Applicabilità al magistrato della disciplina sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro; valutazione dell assenza dal servizio.



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Applicabilità al magistrato della disciplina sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro; valutazione dell assenza dal servizio. (Risposta a quesito del 23 gennaio 2008) Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 23 gennaio 2008, ha adottato la seguente delibera: - visto il quesito posto dalla dott.ssa, giudice del Tribunale di, inteso a conoscere "se al magistrato debba applicarsi, in qualità di lavoratore subordinato dello Stato, la disciplina sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e come debba essere considerata la sua assenza dal servizio per tutta la durata dell'infortunio certificata dall'inail"; - visto il parere dell Ufficio studi n. 488/2007 in data 3 dicembre 2007; OSSERVA La dott.ssa, giudice presso il Tribunale di, si è infortunata nel mentre si stava recando in un aula di udienza, per svolgere l ordinaria attività giudiziaria. A seguito di ciò, il Presidente della Corte di appello di, con comunicazione scritta, l aveva invitata a presentare richiesta di congedo straordinario ovvero di aspettativa per motivi di salute per tutta la durata dell infortunio nonché a comunicare il suo recapito, per essere sottoposta a visita fiscale da parte di un medico della competente ASL. Con il quesito in esame, ella contesta l operato del Presidente della Corte, ritenendo che al caso di specie debba essere applicata la normativa di cui al D.P.R. 1124/1965, atteso che il magistrato, quale dipendente dell amministrazione statale, rientra nelle categorie di lavoratori subordinati protetti, ai quali è, dunque, applicabile la normativa in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. La dott.ssa evidenzia, in merito, che presso la Presidenza del Tribunale sono istituiti i relativi registri infortuni e che il Presidente del Tribunale di ha inoltrato la denuncia dell infortunio in oggetto all INAIL nonché all Autorità di pubblica sicurezza, considerandola giustificatamene assente dal servizio per infortunio, non senza prendere atto dei certificati medici rilasciati sia dal medico di famiglia (sempre su formulario INAIL) sia dal medico INAIL. A detta della dott.ssa, una conclusione diversa rispetto a quella illustrata sarebbe incostituzionale, giacché escluderebbe i magistrati dalle categorie protette. Ella sottolinea, inoltre, che l infortunio sul lavoro è un evento verificatosi per causa violenta in occasione di lavoro, indennizzabile ex lege, mentre la causa di servizio tende a far accertare la dipendenza di una lesione o di un infermità o l aggravamento di infermità o lesioni preesistenti da causa, appunto, di servizio, ai sensi e per gli effetti dell art. 2 D.P.R.. Infine, evidenzia che gli istituti dell aspettativa o del congedo straordinario per motivi di salute non hanno alcuna attinenza con l infortunio sul lavoro, posto che seppure in entrambi i casi vi è una compromissione del bene primario della salute solo nell ipotesi di infortunio sul lavoro la lesione all integrità fisica trova la sua causa fondamentale ed esclusiva nello svolgimento dell attività lavorativa e tanto giustifica la necessità di una disciplina normativa ad hoc. La dott.ssa conclude sostenendo cha dalla legislazione vigente si desume chiaramente che il magistrato infortunatosi sul lavoro deve considerarsi semplicemente assente dal lavoro per infortunio, senza che vi sia la necessità di prevedere nell Ordinamento giudiziario un istituto apposito, dovendosi applicare la normativa dettata per la materia infortunistica, anche con riferimento alle modalità di accertamento ed alle provvidenze economiche. Al fine di poter compiutamente rispondere al quesito posto dalla dott.ssa è necessario, preliminarmente, chiarire quali siano le norme di riferimento ed in che modo le stesse possano essere applicate ai magistrati. L art. 276 O.g. estende ai magistrati ordinari, nei limiti della compatibilità, le disposizioni generali relative agli impiegati civili dello Stato. Invero, deve ritenersi che nulla sia stato modificato anche a seguito dell entrata in vigore del testo unico sul pubblico impiego, approvato con D. Lgs. 165/2001, il quale ha demandato alla

