PROVINCIA DI BELLUNO Regione del Veneto. Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale A.2 RELAZIONE DI PROGETTO

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Regione del Veneto Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale RELAZIONE DI PROGETTO A.2 Approvato con D.G.R.V. n. 1136 del 23/03/2010

PRESIDENTE DELLA PROVINCIA Gianpaolo Bottacin ASSESSORE ALL'URBANISTICA Bruno Zanolla SEGRETARIO GENERALE Daniela Giacomin RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO Paolo Centelleghe UFFICIO DEL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE Paola Agostini Luigi Baldovin Fabiola Büchi Michele Cagliani Antonella Galantin Anna Za

INDICE I PARTE PRIMA: IL PROGETTO DI PIANO 9 I.1 PRINCIPI E OBIETTIVI GENERALI: LA PROVINCIA E I SUOI ORIZZONTI (DAL DP/PS AL PTCP) 11 I.1.1 La conoscenza nel progetto del territorio 11 La Provincia di Belluno, frontiera veneta nell arco alpino 12 La Provincia come insieme di territori 14 Il quadro di riferimento ambientale 19 Il quadro socio economico 29 Lo scenario programmatico 33 I.1.2 Gli obiettivi per il territorio 36 Ambiente 36 Paesaggio 49 Sistema urbano 49 Mobilità e reti 51 Competitività e sistema produttivo 52 Governance territoriale 53 I.2 OBIETTIVI SPECIFICI PER OGNI SISTEMA 56 I.2.1 Ambiente fisico e fragilità 56 Fragilità del territorio bellunese 56 Aree di frana 57 Aree esondabili e soggette a ristagno idrico 57 Aree soggette a valanghe 58 Corsi d acqua in erosione 59 Aree soggette a caduta massi 59 Aree di conoide e fenomeni di debris-flow 60 Aree soggette a sprofondamento carsico 61 Rischio sismico 62 Siti contaminati e aree industriali dismesse 62 Attività estrattive 63 Cave di detrito 65 Cave di marne, gessi per cemento e calcare per calce 65 Cave di argilla per laterizi 66 Cave di pietra da taglio 66 Indirizzi comuni per la classificazione dei terreni ai fini dell utilizzazione urbanistici 66 I.2.2 Ambiente naturale 68 Le risorse naturali 68 Le foreste 69 L energia dalle foreste 71 I sistemi erbacei 72 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 3

La biodiversità e le reti ecologiche 74 La struttura della rete ecologica provinciale 77 Strumenti per la gestione e programmazione della rete ecologica 81 Il bene acqua 82 Il Progetto Strategico del fiume Piave 84 I.2.3 Ambiente storico-culturale 87 Il sistema insediativo storico 87 La tutela e valorizzazione dei beni architettonici e ambientali 90 I valori della cultura materiale 95 I.2.4 Paesaggio 100 La configurazione dei paesaggi 100 Aree d'alta quota: il paesaggio dei grandi spazi 102 Il paesaggio agrario 104 Il paesaggio urbano e l'urbano nel paesaggio 106 Le vedute di pregio 109 I paesaggi dell'acqua 110 I geositi e la valorizzazione delle singolarità geologiche nel paesaggio bellunese 112 I paesaggi degradati 114 I.2.5 Struttura insediativa 116 I caratteri dell abitare 116 Il sistema urbano 124 I.2.6 Sistema produttivo 128 Analisi dei sistemi 128 Il settore primario 141 Montagna e spazio rurale 141 Il settore agricolo 142 Il settore del legno 144 Le produzioni agro-zootecniche principali 145 Il settore ortofrutticolo 145 Alcuni indirizzi e direttive di sviluppo suggeriti dal PTCP per lo spazio rurale 147 Artigianato e industria 151 Connessioni tra Piano Strategico Provinciale e Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale per quanto riguarda il settore produttivo 151 Il sistema della produzione artigianale e industriale 152 I poli di competitività 154 Indicazioni di azione per i poli produttivi 156 Il terziario 158 Tendenze e struttura del settore terziario 158 I servizi alle imprese 164 4 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

I servizi alla popolazione 169 Il commercio 179 Il turismo 180 I.2.7 Sistema relazionale 207 Pianificazione di infrastrutture in ambiente montano 207 Le infrastrutture di trasporto 207 Il disegno della rete pluri-modale delle infrastrutture di trasporto 209 La rete stradale 209 La rete ferroviaria 210 L assetto complessivo 211 Caratteristiche dei principali interventi sulla rete stradale e ferroviaria 215 Rete dei percorsi ciclabili in provincia di Belluno 219 Strategie di intervento 219 Lo sviluppo della rete ciclabile provinciale 220 Azioni sul territorio 220 Pianificazione del Trasporto Pubblico Locale 222 Sintesi dei risultati dello studio trasportistico 222 Le previsioni di sviluppo 226 Appendice A), un caso di studio: la Merano-Malles 232 Reti di comunicazione 233 Progetto banda larga 233 I.2.8 La risorsa energia 235 Il ruolo delle province nel settore dell energia 235 Le fonti rinnovabili nelle scelte energetiche 236 Il solare fotovoltaico: indicazioni e politiche di sviluppo 236 Il solare termico 237 Le biomasse 239 L eolico 241 L idroelettrico 241 La Geotermia 242 Il risparmio energetico in edilizia 244 II PARTE SECONDA: LE VALUTAZIONI AMBIENTALI 247 II.1. IL RAPPORTO AMBIENTALE (VAS) 249 Il quadro normativo 249 Il procedimento di valutazione ambientale 249 La Relazione Ambientale 250 Le principali criticità del territorio 251 Evoluzione del clima 251 L aumento delle temperature 252 La diminuzione delle precipitazioni 252 Il cumulo di neve fresca 253 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 5

