VALÉRIE SAUBADE MISS SWEETY. Traduzione di Paola Lanterna



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Transcript:

VALÉRIE SAUBADE MISS SWEETY Traduzione di Paola Lanterna

Titolo originale: Miss Sweety S.N. Éditions Anne Carrière, Paris, 2011 Realizzazione editoriale: Conedit Libri Srl - Cormano (MI) I Edizione 2012 2012 - Edizioni Piemme Spa, Milano www.edizpiemme.it Anno 2012-2013-2014 - Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Stampa: Mondadori Printing Spa - Stabilimento NSM - Cles (TN)

1 Sabato 1 settembre 2001 Miss Sweety pensava che occuparsi della posta del cuore per una rivista femminile non fosse un lavoro rischioso. Perlomeno fino a quel giorno d autunno in cui le venne recapitata una lettera anonima che la minacciava di morte. Miss Sweety risponde era una delle rubriche più seguite di «You and I», un settimanale inglese molto popolare. Adolescenti aspiranti suicide, single disperate, donne tradite, madri sull orlo di una crisi di nervi, tutte si rivolgevano a lei. Occorre dire che la sua foto, in testa alla pagina, incoraggiava le confidenze: il viso pienotto e rassicurante era quello di una sessantenne, i capelli grigi raccolti in uno chignon testimoniavano una lunga esperienza della vita. Gli occhi, nascosti dietro un paio di occhiali rotondi, erano affabili e saggi. Tant è che alcuni uomini osavano confidarle i loro problemi virili. In realtà, Miss Sweety non era un anziana signora, ma Samantha Fallow, una giovane donna di appena trentasei anni. Era chiaro che le sue lettrici non lo sospettavano minimamente. Questa single incallita viveva 9

ancora con la nonna, e soffriva di una stravagante fobia che le impediva di salire su una macchina o di prendere un autobus a due piani; handicap che la obbligava a spostarsi solo in metropolitana o in treno. Da aprile a ottobre, evitava di passeggiare in parchi e giardini pubblici, essendole intollerabile la vista di tutte le specie di fiori e in particolare delle rose rosse. A questo si aggiungeva un angoscia ossessiva dell ignoto, che la costringeva a un esistenza da cucù svizzero. Quel 1 settembre alle 10.45, come tutti i giorni alla stessa ora, Samantha Fallow scendeva i tre gradini della scalinata d ingresso per andare incontro al postino. Sospirò di sollievo nel constatare che il solito incaricato era rientrato dalle vacanze. Era un vecchio taciturno e brizzolato che sfoggiava un ventre prominente dovuto alla dozzina di lattine di Carlsberg che trangugiava quotidianamente. La settimana precedente, era stato sostituito da uno studente di bell aspetto, con grandi occhi verdi orlati di lunghe ciglia quasi femminili. Per sei giorni, Samantha aveva lottato invano contro il rossore che le imporporava le guance ogni volta che il belloccio le consegnava la posta. Le disgraziate macchie si dilatavano sugli zigomi, per poi propagarsi verso le tempie e da lì diffondersi sul resto del viso, fronte e mento inclusi. Sin dall infanzia, Samantha Fallow soffriva di ereutofobia, affezione che la portava ad arrossire fino alle orecchie, nel senso letterale del termine. Questa malattia invalidante si era aggravata con l adolescenza. A quindici anni, il minimo sguardo bastava a farla diventare paonazza, che le fosse rivolto da un uomo, una donna, un adolescente o un bambino. Raggiunta l età adulta, beneficiava di una sorta di 10