contrattazione collettiva di disciplinare tutte le materie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art. 40, I comma), tra le quali non può non comprendersi anche la materia relativa alle assenze del dipendente per malattia o infermità, pure determinata da infortunio sul lavoro. Tale conclusione trova conforto nelle tabelle allegate al D. Lgs 165/2001, che individuano le disposizioni di legge che cessano di avere efficacia a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi, tra le quali sono indicati, per il personale ministeriale, l art. 68 del testo unico in materia di pubblico impiego (n. 3 del 1957) e gli articoli da 30 a 34 del D.P.R. 686/1957, contenenti le relative norme di esecuzione, che disciplinano le situazioni dell assenza del dipendente per motivi di infermità. Le norme del D. Lgs. 165/2001 - e nella specie quella che istituisce la contrattazione collettiva come fonte regolativa del rapporto - non si applicano tuttavia ai magistrati, il cui status continua ad essere disciplinato in regime di diritto pubblico, ai sensi dell art. 3 D. Lgs. 165/2001. Da ciò deriva che mentre per i dipendenti che rientrano nell ambito del cd. pubblico impiego contrattualizzato non sono ormai più in vigore le disposizioni del testo unico del 1957 disciplinanti la materia in esame, esse, al contrario, continuano ad applicarsi ai pubblici dipendenti il cui rapporto è rimasto in regime di diritto pubblico, che restano disciplinati dai rispettivi ordinamenti. Ciò premesso, occorre verificare se ai magistrati sia o meno applicabile il D.P.R. 1124/1965, vale a dire il testo unico disciplinante l assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. È necessario, a questo punto, illustrare, seppure in maniera sintetica, la disciplina de qua, al fine di chiarirne l ambito applicativo sotto il profilo sia soggettivo sia oggettivo. L art. 1 D.P.R. 1124/1965 fissa i criteri generali dai quali deriva l obbligatorietà dell assicurazione infortunistica, stabilendo, testualmente, che È obbligatoria l assicurazione contro gli infortuni sul lavoro delle persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, siano addette alle macchine mosse non direttamente dalla persona che ne usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi ed impianti elettrici e termini, nonché delle persone comunque occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi i quali comportino l impiego di tali macchine, apparecchi o impianti. L obbligo dell assicurazione ricorre altresì quando le macchine, gli apparecchi o gli impianti di cui al precedente comma siano adoperati anche in via transitoria o non servano direttamente ad operazioni attinenti all esercizio dell industria che forma oggetto di detti opifici o ambienti ovvero siano adoperati dal personale comunque addetto alla vendita, per prova, presentazione pratica o esperimento. Dalla lettura della norma emerge chiaramente che il legislatore ha posto una sorta di presunzione iuris ed de iure di pericolosità delle macchine, degli apparecchi e degli impianti in oggetto. La Corte costituzionale, proprio sul punto, ha osservato che oggetto della tutela assicurativa non è la pericolosità dell attività considerata, concretamente misurabile secondo un certo grado di probabilità statistica, bensì l attività per se stessa, in quanto connotata tipicamente dall impiego di apparecchi e macchine. Nella seconda parte dell art. 1 D.P.R. 1124/1965 sono indicate ben ventotto categorie di lavoratori, i quali, pur non ricorrendo le ipotesi sopra descritte, sono comunque soggetti al regime dell assicurazione obbligatoria, in ragione delle prestazioni cui essi sono tenuti. Inoltre è pure precisato cosa debba intendersi per addetti a macchine, apparecchi o impianti. Il secondo presupposto della tutela assicurativa è fissato dall art. 4 D.P.R. 1124/1965 e riguarda le persone assicurate. Infatti non tutte le categorie di lavoratori hanno diritto alla tutela in caso di infortunio o tecnopatia ma, soltanto, coloro i quali in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione. La norma indicata elenca, inoltre, specifiche categorie di lavoratori oggetto di tutela, ponendo in tal modo una presunzione assoluta di rischio in relazione alle attività da tali lavoratori svolte.