Evoluzione dei cambiamenti climatici 253 Effetti dei cambiamenti climatici 253 La gestione del bene acqua 255 Sintesi dei punti di forza e di debolezza del territorio 255 La valutazione degli scenari del piano 256 II.2 LA VALUTAZIONE D INCIDENZA AMBIENTALE (VIncA) 257 Riferimenti normativi 257 Metodo 257 Quadro generale della rete Natura 2000 in provincia di Belluno 258 Le possibili interferenze 258 Sintesi delle emergenze e ruolo del PTCP 260 Conclusioni 261 III PARTE TERZA: SUPPORTI CONOSCITIVI, ALLEGATI E NOTE 263 IV III.1 IL QUADRO CONOSCITIVO 265 Matrice informazione territoriale di base 266 Matrice aria 267 Matrice clima 268 Matrice acqua 269 Matrice suolo e sottosuolo 270 Matrice biodiversità 271 Matrice patrimonio culturale, ambientale, architettonico 272 Matrice inquinanti fisici 273 Matrice economia e società 274 Matrice pianificazione e vincoli 277 III.2 IMPLEMENTAZIONE DEL PIANO 278 III.2.1 Monitoraggio del PTCP e aggiornamento / integrazione delle banche dati del QC 278 Progetto di indagine e monitoraggio statistico e socioecomonico del territorio 278 Metodologie e modalità di raccolta e aggiornamento dei dati 278 Progetti di indagini da svolgersi in campo economicoproduttivo 290 PARTE QUARTA: LA COSTRUZIONE DEL PIANO ATTRAVERSO LE ATTIVITÀ DI COPIANIFICAZIONE E PARTECIPAZIONE 293 IV.1 COERENZA DEL PTCP CON GLI ALTRI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE E PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE IN ESSERE ED IN ITINERE 295 IV.1.1 L attività di copianificazione 295 6 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

Copianificazione verso l'alto con il Piano Territoriale di Coordinamento Regionale (PTRC) 295 La fertilizzazione incrociata 297 La Montagna 297 Il paesaggio 298 Il progetto di territorio 298 I nuovi strumenti verso il progetto di territorio 298 Implementazione del PTRC da parte del PTCP attraverso i progetti territoriali 299 Temi e contenuti del redigendo PTRC 299 La copianificazione verso il basso con i Piani di Assetto del Territorio (PAT) e Intercomunali (PATI) 301 IV.2 IL PROCESSO DI PARTECIPAZIONE PER LA FORMAZIONE DEL PTCP E LA VAS 305 ALLEGATI 307 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 7

I PARTE PRIMA: IL PROGETTO DI PIANO Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 9

10 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

I.1 PRINCIPI E OBIETTIVI GENERALI: LA PROVINCIA E I SUOI ORIZZONTI (DAL DP/PS AL PTCP) I.1.1 La conoscenza nel progetto del territorio La diagnostica territoriale negli ultimi anni, ha assunto un ruolo ancora più importante di quanto non lo avesse in passato, soprattutto in relazione alla gestione dei dati conoscitivi in situazioni di eventuali calamità naturali, di formazione di politiche ambientali, di uniformità ed omogeneità dei sistemi di conoscenza, della garanzia del diritto di accesso del pubblico alle informazioni ambientali, della partecipazione del pubblico alle decisioni di carattere ambientale e territoriale. La Regione Veneto con la Legge urbanistica regionale n. 11/2004 e negli Atti di indirizzo, ha normato contenuti e forme del cosiddetto quadro conoscitivo (QC) da porre alla base del piano, intendendolo come momento riassuntivo delle conoscenze sparse a disposizione dei diversi operatori, come sistema di certezze (motivazioni) delle scelte di piano e, infine, come momento parallelo alla formulazione delle proposte, integrando in tal senso il momento conoscitivo a quello progettuale delle scelte di piano, nel processo formativo dello strumento. La conoscenza del territorio, alias quadro conoscitivo, opportunamente integrata con i dati sullo stato dell ambiente, dinamicamente inteso in tutte le sue componenti, costituirà ciò che nella procedura VAS si definisce lo stato dell ambiente, rispetto al quale individuare e stimare l impatto del piano, sia in relazione alla sua struttura generale che alle sue proposte puntuali. La diagnostica territoriale, oltre a rispondere a quanto stabilito dalla legge regionale veneta, seguendo un approccio metaprogettuale, integra al quadro conoscitivo una lettura critica ed empirica del territorio, relativa alla specificità dei luoghi e necessaria ad argomentare le scelte del piano. In tal senso il PTCP dovrebbe restituire: una visione multiscalare del territorio che, accompagnando il piano nel suo divenire (quindi non cristallizzata e immobile), si proponga come un gioco di cannocchiale capace di restituire l unità del territorio provinciale e le specificità delle sue parti anche rispetto ad un ambito più ampio dei confini amministrativi; una visione multisettoriale che sappia restituire la complessità dei temi da tenere come sfondo alle scelte di piano e, al contempo, il modello di sviluppo del territorio delineato con il Piano Strategico; una visione plurale che contenga gli sguardi degli attori coinvolti nel processo e degli osservatori esterni ad esso, in grado di coniugare gli sguardi del sapere tecnico e scientifico, della comunità bellunese e del mondo esterno alla Provincia. La conoscenza comune ed accettata è anche fondamentale per facilitare la formazione dei PAT e dei PATI e la loro approvazione. A questa il PTCP fa ricorso per incentivare la copianificazione tra Comuni e Provincia. Ma è anche fondamentale per il funzionale svolgimento dei processi di valutazione di piani ed opere e prescinde dalla successiva presa delle decisioni. Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 11

