I LIVELLI RETRIBUTIVI DELLE COOPERATIVE SOCIALI



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I LIVELLI RETRIBUTIVI DELLE COOPERATIVE SOCIALI OVVERO UNA COMPARAZIONE TRA CCNL DEL SETTORE DEI SERVIZI ALLA PERSONA INDICE 1- INTRODUZIONE 2- IL TERZO SETTORE 3- I SOGGETTI DELL'ANALISI 3.1- L'IMPRESA SOCIALE 3.2- LE COOPERATIVE 3.3- LE COOPERATIVE SOCIALI 3.4- ANFFAS 3.5- IL SETTORE TERZIARIO 4- I CONTRATTI COLLETTIVI NAZIONALI DEL LAVORO 4.1- LA RETRIBUZIONE NEI CCNL 5- LA COMPARAZIONE TRA CCNL 5.1- OSSERVAZIONI 6- INTERPRETAZIONI I CONSUMATORI I LAVORATORI L'IMPRESA 7- CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA APPENDICE 1 APPENDICE 2

1. INTRODUZIONE Durante la mia esperienza di stage ho avuto modo di conoscere la realtà dei Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro, e di vedere come influenzino la vita di un'azienda. Il risultato della mia collaborazione con l'azienda ospitante è stata la produzione di un documento contenente il confronto tra i livelli retributivi delle cooperative sociali con quelli di altri enti operanti nel settore dei servizi alla persona. L'intento dell'azienda che l'ha commissionato era quello di avere un'idea più chiara del quadro normativo in cui è inserita (disciplina delle cooperative sociali), e sopratutto poter confrontare i livelli retributivi di varie classi di lavoratori con enti che sono sia possibili partner economici sia concorrenti. La realizzazione del lavoro ha seguito diverse fasi, di cui si entrerà in merito più avanti. Il punto che si vuole sottolineare qui è che spesso i numeri presentati sono i risultati di processi interpretativi causati da dati ufficiali incompleti. Non si garantisce quindi la corrispondenza con futuri elaborati ufficiali. Sebbene lo scopo iniziale di questo lavoro fosse meramente consultivo, l'analisi dei dati permette di condurre riflessioni più approfondite sulla natura della cooperative sociali; questo elaborato perciò non si concluderà con l'esposizione dei dati ma proseguirà con un'analisi di essi. Per presentare al meglio il confronto però, è necessario presentare e discutere brevemente i soggetti e gli strumenti in questione. Poichè il punto di partenza è il CCNL delle cooperative sociali, operanti prevalentemente nel settore dei servizi alla persona, i due termini di paragone saranno l'anffas, e il settore privato. Essendo le cooperative sociali e l'anffas, due soggetti riconducibili a quella realtà eterogenea chiamata Terzo Settore, per cominciare con l'analisi sarà utile dare una definizione generale di questo fenomeno economico e sociale.

2. IL TERZO SETTORE Tradizionalmente, il sistema economico è caratterizzato dal duopolio tra Stato e Mercato, due soggetti che rappresentano realtà economiche molto differenti e in un certo senso antagoniste. Lo Stato, denominato anche Primo settore, ridistribuisce le tasse versate dai cittadini sotto forma di servizi a cui tutti possono accedere (quali i trasporti, la sanità, l istruzione pubblica, ). Persegue ideali di pubblica utilità, e i beni che produce sono detti pubblici proprio perché devono essere accessibili a tutti e avere effetti positivi su tutta la comunità, anche su coloro che non ne fanno un uso diretto. Inoltre, non aspettandosi un ritorno economico dai beni e dai servizi erogati, lo Stato si assume anche l onere di provvedere alle necessità di coloro che non riescono a provvedere autonomamente a se stessi. Il Mercato, o Secondo settore, è invece il punto di incontro tra domanda ed offerta di beni e servizi privati, erogati secondo il principio dello scambio equivalente e dietro il pagamento di un corrispettivo. La logica dominante è quella del perseguimento del profitto e dell'efficienza, e in molti casi questo ha permesso di raggiungere risultati economici decisamente superiori a quelli statali. L'espressione Terzo settore è stata usata per la prima volta negli anni Settanta in modo negativo, per indicare cioè le realtà che non erano né enti for profit (a scopo di lucro) né appartenenti al settore pubblico. In quegli anni andavano nascendo soggetti economici (associazioni, organizzazioni, imprese) che perseguivano fini redistribuivi, assistenziali o comunque non orientati al profitto, e che ciononostante operavano con i medesimi strumenti, sia giuridici sia organizzativi degli enti for profit, ad esempio seguivano il criterio di economicità, operavano in mercati di libero scambio, ecc. Nei paesi anglosassoni si cominciò a denominare queste organizzazioni con il termine not for profit, per distinguerle dalle imprese a scopo di lucro (for profit). In Italia, l espressione venne abbreviata in non-profit. Nasceva così il Terzo Settore, termine che attualmente raggruppa la variegata galassia di enti ed organizzazioni che occupano lo spazio economico che divide lo Stato dal Mercato: pur avendo natura privata, sono orientati alla produzione di beni e servizi di pubblica fruizione. Di tale settore fanno parte fra gli altri le cooperative sociali, gli enti di promozione sociale, le