clemenza. Ormai, il suo viso lampeggiava solo in presenza di uomini. Per meglio comprendere il suo handicap, senza tuttavia riuscire a dominarlo, aveva stabilito una sorta di scala suddivisa in quattro stadi. Lo stadio 1 si traduceva in una leggera colorazione delle gote, che si attenuava rapidamente. In generale, a provocarlo era lo sguardo di un uomo biondo o castano. E tuttavia due occhi marroni o neri scatenavano in lei la stessa reazione. Allo stadio 2, avvampava all istante. Accadeva sempre quando la guardava un uomo dagli occhi chiari. Un individuo bruno con la pelle scura scatenava fatalmente lo stadio 3. Dopo aver invaso il suo viso, il rossore raggiungeva la nuca e si diramava fin giù al petto per tramutarsi in un viola acceso. Allo stadio 4, non le restava che darsi alla fuga per evitare di essere scambiata per un gambero. Accadeva quando incrociava un uomo bruno dagli occhi blu non sapeva spiegarselo che parlava inglese ma con un leggero accento straniero. Nel corso degli anni, aveva stilato con meticolosità la seguente classifica: per esempio, degli occhi banalmente marroni, ma teneri, le scatenavano direttamente lo stadio 2. Uno sguardo scuro e ardente la proiettava senza preavviso allo stadio 3. In compenso, le sue guance si colorivano di un rossore appena accennato quando incrociava uno sguardo maschile mascherato dietro un paio d occhiali. Aveva ugualmente constatato che non arrossiva in presenza di uomini che avevano superato la cinquantina. Il suo problema la portava, in certe situazioni troppo umilianti, a ritirarsi definitivamente dal mondo. Il postino tornato dalle vacanze aveva da poco superato la sessantina e soffriva di un evidente miopia. 11

Dunque, nessun problema cutaneo turbò Samantha Fallow quando le consegnò, com era solito fare, una grande busta con l intestazione «You and I». Sorridente, lo ringraziò e si lasciò andare a un commento appropriato sul tempo londinese. Il postino annuì brevemente, la salutò portando due dita alla visiera del berretto e si diresse senza una parola verso la casa vicina. Samantha risalì gli scalini. Abitava in un appartamento al pianterreno di un vecchio edificio nel quartiere residenziale di Hampstead, a nord di Londra. Edificata nel più puro stile vittoriano, la casa, disposta su due piani, incuteva un certo rispetto. I vetri a piccoli riquadri degli ampi bow window scintillavano alla luce. I suoi infissi bianchi contrastavano con i muri in mattoni color ocra scuro. Quando oltrepassava l immensa soglia, Samantha sembrava ancora più gracile. Non era, è vero, molto alta meno di un metro e sessanta rotondetta e sempre con indosso, estate o inverno, abiti dai colori neutri, così simili al colore dei muri da confondervisi. Arrivata nel corridoio, da dove si slanciava una scala elegante dalla rampa in ferro battuto, evitò di incrociare il suo riflesso nello specchio che la proprietaria aveva appeso al muro, e che sembrava suggerire agli abitanti della casa di dare una sbirciatina, prima di uscire, che nel loro abbigliamento non ci fosse nulla di disdicevole. Per giustificare lo status di durevole nubilato, Samantha come sempre passava in rassegna le sue scarse attrattive fisiche: a) se gli uomini apprezzavano il suo incarnato diafano e i suoi riccioli rossi, che lei teneva a bada raccogliendoli in uno chignon, al contrario non erano attratti dal suo viso rotondo; la dolce morbidezza dei suoi 12

tratti rifletteva, senza alcun dubbio, la sua debolezza di carattere; erano in gran voga le grintose, e non si può certo dire che lei facesse parte della categoria; b) non c era una particella del suo corpo che ricordasse anche solo lontanamente le modelle di «You and I»; troppi dettagli stonavano: le sopracciglia chiare, quasi inesistenti, si confondevano con la carnagione del viso, e il naso all insù si arricciava quando sorrideva; era forte di mento, così come di cosce e polpacci; c) era démodé. Non si truccava le labbra, piene e ben disegnate, e nemmeno gli occhi verdi, alle cui ciglia bionde avrebbe certo giovato un tocco di mascara nero. Ma a che scopo truccarsi, pensava Samantha, quando portava occhiali spessi come fondi di bottiglia? In caso di fallimento amoroso, sceglieva una di queste tre spiegazioni per evitare di rimettersi troppo in gioco. La vita era spaventosa. Samantha si sforzava di tenerla a bada elaborando a ogni difficoltà una lista di soluzioni razionali. Era un rituale: prima di entrare nel suo appartamento, soppesava sempre il pacco spedito da «You and I», tentando di indovinare quante lettere contenesse. Il suo lavoro consisteva nel selezionarne tre e rispondere. Inoltre, ogni settimana doveva consegnare alla redazione un articolo che trattasse di un problema di ordine più generale, che potesse attrarre l interesse del maggior numero possibile di lettrici. Il suo ultimo argomento, la tirannia dei bambini despoti, aveva suscitato parecchie reazioni. Ogni quindici giorni consegnava alla sua caporedattrice un test di sua invenzione, il cui scopo era aiutare le lettrici a delineare la loro personalità. L ultimo si 13

