per una donna è difficile fare scelte significanti e si ritorna? e si ritorna a che? E poi perché ci si sente sole? Il sole era nel cielo e illuminava la vita... il sole che ci fa sta stare in solitudine è fondamentale per la nostra parte creativa e allora si sta soli al centro dell universo e poi mi illumino d immenso meno male che c è una poesia che aiuta la mia vita così aveva pensato. Ritornerò Forse ritornerò non lo so che farò domani oggi ho da fare cose assai importanti cose che non so spiegarti Barbara chiuse tutte le porte e le finestre tenne con se quelle poche speranze che una voce interna le suggeriva di nascosto ma in ogni momento si diceva che ce la puoi fare ce la puoi fare... ce la farai perché è più forte di te era stata una ragazza difficile, aveva studiato con qualche difficoltà la matematica, era stata una figlia ubbidiente, e dentro le sue ricerche umane c era sempre un desiderio d evasione ma non si era mai data delle possibilità aveva seguito il cammino segnato,quasi per destino,da sua madre e forse dal suo bisogno di essere nella normalità. Già..lei normale non si era mai sentita e ora, sapeva che la normalità non esisteva. lei intanto era dio-partita e vagava tra i vicoli bui della piccola città medioevale oggi inondati di luce primaverile..nell incertezza dei passi si era maturata un altra certezza: no no io non ritornerò INDIETRO E Il vento continuava a frusciare nei giardini e negli orti a pie della case, dentro la cinta delle mura dei Siena Monica Il vento frusciava nei giardini e negli orti a pie' delle case, dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore.

Si alzò per chiudere le persiane della sua camera. Odiava quel rumore. Da un po' di tempo, a dire il vero, odiava qualsiasi rumore che non fosse il frusciare delle pagine che voltava nei libri. Si sedeva sulla sua sedia a dondolo, un libro aperto in mano e si abbandonava ai suoi cupi pensieri. A cosa servisse quel libro aperto sulle sue ginocchia, fra le sue mani, in realtà non lo sapeva nemmeno lui. Vado a leggere - diceva quando, stufo delle grida dei genitori che riempivano la casa, cercava un attimo di isolamento. Prendeva un libro dalla scrivania, sempre quello. Lo apriva alla pagina a cui era rimasto, sempre quella ormai da dieci giorni tanto che non aveva più nemmeno bisogno di un segnalibro. Si accomodava sulla sedia a dondolo e cominciava a dondolare, prima piano piano, poi sempre più veloce fino a quando un conato di vomito non gli saliva alla gola. Allora si fermava di colpo, poggiava le mani sul libro aperto e abbassava gli occhi su quelle righe nere. Rimaneva così per 10 minuti fissando le lettere muoversi, ballare sotto di lui. Odiava quel vento dispettoso nella sua mente che si divertiva a giocare con le parole del libro : le inseguiva, le invertiva, le spostava, le faceva divertire. Ma non era come il vento che oggi soffiava su Siena. Il suo era interno e non voleva cessare. Frusciava nella sua testa e sul testo, dentro le righe di quella stupida pagina. Sentiva sbattere le lettere fra loro e c'era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva pazientemente quella parola : DISLESSIA. Marina Cassisa Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore. Dove erano finiti tutti? Maria si era allontanata dal gruppo per il tempo di una telefonata. Sfortunatamente all orto dei lecci il suo telefonino prendeva pochissimo e quindi aveva dovuto frettolosamente e faticosamente salire la ripida strada sterrata per Poter richiamare. No mamma non stasera dai, sono alla lettura di poesie ti ricordi? aveva provato a bisbigliare. come, mari? non ti sento, mi senti? Scusate un attimo, torno subito, aveva detto alle amiche con aria un po' scocciata. Una lunga telefonata. Una telefonata nella quale come ogni sera aveva dovuto tentare di ricomporre i pezzi ormai privi di alcuna connessione logica della vita di sua madre. All Orto dei pecci mamma, ricordi quel bel giardino dietro piazza del campo dove ti ho portato l'estate scorsa? ah che bello, bello vero? Pensavo sai Maria, potremmo portarci zio tonino quando viene ad agosto, é che dici?