associazioni di volontariato, le organizzazioni non governative, le ONLUS. L intero settore, secondo l Istat 1, conta oggi oltre 301.191 organizzazioni non profit, pari al 5,4% di tutte le unità istituzionali; circa 681 mila lavoratori, pari al 3,4% del totale degli addetti e circa 4,7 milioni di persone coinvolte in veste di volontari. Dal punto di vista del valore economico, il rapporto quantifica un volume di entrate stimato di 67 miliardi di euro pari al 4,3% del Pil, in deciso aumento rispetto ai dati Istat del 2001 che attestavano tale cifra a 38 miliardi di euro, pari al 3,3% del Pil. Lo stesso ISTAT, presentando il prospetto relativo alle unità giuridico economiche e agli addetti delle imprese, delle istituzioni pubbliche e delle istituzioni non profit per ripartizione geografica, rimarca come rispetto al Censimento del 2001 si registri un aumento in misura significativa delle istituzioni non profit (+28 per cento), mentre le istituzioni pubbliche sono in diminuzione (-21,8 per cento). Lo stesso andamento si conferma in termini di addetti (+39,3 per cento per le istituzioni non profit e -11,5 per cento per le istituzioni pubbliche). Nel decennio trascorso, il settore non profit si dimostra essere il più dinamico del sistema produttivo italiano. Chiaramente, nel comparto delle istituzioni pubbliche gli addetti diminuiscono nel decennio in conseguenza di cambiamenti normativi che hanno modificato la natura giuridica di talune istituzioni ed hanno favorito lo sviluppo del settore non profit. Così come il settore privato e quello pubblico, anche il Terzo Settore non si presenta in maniera omogenea ma è costituito da organizzazioni di varie tipologie, ciascuna operante in campi diversi, e con una propria formula sociale ed imprenditoriale. Le cooperative sociali appartengono alla categoria delle imprese sociali, una realtà relativamente recente che ha attirato l'attenzione di economisti e studiosi, facendo sviluppare un ricco filone di studi. Per capire le implicazioni del confronto oggetto d'esame è necessario capire la natura dei soggetti analizzati, quindi si procederà a definirne le caratteristiche. 19 Censimento generale dell industria e dei servizi e Censimento delle istituzioni non profit 2011, reso disponibile dall Istat a partire da luglio 2013 alla pagina http://censimentoindustriaeservizi.istat.it/istatcens/dati/

3. SOGGETTI DEL CONFRONTO 3.1- L'IMPRESA SOCIALE In Italia la dicitura impresa sociale è stata usata per la prima volta negli anni '80. Stava ad indicare alcune iniziative private spesso volontarie, inserite nella produzione di servizi sociali e in attività con lo scopo di favorire l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. A partire dagli anni ottanta, in Italia è stato avviato un massiccio processo di deistituzionalizzazione dei servizi alla persona e dei servizi di assistenza, che ha portato alla chiusura di grandi centri residenziali pubblici che venivano utilizzati come luoghi di segregazione dei soggetti svantaggiati (portatori di handicap o di disabilità psichiche) invece di avere obiettivi riabilitativi e di reinserimento. La conseguenza è stata una spinta alla creazione di luoghi di lavoro, educativi, residenziali in cui persone svantaggiate avessero l'opportunità di svolgere percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale che portavano ad un miglioramento della qualità della vita, assistiti da operatori e volontari. Contemporaneamente, all'interno delle comunità locali, esperienze di mutuo-aiuto tra le famiglie di soggetti svantaggiati e il resto della comunità si convertivano in imprese sociali, che cercavano di organizzare risorse per far fronte alla mancanza di protezione sociale per questi soggetti da parte dello Stato. Proprio questo essere nate per affrontare bisogni nuovi e insoddisfatti spiega perché le prime imprese sociali facessero ampio ricorso al lavoro volontario e qualifica l esperienza dell impresa sociale come vera e propria innovazione istituzionale generata dal basso, cioè da cittadini insoddisfatti dell offerta garantita da un rigido modello dicotomico (Stato- Mercato) quale quello allora prevalente in Italia e nella maggioranza dei paesi europei. (Borzaga, L'impresa sociale). La ragione della successiva diffusione delle imprese sociali si trova nel continuo processo di decentramento dei servizi da parte dello Stato e nell'avvicinamento delle pubbliche amministrazioni alle imprese sociali, poiché trovano più conveniente affidare alcuni servizi di natura sociale ad enti esterni; ciò ha però generato in alcuni casi una forte dipendenza delle imprese dai fondi pubblici, caratteristica che in tempi di crisi ha messo in difficoltà diverse imprese ed interi settori. Un riconoscimento giuridico vero e proprio, nonché la relativa disciplina di tali enti, venne stabilito dapprima dalla legge delega 13 giugno 2005 n. 118, le cui disposizioni furono