intitolava: «Qual è il vostro tipo d uomo?». Dopo la sua pubblicazione, Samantha si era piacevolmente sorpresa nello scorgere due donne che, sedute nel suo stesso vagone del metrò, erano concentrate a rispondere alle sue domande. Quel fine estate, il tempo era gradevole. Un sole timido svelava a tratti i suoi raggi, in attesa della pioggia. Intorno alle 11, le vie di Hampstead non erano affollate. Con le sue antiche dimore, i suoi prati tosati con cura e i boschetti verdeggianti, ricordava più un tranquillo villaggio di campagna che la periferia di Londra. Samantha stava per entrare nel suo appartamento quando fu fermata da una donna anziana e decisamente ingombrante che teneva al braccio un canestro in vimini. Indossava un vestito a fiori bianchi e rosa e calzava un paio di sneaker. «C è una lettera dalla Francia?» «Mi spiace, zia Margaret, ci sono solo tre bollette e lettere delle mie lettrici.» «Bene. La settimana prossima, forse.» La vecchia signora si diresse con passo pesante verso la porta. Non appena vide lo specchio, con una mano si sistemò le ciocche grigie che le sfioravano la nuca. A ottant anni, Margaret Summer aveva conservato una chioma fluente, che nessuna spazzola riusciva a domare. Il suo viso rotondo era quasi privo di rughe, e gli occhi chiari erano vispi e allegri. Andava fiera di quella che chiamava in francese «son teint de porcelaine», un incarnato quasi madreperlaceo tanto si ostinava a conservarne il pallore. Era da lei, si vantava, che la sua pronipote aveva ereditato la carnagione delicata. Ma grazie a Dio, diceva spesso scherzando, Samantha non aveva ereditato la sua mole. 14

«Come al solito, non si può contare sulla posta francese» sospirò prima di uscire. «Vuoi che ti compri dei piselli freschi? Ci penserò io a sgranarli, certamente tu non avrai tempo.» «Sei gentile.» Prima di richiudere la porta, Samantha osservò la figura che si allontanava a passettini lungo la strada costeggiata di platani, le cui foglie ricevevano le prime gocce di pioggia. Imperturbabile, la sua prozia camminava a capo scoperto. I primi diciotto anni di Margaret Summer erano stati dolci. Era nata nel 1921 nella casa in cui abitava oggi. All epoca i suoi genitori, entrambi appartenenti alla borghesia londinese, ne erano solo gli inquilini. Laureato a Oxford, Archie Summer aveva un agenzia di assicurazioni, occupazione che si confaceva perfettamente al suo temperamento cauto. Aveva scelto di affittare quella casa dall apparenza austera, e a quell epoca sprovvista di bagni, per ispirare fiducia alla sua clientela, essenzialmente costituita da industriali e commercianti. L appartamento di Samantha, situato al pianterreno, un tempo era stato il suo studio. Di fronte si trovava l ufficio di uno dei suoi ex compagni di università, che esercitava la professione di avvocato. Il primo piano era di dominio esclusivo di sua moglie, Mary, una donna minuta e dolce, ancora incredula di aver messo al mondo a un anno di distanza due belle bambine paffute. Al di fuori delle sue attività domestiche, la sua principale occupazione era di estasiarsi dei progressi delle sue figliole, Agatha e Margaret. Dall età di sette anni, Margaret mostrava ciò che sua madre chiamava con fierezza «una certa propensione artistica». Nessuno sapeva tuttavia definire con preci- 15