Dalle disposizioni riportate si desume che il rapporto previdenziale finalizzato alla tutela dell infortunio sul lavoro sorge, automaticamente, non in ragione dell inizio dell attività lavorativa ma solo laddove l ordinamento ritenga la stessa pericolosa. Tale impostazione della tutela assicurativa obbligatoria deriva dall iniziale difficoltà (il testo unico risale all anno 1965) di imporre ai datori di lavoro gli oneri connessi alla tutela di un fenomeno sociale di grande rilevanza ed alla conseguente opportunità di limitare l obbligo alle sole ipotesi in cui vi fosse un rischio effettivo. Il rapporto previdenziale, pertanto, nasce solo nel momento in cui il lavoratore è addetto ad alcune lavorazioni caratterizzate da un particolare livello di pericolosità, cosicché il momento di costituzione può non coincidere con l inizio dell attività lavorativa ovvero il rapporto può estinguersi per la cessazione dell attività pericolosa e ricostituirsi per la ripresa della stessa o di altra attività. Non assume, quindi, alcun rilievo la natura pubblica o privata dell ente datore di lavoro, purché, ovviamente, ricorrano i requisiti di cui agli artt. 1 e 4 D.P.R. 1124/1965. Nella progressiva elaborazione giurisprudenziale di legittimità è stato, peraltro, chiarito e meglio specificato il significato di tali requisiti, precisando che l inquadramento del lavoratore (pubblico o privato che sia) nella categoria impiegatizia non è di ostacolo alla tutela assicurativa INAIL. La Corte di cassazione, infatti, ha affermato che l attività manuale, pur se accessoria o strumentale e di ridotta durata temporale, assume rilevanza se svolta professionalmente e non in modo occasionale, anche quando l assicurato ha la qualifica impiegatizia (cfr., ex multis, C. Cass., Sez. L., n.5910/1982; C. Cass., Sez. L., n. 3651/1983; C. Cass., Sez. L., n. 8653/1994). A ciò si aggiunga che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 221 del 14 marzo 1986, ha ribadito la sussistenza dell obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro non solo per gli addetti a macchine elettriche e video terminali ma anche per gli addetti nei luoghi di lavoro ove tali macchine sono impiegate, ritenendo esistente in prossimità di tali macchine una presunzione assoluta del rischio (cd. rischio ambientale). In altri termini per la configurabilità dell obbligo assicurativo ex D.P.R. 1124/1965 è sufficiente che il lavoratore, ancorché impiegato o dirigente abbia necessità, per l espletamento delle sue mansioni, di frequentare, in via non occasionale od eccezionale, i locali dove sono collocate le fonti di rischio (in termini, C. Cass., Sez. L., 8333/1991). È evidente, dunque, che l elaborazione giurisprudenziale ha allargato le strette maglie della disciplina dettata dagli artt. 1 e 4 D.P.R. 1124/1965, estendendo l obbligatorietà dell assicurazione antinfortunistica a tutti quei casi in cui la situazione lavorativa, già valutata in termini di pericolosità dal legislatore, era di fatto configurabile anche per quei dipendenti non prestanti strettamente attività manuale. Da tanto è derivata la necessarietà dell assicurazione in oggetto per tutti gli impiegati che operano sistematicamente, anche se non continuativamente, a contatto con le macchine, non essendo rilevante sul piano assicurativo che l attività manuale sia solo accessoria o strumentale al lavoro. Nel 1994 le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 3476, hanno fissato definitivamente il principio in base al quale tutti i lavoratori dipendenti, tenuti per ragioni professionali a frequentare ambienti ove si svolgono le attività pericolose di cui all art. 1 D.P.R. 1124/1965, sono soggetti all obbligo assicurativo e fruiscono della conseguente tutela, a prescindere dal contenuto manuale ed intellettuale delle mansioni svolte. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha confermato l indirizzo giurisprudenziale che si era già andato consolidando negli anni, in base al quale a parità di rischio deve corrispondere parità di tutela. Nel corpo della motivazione la Corte ha ben evidenziato che la limitatezza della definizione della opera manuale desumibile dalla legge appare, come ha rilevato la Corte costituzionale, un residuo della concezione originaria dell assicurazione contro gli infortuni sul lavoro come volto a proteggere gli operai addetti alle macchine, apparecchi o impianti, in quanto particolarmente esposti al rischio nascente dai suindicati strumenti (vedi Corte cost. 21 marzo 1989 n. 137). Questa definizione, nel suo significato strettamente letterale, si è dimostrata insufficiente, quando sono