La Provincia di Belluno, frontiera veneta nell arco alpino La Provincia di Belluno, vista in un contesto più ampio, può essere letta come la parte del Veneto totalmente incernierata nell arco alpino. Questa posizione di area-frontiera veneta nelle Alpi, dà alla provincia una duplice appartenenza in cui ritrovare elementi di forte potenzialità e di spinte motivazionali nella risoluzione delle criticità presenti. Riconoscere la piena appartenenza all arco alpino vuol dire indirizzare lo sviluppo intorno alla problematica attuale del futuro delle Alpi. L esistenza in questo contesto, oltre a declinare in maniera specifica l essere montagna, evidenzia la co-evoluzione del territorio provinciale in un sistema che, seppur forte del suo ruolo di radice d Europa, vive oggi la necessità di ripensarsi e riequilibrare il suo sviluppo in termini di sostenibilità e durevolezza. La profonda trasformazione strutturale che ha investito l arco alpino con l industrializzazione e la terziarizzazione, ha avuto come conseguenza la nascita di due modi estremi di vivere ed intendere il territorio legati rispettivamente alla modernizzazione forzata e al rifiuto della stessa (W. Batzing, Le Alpi - una regione unica al centro dell Europa, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2005). ll primo individua nello spazio alpino un luogo complementare alle aree metropolitane relegandolo ad uno spazio ausiliario, connesso a funzioni ricreative o riserva delle risorse ambientali utili alla pianura: questo comporta una rimozione dei valori tradizionali attraverso un accettazione totale del mondo moderno. Il secondo tende a prefigurare economie locali chiuse e un complessivo comportamento di irrigidimento che mira a conservare i valori tradizionali museificandoli e pertanto allontanandoli dalla possibilità di evolversi. Tra queste due posizioni estreme, il dibattito in atto cerca di prefigurare per lo spazio alpino un doppio uso equilibrato. Le Alpi possono sviluppare uno sviluppo sostenibile solo non isolandosi dal resto dell Europa e non riducendosi a bacino di utenza delle singole metropoli ma prestando o tornando ad essere uno spazio abitativo ed economico relativamente autonomo e multifunzionale con proprie responsabilità. (tratto da W.Batzing Le Alpi una regione unica al centro dell Europa,ed. Bollati Boringhieri, Torino 2005). Questo rilancio si basa sulle nuove idee che vedono le Alpi come luogo di contatto, di scambio e di contaminazione, di importanza cruciale, come luogo di irriducibile rapporto tra uomo e natura, tra interessi e valori globali e locali, conservativi e innovativi, tradizionali e moderni (Roberto Gambino). Il raggiungimento di tali obiettivi per il territorio del bellunese, dovrà riequilibrare fenomeni estremi quali l abbandono delle terre alte a fronte della progressiva urbanizzazione delle valli, la rinuncia all uso capillare delle zone agricole a fronte di una monofunzionalità delle colture, la progressiva riduzione di forme produttive artigianali a fronte dello sviluppo di imprese ubiquitarie non integrate ai caratteri del territorio. Tali problematiche accomunano tutto l arco alpino declinandosi con modalità differenti in funzione delle diversità di peso e di immagine che l area montana assume nei diversi governi regionali. L appartenenza della Provincia di Belluno all arco alpino deve fare i conti con la visione veneta della montagna, ancora intesa come problema piuttosto che come risorsa per tutta la regione. Questo approccio è comune anche alle altre regioni in cui convivono ambiti geografici differenti (mare, montagna, collina, pianura) in cui le politiche pubbliche rivolte alla montagna sono quelle dirette alle aree marginali del territorio in una logica di sostegno 12 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

assistenziale e non di controprestazione. Al contrario in quegli ambiti in cui la caratteristica montana è pressoché totale, come il Trentino Alto Adige, il ruolo dato alla montagna è assolutamente centrale non tanto per l autonomia statutaria o per le risorse economiche a disposizione quanto per le politiche pubbliche interamente concentrate sulla sua abitabilità. Il PTCP si configura come occasione irripetibile, in ragione della copianificazione in atto con la Regione Veneto, per evidenziare tutte le potenzialità che il territorio alpino-bellunese può significare per l intero territorio regionale e non solo per sé stesso. Significativo a questo proposito è l intervento di Mario Rigoni Stern in apertura alla Relazione programmatica del Piano Terriotriale di Coordinamento Provinciale (PTRC) che afferma Questo territorio non più povero come cinquant anni fa, produce aria e acqua anche per voi Il nostro diritto di proprietà collettiva ha fin ora conservato questo capitale che non ha prezzo, dateci una mano a bene amministrarlo anche per voi. A tale proposito si evidenziano obiettivi comuni per l arco alpino, ai quali il piano fa riferimento: perseguire obiettivi integrati, non settoriali ma interrelati ed interagenti, dove l obiettivo della crescita economica non può essere distaccato dallo sviluppo sostenibile, natura ed ambiente devono essere visti come potenziali economici e non naturalistici; rimettere al centro il territorio e le sue risorse, rilanciare l agricoltura sia come nodo cardine della manutenzione del territorio che come sorgente di sviluppo economico e turistico nonché fattore di riproduzione ecologica e biodiversità; considerare l ambiente come un grande laboratorio di studi e ricerche sulle qualità ambientali ma anche sulle pratiche di ingegneria ambientale forestale, ecc.; trovare un equilibrio a doppia velocità tra modernizzazione e rifiuto della stessa: area integrata nell Europa ed al contempo non solo bacino d utenza delle metropoli; tornare ad essere uno spazio abitativo ed economico dotato di una propria responsabilità-autonomia; consolidare e valorizzare i rapporti con le altre regioni alpine creando sistemi di cooperazione ed integrazione. Questo significa un reciproco rafforzamento e un mantenimento delle singole autonomie, facendo lo sforzo di uscire dalla logica della frammentazione interna; avviare in particolare con le regioni e province contermini adeguate politiche di dialogo e confronto per la formazione dei piani urbanistici; concretizzare le stretegie comuni in progetti interprovinciali e/o interregionali; misurare l equilibrio tra risorse e attività endogene ed esogene, ed ubiquitarie in grado di poter convivere in equilibrio sviluppando proficui rapporti tra operatori e territorio; valorizzare le differenze e le diverse identità secondo principi e modalità che sappiano coniugare tradizione e innovazione; promuovere attività produttive e innovative ad alta componente tecnologica che non impattino sull ambiente e che attraggano competenze nuove sul territorio provinciale. Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 13