sione a quale arte potesse applicarsi tale disposizione. Margaret aveva dunque preso lezioni di piano e di violino, prima di tentare con il contrabbasso. L esperienza era terminata quando sua madre aveva giudicato sconveniente che una ragazza di tredici anni allargasse le gambe a quel modo. In seguito era stata orientata verso le arti plastiche. Un esperienza infelice l aveva distolta dalla scultura: si era fatta saltare un unghia con un colpo di bulino. Il disegno a carboncino faceva più al caso suo. Margaret aveva diciotto anni e qualche mese quando la Gran Bretagna entrò in guerra. Suo padre, ufficiale di riserva, depositò in cantina i contratti dei suoi clienti, mise in bella vista il suo testamento sul buffet e raggiunse la sua unità. Davanti a tanto eroismo, Mary Summer e Agatha, la figlia maggiore, sposarono anima e corpo la causa degli alleati, diventando volontarie della Croce Rossa. Giudicata troppo sensibile, Margaret fu dispensata dalle visite in ospedale. Per occuparla, sua madre le aveva affidato il compito di ritagliare bende dalle vecchie lenzuola. Margaret svolgeva questo lavoro ingrato in fretta, preferendo approfittare dell assenza della madre per recarsi a Highgate Park. Situato nei pressi di Hampstead e abbarbicato su una collina, ospitava uno stagno bucolico dove scorrazzavano le anatre. Tra un allarme aereo e l altro, Margaret passò quei sei anni di guerra a disegnare palmipedi sui suoi album. Un giorno di maggio del 1944, mentre abbozzava un airone, un giovane che sfoggiava l uniforme della Royal Air Force le si avvicinò ed elogiò la sua mano nel disegno. Ralf MacCullen aveva ereditato dai suoi avi scozzesi uno sguardo verde chiaro, chiazze rossastre che comparivano a tratti e capelli rosso fuoco, i quali, seb- 16

bene tagliati corti e per metà nascosti sotto la bustina, facevano concorrenza al bagliore del sole. Aveva tre anni in più di lei ed era in permesso. Margaret aveva allora ventitré anni, un corpo sodo tutto curve e una folta chioma che giocava col vento. Da quando aveva concluso, senza troppa fretta, gli studi secondari, attendeva la fine della guerra per iscriversi all università. In assenza del marito, Mary Summer non osava assumersi la responsabilità della scelta della facoltà. Margaret era dunque sfaccendata e in preda a sentimenti contrastanti riguardo al suo avvenire. Un giorno si immaginava destinata a una brillante carriera artistica. L indomani, come spaventata dalla propria audacia, sognava il matrimonio e la maternità. Ralf Mac- Cullen la incontrò uno di quei giorni. Tre giorni più tardi, al termine del suo permesso, fu invitato a cena dai Summer. Il testamento del padre stazionava sempre sul buffet, e Margaret era eccitata all idea di presentare il suo fidanzato alla madre e alla sorella. Il pasto fu parco, ma la serata gradevole anche se, a causa di un allarme aereo, terminò in cantina in mezzo ai contratti di assicurazione. Margaret riaccompagnò Ralf alla porta; lui le sfiorò la fluente capigliatura, promise di scriverle non appena avesse superato la Manica e la baciò. Erano quasi sessant anni che attendeva una lettera dalla Francia. Appena entrata nel suo appartamento, Samantha guadagnò il soggiorno che fungeva anche da studio. Era situato nel retro della casa e dava su un giardino disseminato di arbusti sempreverdi. Posò la posta sul tavolo da lavoro. Per godere della vista, l aveva sistemato sotto la grande finestra incorniciata da tende di velour beige. 17

La stanza era arredata con semplicità. Un divano a due posti dello stesso colore delle tende fronteggiava un camino elettrico. Quando Samantha lo accendeva, le fiamme ne lambivano l interno, dando l illusione di un antico focolare domestico. Un minuscolo complesso hi-fi occupava un angolo della biblioteca, che traboccava di opere di psicologia. Posato su una fitta moquette, un antico tavolino basso si trovava a uguale distanza tra il divano e il camino elettrico. Sopra vi erano accuratamente impilati dei cd di musica classica, qualche numero di «You and I» e un voluminoso dizionario. I muri erano bianchi ma resi più caldi da una leggera sfumatura color pastello. Né quadri né foto ornavano la stanza. Samantha passò senza soffermarsi davanti alla sua camera, una stanza stretta la cui aerazione e l illuminazione erano assicurate da un lucernario che dava sul vialetto che conduceva al giardino. Si assicurò che la porta del bagno, contiguo alla camera, fosse chiusa, e si diresse in cucina. Il piano di lavoro e i pensili erano in legno biondo. Piastrelle bianche e nere ricoprivano le pareti e il pavimento. Una tavola in legno grezzo e quattro sedie occupavano il centro della stanza. Per sottolineare l aspetto rustico del locale, Samantha aveva appeso tendine leggiadre e sistemato bouquet profumati di verbena disseccata nella cornice della finestra a ghigliottina. Accese il bollitore elettrico, poi verificò il contenuto della scatola del tè. Grazie a Dio, ne restava ancora per un giorno o due. Adorava l aroma di questa miscela di foglie e fiori. In attesa che l acqua sobbollisse, prese la solita mug, che un tempo era appartenuta a sua madre, e aprì il frigo alla ricerca del latte. Mentre il tè era in infusione, gettò un occhiata alla 18