state introdotte macchine elettriche che, in relazione alla loro funzione, vengono utilizzate non da operai non solo da dipendenti svolgenti mansioni esclusivamente intellettuali e dirigenziali (macchine elettrocontabili, videoterminali, fitoriproduttori, computer ecc.). Per estendere l assicurazione contro gli infortuni a questi nuovi soggetti, esposti anch'essi al rischio derivante dall'uso di apparecchi elettrici, la giurisprudenza di questa Corte ha superato la valenza giuslavoristica dell'espressione "opera manuale" come contrapposta all'opera intellettuale (propria dell'impiegato e del dirigente), affermando che detta espressione si identifica nel diretto contatto dell'operatore con l'apparecchio per un uso professionale (purché non occasionale o eccezionale), non rilevando ai fini del rischio infortunistico che detto uso possa essere strumentale rispetto ad una prestazione essenzialmente intellettuale. Di conseguenza, ha argomentato la Corte, un interpretazione restrittiva che intendesse limitare la protezione del rischio ambientale solo ai lavoratori manuali e non anche a quelli intellettuali, che per ragioni professionali devono frequentare lo stesso ambiente di lavoro, porrebbe una questione di legittimità costituzionale della norma con riferimento agli artt. 3 e 98 Cost. e violerebbe il suddetto principio della parità di tutela a parità di rischio. Pertanto, l esposizione a rischio ambientale è condizione sufficiente per l insorgenza della tutela assicurativa anche per gli impiegati e dirigenti che svolgono esclusivamente attività intellettuale, purché l esposizione alle fonti di rischio sia abituale e sistematica (anche se non continuativa) e necessaria in relazione alle mansioni da svolgere. La riprova che l illustrata interpretazione degli artt. 1 e 4 del D.P.R. 1124/1965 è corretta nonché costituzionalmente orientata sta nel fatto che la Corte costituzionale, nell estendere la protezione assicurativa all assistente contrario (sentenza n. 98 del 2 marzo 1990), non ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 4 nella parte in cui limita la protezione assicurativa alle solo attività manuali e non anche alle prestazioni intellettuali (come avrebbe dovuto fare se detto articolo costituisse un ostacolo insormontabile alla protezione delle attività intellettuali in via di mera correlazione ambientale con le lavorazioni rischiose) ma ha dichiarato la sola illegittimità costituzionale dell art. 9, I comma, D.P.R. 1124/1965 nella parte in cui non comprende fra i datori di lavoro soggetti all assicurazione coloro che occupano persone, tra quelle indicate all art.4 del medesimo decreto, in attività previste dall art. 1 stesso testo anche se esercitate da altri. Seguendo la stessa ratio, vale a dire parità di tutela a parità di rischio, la Corte costituzionale si è mossa per affermare l assicurabilità di soggetti svolgenti attività diverse da quelle manuali e senza alcun contatto con le macchine, dichiarando così l incostituzionalità dell art. 1 D.P.R. 1124/1965 nella parte in cui non prevedeva l obbligatorietà dell assicurazione antinfortunistica per i cassieri a contatto diretto con il pubblico, dipendenti da imprese i cui lavoratori sono soggetti all assicurazione infortuni, (C. Cost. 7 aprile 1981 n.55) ovvero per i ballerini e per i tersicori (C. Cost. 21 marzo 1989 n.137). In questi casi, trattandosi di ipotesi non rientranti nelle previsioni degli artt. 1 e 4 D. Lgs. 1124/1965, è stata necessaria la pronuncia di illegittimità da parte della Corte. Appare chiaro dalle indicate pronunce richiamate sia della Corte costituzionale sia della Corte di cassazione che, nel corso degli anni, l estensione dell obbligatorietà dell assicurazione contro gli infortuni sul lavoro non ha comportato l assoluto superamento delle indicazioni normative ma la loro interpretazione costituzionalmente orientata, attraverso la quale, dunque, non può giungersi a riconoscere automaticamente il diritto alla tutela assicurativa obbligatoria a chiunque, a prescindere, in particolare, dall appartenenza alle categorie protette. Ciò, peraltro, si desume proprio dalle sopra indicate sentenze della Corte costituzionale (n.55/81 e n.137/89), resesi necessarie per integrare la previsione normativa (evidentemente incompleta) delle categorie protette. Né, d altra parte, è possibile sostenere che la limitazione dell obbligatorietà assicurativa soltanto ad alcune categorie di lavoratori comporti la violazione degli artt. 3 e 38 della Carta Costituzionale. In merito la stessa Corte di cassazione ha, infatti, affermato che l individuazione degli elementi relativi all esposizione a rischio è discrezionale e le relative valutazioni sono rimesse al legislatore e sono insindacabili, ragion per cui non può proprio porsi la questione di legittimità