attuate dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 ("Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118"). Una definizione valida di impresa sociale è quella elaborata alla fine degli anni 90 dal network Emes (Borzaga, Defourny, 2001; Defourny, Nyssens, 2008). Essa è condivisa dalla maggior parte degli studiosi e ad essa si sono ispirati i legislatori che si sono occupati di questa nuova forma imprenditoriale. La definizione si articola lungo due dimensioni: quella economico-imprenditoriale e quella sociale. La prima prevede la sussistenza di quattro requisiti: Una produzione di beni e/o servizi in forma d'impresa, quindi in maniera continuativa e professionale. La gestione dell'impresa in autonomia. L assunzione di rischio economico rilevante da parte dei proprietari. La maggioranza dei lavoratori retribuiti rispetto a volontari. É immediato capire come queste caratteristiche servano a far riconoscere l'ente come impresa dal punto di vista economico-giuridico; infatti il vero discriminante si trova nella dimensione sociale, che richiede di: Perseguire l'obiettivo di produrre benefici per la collettività e in particolare per i soggetti svantaggiati. Essere un iniziativa collettiva, cioè promossa non da un singolo imprenditore, ma da un gruppo di cittadini. Avere la governance dell'impresa in mano a soggetti per la maggior parte diversi dai portatori di capitale. Allargare la partecipazione ai processi decisionali a tutti i gruppi interessati.

Prevedere la non distribuibilità degli utili, o al più una distribuibilità limitata, e quindi la loro assegnazione ad un fondo indivisibile tra i proprietari, sia durante la vita dell impresa che in caso di suo scioglimento. Altre caratteristiche dell impresa sociale desumibili dal quadro normativo di riferimento sono: La democraticità della gestione, cioè la presenza dei lavoratori e dei beneficiari delle attività nella gestione dell impresa. Divieto di controllo da parte di amministrazioni pubbliche o imprese private con finalità lucrative. Coinvolgimento nell'organizzazione di coloro che perseguano gli stessi interessi (principio di non discriminazione). La partecipazione dei beneficiari finali alla valutazione dei risultati. La stesura del bilancio sociale, in modo da permettere la verifica dei risultati e degli impegni presi a chiunque. Tenere libro giornale e inventario. Depositare presso il registro delle imprese un documento che rappresenti lo stato patrimoniale e finanziario dell'impresa. Ciò che qui è interessante notare, è che l'impresa sociale non è un particolare tipo societario o un ente specifico, ma uno status, una qualifica. Il legislatore e la letteratura non hanno delineato l'impresa sociale con tratti precisi, ma hanno disegnato una cornice (composta di indicazioni per la governance, scopo sociale, ecc.) entro cui qualsiasi tipo societario può acquisire lo status di impresa sociale, a patto che ne rispetti i principi. Le uniche tipologie che non possono assumere questa denominazione sono le pubbliche amministrazioni e i singoli imprenditori. I settori di attività in cui possono operare le imprese sociali sono definiti all'articolo 2 del d.lgs.155/2006:

assistenza sociale assistenza sanitaria e socio sanitaria educazione istruzione tutela ambientale tutela dei beni culturali formazione universitaria formazione extrascolastica turismo sociale servizi strumentali alle imprese sociali resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un'impresa sociale. Possono essere imprese sociali anche le organizzazioni che, indipendentemente dai settori di attività, abbiano almeno il 30% del personale composto da lavoratori svantaggiati. Le imprese sociali non hanno agevolazioni fiscali ad hoc come invece accade per le ONLUS (D.lgs. n 460/97), in modo che conservino il regime di tassazione proprio della tipologia societaria o di ente. Tuttavia esistono dei vantaggi normativi: Possibilità di una responsabilità patrimoniale limitata anche per tipi societari per cui non è prevista dalla legge. Possibilità di usufruire di prestazioni di volontariato (ammesse nei limiti del 50% dei lavoratori). I dati però, dicono che dal 2006 (data del D.lgs. N 155/2006, che attua la L. 13 giugno 2005, n. 118 in materia di regolamentazione dell impresa sociale) al 2011 sono state costituite solo 630 imprese sociali, poiché le imprese che avrebbero i requisiti non sono abbastanza incentivate a farlo. (Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, 12 aprile 2011, Valentina Melis). Questo è indice di mancanza di un forte sostegno dello Stato alle imprese sociali, ma recenti proposte di legge vanno in questa direzione. Per definire al meglio le cooperative sociali, in modo da poter meglio comprendere i risultati dell'analisi, è necessario esplicitare anche le caratteristiche derivanti dalla natura di società cooperative, in quanto nell'ordinamento italiano costituiscono un genere a sé. 3.2- LE COOPERATIVE