strada. Il sole era riapparso. Sul marciapiede, tre piccioni grassocci si contendevano un tozzo di pane. Dopo cinque minuti esatti, Samantha si sedette alla scrivania. Pose la mug accanto al portapenne e cominciò ad aprire il pacco inviatole da «You and I». Conteneva ventitré lettere. Le aprì con l aiuto di un tagliacarte, graffò le buste alle lettere, infine studiò queste ultime. Un quarto d ora più tardi, le aveva classificate in tre cartellette distinte. Sulla prima annotò problemi prepuberali. I classici racconti di adolescenti innamorate del vicino di banco, gelose della loro migliore amica o in costante lotta con i genitori. Ogni settimana ne riceveva a dozzine. Prima di chiudere la cartelletta si assicurò, giusto per sgravarsi la coscienza, che nessuna delle sue giovani lettrici minacciasse di gettarsi dalla finestra. Scelse una cartelletta fucsia che intitolò sobriamente mezza età. Una lettera di fattura classica, scritta da un insegnante che ne aveva fin sopra i capelli dei suoi allievi, raggiunse quella, disseminata di errori di ortografia, di un conducente di treno che voleva deragliare da un esistenza mortalmente ordinaria. Una casalinga, madre di famiglia, minacciava di mandare all aria marito e tegami per tentare la fortuna come cantante lirica. Tre dirigenti dinamici che leggevano «You and I» di nascosto, confessavano di non poterne più del loro lavoro e di essere schiacciati dal peso delle esigenze finanziarie delle loro ex mogli. Una terza cartelletta, grigia, racchiudeva gli appelli di aiuto di lettori solitari: una buona dozzina di mogli abbandonate, un anziana signora che si era ridotta a parlare solo con i suoi canarini, un ex ragazzo di trentacinque anni che lamentava il fatto di essere ancora vergine. 19

Samantha finì il suo tè, mise da parte le tre cartellette e appoggiò i gomiti sulla scrivania. Rilesse ancora una volta la ventitreesima lettera, domandandosi come classificarla. Percorsa da un brivido, cinse la mug con le due mani per riscaldarsi. Poi attaccò a canticchiare una vecchia filastrocca: Hey diddle diddle, the cat and the fiddle, the cow jumped over the moon. The little dog laughed to see such sport, and the dish ran away with the spoon. Era la sua filastrocca preferita, quella che sua madre le bisbigliava all orecchio quando, da bambina, era spaventata. «È mezzogiorno, sei in ritardo Samantha. Ti ho preparato dei sandwich. Alla tua età bisogna mangiare.» Le tre cartellette sotto il braccio, Samantha saliva gli ultimi gradini che conducevano al primo piano. La porta dell appartamento di sinistra era aperta. Sua nonna l attendeva, mani sui fianchi, in piedi sul pianerottolo. «Se ti lasciassi fare, te ne andresti tutti i giorni a prendere un kebab da Abdul.» Samantha aggrottò le sopracciglia. Non sopportava che si chiamasse per nome il pachistano gentile che da circa dieci anni gestiva il piccolo negozio di alimentari all imbocco del metrò. «I kebab del signor Jakhrani sono buonissimi» ribatté. «Può darsi, ma un filino grassi.» Agatha Summer aveva festeggiato i suoi ottantuno anni due mesi prima. Ne mostrava tuttavia quindici di 20