costituzionale delle norme che identificano le attività protette in rapporto al principio di uguaglianza di cui all art. 3 Cost. Similmente non è configurabile la violazione dell art. 38 Cost., sia perché per gli infortuni sul lavoro esclusi dall ambito specifico di protezione possono soccorrere altre forme di tutela - quali le assicurazioni contro la malattia e l invalidità - sia perché rimane applicabile la tutela risarcitoria secondo il regime comune della responsabilità civile, non derogata dall esonero (sia pure condizionato) del datore di lavoro da tale responsabilità, prevista dal D.P.R. 1124/1965, nel caso di applicabilità della relativa assicurazione. Infine la delimitazione dei presupposti soggettivi ed oggettivi di detta assicurazione non può ritenersi confliggente con le prescrizioni dell art. 32 Cost., giacché è in ogni caso salvaguardato il diritto soggettivo perfetto del lavoratore ad esigere dal datore di lavoro il rispetto delle norme e l adozione di misure volte ad evitare gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e, in caso di violazione, di tali obblighi a conseguire il risarcimento dal conseguente danno (C. Cass., Sez. lav. n.4940/1995). I principi elaborati dalla giurisprudenza nell applicazione del D.P.R. 1124/1965 e, segnatamente, nell individuazione dei lavoratori per i quali è obbligatoria l assicurazione de qua sono rimasti fermi nel corso anche degli ultimi anni ed è ormai indiscussa l estensione della normativa in oggetto all attività impiegatizia (cfr., ex multis, C. Cass. n. 8028/1998; C. Cass. n.12930/1999; C. Cass. n.12227/2004). Dal discorso sviluppato fino ad ora emerge, dunque, chiaramente che la questione da risolvere non riguarda l applicabilità della tutela assicurativa obbligatoria ai dipendenti pubblici che non svolgano attività lavorativa manuale (e quindi, per effetto dell art. 276 O.g. e salvi sempre i limiti di compatibilità, ai magistrati) ma investe il possibile inquadramento dell attività professionale svolta dai magistrati nell ambito delle prestazioni lavorative protette, posto che né l art. 1 né l art. 4 D.P.R. 1124/1965 estendono specificatamente ai magistrati l obbligatorietà dell assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Si pone, conseguentemente, il serio interrogativo, atteso il ricorso ormai indispensabile in qualunque ufficio al computer (macchina mossa dall energia elettrica), se l uso dello stesso sia sufficiente a far sorgere l obbligo assicurativo di cui al D.P.R. 1124/1965 a tutela dei magistrati. Non può certo negarsi che l evoluzione giurisprudenziale appare procedere nel senso di allargare sempre più la tutela INAIL pressoché a tutti i lavoratori dipendenti, estendendo, peraltro, progressivamente anche la nozione di occasione di lavoro prevista dall art. 2 D.P.R. 1124/1965. Tuttavia sostenere l applicabilità della normativa de qua ai magistrati, fondando tale estensione sulla circostanza che il computer (dunque una macchina) è strumento essenziale per lo svolgimento dell attività lavorativa cui essi sono tenuti, non appare propriamente coerente con il testo normativo. Invero va sottolineato che il D.P.R. 1124/1965 nasce con l obiettivo di tutelare quelle categorie di lavoratori maggiormente esposti a rischio in ragione della pericolosità della loro prestazione, desunta proprio dall uso di particolari macchine ovvero presunta per legge. Inoltre la stessa Corte costituzionale è dovuta intervenire, integrando gli artt. 1 e 4 D.P.R. 1124/1965, affinché fosse riconosciuta la tutela in oggetto a determinate categorie di lavoratori, con ciò implicitamente affermando che la stessa non può derivare dall uso di qualsivoglia tipo di macchina. A ciò si aggiunga, ancora, che lo stesso legislatore ha sentito la necessità di estendere con previsione ad hoc la soggezione all obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro per gli addetti ai lavori in ambito domestico (L. 493/99), per i dipendenti appartenenti all area dirigenziale, per i lavoratori subordinati, soggetti a rischi lavorativi specifici, nonché per gli sportivi professionisti (D. Lgs. 38/2000), dettando, peraltro, particolari limitazioni in merito e mantenendo ferma sia per i lavoratori parasubordinati sia per quelli appartenenti all area dirigenziale l applicazione dell art. 1 D.P.R. 1124/1965. Ciò, pertanto, induce ancor di più a ritenere che non sia possibile applicare sic et simpliciter la normativa in oggetto individuando la pericolosità dell attività lavorativa nell uso in sé del computer, perché, se così fosse, non sarebbe stato neanche necessario l intervento del legislatore nel 1999 e, subito dopo, nel 2000 per ampliare le categorie protette.