Queste società, nate in Inghilterra dalla seconda metà dell'ottocento, si sono affermate anche in Italia, tanto da avere un articolo della Costituzione a loro dedicato. L articolo 45 della Costituzione Italiana recita infatti: La Repubblica riconosce la funzione sociale delle cooperative a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con opportuni controlli, il carattere e le finalità. Per comprendere cos'è una società cooperativa, sarà utile fare qualche richiamo alla teoria di Henry B. Hansmann. Secondo l'autore, una cooperativa pura è una società la cui proprietà, cioè il diritto di controllo e gestione e sugli utili residuali, è assegnato ad una precisa categoria di stakeholder (clienti, lavoratori, finanziatori, fornitori, ecc) in base ad un criterio di minimizzazione dei costi della relazione tra la cooperativa e la categoria di stakeholder. Hansmann dice che se per una società la variabile critica è la fornitura di una certa materia prima, è logico e profittevole che la proprietà della società vada ai fornitori; viceversa, se una società ha difficoltà a reperire il capitale, allora la proprietà va data agli investitori. Dunque, in realtà, qualsiasi società è una cooperativa (se ha più di un socio) e una cooperativa di tipo puro è alla base una società a scopo di lucro. La distinzione tra una cooperativa e una società per azioni è che la proprietà di una cooperativa è riservata alle persone che trattano con l impresa, come ad esempio consumatori o venditori. Interpretando il testo di Hansmann, si può dire che una cooperativa allora è una società la cui proprietà normalmente non è detenuta dai soggetti apportatori di capitale di rischio, ma da coloro che forniscono materie prime, lavoro, persino dagli stessi clienti, a cui corrispondono cooperative di produzione, di lavoro, di consumo, che possono operare in diversissimi settori. Essa nasce quando diversi individui decidono di unirsi per realizzare un obiettivo comune. Ciò che la distingue da uno degli altri tipi societari è lo scopo ultimo che anima i soci: la configurazione societaria dipende dagli interessi prevalenti all'interno del gruppo degli agenti economici. Per meglio comprendere la contrapposizione fra le cooperative e le altre tipologie di organismi economici, è necessario chiarire il cosiddetto scopo di lucro; i giuristi distinguono tra scopo di lucro oggettivo e soggettivo: Soggettivo: implica l'intento dell'imprenditore o dell ente di realizzare dei profitti (eccedenza dei ricavi rispetto ai costi) che costituiscono il movente dell'attività economica. Oggettivo: viene considerato scopo di lucro oggettivo il modello di conduzione economica

di un'attività, ovvero il produrre beni o servizi in modo che i ricavi almeno compensino i costi (criterio di economicità). Mentre lo scopo degli altri tipi societari è lucrativo in senso soggettivo, quindi profittevole, per le società cooperative è mutualistico (art 2511 cc), dove per mutualità si intende una forma di assistenza e aiuto reciproco. Lo scopo mutualistico delle cooperative consiste nel poter contrattare con la società a condizioni più vantaggiose di quanto offrirebbe il mercato. Questo può realizzarsi secondo due modalità: Mediante un risparmio di spesa: permettendo ai soci di acquistare dalla società beni e servizi a condizioni più favorevoli di quelle del mercato. Attraverso la valorizzazione delle capacità dei soci, offrendo loro occasioni di lavoro a condizioni migliori. La cooperativa dunque è un'impresa - in forma di società - nella quale il fine e il fondamento dell'agire economico è il soddisfacimento dei bisogni della persona (il socio); non quindi la volontà di ottenere profitti per i soci ma alla base della cooperativa c'è dunque la comune volontà dei suoi membri di tutelare i propri interessi di consumatori, lavoratori, agricoltori, operatori culturali, ecc. Naturalmente, questo non significa che nella cooperativa non ci sia spazio per il guadagno; anzi, il capitale sottoscritto dal socio viene remunerato da una parte degli utili, ma per rispettare lo scopo mutualistico della cooperativa, questa remunerazione è soggetta a particolari limiti fiscali e statutari. Questa singolarità delle società cooperative, influenza la loro struttura ed organizzazione; il fatto che i soci siano sia lavoratori (o clienti, fornitori, ecc) sia apportatori di capitale (è molto probabile che ai soci vengano richiesti dei conferimenti monetari, si pensi agli utili messi a riserva) comporta alcune caratteristiche organizzative: i soci impiegano la maggior parte delle loro risorse (lavoro e capitale) nella società, senza la possibilità di differenziare il loro investimento come potrebbe invece un investitore. Questo comporta che verosimilmente un socio lavoratore si impegnerà di più nello svolgimento della mansione e nella gestione societaria, dato che il rischio non è perdere il lavoro o il denaro investito, ma tutti e due. Quindi un socio sarà molto più motivato a prendere parte attiva alla vita societaria. Si può quindi comprendere che la vita cooperativa è basata su principi che rendono la società capace di operare al meglio secondo le sue caratteristiche; eccone alcuni: Democrazia: In una cooperativa l esercizio della democrazia è un fatto centrale, un