Per il raggiungimento dei suddetti obbiettivi si ritiene opportuno riprendere in considerazione a livello di politiche pubbliche l attuazione della Convenzione delle Alpi, qui già trattata, come documento base per le scelte e le strategie istituzionali di sviluppo e salvaguardia, e non soltanto come riferimento per le politiche di settore. La Provincia come insieme di territori Il quadro interpretativo della situazione socio economica della provincia è complesso per una caratteristica da cui discendono tutte le altre: la variabilità delle situazioni territoriali. Questo è un fatto comune in tutti i territori alpini, ma nel bellunese si condensa in spazi brevi e le situazioni mutano a volte in modo fluido a volte in modo brusco e rapido. Se c è un carattere unitario della provincia è questo: non è un territorio omogeneo. Le diverse situazioni non permettono di estrarre dai diversi territori elementi comuni perché i disagi delle alte quote si registrano anche in Valbelluna e nel basso Feltrino e le dinamiche tipiche dell inurbamento le ritroviamo anche a Cortina d Ampezzo, a Valle di Cadore, Agordo e a Pieve di Cadore. Già la carta geologica evidenzia l intensa attività di rimescolamento dei suoli e dei sottosuoli, con la presenza di fratture e faglie, di stratificazioni e sovrapposizioni, di intrusioni e trasformazioni che ne cambiano struttura fisica e chimica, esposizioni, fertilità e inclinazioni, che si susseguono con elevata variabilità e densità di eventi generatori tutt ora all opera. Il mutamento geo-morfologico, in questo campo già variabile, ha agito in modo imprevedibile e capriccioso, pur seguendo regole precise e deducibili dalla lettura del territorio. Vari agenti sono intervenuti, in primo luogo le acque, di laguna, di fusione sub-glaciale, sotterranee, meteoriche, dei rii, dei torrenti, dei fiumi in un continuo lavoro di evorsione, erosione, alluvione, avulsione e deposito. La straordinaria complessità della rete idrografica attuale è l esito di questo secolare lavorio ininterrotto delle acque che si sono orientate nel loro precipitare o scorrere a valle in ogni direzione geografica creando il disegno irregolare e privo di continuità escludendo la Valbelluna. In secondo luogo intervengono le quote, in particolare per gli effetti delle temperature che producono disgregazione delle rocce, soliflusso dei suoli e condizionano il soprassuolo vegetale. Le quote producono una variazione delle pendenze che rende instabili i versanti, soprattutto a sud-ovest dove l escursione termica è più consistente e questo produce distacchi di rocce, frane, smottamenti e sprofondamenti. Lo stesso tipo di effetto vale per le slavine e le valanghe invernali. È conseguenza di questo la variabilità della fertilità dei suoli e la loro maggiore o minore idoneità alle attività agricole e, più genericamente, la copertura vegetale del territorio provinciale che ne influenza clima e vivibilità. La copertura dei boschi alle medie quote è infatti un tratto caratteristico e dominante del territorio provinciale che tende a progredire ed estendersi spontaneamente in assenza di coltura dei terreni a margine dei boschi esistenti ma anche in aree adatte lontane da altri boschi. Considerando che la superficie agricola utilizzata è diminuita, dal 1961 al 2001 del 60%, e in essa i seminativi si sono ridotti del 75%, mentre gli attivi in agricoltura sono diminuiti del 97% (con conseguente calo del 92% delle imprese agricole attive) non stupisce che il bosco nello stesso periodo si sia esteso di circa il 15%. Per rendersi conto della realtà territoriale bellunese conviene vedere come si distribuiscono i territori per quota. 14 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

Le carte delle quote rendono evidente sia la complicata articolazione dei territori sia il loro diverso grado di omogeneità, che esalta l unità delle basse quote e disarticola quella delle alte quote. Queste di fatto sono difficilmente considerabili sistemi di riferimento e per ogni tipo di attività umana che le utilizza hanno bisogno di un centro di erogazione di servizi (prima di tutto per la mobilità delle persone e delle merci) posto a fondovalle. Lo schema organizzativo gerarchico per gran parte della provincia è il seguente, articolato per valli principali disegnate dal corso dei torrenti principali affluenti del Piave: Asse di comunicazione Asse di comunicazione Nucleo o centro in quota o di testata Nucleo o centro di sbocco Asse di comunicazione i i l Centro capoluogo di fondovalle La rilevanza della mobilità ha ridisegnato le gerarchie e i ruoli svincolando, per una gran parte delle comunità, lo sviluppo economico e sociale dal rapporto stretto con la montagna, intesa come risorsa da cui trarre i beni da trasformare. Gli unici legami rimasti con la risorsa montagna sono quelli relativi allo sfruttamento delle pendenze e dei paesaggi a fini turistici, l utilizzo intenso delle acque, e le rimanenti attività agricole specificatamente silvicolturali e di una parte (minoritaria) degli allevamenti. In questo processo hanno tratto vantaggio gli insediamenti di fondovalle con un migliore rapporto con le reti di comunicazione e in grado di fornire servizi agli altri posti più in alto o in posizione meno adatta. Ne sono esempi evidenti Agordo, Cencenighe Agordino, Caprile, Pieve di Cadore, Santo Stefano di Cadore, Fonzaso, Trichiana, Longarone. In questo panorama così mutevole si formano situazioni microclimatiche dall equilibrio instabile, che dipendono dall agire contemporaneo di diversi fattori ai quali, nel corso del tempo, s è aggiunto l agire dell uomo. Diversamente da quel che si crede comunemente la colonizzazione del territorio alpino è avvenuta prevalentemente dall alto. Le prime tracce sono riconducibili a 40 mila anni fa e gli insediamenti stabili sono databili circa alla fine del quarto millennio a.c. Le Alpi attraggono prima per la caccia, per l estrazione delle selci e per la sicurezza, poi diventano terreno di allevamento stagionale, poi si stabilizzano le residenze a media quota con l utilizzo stagionale dei pascoli più alti, erodendo i boschi dall alto e conquistando pascoli scendendo man mano di quota. In questo processo si definirono i primi siti atti all utilizzo agricolo e i primi insediamenti stabili, quasi sempre esposti a sud, in posizioni alte e dominanti il territorio trasformato, al sicuro da alluvioni e slavine. Di essi si ritrova traccia ancora evidente nell individuare i nuclei originari di insediamento, sempre a mezza costa rispetto al Piave in Cadore, al Boite nella Valle omonima, escludendo Cortina d Ampezzo, molto più in alto in tutto il Comelico, (vedi Costa, Costalta, Danta di Cadore, Dosoledo, ecc), Voltago Agordino, La Valle Agordina nella conca agordina, Rocca Pietore, Colle Santa Lucia, Livinallongo del Col di Lana in alto agordino. Anche in Valbelluna è ben visibile il disegno colonizzatore in tutta la pedemontana a destra e sinistra Piave. Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 15