D altra parte non può neanche sottovalutarsi che, tecnicamente, i magistrati non possono essere considerati addetti alle macchine, giacché utilizzano i computer non perché a ciò normativamente obbligati, in relazione all attività da svolgere, ma per mera scelta di organizzazione del lavoro. È pacifica, peraltro, la loro non assimilabilità completa agli impiegati dello Stato, ragion per cui non sarebbe possibile neanche invocare l eventuale disparità di trattamento rispetto al regime loro applicabile. È, infatti, vero che i magistrati sono equiparabili ai dipendenti pubblici, per essere sia gli uni che gli altri legati da un rapporto di servizio pubblico con lo Stato e per svolgere attività in nome e per conto dello Stato (in termini C. Cost. 22 giugno 1992 n.289), ma è pur vero che i magistrati hanno uno status particolare che rende disomogeneo e non comparabile il loro trattamento (giuridico ed economico) rispetto a quello della generalità degli altri dipendenti pubblici. La peculiarità del predetto status è diretta conseguenza dell esercizio delle funzioni giurisdizionali e quindi dell autonomia e dell indipendenza della magistratura, assicurata, secondo le disposizioni dell art. 105 Cost., dal Consiglio superiore della magistratura quale organo di autogoverno nonché dall altro principio costituzionale fissato dall art. 108, secondo cui le norme sull ordinamento giudiziario sono stabilite dalla legge (in termini, C.d.S. n. 1069/2007). Pertanto, in ragione delle peculiarità proprie del ruolo e delle funzioni cui sono tenuti i magistrati, non appare possibile, almeno allo stato e pur a fronte delle innegabili aperture giurisprudenziali in materia, estendere loro la normativa prevista dal D.P.R. 1124/1965. Specificatamente sul punto non si registrano pronunce giurisprudenziali, tuttavia il T.A.R. Lazio in due occasioni, seppure solo incidentalmente perché non costituiva oggetto del thema decidendum, ha lasciato intendere che l attività espletata dai magistrati non potesse farsi rientrare tra quelle protette. Invero, con la sentenza n. 7373 del 26 luglio 2004, nel rigettare il ricorso presentato da un vice procuratore onorario per il riconoscimento, come dipendente da causa di servizio, dell infortunio in itinere, ha dato atto che il D.P.R. 1124/1965 si rivolge soltanto ai lavoratori che svolgono attività protette, tra le quali non rientra quella di magistrato onorario. Vero è che la magistratura onoraria non è assimilabile ovvero sovrapponibile alla magistratura togata, tuttavia è altresì vero che nella specie il giudice amministrativo, mentre ha rigettato la domanda del ricorrente per difetto del rapporto di pubblico impiego, ha invece escluso l applicabilità della disciplina dettata in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro perché non ha considerato l attività del magistrato onorario rientrante nelle attività protette. Pertanto, proprio perché è stata utilizzata un argomentazione diversa rispetto a quella per la quale è stato rigettato il ricorso, è possibile ritenere valido anche per la magistratura togata il ragionamento sul tema sviluppato in sentenza. Similmente, nella sentenza n. 3043 del 2006, il TAR Lazio, chiamato a pronunciarsi sul calcolo elaborato dall amministrazione per la liquidazione di quanto dovuto ad un magistrato togato a titolo di equo indennizzo (causa di servizio per riconoscimento di infermità), ha sottolineato l erroneità del perfetto parallelismo (operato in ricorso) tra l equo indennizzo di cui all art. 68 D.P.R. 3/1957 e la copertura assicurativa obbligatoria erogata dall INAIL per categorie di lavoratori espletanti attività particolarmente soggette ad infortunio ex art. 1 D.P.R. 1124/1965. I due istituti, ha precisato il giudice amministrativo, non sono tra loro assimilabili, non essendovi piena coincidenza né tra i soggetti assicurati né tra gli eventi protetti e, pertanto, ha rigettato l eccezione sollevata dal ricorrente, diretta a contestare