fattore strutturale di identità, è il suo naturale modo di essere e di agire che mette in primo piano le persone che operano nell organizzazione. L assunto di fondo da cui si parte è questo: assetto democratico del governo dell impresa cooperativa significa che ogni socio ha pari diritti di concorrere alla definizione degli indirizzi di gestione e di governo dell impresa stessa. Da un lato più pratico, democrazia vuol dire partecipazione egualitaria nei processi decisionale e nella vita della società, votazione secondo il principio una testa un voto che considera il socio in quanto tale e non in relazione al capitale apportato. É ovvio che, perché il principio democratico possa manifestarsi, per i soci deve valere il principio della partecipazione. Sebbene possa apparire sequenziale rispetto alla partecipazione economica nella società o a quella assembleare, la partecipazione alla vita societaria non è così scontata. Partecipazione vuol dire innanzi tutto informazione sulla realtà circostante, vuol dire impegno nella gestione dell'impresa, impegno sul lavoro e nelle relazioni sociali, fattore importantissimo per il successo. Affinché tutto ciò funzioni, il rapporto che si instaura tra ciascun socio e la cooperativa (ed auspicabilmente tra la cooperativa e gli attori organizzativi che vi ruotano attorno) deve favorire l'impegno del socio che si aspetta valorizzazione e remunerazione, non deve creare differenze tra i vari soci in modo da evitare pericolose tensioni, deve far sì che sia le aspettative del socio sia quelle della cooperativa vengano soddisfatte. Deve, in una parola, essere equo. Il concetto che si vuole sottolineare in questa sede, è che se i rapporti non sono equi, o non vengono percepiti come tali, un'organizzazione che fonda la sua ragion d'essere sugli scambi mutualistici, non ha più ragione d'esistere. Nel migliore dei casi si è trasformata in altro, nel peggiore crolla. 3.3- LE COOPERATIVE SOCIALI Legge 8 novembre 1991, n. 381 "Disciplina delle cooperative sociali" (Pubblicata nella Gazz. Uff. 3 dicembre 1991, n. 283) 1. Definizione. - 1. Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse

generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. 2. Si applicano alle cooperative sociali, in quanto compatibili con la presente legge, le norme relative al settore in cui le cooperative stesse operano. 3. La denominazione sociale, comunque formata, deve contenere l'indicazione di "cooperativa sociale". Riassumendo quanto detto in precedenza, in un momento storico di crisi del welfare e di deistituzionalizzazione di molti servizi (ai soggetti disabili, svantaggiati, ecc), sono nate molte iniziative che si prefiggevano di soddisfare quei bisogni ignorati dal mercato o dallo Stato. Poiché in quel momento mancava nell ordinamento italiano una forma giuridica coerente con gli obiettivi e gli assetti proprietari di queste nuove iniziative imprenditoriali, i promotori si orientarono verso la forma cooperativa cui la Costituzione italiana e la tradizione attribuiscono un esplicita funzione sociale. Sono stati così creati vari tipi di cooperative a finalità sociale fino a quando, con la legge n. 381 del 1991, esse sono state riconosciute e normate come cooperative sociali. (Carlo Borzaga, L'impresa sociale) In Italia l impresa sociale ha così assunto prevalentemente, anche se non esclusivamente, la forma cooperativa. Le cooperative sociali, in base alla legge 381 del 1991, si distinguono in quattro tipologie: cooperative di tipo A, se svolgono attività che offrono servizi sociosanitari ed educativi; cooperative di tipo B, se svolgono attività finalizzate all inserimento lavorativo di persone svantaggiate (almeno il 30% del personale deve essere svantaggiato); cooperative ad oggetto misto (A+B), se svolgono sia attività relative all offerta di servizi socio- sanitari ed educativi, sia attività finalizzate all inserimento lavorativo di persone svantaggiate; consorzi sociali, cioè consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali.