meno. Era una donna longilinea, un po ossuta, piuttosto alta se paragonata alle donne della sua generazione. I suoi capelli bianchi, ancora folti, erano raccolti in uno stretto chignon trattenuto da forcine di madreperla che si confondevano con i capelli. Rughe sottili le solcavano il contorno delle labbra e degli occhi blu. Le guance leggermente incavate ponevano in risalto due zigomi aristocratici che si accordavano alla perfezione con la finezza del suo naso. Come Margaret, minore di un anno, aveva un incarnato delicato che definiva tipicamente inglese. Erano parecchi decenni che le due sorelle battibeccavano sull appellativo corretto per indicare la loro pelle diafana. E alla fine, era sempre Agatha ad avere l ultima parola. D altronde erano rare le persone che osavano contraddirla. L inquilino che occupava l appartamento situato dirimpetto a quello di Samantha rigava dritto. Il proprietario della drogheria presso la quale faceva la spesa incassava in silenzio i suoi corrosivi commenti sulla dubbia freschezza di alcuni prodotti. Quanto ai membri dell associazione di carità che presenziava, nessuno avrebbe mai osato opporsi alle sue decisioni. E se il postino era puntuale, era perché sapeva che, dal primo piano, lei lo puntava da dietro le tende. «Il lavoro di mia nipote dipende dal suo» gli aveva fatto notare, l unico giorno in cui aveva ritardato di cinque minuti. Fatalista, Margaret si appellava alla genetica per spiegare il carattere di ferro della sorella maggiore. Costei possedeva, a suo dire, lo stesso temperamento del padre, meticoloso e combattivo. Samantha dubitava di una spiegazione così superficiale. Talvolta era la vita stessa che si incaricava di forgiare il carattere di una persona. 21

Al pari di quella di Margaret, l esistenza di Agatha si era svolta tranquillamente fino alla partenza del padre per la guerra. Si ricordava vagamente di merende interminabili con le amiche di sua madre, di qualche viso di istitutrice austera e di deprimenti serate nel corso delle quali imparava a ricamare. Nell inconscio familiare, era stato deciso che Margaret era un artista nata, mentre Agatha sarebbe stata una donna dal focolare domestico perfetto. Nel momento in cui la guerra scoppiò, prendeva senza entusiasmo lezioni di pianoforte da un anziana signorina miope, nell attesa di trovare marito. I suoi occhi chiari e la figura slanciata avevano già attirato tre seri pretendenti, fra i quali il figlio di uno dei clienti di suo padre. Archie Summer aveva un debole per quest ultimo, destinato a diventare notaio. Ma Agatha proprio non riusciva a immaginarsi con quell uomo taciturno e già stempiato. La guerra le permise di sfuggire a quel destino pianificato in ogni dettaglio. Appena suo padre partì, convinse sua madre a lasciarla diventare volontaria della Croce Rossa. Sua madre si impegnò al fianco della figlia, tanto per patriottismo quanto per farle da chaperon. Ma molto presto, la dolce e sensibile Mary Summer dovette lasciare le camere dove giacevano i feriti: la vista delle bende le provocava l aritmia. Agatha, al contrario, si sentiva perfettamente a suo agio in quelle sale dove regnava un acre odore di sangue e di disinfettante. Alla fine della guerra, decise di diventare infermiera. Vivere per mesi fianco a fianco con il dolore e la morte senza tremare sotto gli attacchi aerei le aveva inasprito il carattere. Il suo sguardo chiaro diventava 22

di ghiaccio se solo si osava opporsi alla sua volontà e frasi taglienti uscivano da una bocca le cui labbra avevano contorni sensuali. Alzava le spalle nell ascoltare la madre lagnarsi della scarsità e del prezzo dei generi alimentari, o quando sua sorella sognava a occhi aperti di rivedere Ralf MacCullen. Non erano cose fondamentali. Nell autunno del 1945 entrò senza difficoltà in una scuola per infermiere. Non era la più quotata ma la meno lontana da casa. Perché, nel frattempo, la notizia della morte del consorte aveva precipitato sua madre in una morbida melanconia. Non potendo contare sulla sorella minore, il cui spirito fantasioso la rendeva inutile nella vita pratica, Agatha divideva il suo tempo tra gli studi e la conduzione domestica. Riuscì tuttavia a essere promossa col massimo dei voti, dopo soltanto dodici mesi di formazione; grazie alla sua preparazione, la direttrice l aveva iscritta direttamente all ultimo anno. Scelse di esercitare in un ospedale pubblico e li incontrò suo marito. Il primo dei quattro che era destinata a seppellire. «Bene, cos hai ricevuto oggi?» si informò Agatha. Per riflesso, Samantha si pulì i piedi sulle ciliegie rosse che decoravano lo stuoino. Situato sopra al suo, l appartamento della nonna era disposto in modo identico, con la cucina che dava sul giardino e il soggiorno sulla strada. L arredamento in compenso era molto diverso. Con il suo frigorifero panciuto, il buffet, la tavola e le sedie in formica, la cucina di Agatha non avrebbe sfigurato su una rivista femminile degli anni Cinquanta. Né fiori, né ninnoli decoravano quest universo dalla pulizia impeccabile, quasi asettico. Solo una serie di illustrazioni che rappresentavano piante 23