L utilizzo dei fondovalle appartiene già all epoca storica ed alcuni paesi posti in queste pericolose posizioni sono di fondazione più recente (come Arabba, Cencenighe Agordino, Santo Stefano di Cadore, ecc) frutto di due cause che sono lo sfruttamento delle acque per la fluitazione del legname, per scopi minerari, per la produzione di energia e per tanti altri motivi. La costruzione di una gerarchia territoriale basata su agricoltura e allevamento stabili risale a poco prima della presenza romana in provincia. In questa fase di organizzazione territoriale i nuclei e i centri a fondovalle diventano funzionali al rimanente territorio e sono al servizio delle comunità residenti in quota che guardano verso l alto per l esercizio delle proprie attività economiche prevalenti che sono il pascolo, la coltivazione del bosco, la produzione di carbone, l estrazione mineraria e di cava e l agricoltura di montagna. Questo modello giunge alla sua massima espansione intorno al 1850 e poi inizia una rovinosa decadenza evitata solo dove ci fu l opportunità di insediamenti industriali o turistici. Gli elementi che determinarono la decadenza furono molti e ne citiamo solo alcuni: la rivoluzione del traffico con la motorizzazione e la crescita della mobilità; la crescita dei rendimenti agricoli di pianura, determinata dalla meccanizzazione agricola, che produssero una concorrenza insostenibile alle merci alpine; le difficoltà nella commercializzazione dei prodotti alpini che sono sempre quantitativamente modesti e non sono in grado di competere sui mercati nazionali e internazionali; la parcellizzazione delle proprietà fondiarie che riduce i terreni in proprietà e ne rende impossibile la coltivazione razionale ed efficiente; l uso militare del territorio alpino, (in provincia di Belluno particolarmente pesante); l emigrazione stagionale e definitiva di circa un quinto dei residenti. È evidente che l evoluzione del territorio provinciale è avvenuta favorendo alcuni territori e sfavorendone altri. Di conseguenza le dinamiche evolutive hanno prodotto una lacerazione delle comunità locali e incrementato la fragilità dei vincoli nella comunità vasta provinciale, vincoli che, ad onor del vero, erano deboli anche prima della rivoluzione introdotta dalla post modernità. Va sottolineato che i mutamenti nel territorio provinciale si sono manifestati con una rapidità molto superiore di quella che ha caratterizzato il territorio veneto e hanno prodotto effetti più radicali e profondi. I due effetti positivi più evidenti sono stati: l affermazione di un economia turistica vitale e, pur con tutti i limiti conosciuti, capace di produrre valore aggiunto in quantità sufficiente ad ancorare la popolazione residente nei comuni a quote elevate; la costruzione di imprese manifatturiere di medie e piccole dimensioni ad elevata produttività e flessibili, capaci di reggere la concorrenza interna e internazionale con la produzione di merci ad elevatissimo valore aggiunto. Oggi le attività produttive su cui si regge l economia provinciale guardano verso il basso perché è lì che si trovano le merci che qui si trasformano e i clienti cui venderle, e sempre lì si trovano i fruitori dei prodotti turistici bellunesi. Quella che era una provincia autarchica nelle produzioni, fino al 1950, è divenuta un elemento di una rete internazionale di rapporti economici 16 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

che per la gran parte non sono sotto il controllo dei residenti. Gli effetti di questo mutamento sono visibili e sono: l aumento della ricchezza sia in relazione al reddito sia al patrimonio che si concentra nei luoghi di produzione del valore aggiunto manifatturiero e turistico; il raggiungimento della piena occupazione maschile e femminile; l aumento della mobilità delle persone, delle imprese e delle merci sia essa giornaliera, sia definitiva; l emarginazione progressiva dei luoghi inadatti alle nuove forme di produzione del valore; il venir meno di risorse umane attive in ambiti diversi dalle manifatture e dal turismo; esse mancano soprattutto nell ambito dei servizi commerciali e alla persona; la crescita dei flussi immigratori che sopperiscono a questa cronica e non risolvibile carenza di risorse umane locali; aumento delle rendite immobiliari e crescita rapida dei prezzi dei beni immobili in ambiti produttivi. Gli effetti non sono stati tutti positivi e le più importanti conseguenze negative sono state: il formidabile ridimensionamento delle attività agricole, solo parzialmente compensate da più efficienti metodi colturali; l indebolimento della stabilità demografica con conseguente calo degli attivi che determina la perdita di almeno 15 mila immigrati entro il 2020; l abbandono di molte residenze in quota con cali della popolazione molto marcati e che per i prossimi vent anni non potranno avere inversioni di tendenza endogene; la crescita della pressione antropica in territori di fondovalle che hanno determinato insediamenti in aree pericolose ed instabili e la crescita delle rendite immobiliari che tendono ad espellere i residenti a basso reddito dai centri più dotati di servizi; l abbandono di un cospicuo patrimonio immobiliare nelle aree periferiche che soffre di assenza di manutenzione e conseguente perdita di valore; lapresenza di un eccessivo numero di abitazioni non occupate di proprietà di non residenti oggetto di mercati speculativi con dinamiche inverse a quelle necessarie per una corretta fruizione dei territori montani; la crescita di flussi immigratori che si sono concentrati in enclave a ridosso dei centri di produzione del valore in assenza di politiche di accoglienza ed integrazione efficienti. Il risultato di questa evoluzione passata e recente è che la provincia è formata da un insieme di territori distinti con scarse relazioni funzionali e sistemiche reciproche. I territori più marginali e auto referenziali sono: Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 17

l ovest Feltrino (Arsiè, Lamon, Sovramonte e Seren del Grappa) con il proprio centro a Fonzaso con strutture produttive di valore inadeguate, insufficienti e concentrate; il basso Feltrino (Alano di Piave, Quero e Vas) con tendenze centrifughe verso Valdobbiadene e Montebelluna; il Comelico (Comelico Superiore, Danta di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolò di Comelico) con il proprio centro a Santo Stefano di Cadore. Con dinamiche diverse ma con caratteri di marginalità associamo a questo ambito anche Vigo di Cadore e Lorenzago di Cadore che però gravitano anche su Pieve di Cadore; l alto Agordino (Livinallongo del Col di Lana, Colle Santa Lucia, Selva di Cadore, Rocca Pietore, Alleghe) con un mix di situazioni tra i due modelli con prevalenza di centri di produzione del valore turistico senza un vero centro e con spinte centripete orientate su Caprile, Alleghe e Cencenighe Agordino; la val del Biois (Falcade, Canale d Agordo, San Tomaso Agordino, Vallada Agordina) con prevalenza di centri di produzione del valore turistico e il proprio centro a Cencenighe Agordino; i comuni marginali della conca agordina (Gosaldo, Rivamonte Agordino e, in parte Voltago Agordino) con centro in Agordo; i comuni di Cibiana di Cadore, Perarolo di Cadore, Ospitale di Cadore, Castellavazzo con centri di attrazione a Pieve di Cadore e Longarone. Sono centri di produzione del valore strutturati e forniti di servizi in parte adeguati ma tendenti alla autosufficienza entro il sistema provinciale: la Valle del Boite (Cortina d Ampezzo, Borca di Cadore, San Vito di Cadore, Vodo di Cadore) con prevalenza di centri di produzione del valore turistico e con centro a Cortina d Ampezzo; Sappada. Sono centri di produzione del valore che tendono alla costruzione di un sistema complesso e interagente con spinte alla integrazione di funzioni: il centro Cadore (Lozzo di Cadore, Domegge di Cadore, Calalzo di Cadore, Pieve di Cadore, Valle di Cadore) con centro a Pieve di Cadore con la presenza di un settore manifatturiero del distretto dell occhiale e della meccanica; la Valbelluna nord est (Longarone, Soverzene, Ponte nelle Alpi, Pieve d Alpago, Belluno, Limana, Sedico, Sospirolo, Limana, in parte Trichiana) con centro di attrazione a Belluno e una struttura produttiva manifatturiera, commerciale e terziaria; la Valbelluna ovest o centro Feltrino (Mel, Lentiai, Cesiomaggiore, San Gregorio nelle Alpi, Santa Giustina, Feltre e Pedavena) con centro a Feltre con una struttura produttiva manifatturiera e attività agricole diffuse; lo Zoldano (Forno di Zoldo, Zoppè di Cadore, Zoldo Alto) con dinamiche atipiche che coniugano centri di produzione del valore turistico e un precario mix di attività diverse; l Alpago (una parte di Pieve d Alpago, Chies d Alpago, Puos d Alpago d Alpago, Tambre, Farra d Alpago) con prevalenza di una struttura 18 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