Vediamo ora qualche numero per capire l'estensione del fenomeno. Le cooperative sociali attive in Italia al 31 dicembre 2011 sono 11.264. Rispetto ai risultati della rilevazione precedente, riferiti al 2003, il numero delle cooperative sociali attive è cresciuto del 98,5 per cento. Il valore complessivamente prodotto dalle cooperative sociali nel 2008 è pari a 8,97 miliardi di euro a fronte del valore della produzione complessivo del settore cooperativo pari a 97,57 miliardi di euro. Bisogna però considerare nella lettura di questi numeri, che in virtù della natura dei beni e servizi prodotti dalle cooperative sociali (cosiddetti beni relazionali, che hanno valore solo se consumati all'interno di una relazione positiva e che generano delle esternalità), gli strumenti tradizionali della misura della produzione quali fatturato, ore lavorate, numero di utenti ecc, sono poco efficaci in questo caso. L'impresa che si va via via delineando è la seguente: un'organizzazione che si propone di erogare servizi alla persona e alle imprese di utilità sociale, che crede in valori molto simili a quelli della cooperazione e che sopratutto non desidera lucrarci sopra, mettendo al primo posto il benessere dei propri utenti (infatti gli eventuali profitti sono reinvestiti nell'azienda o comunque tenuti in riserve) senza però venire meno al principio dell'economicità, quindi conservando attenzione per efficacia ed efficienza. Per questa sua funzione sociale viene agevolata dallo Stato, deve però dimostrare di meritarlo, infatti è tenuta alla tenuta e stesura di documenti che garantiscano trasparenza e legalità. 3.4- ANFFAS L'ANFFAS, acronimo di Associazione Nazionale Famiglie di Fanciulli Minorati Psichici, è un'associazione di genitori, familiari ed amici di persone con disabilità che opera da più di 50 anni. Nata nel 1958, non ha scopo di lucro e persegue esclusivamente finalità di solidarietà e di promozione sociale, in campo: sanitario, sociale, socio-sanitario, socio-assistenziale, socioeducativo, sportivo-ludico motorio, della ricerca scientifica, della formazione, della beneficenza, della tutela dei diritti umani e civili, principalmente in favore di persone

svantaggiate in situazione di disabilità intellettiva e/o relazionale e delle loro famiglie, affinché sia loro garantito il diritto inalienabile ad una vita libera e dignitosa. ANFFAS conta più di 14.000 soci suddivisi in 168 Associazioni locali presenti su tutto il territorio nazionale; garantisce, quotidianamente, servizi e supporto ad oltre 30.000 persone con disabilità e loro genitori e familiari; negli oltre 1000 centri gestiti direttamente o attraverso enti autonomi a marchio ANFFAS operano 3.000 operatori specializzati, inquadrati nel CCNL ANFFAS e 2000 tra volontari e collaboratori. ( dal sito www.anffas.net) 3.5- IL SETTORE PRIVATO DEI SERVIZI ALLA PERSONA In questo gruppo si raccolgono tutte le imprese private for-profit che operano nel settore dei servizi alla persona, e che abbiano come riferimento il CCNL del settore terziario. I soggetti del confronto sono molto diversi tra loro, pur operanti nello stesso settore, poiché hanno valori, ideali, metodologie distinte; sarà dunque molto interessante vedere come varia la normativa che a loro si riferisce riguardo alla retribuzione del personale. Conclusasi la prima parte introduttiva, si entra nel vivo del lavoro con il confronto dei livelli retributivi dei CCNL; prima però, è necessario spiegare cosa siano i CCNL e qual è il loro scopo.