la disparità di trattamento rispetto al diverso e ben più favorevole regime riconosciuto ai lavoratori assicurati presso l INAIL. La non estensione della disciplina di cui al D.P.R. 1124/1965 ai magistrati non si presta ad alcuna censura di incostituzionalità, perché come evidenziato anche dalla Corte di cassazione nella pronuncia sopra riportata - l individuazione degli elementi relativi all esposizione a rischio è discrezionale e le relative valutazioni sono rimesse al legislatore e sono insindacabili. D altronde per gli infortuni sul lavoro esclusi dall ambito specifico di protezione possono soccorrere altre forme di tutela, quali le assicurazioni contro la malattia e l invalidità, fermo restando il diritto al risarcimento del danno secondo il regime comune della responsabilità civile.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte si ritiene, pertanto, che ai magistrati non sia applicabile la disciplina dettata dal D.P.R. 1124/1965 bensì quella di cui al D.P.R. 3/1957 e, in particolare, degli artt. 66 e 68. Tali norme disciplinano le situazioni di astensione del pubblico dipendente per infermità, la cui nozione comprende tanto l infortunio quanto la malattia. Il primo comma dell art. 66 D.P.R. 3/1957 prevede l aspettativa per infermità, mentre il secondo comma riconosce all impiegato la facoltà di usufruire, prima dell aspettativa ed anche a prescindere da essa, di congedi straordinari per la medesima causa. L aspettativa, ai sensi dell art. 68 D.P.R. 3/1957, viene concessa di ufficio o su domanda, per un periodo che non può essere superiore a diciotto mesi. Vanno, inoltre, menzionati, perché dettati proprio per i magistrati, l art. 3 R.D. Lgs., secondo cui il magistrato può essere collocato in aspettativa per infermità fino al termine massimo consentito dalla legge, e l art. 203 O.G., che prevede, dopo due mesi di aspettativa, il collocamento fuori ruolo del magistrato. Il citato art. 68 dispone, altresì, che l aspettativa è disposta quando sia accertata, in base al giudizio di un medico scelto dall amministrazione, l esistenza di una malattia che impedisca temporaneamente la regolare prestazione del servizio. L art. 32 D.P.R. 686/1957 prevede, a sua volta, che l autorità competente ad emettere il provvedimento di collocamento in aspettativa dispone che l impiegato sia sottoposto a visita di controllo ; a tal fine, l art. 30 del medesimo D.P.R. precisa che l interessato nella domanda di aspettativa oltre ad allegare un certificato medico, deve indicare il luogo in cui dimorerà nel periodo ed ha l obbligo di comunicare ogni successiva variazione. L art. 68, III comma, D.P.R. 3/1957 fa salva poi la facoltà dell amministrazione di procedere, in ogni momento durante l aspettativa, agli accertamenti sanitari che riterrà opportuni. La lettura delle riportate disposizioni induce a ritenere necessario, ai fini dell emanazione del provvedimento che concede l aspettativa per infermità, l accertamento medico sulla malattia denunciata, da considerarsi, quindi, necessario passaggio istruttorio. Il provvedimento di aspettativa è adottato con decreto ministeriale su conforme deliberazione del Consiglio superiore della magistratura (ai sensi degli artt. 3 R.D.Lgs. 511/1946, 10 e 17 L. 195/1958, 55 D.P.R. 916/1958), benché la competenza a disporre la visita fiscale appartenga ai dirigenti degli uffici, in ragione sia del potere di vigilanza loro spettante sull andamento e sul rendimento dell ufficio, sia della loro appartenenza, con riferimento a tali funzioni, alla struttura preposta all amministrazione della giurisdizione, al cui vertice è collocato il Consiglio superiore della magistratura, secondo quanto precisato in merito dalla circolare consiliare n. 1425 del 25 gennaio 1997. In merito si richiama, altresì, la pur non recente circolare n. 3183 dell aprile 1980, che raccomandava ai capi degli uffici di promuovere tempestivamente, in caso di assenza del magistrato dall ufficio, i prescritti