officinali ornavano i muri. Il soggiorno, in compenso, somigliava al negozio di un antiquario, con i suoi imponenti mobili tirati a cera e la profusione di quadri che riproducevano delicati fiori di campo. Un divano di cotone a fiori era stato collocato di fronte alla poltrona di Agatha. Erano rivestiti con gli stessi motivi esuberanti che evocavano un giardino primaverile e riscaldati da plaid in mohair beige e cuscini ricamati. Tra il divano e la poltrona si trovava un tavolino disseminato di dizionari. Agatha passava in questa stanza gran parte del suo tempo, che divideva tra la soluzione di cruciverba e l osservazione assidua dell andirivieni dei vicini. Al momento, Samantha e sua nonna erano sedute al tavolo di cucina. Agatha aveva piazzato con fare autoritario davanti a sua nipote un sandwich al cetriolo debordante di crema biancastra, una parte di crumble ai frutti rossi e un bicchiere di succo di pomodoro. Mentre Samantha gustava lo spuntino, Agatha aveva inforcato gli occhiali e studiava con attenzione le cartellette. «Il caso dell insegnante mi sembra abbastanza rappresentativo. In compenso, la lettera del conducente del treno non è interessante. Hai contato gli errori di ortografia?» «Sbaglio o c è del classismo nelle tue parole, nonna?» «Mia cara, quando hai punto tanti sederi da non poter più tenere il conto, non ti chiedi se appartenevano a borghesi o a proletari.» Attese che Samantha avesse finito di mangiare per servire il tè, poi chiuse la lettura delle lettere. «È la sesta volta che non rispondi a una lettrice lasciata dal marito» fece osservare. 24

«Le storie si somigliano tutte» protestò Samantha. «Stringete i denti o trovatevi un nuovo principe azzurro. Non saprei cos altro consigliare.» «Sei tu la laureata in psicologia. Non dimenticare che le single e le divorziate costituiscono quasi la metà delle tue lettrici.» Agatha tirò fuori le tre lettere dalla cartelletta. «Una donna lasciata, l insegnante disperata e un adolescente gelosa per completare la tua rubrica. Che ne pensi?» «Rifletterò sulla tua proposta. Grazie per il sandwich.» Samantha piegò il tovagliolo e lo infilò nel portatovagliolo con incise le sue cifre. Mentre si dirigeva verso l atrio, sua zia la fermò: «Ti trovo palliduccia ultimamente. Ti farebbe bene uscire un po la sera, andare al pub con un amico per esempio...». «Sto bene, zia» rispose elusiva Samantha, stringendo sottobraccio le cartellette. Non aveva intenzione di far pesare il suo nubilato. Gli stati d animo erano il dominio riservato alle sue care lettrici. Si illuminava nel ruolo di confidente epistolare e le lettere di ringraziamento che il giornale le rispediva la gratificavano. Si diresse verso la scala, e la divorò sotto lo sguardo acuto di Agatha. Si trattenne dallo sbattere la porta del suo appartamento, richiudendola. Talvolta sua nonna le dava sui nervi. Aveva la tendenza a voler ficcare il naso nella sua vita e il guaio era che i suoi commenti erano troppo pertinenti. Samantha non poteva rifiutarle quella piccola felicità quotidiana, mostrarle la posta ricevuta e consentirle di scegliere qualche lettera. Salvo che oggi ne aveva nascosta una. La ventitree- 25

sima. L aveva lasciata sulla scrivania, ma ne conosceva il contenuto a memoria. «Mia moglie ha seguito il suo consiglio e mi ha lasciato. Approfitti del poco tempo che le resta da vivere.» Era anonima e lapidaria. Il genere di lettera che non doveva finire nelle mani di un attempata signora, anche se era sopravvissuta alla guerra. 26