4. I CONTRATTI COLLETTIVI NAZIONALI DEL LAVORO I contratti collettivi nazionali del lavoro (abbreviati in CCNL), sono uno dei frutti della contrattazione collettiva tra sindacati dei lavoratori e delle associazioni di imprenditori, siano essi persone fisiche o società. Lo scopo di tale azione è quella di stabilire dei rapporti di lavoro standard per tutelare i diritti dei lavoratori venendo contemporaneamente incontro alle esigenze delle aziende. Nell'ordinamento italiano la contrattazione collettiva si manifesta in diversi livelli, nazionale, categoriale, aziendale e individuale, gerarchicamente ordinati secondo un principio migliorativo: un contratto di livello inferiore si applica solo nel caso in cui introduca delle condizioni migliori allo status del lavoratore (retribuzioni, orari...). In caso contrario non viene considerato. La genesi della contrattazione collettiva si trova nel regime fascista, il quale, approvando la Carta del Lavoro nel 21 aprile 1927, riconosce il contratto collettivo come strumento per superare la lotta di classe ed aumentare la produttività delle aziende. Nel corso del dopoguerra la contrattazione collettiva vive sorti alterne dipendenti anche dall'andamento economico del paese, che ne condizionava l'efficacia. Ad una svolta recente si arriva con la legge 148/2011, che introduce importanti modifiche: I contratti collettivi diventano efficaci erga omnes, ovvero nei confronti di tutto il personale a cui il contratto si riferisce, non solo nei confronti degli appartenenti alle associazioni firmatarie. Se un lavoratore vuole rinunciare ad alcune condizioni espresse dal CCNL di riferimento, deve tempestivamente darne avviso. I contratti collettivi aziendali ora sono esigibili, mentre prima non avevano forza di legge, erano solo una mera dichiarazione di intenti. Inoltre stabilisce alcune materie della cui trattazione i contratti nazionali derogano a quelli territoriali e aziendali: installazione di impianti audiovisivi, mansioni / classificazione e inquadramento professionale, orario di lavoro, assunzioni con tutte le tipologie di contratti, licenziamento ad eccezione di quello discriminatorio e tutela della maternità. Di norma, la durata del contratto collettivo è decisa tra le parti, mentre per quello a livello nazionale è fissata a tre anni. Dopo la scadenza, il contratto non produce più effetti, tranne che

per la parte retributiva, che viene conservata come standard minimo. Il contratto si articola in due parti: Normativa, che regola gli elementi del rapporto di lavoro come l'orario, le ferie, permessi, ecc. Economica, che regola la classifica dei lavoratori e la retribuzione minima. 4.1- LA RETRIBUZIONE NEI CCNL Come già affermato, uno delle funzioni del CCNL è quella di stabilire degli standard nella retribuzione minima del personale. Questa funzione è assolta dagli accordi sui minimi salariali e le altre componenti della retribuzione, i cui risultati vengono poi riassunti e pubblicati dal Ministero del Lavoro nelle tabelle ministeriali di categoria. (VEDI APPENDICE 1) Come si nota subito, la retribuzione lorda si compone di varie parti, ciascuna con proprie regole di progressione (per esigenze di semplicità e brevità, verranno ora prese in esame solo quelle relative al CCNL delle cooperative sociali): Si divide in retribuzione diretta ed indiretta. DIRETTA: Minimi conglobati mensili, comprensivi di: paga base tabellare, INDIRETTA: retribuzione di contingenza, E.D.R. (usati per adeguare la retribuzione al costo della vita). Scatti di anzianità: premiano il dipendente per la sua permanenza in azienda. Per convenzione, nei CCNL sono inseriti in numero di tre, ma il periodo di maturazione dipende da quanto indicato nel CCNL. Indennità: a seconda della posizione ricoperta, i lavoratori godono di identità, che possono essere dei bonus per particolari lavori svolti o per specifiche mansioni. Tredicesima. La somma dà il lordo annuo. Viene erogata al momento della pensione o in momenti particolari Oneri previdenziali ed assistenziali: somme di denaro erogate dal datore di lavoro per finanziare le prestazioni pensionistiche, previdenziali ed assistenziali:

Inps (aliquota 26,90%) Inail (3%) Trattamento di Fine Rapporto: somma che il lavoratore riceve quando si interrompe il rapporto con l'azienda. Rivalutazione TFR: l'art. 2120 del Codice civile prevede che il TFR accantonato il 31 dicembre di ogni anno sia rivalutato ad un indice fisso di 1,50% e uno variabile pari al 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi per le famiglie di impiegati ed operai rilevato dall'istat il dicembre dell'anno precedente. Previdenza complementare: percentuale della retribuzione che viene accantonata presso enti diversi dallo Stato (banche, assicurazioni, ecc) e che costituirà la pensione complementare. Sommando tutte queste voci si ottiene il costo aziendale del lavoratore per l'azienda. 4.2- L'INQUADRAMENTO DEL PERSONALE Un'altra funzione fondamentale svolta dai CCNL è quella di stabilire livelli di inquadramento per il personale e criteri di identificazione. Il CCNL delle cooperative sociali stabilisce sei categorie esaustive e per ognuna indica la tipologia di lavoratore di appartenenza e riporta alcuni esempi. Dal CCNL delle cooperative sociali 2012 Area/categoria A - Lavoro generico e servizi ausiliari. Appartengono a questa categoria le lavoratrici ed i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono generiche conoscenze professionali e capacità tecnico manuali per lo svolgimento di attività semplici, con autonomia esecutiva e responsabilità riferita solo al corretto svolgimento delle proprie attività, nell'ambito di istruzioni fornite. Area/categoria B - Lavoro qualificato, e servizi generici alla persona in ambito socioassistenziale.