controlli medici, così riconoscendo espressamente il loro potere-dovere di provvedere in merito. Per quanto concerne il congedo straordinario per infermità, esso, ai sensi degli artt. 37 D.P.R. 3/1957 e 19 D.P.R. 686/1957, non può superare nel corso dell anno la durata di quarantacinque giorni ed il periodo del primo congedo di regola, nell anno, un mese. Dall art. 66 D.P.R. 3/1957 si desume che il congedo straordinario è, di regola, preceduto dall istanza dell interessato, anche se l art. 30, III comma, D.P.R. 686/1957, prevede che, in mancanza di specificazioni tra aspettativa o congedo, per le assenze di breve durata l amministrazione possa disporre autonomamente il congedo. Con la circolare n. 19641 del 14 novembre 1994 e ss. mod., il Consiglio superiore ha precisato che il potere di disporre il congedo straordinario per malattia spetta ai Presidenti di Corte di Appello, per i magistrati giudicanti, ed ai Procuratori generali, per i magistrati requirenti, i quali hanno, poi, il compito di comunicare i relativi provvedimenti al Consiglio superiore. Nella disciplina dettata in tema di congedo straordinario non si ritrova, contrariamente a quanto previsto in tema di aspettativa, alcuna disposizione relativa all obbligatorietà della visita medica diretta ad accertare l effettiva esistenza della malattia denunciata dal dipendente; pertanto

esso può essere concesso anche in assenza dell accertamento sanitario disposto di ufficio, salvo l obbligo del dipendente di produrre certificato medico. L evidenziata diversità di disciplina trova ragione giustificatrice nella differenza sostanziale tra i due istituti, aspettativa e congedo straordinario. Invero, come già sottolineato dall organo di autogoverno nella richiamata delibera del 19 marzo 2003, l aspettativa determina una sorta di interruzione del rapporto di lavoro, suscettibile di importanti effetti sulla stessa collocazione in ruolo del magistrato, mentre il congedo straordinario soltanto una sospensione momentanea dell attività lavorativa. Tale distinzione trova manifestazione proprio con riferimento all accertamento medico dell infermità, che nel procedimento per la concessione dell aspettativa riveste carattere di fatto costitutivo mentre, ai fini del congedo straordinario, assume valore assorbente la funzione di controllo in ordine all effettiva sussistenza della malattia denunziata dall interessato. Ciò non toglie, ovviamente, che anche in caso di congedo straordinario, la visita di controllo possa essere ugualmente disposta nell ambito di esercizio del poter-dovere di vigilanza da parte del Capo dell ufficio. Come ribadito già dal Consiglio superiore nella richiamata delibera ogni determinazione al riguardo sembra peraltro debba essere rimessa al potere organizzatorio del capo dell ufficio, il quale nell ambito delle sue attribuzioni in materia, potrà emanare criteri generali volti a disporre la visita fiscale fin dal primo giorno di assenza ovvero a partire da una certa data, e tanto in linea con la circolare consiliare n. 3182 del 1980, che raccomanda ai Capi degli uffici di promuovere con tutta urgenza i prescritti controlli. Pertanto, non appare possibile affermare che in caso di infortunio sul lavoro sia applicabile in via esclusiva la disciplina dettata in tema di aspettativa ovvero in tema di congedo straordinario, essendo in realtà possibile far ricorso ad entrambe, ferme restando le diversità sul piano ontologico e funzionale. Tutto ciò premesso il Consiglio delibera di rispondere, sulla base di quanto sopra argomentato, che, allo stato della normativa e dell evoluzione giurisprudenziale, ai magistrati in caso di infortunio sul lavoro non sia applicabile il D.P.R. 1124/1965 ma debba, invece, farsi riferimento al D.P.R. 3/1957 e, specificatamente, alle disposizioni degli artt. 66 e 68. In tale ipotesi è possibile applicare la disciplina dettata in tema sia di aspettativa per motivi di salute sia di congedo straordinario.