manifatturiera diversificata, attività turistiche limitate e agricoltura marginale. Si comprende facilmente come le dinamiche evolutive tendano a lacerare le relazioni tra le comunità provinciali che sono sottoposte a tensioni nelle relazioni reciproche ed interne rispetto alle quali, molte, non hanno attualmente le risorse economiche e soprattutto sociali ed umane adeguate per affrontarle con successo. La provincia appare, ad attenta lettura, con un tessuto connettivo abbastanza solido al proprio centro lungo l asse che va da Fonzaso a Lozzo di Cadore comprendendo anche Pieve di Cadore e parte di Puos d Alpago ed Agordo, Taibon Agordino, Cencenighe Agordino, con un addensamento di legami tra Longarone e Feltre. Questo asse manifesta notevoli difficoltà di governo delle proprie periferie ( spalmate e diffuse in piccoli nuclei e case sparse) soprattutto se poste a quote elevate e in posizioni marginali. Una consistete parte del territorio, alla testata delle valli laterali, se dotato di strutture e servizi turistici mantiene una sufficiente vitalità ed è capace di produrre un adeguato valore aggiunto anche se la tendenza attuale è quella dell indebolimento del controllo dei residenti sui processi evolutivi. Anche in questo caso le relazioni con le proprie periferie sono complicate e difficili per oggettivi contrasti d interesse locale. Il resto della provincia nelle sue aree marginali (ad esempio Cibiana di Cadore, Zoppè di Cadore, Gosaldo, San Nicolò di Comelico Comelico), nelle aree connettive (Danta di Cadore, Cibiana di Cadore, Zoppè di Cadore, Selva di Cadore, Vallada Agordina, San Tomaso Agordino), soffre e sopporta il peso di un modello evolutivo che le esclude, ne riduce l attrattività, ne mina la stabilità demografica, sociale ed economica e le riduce ad aree di residenza di percettori di rendite e di turismo marginale poco produttivo. In tutti i territori, pur avendo dinamiche diverse e spesso opposte, il deficit più rilevante delle comunità residenti è quello delle risorse umane disponibili. Dove c è la crescita forte (ad esempio Sedico, Trichiana, Santa Giustina), perché non sono sufficienti a sostenerla (e infatti induce immigrazione spinta e occupazione pulsante), dove non c è la crescita perché i residenti attivi e intraprendenti migrano. Un quadro complesso che gli strumenti urbanistici possono concorrere a modificare pur non essendone l elemento determinante, a condizione che le politiche e le norme urbanistiche siano condivise e vi sia l assunzione di responsabilità, dei deboli e dei forti, nel condividere i costi e i benefici delle azioni comuni. In assenza di questo patto i primi spariranno e i secondi erediteranno i costi e i problemi che le comunità in difficoltà non hanno potuto risolvere perché nessuno le ha volute ascoltare ed aiutare. Il peso di questi oneri e problemi irrisolti graverà in ogni caso su tutta la comunità provinciale anche se si dovessero modificare i confini amministrativi della provincia. Il quadro di riferimento ambientale Diversamente dalle altre province venete, quella di Belluno è interamente montana. Solo nella parte basale della Valbelluna il paesaggio è composto da ecosistemi tipici dei settori pedemontani e collinari delle regioni del nord-est. Altrove dominano gli aspetti alpini, che in questo settore orientale assumono i caratteri peculiari delle Dolomiti; ma il quadro paesaggistico è disegnato anche dal lavoro dell uomo e dalla tradizionale cura delle genti locali verso il proprio territorio, cui si deve l armoniosa distribuzione degli abitati nel mezzo dei sistemi colturali e la sorprendente varietà compositiva degli Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 19