Mamma zio Tonino é morto, come morto? Si morto, otto anni fa ormai, ma non é possibile siamo stati in Brasile insieme, si mamma siete stati in Brasile insieme 9 anni fa, poi dopo poco che era tornato lo zio Tonino si é Ammalato ricordi? Mi sembra molto strano, eh si mamma, é molto strano ma é andata proprio così. Dopo un tempo che sembro interminabile ma che fu di circa 35 minuti, il display del telefonino segnava infatti le 23 15, Maria era riuscita a convincere la madre sulla dipartita dello zio Tonino buonanima e sulla sua permanenza attuale nel mondo dei defunti, per tranquillizzare la madre però la telefonata si era assolutamente dovuta concludere con una accorata preghiera corale di madre e figlia per la buonanima dello zio affinché potesse a lungo dimorare nel soggiorno dei beati insieme ali altri parenti che prima di lui lo avevano preceduto e di cui avevano dovuto ripetere insieme tutto l'elenco perché non ne restasse fuori nessuno. Maria era un po',,stordita, stette per un attimo ancora seduta sulla panchina del tartarugone con il telefono in mano, poi rimise il telefonino nella borsetta e si avviò giù per la discesa sterrata dell orto per raggiungere gli amici. Ma appena arrivata a valle noto con grande stupore che non c'era più nessuno. Dove erano finiti tutti si chiese? Era tardi? No, erano solo le 11 e 20, dove erano i declamatori di poesie, dove erano i suoi amici del corso, dove erano. Tavoli imbanditi di pietanze che aveva lasciato un attimo prima di salire? Si volto indietro, si guardo intorno...nessuno, solo il fruscio del vento e qualche persiana che sbatteva in lontananza Barbara Bruno LA TELEFONATA <Il vento frusciava nei giardini e negli orti a pie della case, dentro la cinta delle mura dei Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana sbattendo; e c era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore>. Non era, come si suol dire, una splendida serata invernale. Il vento frusciava dappertutto; nei giardini, negli orti ed anche in Piazza S. Francesco. Dagli orti della Nobile Contrada del Bruco salivano echi di fronde smosse. La donna era intenta ad ammirare l austera facciata della chiesa. Lui era lì per ripartire con l auto parcheggiata dal pomeriggio. Lei si voltò e lui la riconobbe subito, nonostante la fioca luce dei lampioni. Si, era proprio lei, SABRINA FERILLI, la sua diva preferita.

Sabrina gli sorrise e gli tese la mano dicendo: Sentivo che ti avrei rivisto Roberto, mi sei mancato tanto. Ma perché in una serata come questa sei in costume da bagno? Cosa diavolo ti è successo? In quel momento squillò il telefono. Sabrina si dissolse insieme alla piazza e al vento che frusciava con echi affilati e rauchi. Roberto sobbalzò sotto le coperte uscendo da quel sogno, alla ricerca del telefono mentre i trilli implacabili si ripetevano. Prooonto, proonto disse con voce impasta di sonno. Ciao. Sono io Ti ho telefonato per dirti che sono atterrata a Pisa solo adesso. Tutto bene. So che sono le cinque ma non volevo farti stare in pensiero Un momento, io non Alle sette e trenta sarò alla stazione. Potresti venire a prendermi? Certo si, posso esserci a quell ora, ma Ho tanto desiderio di vederti dopo tutto questo tempo. Sono sempre la tua micina. Non sarà magnifico? Come no, certamente, ma Ho qui un meraviglioso regalo per te. L ho preso a Parigi, ma non te lo voglio dire adesso. Devi aspettare fino a quando ci vediamo. Grazie cara, ma dimmi soltanto una cosa < chi parla, per favore?> Ma non è il numero tre tre due uno sei nove? (3 3 2 1 6 9) No questo è il trentatre ventuno sessantanove (33 21 69) O, mi scusi per averla svegliata! Non fa niente. Dovevo svegliarmi lo stesso per rispondere al telefono. (Tutto questo accadeva mentre il vento frusciava nei giardini e negli orti a pie della case, dentro la cinta delle mura di Siena. Si udiva chiudere qualche persiana sbattendo; e c era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore). Tullioroberto Galletti Siena, 18.04.13 LUNA ROSSA Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore. Erano ormai dieci anni che ogni venerdì sera si vedevano per il solito pokerino. Erano dieci lunghi anni che si riunivano con la scusa di passare qualche ora insieme; si conoscevano dai tempi delle superiori, si erano prima persi per qualche lustro e poi si erano ritrovati nel mezzo del cammin di loro vita.