Appartengono a questa categoria le lavoratrici ed i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono conoscenze professionali di base teoriche e/o tecniche relative allo svolgimento di compiti assegnati, capacità manuali e tecniche specifiche riferite alle proprie qualificazioni professionali (anche acquisite attraverso l'esperienza lavorativa o attraverso percorsi formativi), autonomia e responsabilità nell'ambito di prescrizioni di massima con procedure ben definite. Area/categoria C - Lavoro specializzato, servizi qualificati alla persona in ambito socioassistenziale e socio-sanitario. Appartengono a questa categoria le lavoratrici e i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono capacità manuali e tecniche specifiche riferite alle proprie specializzazioni professionali, conoscenze teoriche e/o specialistiche di base, capacità e conoscenze idonee al coordinamento e controllo di altri operatori di minore contenuto professionale. L'autonomia e la conseguente responsabilità sono riferite a metodologie definite e a precisi ambiti di intervento operativo nonché nell'attuazione di programmi di lavoro, delle attività direttamente svolte e delle istruzioni emanate nell'attività di coordinamento. Le competenze professionali sono quelle derivanti dal possesso di titoli professionali abilitanti riconosciuti a livello nazionale e regionale, o dalla partecipazione a processi formativi o dall'esperienza maturata in costanza di lavoro. Area/categoria D - Lavoro specializzato, professioni sanitarie, servizi socio- educativi. Appartengono a questa categoria i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono conoscenze professionali teoriche specialistiche di base, capacità tecniche elevate per l'espletamento delle attribuzioni, autonomia e responsabilità secondo metodologie definite e precisi ambiti di intervento operativo proprio del profilo, eventuale coordinamento e controllo di altri operatori, con assunzione di responsabilità dei risultati conseguiti. Le competenze professionali sono quelle derivanti dall'acquisizione di titoli abilitanti conseguiti secondo la legislazione corrente, laddove richiesto, o dal possesso di adeguato titolo di studio o da partecipazione a processi formativi o dall'esperienza maturata in costanza di lavoro. Area/categoria E- Prestazioni specialistiche, attività di coordinamento.

Appartengono a questa categoria le lavoratrici e lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono conoscenze professionali teoriche specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali conseguiti, ove richiesti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa nell'ambito di strutture operative semplici previste dal modello organizzativo aziendale. Area/categoria F- Attività di direzione. Appartengono a questa categoria lavoratrici e lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro caratterizzate da autonomia decisionale di diversa ampiezza e da responsabilità di direzione, in relazione alle dimensioni dell'ufficio o servizio in cui sono preposti o alle dimensioni operative della struttura.

5. LA COMPARAZIONE TRA CCNL CONFRONTO SETTORE SANITARIO Livello B COOPERATIVE ANFFAS SERVIZI Addetto alla produzione LIVELLO RETRIBUTIVO B1 B1 V RETRIBUZIONE MEDIA ANNUA 17.309,89 20.151,39 20.525,56 Con indennità di funzione 17.914,13 COSTO MEDIO ANNUO 27.075,37 27.800,24 28.584,30 Addetto segreteria generale LIVELLO RETRIBUTIVO B1 B1 V RETRIBUZIONE MEDIA ANNUA 17.309,89 20.151,39 20.525,56 Con indennità di funzione 17.914,13 COSTO MEDIO ANNUO 27.075,37 27.800,24 28.584,30 Livello C COOPERATIVE ANFFAS SERVIZI Addetto mensa LIVELLO RETRIBUTIVO C1 C1 IV RETRIBUZIONE MEDIA ANNUA 18.658,64 22.639,26 21.916,81 COSTO MEDIO ANNUO 29.185,03 31.232,43 30.513,73 Operatore Fuori di campo LIVELLO RETRIBUTIVO C1 C1 IV RETRIBUZIONE MEDIA ANNUA 18.658,64 22.639,26 21.916,81 COSTO MEDIO ANNUO 29.185,03 31.232,43 30.513,73 Operatore Socio-Sanitario LIVELLO RETRIBUTIVO C2 C2 RETRIBUZIONE MEDIA ANNUA 18.658,64 24.434,73 COSTO MEDIO ANNUO 30.088,67 33.709,40 Livello D COOPERATIVE ANFFAS SERVIZI Operatore di inserimento al lavoro LIVELLO RETRIBUTIVO D1 D1 RETRIBUZIONE MEDIA ANNUA 19.821,88 23.605,52 Con indennità professionale 20.627,49 COSTO MEDIO ANNUO 31.004,51 32.565,45 Educatore LIVELLO RETRIBUTIVO D2 D2 III RETRIBUZIONE MEDIA ANNUA 20.965,88 24.523,54 24.185,37 Con indennità professionale 22.980,10 COSTO MEDIO ANNUO 32.793,91 33.831,92 33.659,17