ecosistemi in coltivazione, non per questo deturpati, ma anzi spesso ancor più pregevoli sotto il profilo scenico e paesaggistico. Quello dolomitico, ma anche quello prealpino, è un paesaggio unico al mondo, che offre scorci di struggente dolcezza, resi ancor più gradevoli dall intercalazione di pascoli e boschi con le rocce sovrastanti, ma anche dalla presenza degli abitati, che spesso sembrano sospesi nel tempo. Essi mai tolgono significato e misura alla apparente naturalità delle valli, ma anzi vi esaltano il senso di accorto equilibrio legato al secolare buon rapporto tra uomini e montagne. Su questi aspetti ha puntato la candidatura delle Dolomiti per l iscrizione in World Heritage List. Nel primo documento di candidatura, depositato alla sede parigina di UNESCO nel settembre 2005, si legge: «Le Dolomiti sono montagne particolari. Esse si presentano al visitatore con una apparente similitudine di aspetti dovuta alle forme, ai colori delle rocce e alla impressionante verticalità delle nude pareti. Ma a ben guardare, esse sono un sistema assolutamente variegato, in cui una incredibile varietà di ecosistemi è stata generata dalla eterogeneità di ambienti legata all orientamento delle valli, all altitudine dei versanti, ai microclimi e alla natura dei terreni, ma anche alla storia delle popolazioni e ai rapporti da esse organizzati con la natura viva, fatta di pascoli e di foreste». Inarrestabili, e interessanti sono oggi però, sotto il profilo ecosistemico, i cambiamenti prodotti dall abbandono colturale dei pascoli, e in parte anche dei boschi, e quelli connessi ai crolli di roccia sui macereti ai piedi delle cime dolomitiche. È un esempio poco considerato, pur se a tutti visibile, dell enorme varietà di assetti naturalistici di queste montagne, tra le più ricche di biodiversità del nostro territorio nazionale. Nella parti meridionali della provincia è molto elevato il numero di specie, ed esistono comunità vegetali endemiche ed esclusive di questi luoghi, in parte risparmiati dalle glaciazioni, che hanno conservato importanti reperti di origine terziaria. È stato calcolato che il patrimonio floristico vascolare dell area dolomitica include circa 2.400 specie. Alle quote più elevate, sopra i 1.500 m, il numero si riduce a circa 1.700, numero che comunque è assai elevato, indicativamente eguale a quello delle specie che popolano la totalità delle isole britanniche. Le Dolomiti, grazie alla loro eccezionale varietà di habitat, termofili nel settore meridionale e criofili in quello centrosettentrionale, si connotano anche per una altrettanto importante dote di emergenze faunistiche. Il valore di questo corredo d animali grandi e piccoli è stato misurato con un indice di ricchezza del popolamento, che giunge ad essere vicino a 10% dell intera fauna terrestre d Europa, il cui recente censimento comprende poco più di 130.000 specie. Le sole farfalle sono presenti, nel Bellunese, con un contingente di almeno 1.600 specie. I cambiamenti climatici, peraltro non uniformemente evidenti in tutti i sistemi montuosi di questa parte delle Alpi, i mutamenti d uso del suolo, e in particolare l abbandono dei pascoli, e della pastorizia, l innalzamento del limite del bosco e di quello delle nevi perenni, creano trend dinamici che acuiscono i fenomeni di tensione tra gli ecosistemi e originano fasce ecotonali in continua evoluzione, ampliando, se possibile, la già ampia varietà di tessere del paesaggio vivente delle valli bellunesi. È uno dei motivi per cui questa provincia è ampiamente interessata da provvedimenti tutelari: il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi è emblematico di questa azione volta alla protezione di un patrimonio di natura per molti aspetti unico al mondo. Al suo interno si contano, ad esempio, ben 55 unità 20 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

tipologiche forestali, più del 50% di quelle dell intera Regione Veneto, pianura inclusa. Ovunque sono presenti habitat di interesse comunitario; numerosi sono quelli prioritari ai sensi della omonima Direttiva Comunitaria. Tra le cinque Province proponenti l iscrizione di queste eccezionali montagne nel novero dei beni del Patrimonio Naturale Mondiale, più di tutte Belluno ha dimostrato attenzione intorno alla necessità di mantenerne i caratteri per perseguire non solo obiettivi d economia, che pure sono fondamentali per il mantenimento e il potenziamento del comparto turistico, specie se di qualità, ma anche per potenziare la stabilità dei versanti per la sicurezza delle genti che vi risiedono e vi producono ricchezza, e per tutelare la qualità della loro vita, che si ottiene con il mantenimento della qualità dell aria e di quella dell acqua, beni divenuti altrove oramai rari. Non mancano in questa terra anche altre forme di paesaggio, morfologicamente diverse, ma saldate a vicende umane analoghe a quelle vissute nel cuore delle Dolomiti, e fondamentalmente comuni a quelle di tutte le altre comunità alpine. Ne prende ancora atto il documento di candidatura UNESCO: «Tutte queste montagne sono state luogo di incontro tra popoli, nei fondovalle come sugli spalti più elevati. Per questo in esse non si può scindere la natura dall umanità, soprattutto quella che ha cercato la vita nell equilibrio con l ambiente ostile della montagna. Anche queste tracce vanno conservate per il loro intrinseco messaggio, che è di pace e di fratellanza tra i popoli». Questa evidenza vale sia per la parte più interna e difficile del mondo dolomitico, dove si incontrano popolazioni di quattro ceppi linguistici, italiano, ladino, friulano e tedesco, che ancora oggi, nell era della globalizzazione, si dimostrano profondamente gelose della propria identità storica, pur dimostrandosi, nei fatti, curiosamente ancorate ad una matrice di unità culturale che ha il cuore proprio nella montagna e nei modi con cui ad essa le genti si rapportano. Ma vale anche per la fascia prealpina, anch essa ricca di boschi e di prati, di acque in forre e in valli profondamente incise, storicamente caratterizzata da attività boschive, agricole e pastorali, segnate da flussi migratori antichi e, ancor più, dal recente abbandono. Il sistema naturalistico della provincia bellunese si collega, dunque, con l antica antropizzazione di queste montagne e con l uso delle risorse che l uomo vi ha sempre operato, in quanto necessarie alla propria esistenza. Il cambiamento in atto sugli assetti ecosistemici della montagna bellunese In questi ultimi anni si sta verificando, con effetti particolarmente evidenti nelle regioni montane, un importante cambiamento del clima, ed una altrettanto importante variazione degli assetti ecosistemici ed ambientali delle terre alte. Ai nostri fini va ricordato che l innalzamento generale della temperatura del pianeta, stimato nell ultimo secolo in 0,6 C riferiti al valore medio annuale, ha provocato una diffusa fusione dei ghiacciai alpini. Per questo motivo nell area dolomitica si è manifestato soprattutto l arretramento del fronte dei ghiacciai e, pur se in maniera meno avvertibile, l innalzamento della quota del permafrost. I dati del Centro Sperimentale di Arabba indicano che dopo un secolo era scomparso circa 10% dei ghiacciai rilevati sulle Dolomiti nei primi anni del 900, mentre un altro 10% era stato occupato da masse di ghiaccio d estensione inferiore ad 1 ha e completamente ricoperte da detrito, così da poter essere definiti ghiacciai fossili, oppure quasi estinti. Secondo Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 21