Questa volta il primo novembre cadeva di venerdì e così avevano deciso un doppio appuntamento; si sarebbe giocato giovedì e venerdì, due lunghe notti di poker, tanto non c erano impegni di lavoro. In verità nessuno di loro era un vero giocatore ma tutti si davano molte arie; esistevano giusto un paio di regole ferree: la posta massima era di soli 2 euro perché a parte Massimo, l unico che non si era mai sposato, tutti avevano alimenti da pagare. L altra regola inderogabile era che gli incontri dovevano avvenire sempre in seconda serata e rigorosamente a stomaco pieno per evitare di dover preparare da mangiare. Dopo cena Giacomo, Jack per gli amici o meglio Black Jack, per via dei capelli corvini e della sua carnagione scura si stava preparando per raggiungere la combriccola; quella sera l appuntamento era a casa di Luca vicino al Duomo. Ci andava sempre a piedi perché da casa sua, di fronte alla chiesa di Provenzano, erano solo pochi minuti e, poi, perché gli piaceva attraversare le strade osservando le persone che incontrava. Appena uscito un venticello gelido lo accolse per strada; pensò: - Maremma, stasera fa freddo davvero, la televisione lo aveva detto forse non è la serata giusta per uscire vestito leggero e un po troppo da dandy ma non si sa mai chi si può incontrare in fondo come si dice. Se bello vuoi apparire un poco devi soffrire.. Accelerò il passo, rallentando giusto un po nell attraversare la piazza del Campo con occhio sempre vigile su qualche gonnella; pochi minuti ancora ed era da Luca. Come al solito era l ultimo ad arrivare, con tutti gli altri già seduti attorno al tavolo verde che giocherellavano con le carte; i convenevoli erano sempre ridotti al minimo, giusto qualche battuta sulla scarsa puntualità o qualche saluto appena bofonchiato. Giacomo si sedette al solito posto, tra Luca e Massimo; gli altri giocatori erano Bruno e Luigi. Le mani si svolgevano veloci tra nuvole di fumo e sorseggi lenti dell ottimo whisky invecchiato 12 anni messo a disposizione dal padrone di casa. Di tanto in tanto l attenzione saliva quando il piatto era particolarmente ricco e c era accanimento; quando accadeva quasi sempre c era di mezzo Luigi, detto il merenda ( a Siena tutti hanno un soprannome e lui doveva cotanto nome alla sua povera mamma che da piccolo lo inseguiva per fargli mangiare il solito panino con la nutella ). In ogni tavolo c è sempre uno che non vuole perdere e che gioca per vincere a qualunque costo; ecco Luigi era così; c è da dire, però, che a quel tavolo forse era l unico che sapesse davvero giocare. Si erano fatte quasi le quattro era l ultima mano e, nel piatto c era un bel gruzzolo; Giacomo di solito giocava in modo pavido, puntando forte solo quando aveva davvero qualcosa di buono ed è per questo motivo che la serata vincente a lui capitava assai di rado. Dal

momento che anche stavolta era sotto, stranamente si era messo in testa di provare una cosa che non era nelle sue corde: accarezzava l idea di un bluff. In mano aveva solo una misera coppia di sei a picche ma incominciò ad assumere un atteggiamento freddo, studiato e con voce ferma disse: - Metto i tuoi 2 euro e rilancio di altri 2. Subito dopo prese il suo bicchiere ed assaporò il suo whisky tenendolo in bocca per un po' prima di inghiottire; era convinto che tutti abboccassero ma non aveva fatto i conti con il solito Luigi. - Vedo!, esclamò Luigi gettando la fiches nel piatto. Sul suo volto si era materializzata la solita espressione di sfida, stringeva gli occhi, serrava l immancabile sigaretta tra le labbra ed emetteva il fumo verso gli occhi di Giacomo giusto per farlo innervosire. Giacomo tentò di mantenere un certo aplomb e dichiarò le sue carte gettandole in modo stizzoso sul tavolo senza neanche parlare e con l aria di chi già sapeva l epilogo. Luigi mostrandogli un luccicante tris d assi lo irrise dicendo: - Te l ho sempre detto: Nome omen il poker non fa per te. Il tuo gioco è il Black Jack!! Subito dopo si