i dati elaborati da CIPRA, i cambiamenti del clima sono sensibili anche sull innevamento, con una riduzione da 4 a 6 settimane della durata della copertura nevosa in fondovalle e un innalzamento della quota del limite invernale delle nevi. Nell ultimo secolo si è registrato un innalzamento di circa 200 m del livello delle nevicate e una significativa riduzione delle quantità di precipitazioni nevose, sia nei fondovalle, sia in quota, e tutto ciò con evidenti effetti sulla distribuzione delle nicchie idonee per le specie e per le comunità di piante e di animali. Per le particolarità morfologiche ed ecosistemiche delle Dolomiti, gli effetti di questi cambiamenti saranno qui più evidenti che altrove. Ad esempio, Georg Grabherr, dell Università di Vienna, riferisce che in alta quota oggi si contano molte più specie vegetali di quante se ne trovassero negli anni passati. Egli riconduce questo fatto all innalzamento altimetrico delle fasce vegetazionali, che procede con ritmi che, secondo i casi, oscillano da 2-4 a 20-30 m al decennio. In alta quota aumenta dunque il numero delle specie, ma vi scompaiono quelle criofile, amanti cioè del freddo, che non trovano più alcun luogo idoneo in cui rifugiarsi. Si stima che circa 400 specie siano già condannate a questo destino. Le valli cambieranno dunque d aspetto col succedersi delle specie che ora le popolano. Querce e carpini sostituiranno faggi e abeti, mentre le conifere saranno castigate in spazi sempre più ristretti. Dove reggerà la zootecnia, il pascolamento riuscirà forse a mantenere stabile l attuale limite superiore del bosco, che in area dolomitica si colloca indicativamente tra 1.800 e 2.000 m. Il mondo rurale potrebbe dunque essere ancora in futuro un artefice importante delle forme del paesaggio provinciale, pur se con importanti differenze tra Nord e Sud del territorio bellunese, anche secondo il prevalere delle culture e delle tradizioni che hanno ancora solide radici nelle singole valli. È una indicazione importante per una coerente organizzazione delle azioni di tutela naturalistica ed ambientale di iniziativa provinciale. Il patrimonio naturale del Bellunese L'isolamento geografico che si è venuto ripetutamente a creare negli ultimi due milioni di anni spiega molti fenomeni ecosistemici, come la differenziazione di specie endemiche vicarianti e l'elevata variabilità di alcuni generi o di gruppi di specie. Non sarebbe tuttavia corretto attribuire ai soli fattori naturali l'attuale distribuzione delle piante. Anche la secolare attività colturale, prevalentemente agro-zootecnica, ha sicuramente prodotto cambiamenti profondi, attraverso la grande frammentazione degli habitat e la creazione di nuove nicchie ecologiche. Senza tale opera, a prescindere ovviamente dai più recenti fenomeni a forte impatto, legati soprattutto al turismo di massa e alle grandi infrastrutture che hanno impoverito e banalizzato la flora, il livello di biodiversità sarebbe sicuramente inferiore. Non è infrequente infatti incontrare ancor oggi, nelle valli più integre e meno influenzate dagli insediamenti turistici, autentiche perle colturali, come le specie relittiche legate alla coltivazione dei cereali (archeofite). Queste rare presenze si contrappongono ai banali popolamenti dei consorzi irrigui, sempre più diffusi nei fondovalle più abitati, o dove il suolo è occupato da insediamenti artigianali e industriali. In questi incolti e nelle aree di sgombero, specialmente in prossimità dei fiumi, vengono ospitate, in numero sempre crescente, specie esotiche, originarie di altri continenti, e in particolare del Nord-America. Il numero di specie non autoctone può essere considerato un 22 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto

valido indicatore ecologico e comunque un parametro importante per definire il livello di alterazione o di degrado di un territorio. Molte specie rare sono sempre più a rischio. È il caso, in particolare, di quelle che vegetano nei biotopi umidi, soggetti a bonifiche, a drenaggi, a canalizzazioni e, purtroppo, alla generale eutrofizzazione per aumento dell apporto di azoto e di altri nutrienti. Un cenno particolare meritano le vallate più interne a clima continentale (endalpico) o le stazioni in cui i fattori topografici esaltano gli effetti dell'aridità estiva. È solo qui che sopravvivono alcuni relitti di carattere steppico, che in territorio dolomitico rappresentano un'eccezionale rarità come Stipa capillata, Dracocephalum austriacum, Ephedra helvetica, ed altre ancora. Il progressivo abbandono delle colture, soprattutto nei settori più investiti dalla ricca economia turistica, sta portando evidenti effetti, percepibili anche da non esperti che conservino memoria dei luoghi da almeno 20 30 anni. Tra questi: l'innalzamento del limite del bosco, dovuto all'aumento della temperatura media; l'aumento della copertura boschiva generato dall'abbandono dello sfalcio e/o dal regresso del pascolo; la diffusione di specie dominanti e fisionomizzanti che meglio di altre si avvantaggiano dell'abbandono colturale (soprattutto graminacee: Molinia, Brachypodium, Deschampsia caespitosa, diverse specie di Festuca, ecc.) mentre altre appaiono in evidente regresso. Il patrimonio floristico e vegetazionale Includendo i fondovalle ricchi di specie sinantropiche, e anche di entità esotiche ormai ben naturalizzate, la flora vascolare dolomitica conta su circa 2.400 entità. Tra queste, le piante endemiche, cioè quelle il cui areale è limitato a un territorio ben definito e più o meno ristretto, sono quelle che meglio di altre ne caratterizzano e sintetizzano la biocenosi e il significato sinecologico. Le Dolomiti, a causa delle vicende glaciali, non sono, a livello assoluto, un territorio ricco di piante endemiche, anche se la loro flora conserva una eccezionale importanza biogeografica per il numero complessivo di specie e per la presenza di rarità, di entità disgiunte o fortemente localizzate, o situate al margine dell'areale. Se si escludono i gruppi critici ancora imperfettamente conosciuti (esempio Festuca, o la stessa Nigritella appena scoperta) e le specie apomittiche di alcuni generi (Alchemilla, Rubus, Hieracium, Taraxacum), si possono considerare endemismi dolomitici (talvolta con estensione di areale alle zone limitrofe) in senso classico, le seguenti sette specie: Campanula morettiana, Primula tyrolensis, Rhizobotrya alpina, Sempervivum dolomiticum, Draba dolomitica, Saxifraga depressa e Saxifraga facchinii. Va infine citata l'esistenza di entità endemiche a livello di sottospecie o di varietà, per la cui identificazione si utilizzano talvolta gli aggettivi: dolomitica, dolomiticum o dolomitensis. Anche se quasi sempre ci si riferisce alle sole piante vascolari, i vegetali cosiddetti inferiori meriterebbero più di un semplice cenno. Le briofite (muschi ed epatiche) furono i primi vegetali a conquistare la terra ferma, pur restando dipendenti dall'acqua nella fase riproduttiva. I licheni, inoltre, sono una Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - Relazione di Progetto 23