alzò, bevve l ultimo sorso dell ennesimo bicchiere e sparecchiò il tavolo di tutte le fiches. La serata era ormai conclusa e dopo i soliti saluti Giacomo si avviò verso casa; era ancora più freddo rispetto a qualche ora prima, in compenso c era una luna piena talmente grande che sembrava fosse possibile toccarla con una mano. Tutte le volte che attraversava la piazza del campo ormai deserta gli subentrava una strana sensazione di onnipotenza: si sentiva il padrone della città. Mentre il freddo diventava sempre più pungente, arrivato all altezza del Chiasso Largo sentì uno dei pochi rumori che riuscivano a cogliere realmente la sua attenzione: il rumore di tacchi femminili per di più di corsa. Vista l ora, la curiosità prese il sopravvento e senza pensarci due volte provò a seguire questi passi con l espressione che può avere un lupo che ha fiutato la preda. Non riuscì ad arrivare in prossimità della sorgente del ticchettio perché non era il solo ad inseguire la preda; c era anche qualcun altro, un uomo che lo precedeva di qualche metro che, sentendo i passi di Giacomo si voltò. Quel viso incuteva paura ma, al tempo stesso, gli sembrò stranamente familiare anche se non riusciva proprio a mettere a fuoco chi fosse Decise comunque di proseguire mantenendo una certa circospezione; arrivato nel vicolo le Tre Donzelle vide a qualche metro un corpo a terra, appena illuminato dalla fioca luce dell unico lampione. Corse. Era il corpo di una donna, forse era proprio quella che stava cercando; si accorse

subito che aveva una ferita all addome probabilmente dovuta ad un fendente, visto che non aveva udito spari - e, mentre cercava di tamponarla, provò a sollevarle delicatamente la testa: - Ti prego, aiutami! disse la donna con poco fiato e con un marcato accento francese Giacomo tremando come una foglia le disse, cercando di essere quanto più possibile convincente: - Tranquilla non è nulla, chiamo subito un ambulanza Appena finita la telefonata si accorse che la sua mano era intrisa di sangue dal colore decisamente scuro: subito capì il colpo doveva aver lesionato il fegato Ricordando un film che aveva visto anni prima, pensò: colpo da professionista, non lascia scampo. Tant è che prima che le sirene dell ambulanza fossero percepibili la donna spirò. I soccorritori lo trovarono così con la testa della donna tra le sue braccia; non aveva voluto lasciarla. Non si abbandona chi sta rendendo l anima a Dio. Nel frattempo era giunta la polizia e dopo le solite formalità ( per fortuna non l avevano accusato di essere l omicida ) raggiunse casa. Quella notte fu difficile prendere sonno. Il giorno dopo si alzò tardi ed ancora in pigiama si mise al computer per cercare qualche notizia sul fatto. Trovò giusto qualche trafiletto on-line, l evento era avvenuto quasi all alba ed i giornali non riportavano ancora la notizia; decise di uscire e, mentre si vestiva gli venne l idea di andare a comprare dei fiori da portare nel vicolo, quello che ormai era diventato il suo vicolo. E così fece. Entrò dal primo fioraio che incontrò e gli chiese di comporre il miglior mazzolino possibile, con l unica accortezza che fossero tutti fiori profumati. Nella sua mente e nel suo naso era rimasto il profumo leggero ed agrumato di quella donna; una volta completato, prese la composizione e si diresse velocemente nel posto che ormai occupava tutti i suoi pensieri. Arrivato, depose i fiori in terra appoggiandoli al muro e rimase ad osservare la chiazza di sangue ormai secco; si fece la croce ma non si mise a pregare. Nonostante avesse ricevuto un educazione cattolica, Giacomo non era quello che si definisce un buon cristiano. L unico pensiero che gli venne fu: - Ma perché non ha gridato, perché non ha chiesto aiuto mah, chissà che storia c è sotto. E con queste domande senza risposte, se ne tornò a casa. La giornata passò lenta e subito dopo cena si avviò verso casa di Luca che per l occasione metteva nuovamente a disposizione il suo appartamento.